venerdì 4 dicembre 2015

Vorovskij

Nella toponomastica russa esistono molti luoghi intitolati a Vaclav Vaclavovič Vorovskij, o Wacław Worowski, alla polacca, noto agli storici anche con gli pseudonimi in clandestinità di Jurij Adamovič, P. Orlovskij, Schwartz, Šachov, Joséphine, Faunus, Profano e svariati altri, nato a Mosca nel 1871 e assassinato a Losanna nel 1923. Il nostro interesse per questo rivoluzionario, pubblicista e critico letterario è motivato dal fatto che, essendo uno dei primi diplomatici sovietici, fu il primo ambasciatore della Russia sovietica nel Regno d’Italia.
Nel 1890 frequentò la storica facoltà di scienze fisiche e matematiche dell’Università di Mosca, per poi passare, un anno dopo, all’altrettanto storica “Scuola tecnica di Mosca”, ora nota come “Università tecnica statale moscovita”, intitolata dal 1930 allo studente rivoluzionario Bauman, della medesima università, che dopo un anno e mezzo di carcerazione nella tristemente rinomata prigione della Taganka fu ammazzato nel 1905 durante una manifestazione all’angolo fra la allora via dei tedeschi (Nemeckaja ulica, ora Baumanskaja) e il vicolo Denisov (Denisovskij pereulok, prima vicolo degli olandesi, per l’omonima chiesa), da tale Michal’čuk, membro dei “Centoneri” (che annoverava fra i suoi iscritti anche lo zar Nicola II, ora addirittura beatificato), organizzazione di estrema destra, monarchica, antisemita e sciovinista. Ma torniamo a Vorovskij.

Aderì al movimento rivoluzionario nel 1894, per cui in occasione dell’incoronazione di Nicola II fu deportato a Vologda. Arrestato nel 1897, fu nuovamente confinato nel 1899, stavolta nel governatorato di Vjatka. Liberato, emigrò a Ginevra, dove aderì al bolscevismo e divenne un collaboratore del giornale leninista “Iskra” (“La scintilla”). Nel 1903 giunse clandestinamente a Odessa per fare da tramite fra i bolscevichi e i polacchi di sinistra. Rientrato nel 1905 a Pietroburgo, l’anno successivo partecipò al IV congresso del Partito Operaio Socialdemocratico Russo a Stoccolma. Dopo l’ennesimo confino, si trasferisce a Mosca, dove, durante la Grande Guerra, lavora alla Siemens-Schuckertwerke (dopo la Rivoluzione d'Ottobre, si chiamerà "Elektrosila", esiste tuttora).

Breve digressione personale. Durante la perestrojka, lavoravo a Mosca per un’azienda italiana, per la quale spesso mi recavo ad un ente del ministero per le costruzioni meccaniche agricole, la “Traktoroeksport”, con sede in una piccola piazza a ridosso del famoso palazzo della Lubjanka, talmente piccola che non sapevo nemmeno avesse un nome. Solo recentemente, confesso, ho scoperto che, attaccata al palazzo dell’ente, si trovava a lungo la sede del Commissariato Popolare per gli Affari Esteri, poi trasformato nell’attuale ministero degli esteri. In mezzo alla piazza c’era – e c’è tuttora – un piccolo monumento, raffigurante un ometto ingobbito. Il monumento era ridotto male, il metallo era diventato verdastro, il basamento in pietra era ingiallito e corroso dallo smog. Non gli avevo mai dato importanza, Mosca è piena di monumenti meno rappresentativi poco curati. Ebbene, si tratta proprio del nostro Vorovskij, ora restaurato. Il progetto era curato dallo scultore M.I.Kac, che assieme a Vorovskij aveva lavorato in Italia come funzionario della rappresentanza commerciale, e in Italia fu creato, come testimonia una piccola incisione sul retro del basamento, peraltro eseguito in travertino italiano, raccolto dagli operai italiani.

Nel 1917, su proposta di Lenin (di passaggio nel suo viaggio alla volta della Russia), assieme al russo-polacco Jakub Ganeckij (Jakub Hanecki, in realtà Fürstenberg) e Karol Radek (al secolo Sobelsohn, nato a Leopoli quando era Lemberg nell’impero austroungarico, ma formatosi a Cracovia), divenne membro del comitato centrale del POSDR (bolscevico) a Stoccolma. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre fu rappresentante plenipotenziario (in altre parole, ambasciatore) in Scandinavia, ma nel 1919, a seguito della dichiarazione della “Triplice” per il blocco della Russia sovietica, rientrò in patria. Al momento della sua partenza dalla Svezia, nei conti della rappresentanza sovietica presso le banche locali c’erano circa dieci milioni di corone, e quasi due milioni sul suo conto personale, oltre a svariati altri conti presso banche europee con nomi di fantasia, il tutto destinato a sostenere il movimento operaio internazionale.

Nel 1921 venne nominato rappresentante commerciale e plenipotenziario in Italia, dove riuscì, ad esempio, a concludere il primo accordo commerciale quadro con la Russia sovietica, il 24 maggio 1922, ed anche un grosso contratto di fornitura di materie prime all’Italia dalla regione agricola di Kuban’. Anche allora, in Italia, sotto dettatura d’Oltralpe, vi fu chi bollò i commercianti italiani coinvolti come “traditori”, il parallelismo con l’attualità sarebbe fin troppo facile. Sempre nel 1922 partecipò alla Conferenza di Genova (a cui partecipò anche il presidente del Consiglio dei ministri italiano Luigi Facta, ultimo prima dell’avvento del fascismo), chiamata a individuare delle “misure di risanamento dell’Europa centrale ed orientale”. Di fatto, la questione principale riguardava il desiderio dei Paesi europei di trovare un accordo con la Mosca comunista.

Un’apposita commissione di esperti preparò a Londra un progetto di risoluzione che stabiliva il riconoscimento da parte della Russia sovietica di tutti i debiti e gli impegni finanziari di ogni regime russo precedente. Essa doveva assumersi la responsabilità per tutti i danni derivanti dall’attività sia del governo sovietico che dei governi precedenti e delle autorità locali. La delegazione russa si dichiarò pronta a discutere una forma di compensazione agli ex proprietari stranieri in Russia, a condizione che i Soviet fossero riconosciuti de jure, e che ad essa fossero concessi dei crediti. La delegazione russa propose anche un disarmo generale. Non essendo state appianate tutte le controversie sollevate durante la conferenza, una parte di queste fu demandata alla conferenza dell’Aja del 1922.

