sabato 15 dicembre 2007

Scampoli di memoria 6

di Dino Bernardini

L’attore. Gli anni a cavallo del 1970 furono per me anche un periodo di divertenti prestazioni nel mondo del cinema e della TV. Io e Valerij Voskobojnikov, pianista russo e mio carissimo amico, venivamo spesso chiamati a dare la nostra voce di “russi” a personaggi di film e commedie televisive. A volte ci si chiedeva anche di cantare. Una volta alla RAI si stava preparando la riduzione televisiva di un dramma di Gor’kij, in cui c’era un episodio ambientato in una bettola, con gente ubriaca che cantava. Ci chiesero di procurare anche altre persone in grado di cantare in russo. Così ci presentammo alle prove in compagnia di un gruppo di amici, tra cui Walter Monier, ex partigiano che dopo la guerra aveva studiato per tre anni a Mosca, e Anna Kiss, una bellissima ungherese che studiava canto a Siena. Alla prima prova, l’unica persona che venne scartata fu proprio lei: cantava troppo bene, la sua voce da cantante lirica non era adatta all’ambiente. Cantammo una vecchia canzone popolare russa dedicata al famoso Sten’ka Razin. Dopo di allora io e Valerij venimmo sempre invitati e retribuiti come componenti del “Complesso vocale Valerij Voskobojnikov”, anche quando il nostro impegno consisteva nel parlare (ovviamente in russo, altrimenti non ci avrebbero chiamati) e non nel cantare.

Ma una volta ci esibimmo come attori, in un ruolo che nel cinema è riservato ai cosiddetti “generici”. Era un film hollywoodiano di fantascienza, tipico dell’epoca della distensione tra Stati Uniti e URSS. La trama era, in breve, la seguente. Gli scienziati sovietici avevano creato un supercervellone elettronico che rendeva Mosca invulnerabile a qualsiasi attacco. Altrettanto avevano fatto gli americani. Ebbene, le due macchine erano entrate in comunicazione tra di loro e avevano preso il potere, non obbedivano più agli uomini. Allora i due governi si erano accordati per far incontrare i due scienziati autori dei due progetti affinché unissero le loro forze per trovare una soluzione al problema. La città prescelta per l’incontro fu Roma, e qui entrammo in gioco Valerij e io.

Quando ci presentammo all’incaricato della produzione trovammo che nella stanza c’erano già alcune persone, tra cui degli anziani che poi capimmo essere dei russi emigrati negli anni Venti. Ma il lavoro consisteva nel fare da guardie del corpo allo scienziato russo e gli anziani, russi o non russi, vennero tutti scartati. Venimmo ingaggiati in quattro, tra cui un aitante trentenne con accento francese. Sua nonna, aveva detto al direttore di produzione, era russa, e tanto era bastato. Quando poi ci trovammo soli ci disse: “Per carità, non mi tradite, io non so una parola di russo!”. Il quarto aveva dichiarato di non sapere il russo, ma era stato ingaggiato ugualmente. Prima di uscire, passammo dalla costumista che ci doveva suggerire come vestirci il giorno dopo. Dopo un rapido esame del nostro aspetto la costumista si rivolse a me: “Lei è perfetto! Domani venga vestito così”. Il che la dice lunga su come io andassi vestito in quel periodo. Quanto a Valerij, russo che più russo non si poteva, dovette invece sorbirsi una serie di raccomandazioni per apparire convincentemente russo.

