martedì 28 luglio 2009

Lode all'ideologia

Da molti anni, ormai, e sempre più, quasi esponenzialmente, in questi ultimi quindici o vent’anni, insomma, da quando lor signori sono riusciti ad annichilire il PCI, che rappresentava più di un terzo del Paese, assistiamo ad una sorta di gara di tiro al piccione, dove il volatile, che, per definizione, tende ad eclissarsi, è, appunto, l’ideologia. Il bon ton imperante impone di infarcire qualsivoglia nostra espressione oratoria di abiura dell’ideologia e dell’ideologismo, e di palesare l’essere ideologico di chiunque non condivida una qualunque nostra posizione.

Questo perverso – e metodologicamente errato – meccanismo è trasversale, come si usa dire oggi, nel senso che coinvolge ogni pensiero, indipendentemente dal fatto se chi lo sfrutta sia di destra o di sinistra, conservatore o progressista, tradizionalista o modernista, moderato o innovatore, legittimista o rivoluzionario: se si è per la guerra, i pacifisti sono ideologici; se si è per la pace, i guerrafondai sono ideologici. Insomma, una parolaccia, una bestemmia, un’imprecazione.

L’ideologia, lo dice la parola stessa, è lo studio delle idee, cosa che come tale non solo non ha alcun carattere negativo, ma è anzi da perseguire come esercizio mentale. E’ però innegabile che l’obiettivo di chi sta diffondendo questa banalizzazione dello scontro politico, e non certo di quanti, proni ed inconsapevoli, la subiscono e contribuiscono a diffonderla, è quello di denigrare Marx, il marxismo ed i marxisti, coprendoli di vecchiume, polverosità, noia, inadeguatezza. I marxisti, in quanto tali, sarebbero inveterati, come, del resto, l’ideologia e tutto quel che vi è affine.

Indubbiamente, l’ebreo tedesco, filosofo ed economista, Karl Marx ha esso stesso attribuito un significato differente all’ideologia, legittimando, suo malgrado, l’operazione inversa di questo nostro inizio millennio. Cito la Piccola Treccani del 1995: complesso delle rappresentazioni, delle dottrine filosofiche, etiche, politiche, religiose, espressione (e giustificazione) di un determinato modo del porsi dei rapporti di produzione e quindi imposte dalla classe che questi rapporti rendono dominante. Come tale l’ideologia diviene elemento essenziale così dello studio sociologico come della polemica politica.

Se proprio si rendesse necessario usare definizioni nuove per esprimere concetti immutabili nel tempo (personalmente, non lo ritengo affatto necessario), possiamo chiamarle strati, ceti, censi, sempre classi rimangono, quella dei detentori dei mezzi di produzione e quella dei lavoratori salariati. E non avverto mutazioni rilevanti, in questo. Addirittura, stante l’involuzione oggettiva dell’Italia berlusconiana, si ritorna agli insiemi chiusi medievali predeterminati dalla nascita, ovviamente con alcune eccezioni, che però peraltro esistevano anche secoli fa. Sentiremo ancora parlare di Pier Silvio, anche dopo che Silvio sarà passato a miglior vita (per quanto, nel suo caso, difficilmente il dio in cui non credo potrà offrirgli qualcosa di meglio).

Insomma, detenere i mezzi di produzione e sfruttare coloro che producono non sarebbe ideologico; affermare l’esistenza di questo stato delle cose, invece, è ideologico e persino “ideologista” (neologismo peggiorativo che sta ad indicare un’esagerazione del valore dei principi astratti di un’ideologia).

Brevissima considerazione finale. Il correttore ortografico italiano di Word considera errato il lemma “Marx” (povero Groucho), mentre accetta il “marxismo” e i “marxisti”. Anche questo, evidentemente, è un segno dei tempi…

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