Durante la conferenza di Genova, il governo sovietico riuscì a concludere con la Germania il Trattato di Rapallo del 1922. La partecipazione dei bolscevichi alla conferenza suscitò indignazione negli ambienti dell’emigrazione russa: il Consesso delle Chiese russe all’estero del novembre 1921 (noto in letteratura come Primo concilio pan-estero della Chiesa ortodossa russa all’estero) adottò, in dicembre, un apposito appello alla conferenza stilato dal metropolita Antonij Chrapovickij, in cui si contestava la legittimità del potere sovietico a rappresentare il popolo della Russia.

Nel 1923 Vorovskij fece parte della delegazione sovietica alla conferenza di Losanna (20 novembre 1922 – 24 luglio 1923, ma con un’interruzione significativa dal 4 febbraio al 22 aprile 1923), convocata su iniziativa di Gran Bretagna, Francia e Italia, per preparare un trattato di pace con la Turchia e regolamentare gli stretti del Mar Nero.

Oltre ai tre Paesi promotori, vi parteciparono la Grecia, la Romania, il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, il Giappone, la Turchia e gli Stati Uniti: questi ultimi, avendo rifiutato un coinvolgimento diretto, avevano lo status di osservatore ed erano rappresentati dall’ambasciatore in Italia Richard Washburn Child. Le potenze della “Triplice intesa” (Inghilterra, Francia e Russia zarista, in contrapposizione alla “Triplice alleanza” di Germania, Impero Austro-Ungarico e Italia) limitarono la partecipazione della delegazione sovietica e di quella bulgara alla discussione sulla regolamentazione degli stretti del Mar Nero. Il governo sovietico contestò questa discriminazione, ma ritenne comunque possibile partecipare alla conferenza ed inviò una delegazione con a capo Čičerin, commissario del popolo per gli affari esteri, che aveva sostituito Trockij.

Il progetto della delegazione sovietica in merito agli stretti, le cui linee guida erano state elaborate da Lenin stesso, prevedeva di ristabilire i diritti del popolo turco “ai suoi territori e superfici acquatiche”, di chiudere l’accesso agli stretti sia in tempi di pace che di guerra “alle navi armate e militari, nonché all’aviazione militare di tutti i Paesi, ad eccezione della Turchia”, e di consentire invece la totale libera navigazione commerciale.

La posizione della “Triplice intesa”, al contrario, prevedeva la libera circolazione delle navi militari di tutti i Paesi in tempi di pace, ed anche di guerra in caso di neutralità della Turchia; se invece quest’ultima fosse coinvolta in una guerra, doveva essere comunque garantita la circolazione delle navi militari dei Paesi neutrali. La delegazione inglese pretendeva anche la smilitarizzazione degli stretti ed il controllo internazionale su di essi.

La Turchia accettò il progetto inglese, confidando in concessioni su altri punti del trattato di pace in fase di elaborazione. Gli inglesi, invece, pretesero perentoriamente dalla delegazione turca di accettare tutta una serie di condizioni svantaggiose per la Turchia (sul confine fra Turchia e Iraq, sulle condizioni della resa, ecc.). Questo fece sì che le trattative si interruppero il 4 febbraio 1923 fino al 23 aprile dello stesso anno. Alla ripresa della conferenza, le potenze della Triplice discriminarono apertamente la delegazione sovietica (la cui partecipazione, come già detto, era di per se limitata alla questione degli stretti): addirittura, al rappresentante sovietico, il nostro Vorovskij appunto, non fu nemmeno notificata ufficialmente la ripresa della conferenza, e quando egli giunse a Losanna non fu ammesso a partecipare alle trattative. Il 10 maggio 1923 Vorovskij fu assassinato da un ufficiale in esilio della Guardia Bianca di origine svizzera, Moris Konradi (Maurice Conradi in francese, Moritz Conradi in tedesco). Su questo torneremo più in là.

A seguito di vari cedimenti sia da parte dei Paesi della Triplice, sia da quella turca, la conferenza di Losanna si concluse con la firma di diciassette documenti, tra i quali i più importanti furono quelli sulla pace del 1923 e sugli stretti.

Riassumendo, la Convenzione fu firmata il 24 luglio 1923 da Gran Bretagna, Francia, Italia, Giappone, Grecia, Romania, Bulgaria, Regno dei Serbi, croati e sloveni e Turchia; l’URSS non la ratificò per assenza delle necessarie condizioni di sicurezza. Essa, pur prevedendo la smilitarizzazione delle zone degli stretti, consentiva però il passaggio libero attraverso il Bosforo e i Dardanelli non solo delle navi commerciali, ma anche di quelle militari (con limitazioni trascurabili) di qualunque Paese del mondo, e questo creava condizioni anormali per i Paesi del mar Nero. La mancata ratifica da parte dell’URSS era motivata dall’infrazione dei suoi legittimi diritti.

Dunque, Vorovskij fu ammazzato a pistolettate nel ristorante dell’hôtel Cecil di Losanna. Bisogna dire che il Consiglio federale svizzero non aveva assicurato alla delegazione sovietica alcuna protezione, e non aveva concesso ai suoi membri i visti diplomatici. In pratica, i sovietici si ritrovano bloccati all’hôtel Savoy, dove sono fatti oggetto di intimidazioni da parte di gruppuscoli in odor di fascismo, come la “Lega Nazionale” del posto. Un sentimento di odio nei confronti dei bolscevichi, accompagnato dall’antisemitismo, domina a Losanna come in tutta la Svizzera e in tutta Europa, eppure le minacce di morte sono ignorate dalle autorità, che non intraprendono alcuna precauzione particolare per proteggerli.