L’indomani recitammo la parte delle guardie del corpo mentre i due scienziati si incontravano e passeggiavano sullo sfondo di S. Pietro, del Colosseo, ecc. Ricordo che una delle guardie del corpo americane era un negro (io continuo ad usare il termine “negro” senza alcuna accezione negativa, alla stregua di “biondo”, oppure “alto”, o “basso”, come si usava in Italia decenni fa, prima che venissimo colonizzati dall’inglese, quando nei film americani doppiati in italiano non ci si rivolgeva ancora ai giudici dicendo “vostro onore”, che mi sembra una mostruosità in una lingua come la nostra in cui ci si dà del lei). Fu per noi una giornata di assaggio, perché il vero lavoro cominciò il giorno dopo all’Isola Tiberina, per un episodio tutto sovietico. Infatti, mentre i due scienziati stavano a Roma, il cervellone elettronico di Mosca aveva scoperto, chissà come, che lo scienziato sovietico era irreperibile nella capitale sovietica e aveva chiesto di vederlo. Le autorità avevano addotto la scusa di una malattia grave con conseguente ricovero in un centro specializzato. Il cervellone insistette e allora lo informarono che lo scienziato era morto. A quel punto il cervellone si insospettì e pose un ultimatum: o gli si faceva vedere il cadavere, oppure avrebbe distrutto Mosca. Il governo sovietico non ebbe scelta.

Il nostro scienziato stava tranquillamente assorto nei suoi pensieri sulla riva del Tevere sotto gli sguardi vigili di noi agenti del KGB, quando arrivò un elicottero con un messaggio scritto, che fu consegnato a Valerij, l’ufficiale comandante del nostro quartetto. Valerij mi si avvicinò (io ero il commissario politico) e mi fece leggere il messaggio. Ci consultammo e poi cominciammo ad avvicinarci allo scienziato, tirando fuori le pistole. Lo scienziato intuì e cominciò a gridare: “Io non sono un traditore, perché mi fate questo?”. Ma noi continuammo ad avanzare e sparammo. Lo scienziato cadde all’indietro su una barca rovesciata. Sul volto di Valerij scorrevano lacrime di glicerina, mentre a me, il “duro” del grappo, la glicerina era stata risparmiata. Mi avvicinai al “cadavere” e lo toccai con un piede per accertarmi che fosse veramente morto.

Fino a quel punto, ci eravamo divertiti a recitare, ma da quel momento dovemmo sudarci le 40 mila lire al giorno che ci davano. Si deve sapere infatti che l’attore americano che interpretava lo scienziato sovietico era di corporatura massiccia, quasi un gigante. Tra l’altro, era di origine russa, anzi ci raccontò che suo nonno era stato l’ultimo presidente della Duma zarista, Rodzjanko. Noi quattro agenti dovemmo afferrarlo ciascuno per un arto e trasportarlo fino alla scalinata che nell’Isola Tiberina porta a un commissariato di polizia. Pensavamo che bastasse e ci fermammo all’inizio della scalinata giacché il nipote di Rodzjanko era pesantissimo. Invece ci fecero ripetere la scena e salire la scalinata, a metà della quale ci fermammo sfiniti per evitare di far sbattere la testa dell’attore sui gradini. Finita questa scena, il regista mi fece riprendere per due o tre volte in primo piano. Lui diceva: “Uno, due, tre, Dino!”. Al “Dino!”, io dovevo guardare fisso nella macchina da presa. Tutto lì.

Credo che il film non sia mai uscito in Italia, ma una volta ne ho visto un pezzo trasmesso da una emittente locale romana.


Per completare il capitolo cinema devo raccontare che avevo avuto delle esperienze precedenti, se così si possono chiamare, negli anni Cinquanta, prima a Roma come comparsa a Cinecittà per i film americani Quo vadis e Ben Hur, poi a Mosca per il film sovietico Pace a chi entra (Mir vchodjaščemu), nel quale insieme con un gruppo di studenti stranieri dell’MGU demmo la nostra voce ai prigionieri di un campo di sterminio tedesco che salutavano i soldati dell’Armata Rossa appena entrati nel lager a liberarli. Peraltro, ripensando a quel giorno, oggi provo un po’ di vergogna, giacché l’occasione era seria, e noi ragazzi italiani, e anche i francesi, in un impulso di goliardia, ci mettemmo a gridare tutto un repertorio di improperi e parolacce che suscitarono l’entusiasmo degli ignari registi Alov e Naumov. Per fortuna nel clamore generale (gli altri studenti stranieri gridavano invece parole appropriate) nessuno riuscì a distinguere nulla.

Un’altra volta ho dato la mia voce a un non meglio precisato premier sovietico in un film di Luciano Salce. Se ricordo bene, io e Valerij Voskobojnikov avevamo cantato qualcosa in russo, poi il regista disse al suo aiuto: “Per quell’altra scena ci vorrebbe qualcuno con la voce adatta per il discorso del premier”. Fu così che pronunciai con voce stentorea una specie di ultimatum in russo. Per fortuna la mia voce venne subito sfumata dopo la prima frase e il discorso continuò in italiano con la voce del doppiatore. E questo è tutto sulla mia carriera di interprete nel cinema.

* * *

Il falsario. Nei primi anni Sessanta del secolo scorso lavoravo alla Direzione del PCI con uno stipendio di novantamila lire al mese. Ne pagavo trentamila di affitto e le rimanenti sessantamila non bastavano per una famiglia di tre persone. Così ogni giorno dovevo trovare il tempo per tradurre dieci cartelle dal russo a trecento lire a cartella per l’agenzia sovietica APN. Per fortuna si trattava di testi giornalistici, facili da tradurre. Con questa integrazione giornaliera riuscivamo non soltanto a sopravvivere in tre, ma anche a pagare la retta di un asilo Montessori per nostro figlio Mark.

Un giorno venni convocato dalle maestre. Mi chiesero incuriosite che mestiere facessi.

– Glielo chiediamo perché, avendo domandato a tutti i bambini di parlarci del mestiere del padre, il suo Mark ha risposto: “Mio padre fa i soldi”. “D’accordo, gli abbiamo detto, tuo padre guadagnerà tanti soldi, ma come li guadagna, che fa?”. E lui: “Ha una macchina, si siede al tavolo, batte con le dita e fa i soldi”.

Mi ci volle un po’ di tempo per capire la risposta di mio figlio. Il fatto è che in casa nostra c’era sempre qualche amico, tutte le sere si faceva salotto, gli amici si davano appuntamento da noi senza neppure avvertirci, tanta era la sicurezza di trovarci in casa. Si discuteva di ogni cosa, appassionatamente, mentre qualche disco sovietico a 78 giri o italiano a 45 giri facevano da sottofondo. Ma io avevo bisogno di tradurre le mie dieci cartelle quotidiane. Così, quando la conversazione diventava per me meno interessante, annunciavo: “Adesso vado a fare trecento lire”. E mi allontanavo di qualche passo dagli amici per andare a tradurre, mantenendo però l’orecchio attento alla conversazione, che continuava senza di me. Le mie dita correvano veloci sui tasti della macchina per scrivere, ma se qualcuno diceva qualcosa con cui non ero d’accordo, anche se in quel momento invece di una pagina avevo già tradotto soltanto una decina di righe, interrompevo il lavoro e tornavo a discutere con gli altri, dicendo prima: “Bene, ho fatto duecento lire”. Oppure cento. Ed è così che mio figlio credeva che io “facessi” i soldi.

Dino Bernardini, "Slavia" N°3 2007

Lettera ad un amico che compie tre quarti di secolo

di Dante Bianchi

Caro D., tutti i tuoi amici qui riuniti ti augurano tutto il bene e anche tante puntate nei casinò della sconfinata pampa argentina, magari più fortunate di quelle compiute nella Meseta spagnola. Felici passano i tuoi anni e dunque poco importa se a te oggi sembrano già tanti. Le tue sofisticate strategie di gioco, quando riesci ad applicarle con pazienza, lucidità e tenacia, ti fanno apparire ai nostri occhi più grande del Giocatore di Dostoevskij. Una cosa noi profani abbiamo capito: puntare sui ritardi vuol dire anticipare l’avversario, insomma ‘sto ritardo anticipato è proprio un bell’e buono ossimoro, degno di un linguista talentuoso.