Vorovskij aveva perciò traslocato al Cecil, e lì trovò la morte. Dopo avere anche ferito i due aiutanti di quest’ultimo, Arens (successivamente, inviato plenipotenziario in Francia, in Canada e poi console a Nuova York) e Divilkovskij, il suo assassino, Conradi, consegnò spontaneamente la rivoltella al maître d'hôtel. Solo la sera dopo l’attentato Conradi viene arrestato e condotto alla prigione dell’Ancien-Evêché. La direzione dell’hôtel Cecil ha l’ardire di inviare una fattura alla delegazione russa per “i danni procurati da Conradi, concretamente la rottura dei piatti”. Un dettaglio forse trascurabile, ma sintomatico dell’antibolscevismo che regnava in Svizzera, e che contribuirà a fare di Conradi una “vittima del comunismo”, un eroe autoproclamatosi Guglielmo Tell, assolto dai giurati (nove contro cinque) del tribunale penale di Losanna il 15 novembre 1923, assieme al suo complice e mandante, Arkadij Polunin, dopo che più di settanta testimoni raccontarono alla corte dei crimini bolscevichi: l’omicidio di Vorovskij fu considerato un atto di giustizia. Nel frattempo, l’immagine di Conradi veniva bruciata in piazza nelle maggiori città russe: rottura totale fra i due Paesi, interruzione dei rapporti diplomatici. Vent’anni dopo, nel 1944, il Consiglio federale ritenne opportuno normalizzare le proprie relazioni con i vincitori di Stalingrado. I sovietici rifiutarono sdegnati. Solo nel 1946, lo scambio dei prigionieri e la dissoluzione della “Lega contro la III Internazionale” (fondata dall’avvocato difensore di Polunin, Théodore Aubert) contribuirono a ristabilire le relazioni diplomatiche.

Lo scrittore ucraino di origine polacca, emigrato ovviamente a Varsavia, Michail Arcybašev (le cui opere grondavano di contenuto pessimistico, violento ed erotico), scriveva a proposito del processo: “Vorovskij non è stato ucciso in quanto comunista ideologico, ma come boia […] come agente dei fomentatori e degli avvelenatori mondiali che stanno riservando a tutto il mondo il destino dell’infelice Russia”.

Dopo essere stato liberato, Conradi entrò nella Legione Straniera francese e combatté nell’Africa coloniale. Secondo alcune versioni, ivi morì nel 1931, secondo altre nel 1947 in Svizzera di alcolismo.

Vorovskij fu sepolto in piazza Rossa, in una fossa comune lungo le mura del Cremlino. Come detto all’inizio, numerosissimi luoghi portarono o portano il suo nome (anche qualche francobollo). Tra questi, dal 1923 al 1937, degna di nota è la oggi tristemente nota via principale di Kiev, Kreščatik.

A parte un film sull’omicidio del 1977, pochi sanno che addirittura Brežnev stesso in gioventù si dilettava di poesia. Ventenne, nel 1926, scrisse [ABAB]:

Accadde a Losanna, dove fioriscono gli eliotropi,
dove si sognano meraviglie da fiaba,
al centro dell’Europa culturalmente spocchiosa,
al centro di un Paese da favola
[…]
Inutili e stupidi i lunghi discorsi,
le frasi altisonanti sulle buone azioni,
i volti inutilmente ottusi per droga,
l’insolenza nello sguardo e la menzogna sulle labbra
[…]
Il mattino seguente nell’hôtel firmato “Astoria”,
il nostro ambasciatore fu ucciso per mano assassina
e nel libro della grande storia russa
si aggiunse un’ennesima vittima…

Sempre nel 1923, Majakovskij dedicò a Vorovskij una poesia [ABBA, ABAB]:

O proletariato, oggi libera le voci tuonanti,
dimentica il perdono onnipresente come cera.
Fatto fuori da una cricca fascista di ladroni,
per l’ultima volta per Mosca passerà Vorovskij.
Quanti non ce ne saranno… Quanti non ce n’è più…
Quanti a brandelli… Quanti in fumo…
Ovunque fossero traditi. Chiunque abbia tradito
Noi non abbiamo tradito, noi non tradiremo.
Oggi comprimi l’ira in un’enorme palla di bomba.
Oggi libera le voci come saette splendenti di baionette.
Appari negli occhi dei capitalisti.
Compari sui sipari regali.
Rispondi con milioni di passi all’insolenza delle note.
Mostra una folla di milioni alle mura del Cremlino.
Che oggi la morte del nostro compagno sottolinei
l’immortalità della causa del comunismo.

Ironia della sorte. Quando nel 1930 il poeta si suicidò, la camera ardente venne allestita alla Casa degli scrittori di bulgakoviana memoria (nel “Maestro e Margherita”), al civico 52 della storica via Povarskaja (ed esattamente lì, nel 1940, venne allestita la camera ardente anche per Bulgakov). Ebbene, dal 1923 e fino al 1994 quella era… la via Vorovskij.

[Pubblicato in "Slavia" N°4 2015]

sabato 28 novembre 2015

Non ci sono più i sindacalisti di una volta

Poletti inventa un ennesimo artifizio per smantellare il sistema di conquiste dei lavoratori, segnatamente gli orari lavorativi.

La Camusso, CGIL, risponde "non scherziamo", Barbagallo, UIL, risponde "vediamo", Petteni, CISL, risponde "lascateci fare".

Ci fosse stato un Di Vittorio, o persino un Luciano Lama, la risposta sarebbe stata: noi non ci addentriamo nelle questioni attinenti l'esistenza di dio, voi non ingeritevi nelle questioni terrene.

Come?

Ah, non era il cardinal Poletti, era invece il ministro del lavoro del governo Renzi?

Peccato.

Eppure, mi sembrava...

giovedì 26 novembre 2015

Chi sono i turcomanni

In questi giorni, causa i fascisti assassini che hanno mitragliato i piloti russi in territorio siriano, si parla molto di turkmeni, di turkmeni siriani e di turcomanni, sia in italiano che in russo (туркмены, сирийские туркмены и туркоманы), ciascuno affermando che la sua è la definizione giusta e tutti gli altri sono ignoranti.

Oltre ad una ricerca in rete, mi sono rivolto alla versione cartacea del XVIII volume del Grande Dizionario Enciclopedico della UTET del 1972.

E' vero, sono turkmeni siriani, è vero, sono turcomanni e non è vero, non sono turkmeni.

Mi spiego.

"Turcomanni" è un etnonimo, comprende svariate popolazioni, tra le quali prevalentemente i turkmeni attuali della Turkmenia ex-sovietica e i turkmeni siriani, appunto (oltre a numerose altre popolazioni minori, residenti anche - non solo - negli attuali Kazachstan, Uzbekistan, Kirgizia, Tadžikistan).

Ricapitolando, tutti i turkmeni e tutti i turkmeni siriani sono turcomanni, ma non tutti i turcomanni sono turkmeni o turkmeni siriani.

Gli assassini in questione sono questi ultimi.

martedì 24 novembre 2015

Sparatorie farwest turche

In merito all’aereo russo abbattuto dai turchi ed al contemporaneo ferimento di tre giornalisti russi, ritengo opportuno sgombrare il campo da alcune speculazioni già in atto nei media occidentali.