Caro D., vai avanti così come ci hai abituati, e cioè: classica pastina in brodo con il dado a mezzogiorno, pizza Margherita, supplì a volontà se di fattura “lucianesca”, una sempre ben gradita fettina di carne cotta in padella, vino rosso del Chianti, i tuoi ormai mitici boccioni di acqua frizzante ghiacciata, moda sannitica nel vestire, scarpe second-hand, jeans riciclati, mai cravatta, solo se casino oblige.

Caro D., adesso che non ci sono più ideologie, centralismo democratico e internazionalismo proletario, ci hai fatti diventare attenti e devoti “slavisti” e ci emozioni non poco con i tuoi Scampoli di memoria. Adesso conosciamo meglio il tuo cuore e proprio così ci piaci. Ti facciamo tutti l’augurio più sincero per questa tua seconda giovinezza, che immaginiamo fatta di tante altre giocate, tanti altri numeri di Slavia e Scampoli di memoria.

sabato 8 dicembre 2007

Elezioni russe

di Mark Bernardini

Ho votato Putin. Perché? Perché mi ha convinto l’Occidente, a forza di dargli addosso. Quando Liberazione chiama progressista l’opposizione a Putin, un’opposizione al cui interno uno dei maggiori Partiti (0,96%) si chiama Unione delle Forze di Destra, resta poco da dire. Kasparov è pagato dalla CIA, e la sinistra italiana tutta lì a stargli dietro. Bravi, complimenti.

D’altro canto, non potevo certo votare Zjuganov: come ho spiegato infinite volte, abbiamo studiato marxismo su libri di testo diversi. In quanto comunista, io sono per antonomasia internazionalista ed antirazzista. Questi sono nazionalisti ed antisionisti, oltre che razzisti in toto (contro gli immigrati delle repubbliche ex-sovietiche).

Brogli un corno: io c’ero, con gli osservatori dell’OSCE. Abbiamo visitato una quindicina di seggi, random. Tutto regolare, a parte qualche coppia di anziani che votavano assieme (moglie e marito), ed il fatto che il documento di riconoscimento viene restituito quando la scheda viene consegnata all'elettore (per cui qualcuno va via con la scheda in tasca come souvenir senza votare), cose che comunque non influiscono sulle predilezioni per un Partito piuttosto che per un altro. Poi il giorno dopo l’OSCE, come ad ogni consultazione elettorale, dichiara quel che la settimana prima aveva dichiarato il Dipartimento di Stato USA. Cioè, il Dipartimento USA aveva già dichiarato (non sto scherzando) che c’erano i brogli, l’OSCE lo ha ripetuto a pappagallo, e la sinistra italiana si allinea alla CIA e all’OSCE. Beh, io mi chiamo fuori, non ho intenzione di spender tempo con dei minus habentes.

La sostanza è che il Partito di Putin, proprio per aver preso il 64% dei voti, è un Partito-contenitore, c’è di tutto, dai baciapile ai sensibili al sociale, dai reazionari in odor di ladrofascismo ai professionisti (nel senso migliore del termine) della res publica. Correnti, insomma, che assomigliano sempre più a veri e propri Partiti, in un Partito che assomiglia sempre più ad un Partito unico. Beh, è solo questione di metterci d’accordo sulla terminologia, la sostanza non cambia. E la sostanza è che se gli altri non valgono nulla, non è colpa di Putin.

Sto Paese m’è cambiato sotto gli occhi. L’inflazione attorno al 10%, il PIL attorno all’8% da anni e gli stipendi triplicati nello stesso periodo di riferimento. Giusto un paio di esempi: mia suocera, ginecologa riciclata pediatra, prendeva duemila rubli quando ho conosciuto mia moglie (2003). Ora ne prende 15.000. Un macchinista di metropolitana ne prendeva ottomila, ne prende 50.000. Certo, si partiva da una situazione imparagonabile con l’Italia: in euro, la suocera ne prendeva 60 e ne prende 420, il macchinista è passato da 230 a 1.400. E ricordatevi che un chilo di carne costa 3-13 euro, un chilo di pane 0,74-1,50, un litro di latte 1,20-1,50, un kilowattora quattro centesimi.