  1. L’aereo russo era in territorio siriano e non è mai entrato nel territorio turco. Lo confermano i satelliti.
  2. L’aereo russo è stato abbattuto in territorio siriano ad un chilometro dal confine turco.
  3. L’aereo russo è stato abbattuto da un F-16 turco, che ha sconfinato nel territorio siriano, facendolo precipitare a quattro chilometri dal confine. Si trovava a 6.000 metri da terra e stava rientrando alla base.
  4. Fermo restando che non c’è stato “sconfinamento” russo alcuno, gli aerei turchi invece sconfinano perennemente da decenni non solo in in Siria e in Iraq, ma anche in Grecia e a Cipro, dove, come è noto, la situazione non è certo quel che si dice pacifica: i turchi, con golpe ed invasione militare, hanno occupato metà dell’isola fin dal 1975. Da sottolineare che Cipro era diventata indipendente solo nel 1960, quando gli inglesi, bontà loro, hanno “concesso” (sic) l’indipendenza alla loro colonia.

Sono ben sollevato di non essere all’altezza di essere non dico al posto di Putin, ma di non avere alcuna competenza né potere in merito. Altrimenti, “delle mie scelte sarei sicuro” (chiedo scusa a De Andrè e Brassens):

  1. Un aereo turco che di un paio di millimetri dovesse entrare in territorio siriano, da qui in avanti verrebbe immediatamente incenerito. Siamo dalla stessa parte, nella lotta contro l’ISIS? Appunto, vale anche per l’aereo russo.
  2. Senza ovviamente vietarlo, inviterei però i cittadini russi, per senso patriottico, a non andare più in vacanza in Turchia (parliamo di centinaia di migliaia di turisti e di milioni di euro ogni anno), in quanto non più “Paese amico”.
  3. E’ una provocazione? Sono d’accordo. Più che altro, però, è una “puntata” a poker, da parte della NATO, dove la Turchia è una misera fiche. Beh, io “vedo”.

Ed ecco la ciliegina, il TG2 delle 20:30: abbattuto aereo russo al confine con la Siria. Vi sfugge? Al confine con la Siria vuol dire in Turchia! E' esattamente il contrario, abbattuto l'aereo russo in Siria vicino al confine turco da un aereo turco che ha sconfinato!

Andiamo però alla radice. Dopo il fallimento del South Stream, sembrava che il Turkish Stream dovesse essere la panacea, con grande stizza degli Stati Uniti. Ecco dunque che Erdogan ammazza un pilota russo in territorio siriano. Una coincidenza, vero?

domenica 8 novembre 2015

A proposito di Putin

1)Putin è un dittatore. Secondo la Treccani, "Chi governa o esercita comunque la propria autorità in modo dispotico e intransigente, senza ammettere critiche, opposizioni, discussioni o ingerenze di alcun genere". Putin ha una corposa opposizione, pagata dall'Occidente, ma soprattutto, dimentica la Treccani, il dittatore non viene democraticamente eletto. Non è il caso di Putin.

2)Cecenia. Fa parte della Russia (che, giova ricordarlo, è una federazione, da cui la differenza fra russkie e rossijane) dal XVII secolo (cioè, con Pietro il grande, mica con i comunisti, da quando sono scesi in pianura dai monti). Se però ne vogliamo parlare, vorrei parlare del Trentino dalla Grande guerra agli anni '60 del secolo scorso.

3)Putin fascista. Come ogni (ogni!) famiglia russa, ha avuto morti in famiglia per mano dei fascisti e dei nazisti, e non perde occasione di ricordarlo.

4)Putin finanzia FN, LN e Casa Pound. Attendo qualche prova, soprattutto in virtù del punto 3: in caso contrario, attendo che qualcuno metta in galera i menzogneri pennivendoli italioti.

5)Libertà di stampa. Pioggia D'Argento, RBC, Gazzetta Nuova, giusto i primi che mi vengono in mente. Come? Non se li incula nessuno? E sarebbe colpa di Putin?

6)Omofobia. Personalmente, sono eterosessuale e non ho mai avuto problemi con gli omosessuali. Mai sentito nessuno presentarsi "piacere, omosessuale", oppure "eterosessuale". Io mi presento per nome e cognome, punto, al limite, se è inerente, aggiungo "interprete". In ogni caso, non deve riguardare i bambini.

7)Putin amico del dittatore Assad. Ritengo dittatori Obama, Clinton, Bush, Renzi, Berlusconi, eppure Putin li chiama tutti (Assad compreso) "partner", e se volete mi da pure fastidio. Il popolo sovrano li ha eletti, il popolo sovrano se li tiene. Assad è sostenuto dal proprio popolo, ma persino dittatori come Hussein, Gheddafi e quant'altri ha diritto di ingerirsi negli affari interni di popoli altrui. Serve ricordare gli americani in Corea, Vietnam, Afghanistan, Iraq, Jugoslavia, Libia, Ucraina, eccetera?

8)Aereo russo in Sinai (non in Siria). Attendiamo le indagini. in ogni caso, o era un incidente, e allora che c'entra la Russia (devo ricordare Ustica?), oppure era un attentato terroristico, e allora che c'entra la Russia (devo ricordare Ustica?)?

giovedì 2 luglio 2015

Questione di lingua

Mi stavo facendo un ragionamento sull'Ucraina, così, by the way, tra gli altri.

Fondamentalmente, cosa contrappongono i numerosi media mainstream occidentali e conseguentemente una cospicua fetta di popolazione dell'Occidente ("l'ha detto la televisione...")?

Di base, l'integrità territoriale ucraina e il diritto ad avere una lingua nazionale (cosa che, peraltro, nessuno ha mai contestato).

Bene.

Per il primo punto, sono nato in uno Stato che non esiste più (la Cecoslovacchia) e sono parzialmente cresciuto in uno Stato che non esiste più (l'Unione Sovietica).

Non m'interessa discutere, in questo contesto, di URSS, ma ricordo che i cecoslovacchi diedero una lezione di civiltà a tutto il mondo, quando, compiendo una scelta che personalmente ritengo sbagliata, si divisero per via parlamentare nel 1992 in repubblica Ceca (perché in italiano non chiamarla Cechia?) e Slovacchia.

Non fu sparsa nemmeno una goccia di sangue.

Ecco perché auspico una piccola Russia (Malorossija, l'Ucraina) ed una nuova Russia (Novorossija, la Russianova), senza che si ammazzino vecchi, donne e bambini (guardacaso, solo da una parte, mica da entrambe).