Insomma, non solo la gente sta meglio, ma continua a migliorare ogni anno e, cosa ancor più basilare, vede una prospettiva sempre più rosea per il futuro prossimo. E vi chiedete perché la gente vota per Putin? Altro che brogli: hanno convinto persino uno come me, non so se mi spiego. E, d’altro canto, se non è per il benessere della popolazione, che la facciamo a fare, politica, noi di sinistra, in Italia?

venerdì 23 novembre 2007

La sinistra che vogliamo: quali politiche internazionali

di Mark Bernardini

Firma anche tu la

PETIZIONE!

Questo documento verrà presentato dalla Redazione di "Aprile online" all'assemblea per la Sinistra unita dell'8 e 9 dicembre 2007 a Roma.

Una doverosa premessa. Quando un Partito, o una coalizione di Partiti, chiede il voto dei cittadini per governare, presenta un programma. Così fece anche Lenin, in maniera estremamente semplice: non abbiamo il potere, se l’avremo, primo, basta con la guerra, tutti a casa, secondo, tutto il potere ai consigli di fabbrica, terzo, la terra a chi la lavora. Ma questo è solo un esempio.

Nel 2006, l’Unione ha presentato un programma esageratamente lungo e perciò ambiguamente interpretabile, ben 262 pagine. In particolare, vi si diceva che “Per affrontare i problemi che derivano dall’assetto unipolare del mondo dobbiamo puntare ad una difesa europea autonoma, pur se sempre in rapporto con l’Alleanza Atlantica, che sta profondamente cambiando”. Già questa impostazione non ci trova concordi, poiché una difesa europea autonoma deve costituire un’alternativa all’Alleanza Atlantica esistente. E’ un falso storico, infatti, che la NATO sia stata costituita per proteggere l’Europa occidentale dal blocco sovietico. E’ vero il contrario: il Patto di Varsavia fu costituito nel 1955 in risposta alla costituzione della NATO nel 1949. Come che sia, il Patto di Varsavia non esiste più dal 1991, come non esistono più tre Paesi che ne facevano parte (Cecoslovacchia, RDT ed URSS), ciò nonostante la NATO continua a dettare legge all’interno dei Paesi che la compongono (tra cui anche alcuni Paesi che, a vario titolo, erano membri del Patto di Varsavia, quali la Bulgaria, la Repubblica Ceca, l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Polonia, la Romania, la Slovacchia e l’Ungheria, oltre alla Slovenia, che faceva parte della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia), e nessuno pensa di scioglierla, pur se essa ha esaurito i compiti per i quali era stata costituita.

Nel 2007, i Partiti che compongono l’Unione hanno siglato un programma di 12 punti, che gli elettori non hanno votato, e che in questa sua parte differisce nettamente dal programma delle 262 pagine: “Sostegno costante alle iniziative di politica estera e di difesa stabilite in ambito Onu ed ai nostri impegni internazionali, derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea e all’Alleanza Atlantica, con riferimento anche al nostro attuale impegno nella missione in Afghanistan”.

Zapatero in Spagna a suo tempo disse che, qualora fosse stato eletto, per prima cosa avrebbe fatto tornare a casa le truppe spagnole dall’Iraq. Detto, fatto. Nessuno pensò di guadagnarci, ad accusarlo di non essere affidabile in quanto non ha rispettato gli accordi del governo precedente. Questo governo italiano, invece, ci ha messo otto mesi, e per compensare ha inviato le truppe in Afghanistan. Di più: ha deciso di rispettare gli accordi di Berlusconi circa l’ampliamento della presenza militare statunitense a Vicenza.

Siamo per l’uscita unilaterale dell’Italia dalla NATO, che non riveste più alcun carattere difensivo, vero o presunto tale, non vogliamo più macchiarci di crimini orrendi contro l’umanità come ad esempio l’aggressione armata al popolo amico jugoslavo, che anzi dovremmo risarcire. Siamo per la liberazione dei territori italiani occupati dalle servitù militari statunitensi, da Vicenza ad Aviano, dalla Sardegna alla Puglia.