Per la questione linguistica, senza nemmeno scomodare i trentini (col tedesco e ladino), i valdostani (col francese) e i siciliani (con l'albanese), i friulani (col friulano medesimo e lo sloveno), i sardi (col catalano, il tabarchino, il sassarese e il gallurese) e i veneti (sempre col ladino), tralasciando gli infiniti dialetti (mi sono limitato alle lingue riconosciute), per l'art.6 della Costituzione della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista, né i polacchi, col bilinguismo lituano, tedesco, casciubo, bielorusso, ne i francesi con l'alsaziano, né gli sloveni e i croati con l'italiano, né gli spagnoli col catalano e il basco, né, infine, i belgi e i canadesi, ricordo che nei medesimi Stati Uniti (artefici della mattanza ucraina, giova ricordarlo) esiste una miriade di Stati in cui il bilinguismo è legge (Ungheria, Russia, buona parte degli Stati ex sovietici...).

In Louisiana, per esempio (la Patria di Louis Armstrong), francese ed inglese, con pari dignità.

Idem nelle Hawaii con l'hawaiiano e nel Nuovo Messico con lo spagnolo.

Lo spagnolo è la lingua madre del 12% della popolazione, con status speciale nel Nuovo Messico e ufficiale a Porto Rico; seguono per numero di parlanti cinese, francese (Louisiana, Maine), tedesco, tagalog, vietnamita, italiano.

L'inglese è ufficiale in 28 dei 50 Stati dell'Unione.

Perché allora quel che è consentito agli yankee non è consentito agli ucraini?

giovedì 28 maggio 2015

Autoproclamato gendarme del mondo

E' solo l'ennesimo episodio, ma particolarmente chiassoso e perciò odioso. Il fermo di polizia in Svizzera su richiesta USA nei confronti di funzionari altolocati della FIFA è stato effettuato in base ad un'ordinanza del tribunale statunitense. I funzionari in questione sono cittadini di vari Paesi (il presidente Blatter, per ora solo indagato, per inciso, è cittadino svizzero).

Si attribuisce loro di avere effettuato manovre finanziarie di diversa natura (una cinquantina di tipologie diverse). Senza voler entrare nello specifico delle accuse, è però del tutto evidente che si tratti dell'ennesima rozza, grossolana applicazione extraterritoriale del diritto USA.

I tentativi di amministrare la giustizia ben lontani dai confini yankee, attenendosi alle loro norme giuridiche, anziché alle procedure giuridiche internazionali universalmente riconosciute, sono quasi sempre coronati da successo.

Guarda un po' il caso, per prima cosa si rimette in discussione l'assegnazione alla Russia dei prossimi Mondiali di calcio 2018.

Non sono particolarmente interessato al calcio, che considero da sempre quello delle ossa, come considero il tifo una malattia, però mi pongo qualche problema circa l'accaduto. Facciamo qualche esempio.

L'Organizzazione delle Nazioni Unite è un'organizzazione intergovernativa a carattere internazionale fondata nel 1945 a San Francisco sulle ceneri della Lega delle Nazioni (Parigi, 1919-1946, e gli USA non ne facevano parte). Come è noto, ha sede a New York.

Sempre nel 1945, ma nel Québec, in Canada, fu fondata la FAO (l'Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura), che dal 1951 ha però sede a Roma.

Il Consiglio d'Europa fu fondato nel 1949 a Londra e ha sede a Strasburgo.

L'Unione Europea, con sede a Bruxelles, fu fondata a Maastricht, in Olanda, nel 1992, sulle ceneri della CEE, fondata nel 1957 a Roma.

L'OMC (l'Organizzazione Mondiale del Commercio, in italiano non si chiama WTO) fu fondata nel 1994 a Marrakesh, in Marocco, e ha sede a Ginevra.

Il Fondo Monetario Internazionale fu fondato nel 1945, ha sede a Washington.

L'OCSE (l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) fu fondata nel 1948 (come OECE, dal 1961 OCSE) e ha sede a Parigi.

L'OSCE (l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) fu fondata a Helsinki nel 1973 (come CSCE, dal 1995 OSCE) e ha sede a Vienna.

Fa eccezione la Banca Mondiale, fondata nel 1946 negli USA: i presidenti sono sempre stati tutti statunitensi (bontà loro, almeno i direttori vengono "suggeriti" dall'Europa).

Gli esempi sarebbero infiniti. La FIFA fu fondata a Parigi nel 1904 e ha sede a Zurigo. Ora, cos'è un'organizzazione internazionale, come tale?

E' un soggetto della legge internazionale, possiede una personalità giuridica propria distinta da quella degli Stati che vi partecipa. A tale principio si ispira la giurisprudenza italiana del Novecento, ma i requisiti per la titolarità di una vera e propria personalità sono indicati nella necessaria autonomia, anche organizzativa, distinta da quella degli Stati membri, e nella presenza di una missione ben definita, con attribuzione di relative competenze al cui esercizio corrisponde la titolarità di uno specifico status nella comunità internazionale. Tali caratteri sono emersi in un caso famoso sottoposto alla Corte internazionale di giustizia nel 1949, nello stabilire se l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) godesse del diritto al risarcimento del danno provocato dalla violazione di obblighi relativi al trattamento ed alla protezione internazionalmente dovuta ad un proprio agente. Nel caso si osservò che "la conclusione di accordi, di cui l'Organizzazione è parte, ha confermato il carattere di adeguata autonomia dell'Organizzazione che occupa una posizione per alcuni versi distinta dai suoi Membri, ed ai quali ha il dovere, ove del caso, di ricordare il rispetto di certi obblighi", ma anche che: "L'Organizzazione è stata destinata a godere di diritti che possono spiegarsi solo se ad essa è attribuita, in larga misura, la personalità internazionale e la capacità di agire sul piano internazionale. Si deve riconoscere che i suoi membri, assegnandole certe funzioni, l'hanno dotata delle competenze necessarie per permetterle di svolgere effettivamente queste funzioni". (CIG, 11 aprile 1949, Parere relativo alla riparazione dei danni subiti al servizio delle N.U.).

Adesso proviamo ad immaginare che agli USA non piaccia il comportamento, che so io, del sudcoreano Ban Ki-moon (ONU), del brasiliano José Graziano da Silva (FAO), del norvergese Thorbjørn Jagland (COE), del lussemburghese Jean-Claude Juncker (Presidente Commissione UE), del tedesco Martin Schulz (Presidente del Parlamento Europeo, a cui Berlusconi diede del kapò), del polacco Donald Tusk (Presidente Consiglio europeo), dell'italiana Federica Mogherini (Alto rappresentante Esteri UE), della lettone Laimdota Straujuma (Presidenza Consiglio UE), del brasiliano Roberto Carvalho de Azevêdo (OMC), del messicano José Ángel Gurría (OCSE).

Ne accetereste l'estradizione negli USA per essere giudicati dalle leggi yankee? Ironia del destino, la procuratrice generale degli USA che svolge le funzioni di pubblica accusa nei confronti dei dirigenti FIFA si chiama Loretta Lynch...

mercoledì 6 maggio 2015

GIM Unimpresa: sanzioni, controsanzioni... E poi?

© Costante Marengo

NON SOLO SANZIONI

Le sanzioni applicate dall’Occidente alla Russia e le conseguenti controsanzioni hanno fortemente condizionato lo sviluppo delle attività economiche tra i nostri Paesi e hanno provocato una serie di ripercussioni sia sul piano politico che su quello della psicologia del consumatore russo e più in generale degli operatori economici di questo Paese. Emergono significativi elementi di sciovinismo che spesso degenerano in un falso mito di autarchia produttiva del popolo russo. I dati del calo delle nostre esportazioni in quasi tutti i settori e non solo in quelli controsanzionati, sono particolarmente preoccupanti. Si avvertono timidi segnali di ripresa, soprattutto per le grandi commesse per infrastrutture e nel settore delle macchine utensili, ma il quadro generale appare ancora molto precario e negativo.

Tuttavia, non possiamo nascondere il fatto che non solo le sanzioni sono la causa di questa congiuntura economica che investe la Russia. Sono presenti elementi di debolezza del sistema economico di questo Paese, che non erano emersi in precedenza solo per effetto degli elevati introiti derivanti da gas, petrolio e materie prime in generale. Il sistema economico russo è, di fatto, ancora fortemente deindustrializzato e necessita di grandi iniziative industriali soprattutto nel campo manifatturiero per potersi liberare dal condizionamento delle fonti energetiche.

© Mark Bernardini

Proprio partendo da queste premesse ci sentiamo di affermare che, pur auspicando un rapido superamento del regime delle sanzioni, dobbiamo abbandonare gli atteggiamenti vittimistici e rimboccarci le maniche partendo dalla realtà e dalle necessita di questo Paese.

LE INIZIATIVE DEL GOVERNO RUSSO

Il piano elaborato dal governo russo per la fuoriuscita dalla crisi, insieme a tanti slogan che probabilmente resteranno tali, contiene una serie di linee guida importanti per la nostra Economia e per le nostre aziende. Alcune di queste linee hanno già prodotto iniziative concrete quali la creazione e l’avvio della Unione Economica Euro Asiatica di libero scambio, che allarga di fatto i confini del mercato russo ad altri Paesi ex CSI e coinvolge più di 250 milioni di potenziali consumatori. In secondo luogo, si sta procedendo al sostegno di quelle aziende che intendono produrre merci e beni attualmente importati (Импортзамещение). Chiaramente nessuno si deve illudere sulle reali possibilità che questo processo avvenga in tempi brevi e che possa effettivamente portare ad una generale autosufficienza del Paese in tutti i settori. Eppure il processo è avviato ed è prevedibile che pur lentamente venga realizzato. Sicuramente i fattori che rendono l’impresa ardua sono tanti, a partire dal livello di cultura imprenditoriale, ancora segnata dalle regole del vecchio regime, per arrivare alle insufficienti e vecchie infrastrutture per finire al gigantismo delle attività economiche esistenti, con una sostanziale assenza di piccole e medie industrie. Proprio in questi giorni è stata annunciata la nascita della Agenzia Federale per le PMI, alla quale anche noi come GIM saremo chiamati a dare il nostro contributo di esperienza e di proposte. E’ in fase di revisione il complesso normativo che regola le Zone Economiche Speciali e i Parchi Industriali (il vice presidente Torrembini è stato nominato, in qualità di esperto, nella apposita Commissione dell’Unione Euroasiatica). Nelle prossime settimane partirà finalmente il Corridoio Verde Doganale tra i nostri Paesi, che faciliterà notevolmente le procedure per il passaggio delle merci. Auspichiamo che le verifiche attualmente in corso da parte della Agenzia delle Dogane italiana, sulla rispondenza di queste procedure alle regole europee, si possa concludere in fretta e si possa davvero avviare questa iniziativa fortemente voluta da noi e caparbiamente seguita dalla nostra ambasciata. Parallelamente sono in corso iniziative di carattere sia pubblico che privato per l’allestimento di più efficienti infrastrutture logistiche nei nostri Paesi (Verona, Mosca).

© Vera Spina

IL CREDITO

Sul piano del credito, la situazione appare ancora problematica, nonostante alcuni segnali positivi quale l’abbassamento del tasso di sconto al 12,5 % deciso dalla Banca Centrale il 30 aprile scorso. Di fatto il sistema bancario russo non è ancora in grado di sostenere politiche creditizie a lungo termine, dovendo come nel passato accedere ai mercati finanziari internazionali, eppure anche in questo settore qualche segnale inizia ad arrivare. In sede di Commissione per lo Sviluppo Economico della Duma, il GIM ha lanciato la proposta della istituzione di un Fondo di Investimento Italo-Russo, con capitali pubblici e privati per il finanziamento di progetti delle PMI (al di sotto dei 5 milioni di €). Questo progetto viene seguito dal nostro collega Ferdinando Pelazzo. La SACE ha messo a disposizione degli operatori italiani una serie di nuovi prodotti assicurativi particolarmente interessanti e semplici per il credito all’export. Faremo di tutto per renderli maggiormente conosciuti. Così come andranno adeguatamente reclamizzati i fondi di investimento che già operano tra le nostre banche e quelle russe.