Rifuggiamo categoricamente la logica per la quale “l’amico del mio nemico è mio nemico”. Sempre più spesso negli organi di informazione di sinistra si leggono attacchi ingiustificati contro Paesi comunisti o ex comunisti, per un malcelato complesso di inferiorità, un bisogno di dimostrare di essere più antisovietici dei postsovietici, più anticomunisti degli ex comunisti, da Cuba alla Russia, passando per la Romania e la Cina. E’ il caso di ricordare che la prefazione alla traduzione italiana dell’autobiografia di Ceauşescu fu fatta da Andreotti, insospettabile di alcuna simpatia. E’ quel che distingue uno statista, nel bene e nel male. Per quanto riguarda l’Europa orientale, abbiamo ben presente che nel 2006 l’Italia è stata il secondo importatore in assoluto nel mondo dalla Russia, con 18 miliardi di € (dopo l’Olanda, con 26 miliardi), ed il settimo esportatore in Russia, con 4 miliardi di € (dopo la Germania, la Cina, il Giappone, gli USA, la Corea del Sud e la Francia). Gli imprenditori italiani in genere non sono particolarmente propensi a votare a sinistra, con le dovute eccezioni. Lo stesso vale per l’Unione Europea nel suo complesso, che è al primo posto in assoluto: essa rappresenta i due terzi delle importazioni dalla Russia (170 miliardi) e più della metà delle esportazioni in Russia (60 miliardi). In altre parole, bisogna convivere, e convivere bene, senza mettersi in cattedra.

Una analisi a parte merita la questione degli italiani all’estero e del loro diritto di esercitare il voto. C’è chi, anche e soprattutto a sinistra, ritiene che la circoscrizione estero sia una cosa sbagliata perché metterebbe in una riserva indiana gli eletti all’estero, che comunque non sarebbero partecipi alla dialettica politica del paese. E’ un discorso inadeguato. Poteva essere vero ancora qualche decennio fa, quando persino i giornali italiani arrivavano a singhiozzo, e bisognava sintonizzarsi di notte sulle onde corte con le radioline a transistor per ascoltare il “Notturno italiano” della RAI. Oggi, chiunque voglia, può leggere i giornali via internet. Certo, molti “non masticano” di telematica, ma in genere sono proprio quelli della prima generazione, mentre quelli di seconda e terza, per la loro età, sono proprio i navigatori più progrediti. Ma soprattutto, la stragrande maggioranza degli italiani all’estero hanno la parabola, vedono non solo i sette canali televisivi nazionali, ma anche le televisioni locali della loro regione di provenienza. E spesso ne sanno più di chi vive in Italia.

Resta il problema se sia lecito che essi possano cambiare i destini italiani, da fuori. La storia ci insegna che i votanti all’estero sono meno del 3% dei votanti complessivi, e gli aventi diritto all’estero sono poco più del 5% degli aventi diritto nel loro complesso, non è quindi così grave.

E se votassero tutti? E qui dobbiamo richiamarci al PCI. Per trent’anni, dal dopoguerra alla costituzione del Parlamento Europeo, i comunisti volevano dare la possibilità agli emigranti italiani di votare rimanendo nel Paese di residenza, e i democristiani invece non l’hanno mai consentito. La ragione è semplice: gli emigranti votavano a sinistra, tutti noi ricordiamo i treni speciali di emigranti che tornavano per votare con appesi fuori dai finestrini i manifesti “vota comunista” con la falcemmartello. Tanta acqua è scorsa sotto i ponti, gli emigranti ormai votano un po’ come gli italiani residenti in Italia, ed ecco che persino tra i comunisti riecheggiano i toni della vecchia DC.

Riteniamo che sarebbe giustificato se gli italiani residenti all’estero potessero votare candidati residenti in Italia. A condizione di poter votare anche candidati residenti all’estero. E’ invece da respingere fermamente la posizione per la quale non si possa affidare a degli eletti all’estero una circoscrizione al di fuori dello Stato italiano, e per la quale il voto marginale di questa circoscrizione possa influire sulla fiducia ad un governo: significherebbe sancire uno status di parlamentari di “serie B”, in tal caso indubbiamente inutili.