© Costante Marengo

LE NOSTRE INIZIATIVE

Come si diceva, occorre rimboccarsi le maniche. Lo dobbiamo fare puntando agli investimenti nei settori dove abbiamo forti competenze e capacità oltre che la necessità di non perdere questi mercati. Lo dobbiamo fare perché il nostro tessuto produttivo, oltre a essere complementare con quello russo, presenta esperienze e caratteristiche fondamentali per le linee di politica economica e industriale di cui ha bisogno la Russia:

  • INFRASTRUTTURE E GRANDI OPERE (considerando anche l’indotto che portano con se). In questo quadro, notevole è stato il contributo della nostra ambasciata, che ci sentiamo di dover sostenere con grande convinzione coinvolgendo sempre nuove Aziende e progetti.
  • © Mark Bernardini
  • FARMACEUTICA, PRODOTTI E ATTREZZATURE MEDICALI. Da sottolineare la presenza di numerose aziende italiane del settore che potranno giocare un grosso ruolo per la modernizzazione dell’industria russa. La nostra presidente, Maria Luisa Barone, seguirà direttamente il gruppo di lavoro “Life Science”, dove il GIM si farà carico di fare da trait d’union con le autorità russe per l’implementazione di progetti sia diretti che in joint venture. Da segnalare la prossima inaugurazione a Mosca e quello successivo a Stavropol del primo policlinico privato italiano in Russia (da parte della GVM) Da segnalare inoltre l’imminente avvio di uno stabilimento per la produzione e l’assemblaggio di apparecchiature medicali da parte di una nostra cooperativa, leader europeo di quel settore.
  • © Vera Spina
  • AGROINDUSTRIA. Accanto alle nostre grandi aziende già presenti, si stanno sviluppando una serie di iniziative, che vanno dallo sviluppo del settore della serricoltura, a quello della trasformazione dei prodotti agricoli per arrivare ai macchinari agricoli e alle attrezzature del food che richiedono ormai una localizzazione di molte produzioni. Abbiamo previsto una iniziativa di confronto con le nostre aziende già presenti ed il nuovo ministro dell’agricoltura che dovrebbe tenersi entro ottobre.
  • © Costante Marengo
  • MACCHINE UTENSILI E COMPONENTISTICA INDUSTRIALE. Si tratta del settore dove le nostre esportazioni raggiungono il 63% del totale e dove notevoli sono stati gli sforzi dell’ICE per il sostegno delle attività sia promozionali che di supporto. Vale la pena ricordare l’accordo per la formazione tecnica tra l’università Stankin e la nostra UCIMU. In questo settore molte sono le Aziende che potranno e dovranno localizzare parte della loro produzione, naturalmente mettiamo a loro disposizione le nostre conoscenze, le esperienze e la conoscenza del territorio.
  • © Mark Bernardini
  • ITALIAN LIFE STYLE. Il nostro Made in Italy è uno dei settori maggiormente colpiti dalla crisi economica attuale. Oltre alle aziende che facevano affari senza una adeguata struttura commerciale in Russia, sono stati molto colpiti anche coloro che invece avevano da tempo costituito le loro basi organizzative nel Paese. Oltre ad attendere nuovi e positivi segnali sul piano delle capacità di acquisto dei consumatori russi, andranno intensificate tutte le iniziative di sostegno della nostra immagine, promozionali, e altre che ci possono consentire di accrescere la popolarità delle nostre produzioni. Andranno inoltre sostenute le attività consortili tese alla apertura di gallerie e centri italiani nelle varie regioni russe. In questo settore è nostra intenzione organizzare insieme alle istituzioni italiane un tavolo di confronto con tutte le aziende già presenti e quelle che si affacciano sul mercato.
© Costante Marengo

Per necessità di sintesi non citiamo altri ed importanti settori sui quali comunque siamo impegnati a dare il nostro sostegno e la nostra esperienza. Vogliamo comunque sottolineare la particolare criticità manifestatasi nel settore turistico, che priva il nostro Paese di importanti fonti di introiti (si consideri che il turismo russo in Italia porta all’incirca 1,2 miliardi di €). Abbiamo particolarmente apprezzato l’iniziativa del nostro Ministero degli Esteri che è riuscito a far posticipare in sede Schengen l’applicazione della normativa sui dati dattiloscopici per il rilascio dei visti alla fine di ottobre, ci chiediamo comunque se non sia il caso di fare una seconda “battaglia” per posticipare ulteriormente questa incombenza che rischia ancor più di limitare l’afflusso turistico soprattutto nel nostro Paese e nel sud dell’Europa.

© Mark Bernardini

Se dovessimo sintetizzare questa parte delle nostre proposte e considerazioni, dovremmo dire:

"CARI COLLEGHI IMPRENDITORI ITALIANI, QUESTO E’ IL MOMENTO DI INVESTIRE E DI CONQUISTARE NUOVI SPAZI E NUOVE QUOTE DI MERCATO. LA RUSSIA E’ DESTINATA A RIPRENDERE IL SUO CAMMINO DI CRESCITA, NON POSSIAMO PERMETTERCI DI PERDERE ANCHE QUESTO TRENO"

© Costante Marengo
20 ANNI DI GIM

Quando la nostra presidente Luisa Barone, insieme ad altri 14 colleghi, fondavano il GIM presso la nostra ambasciata a Mosca (ambasciatore Federico Di Roberto), era il 1995, sono passati vent’anni, ed oggi, pur passando tra diverse traversie, siamo più di 140. Fu proprio nei momenti di crisi che la nostra forza aumentò, e speriamo che la stessa cosa possa accadere anche oggi. Ma non sono aumentati solo gli iscritti: sono aumentate le nostre aziende che hanno attività produttive in Russia.

Siamo passati da zero stabilimenti a circa 80, con 50.000 addetti e un fatturato di più di 5 miliardi di €. Abbiamo grandi aziende (particolari complimenti a ENEL, che rafforza la propria presenza in Russia), ma ne abbiamo tante piccole e medie, che sono per noi e per i nostri colleghi russi esempi di grande coraggio e capacità imprenditoriale (esempio di Sest–Luve e altre). Di fatto, abbiamo cambiato pelle, e ci stiamo adeguando alle trasformazioni dei mercati sempre più globali. La nostra comunità di affari ha una sua identità, che è profondamente legata al Paese dove si trova a operare e alle eccezionali persone che ne fanno parte. Proprio per questo non vogliamo cambiare la nostra identità e la nostra autonomia, in quanto rappresentano una qualità imprescindibile per chi vuole fare internazionalizzazione e far crescere le nostre aziende. Allo stesso modo siamo però a disposizione con forte spirito collaborativo con chi condivide questi principi. Dobbiamo sottolineare la splendida collaborazione che abbiamo avuto e che continuiamo ad avere con le nostre istituzioni (ambasciata, ICE) e con i nostri colleghi della Camera di Commercio Italo-Russa, con i quali condividiamo un progetto di sempre maggiore collaborazione. Sono diversi i servizi che siamo in grado di fornire ai nostri associati, voglio solo ricordare gli ultimi seminari con le dogane russe, con la ФНС e con i nostri studi legali. Altri, nuovi, sono in fase di avvio (sito e applicazioni per smartphone), ma soprattutto vogliamo guardare sempre più in concreto alle necessità delle nostre aziende (altri seminari e gruppi di lavoro sono in preparazione) e anche alle novità di cui si accennava in premessa.

© Mark Bernardini
È stata formata una nuova filiale per il nord-ovest a Pietroburgo, un’altra verrà avviata a fine giugno nel sud della Russia a Stavropol’ o Krasnodar.

Stiamo costituendo un coordinamento delle nostre aziende presenti nell’Unione Economica Euroasiatica (Russia Bianca, Kazachstan, Chirghisia e Armenia), e abbiamo sottoscritto un accordo di collaborazione con la fondazione “Conoscere Eurasia” per le iniziative da questa promosse sia in Russia che in Italia. Abbiamo inoltre un forte rapporto di collaborazione che andrà ulteriormente allargato con i nostri consolati onorari e con le filiali delle nostre banche (Banca Intesa e Unicredit).

© Costante Marengo
© Costante Marengo
Rassegna stampa:

Nella Russia delle sanzioni, il business italiano non demorde (Askanews, 6 maggio 2015)

La conferenza stampa completa (con domande e risposte), a cura di Marc Innaro

domenica 19 aprile 2015

Cerco un editore!

Dal 2000, nei ritagli di tempo libero, ho lavorato alla stesura di un “Dizionario italiano-russo e russo-italiano di terminologia musicale”. Dopo tre lustri, ho finalmente terminato, a saperlo non mi ci sarei mai messo. Un’opera ciclopica: più di 3.600 lemmi dall’italiano al russo, più di 3.200 nel verso opposto, 417 pagine a corpo 12, comprensive di disegni e diagrammi.

Perché ne parlo? Chiedo a quanti mi leggono se conoscono qualche indirizzo “ad personam” di case editrici che potenzialmente potrebbero essere interessate, per evitare di scrivere ai soliti “info” chiocciola qualcosa.

L’idea è semplice e difficile: trovare un editore italiano ed uno russo da mettere in contatto fra loro e pubblicare il dizionario in contemporanea ed in entrambi i Paesi. E’ un’impostazione già realizzata un quarto di secolo fa: la Zanichelli pubblicò assieme ad un editore russo il dizionario universale Kovalëv (l’ultimo era il Zor’ko solo sovietico del 1977, quindi obsoleto). Ovviamente, poi voglio contattare anche alcuni produttori di dizionari elettronici: Lingvo, Multitran, Promt.

Se il mio piano andasse in porto, occuperei una nicchia vuota: non esiste, non è mai esistito un dizionario italiano-russo musicale. Nel 1978 a Budapest (siamo ancora nell’Ungheria socialista) fu pubblicato un dizionario in sette lingue (ce l’ho, ovviamente), tra cui l’italiano e il russo, e questo è l’unico dizionario, oltretutto introvabile.

Scrivetemi in privato a mark@bernardini.com.

domenica 22 febbraio 2015

Finché la barcaccia va

Si parla molto, in questi giorni, della Barcaccia di piazza di Spagna, del Bernini, salvo poi non parlarne mai più fin alla prossima profanazione, con le stesse bottigliate, vomitate e pisciate, praticamente quotidiane. Ho iniziato a “fare politica” (si diceva così, all’epoca, adesso direi “occuparmi” di politica) nel 1973, andando alla manifestazione del PCI a piazza San Giovanni, sotto casa mia, all’indomani del golpe in Cile. Ora direbbero che sia stata un’ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano straniero: altrimenti, non si capisce perché non sia lecito affermare che nel 2014 in Ucraina ci sia stato un colpo di Stato fascista. Ma non è di questo che volevo parlare.

A fine 1975, in Spagna, dopo lunga agonia, morì il macellaio fascista Francisco Franco. All’inizio del 1977, Santiago Carrillo, segretario del Partito Comunista Spagnolo, rientrò dall’esilio in Spagna e venne arrestato in aeroporto. Naturalmente, in quei giorni era chiaro a tutti nel mondo intero che la Spagna sarebbe cambiata in pochissimi giorni, che Carrillo sarebbe stato liberato, ma ad ogni buon conto la FGCI di Roma, a cui mi iscrissi il 14 dicembre 1976, appena quattordicenne (sono nato nel 1962) organizzò una veglia notturna davanti all’ambasciata spagnola, che, guarda un po’ il caso, si trovava e si trova tuttora in piazza di Spagna.

Non eravamo diversi dai nostri compagni extraparlamentari, che noi snobbavamo perché “compagni che sbagliano”: barbe lunghe (che a me ancora non cresceva), eskimo (andatevelo a cercare in Wikipedia, se non lo sapete), jeans “sdruciti”. Era una manifestazione spontanea, non organizzata, in quattro e quattr’otto, eppure eravamo diverse migliaia. Per questo, visto che ormai c’era, ad un certo punto si presentò un ragazzotto, con i Ray-Ban da vista (già motivo di scherno, in quanto li portavano i fascisti del FdG, come i “Lozza”), jeans nuovi di pacca, giacchetta di raso color viola scuro e “megafonino” in mano (nel senso che un megafono così piccolo ancora non l’avevo mai visto, all’epoca). “Condanniamo”, “esecriamo”, e altre amenità sui generis. Diretto e spontaneo com’ero a quei tempi (ma pure adesso), chiesi ai miei compagni più anziani (probabilmente diciannovenni, ma per me erano vecchi): chi è quello stronzetto? Il segretario della FGCI Romana, Valter Veltroni, mi risposero. Sì, proprio quello che, in questi ultimi anni, ebbe ad affermare di non essere mai stato comunista. Come dire, il mio segretario di allora mi aveva preso per il culo per tutti quegli anni. Ovviamente, Carrillo fu rilasciato, non certo per merito nostro.

Non è di questo che volevo parlare. Eravamo a piazza di Spagna. La scalinata, la dolce vita, gli innumerevoli film del neorealismo. E la Barcaccia. E’ un problema di civiltà. Non ci sarebbe mai passato per l’anticamera del cervello di fare quel che è stato fatto quasi quarant’anni dopo, e non perché non fummo caricati dalla polizia (cosa che, peraltro, non è successa nemmeno nel frangente odierno). E non è questione di nazionalità dei vandali: potevano essere olandesi, tedeschi, milanesi o romani, romanisti o laziali. Sarebbe finita nello stesso modo. La civiltà occidentale rischia di essere condannata. Badate bene: ho detto “rischia”, probabilmente perché ancora confido. Ma temo che il mio confidare sia inutile.