Gli italiani residenti all’estero vi risiedono perché il loro Paese non è stato in grado di assicurargli la sopravvivenza ed una vita dignitosa. E’ dovuta loro la speranza di poter eleggere un governo che muti le condizioni per le quali essi sono emigrati, e poter quindi un giorno tornare a casa.

martedì 20 novembre 2007

Fuori la NATO e dalla NATO

di Mark Bernardini

In Aprile, quotidiano per la sinistra, continua il dibattito in vista dell'Assemblea generale di Roma dell'8 e 9 dicembre 2007 per la Sinistra unita. Sono intervenuto anch'io, a proposito di NATO e di bombardamenti in Jugoslavia.

E' ora di sbilanciarsi contro la NATO. Bisogna sporcarsi le mani, berlinguerianamente, senza paure di perdere voti, poltrone, convenienze. Si chiama onestà intellettuale. La difesa europea, inquadrata nell’ONU, verrebbe da se. Ed anche l’ONU, se non diamo retta alla proposta di Chávez di spostare la sede da Washington, rischia di fare la fine della Società della Nazioni.

Per quanto riguarda la Jugoslavia, cosa diavolo vuol dire “DOVETTE intervenire la NATO”? Gliel’ha ordinato il medico? L’ONU ha fatto fior di risoluzioni, in nessuna – IN NESSUNA! – è mai stato dato mandato alla NATO di fare da gendarmi. Infatti, l’ONU voleva mandare i caschi blu. Ma non è solo questo. Immaginiamo quel cerebroleso di Bossi iniziare sul serio la sua paventata secessione. Immaginiamo i carabinieri che arrestano i dinamitardi trentini e gli alpinisti veneziani (mi riferisco a quegli imbecilli che salirono sul campanile di San Marco), immaginiamo che, dopo la caccia all’immigrato, già in atto, si ritorni alla caccia al terrone, ma stavolta con linciaggi in piazza; solo che i matrimoni misti, il meticciato (sto usando volutamente tutta terminologia loro), è talmente diffuso che iniziano anche le ronde meridionali di autodifesa proletaria, che partono da Quarto Oggiaro per bastonare le signore impellicciate di corso Buenos Aires, mogli di quei padani che intanto continuano ad impiccare pugliesi e calabresi ai pali della luce di piazzale Loreto. Interviene l’esercito, che però è anch’esso misto. Ecco che si passa alla guerra fratricida, di trincea: non più sassi e bastoni, ma FAL e Garand (l’esercito italiano continua ad essere all’avanguardia, in fatto di armamenti). I cadaveri vengono ammassati lungo i marciapiedi, non si fa in tempo a seppellirli né tantomeno a riconoscere le spoglie, comincia a diffondersi il tifo, il colera e, vista la zona climatica, la malaria, si rischia una rigurgito endemico della peste di secoli fa.

Ecco che l’ONU si indigna, con gran dignità, esecra e condanna. E discute se sia il caso di inviare i caschi blu. Nel frattempo gli USA, pardon la NATO, con il pretesto di difendere a)le proprie basi militari in territorio italiano; b)i propri interessi strategici nel Mediterraneo e nello scacchiere internazionale (leggi: avamposto per bombardare qua e là in Medio Oriente); e c)la democrazia nel mondo, comincia a bombardare Milano, e poi Torino, e poi Padova (cazzo c’entra Padova? Niente, ma bombardare Venezia non serve a un cazzo, tanto basta aspettare e affonda da sola), e giù Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Cagliari (la Maddalena no, altrimenti l’anno prossimo Berlusconi va in vacanza a Manhattan), Palermo (no, Palermo no, ché s’incazzano quelli di Little Italy. Va beh, allora facciamo Catania o Messina). Di più: alla NATO si unisce, per poi dividere le fette di torta al tavolo delle trattative, Francia, Austria e Svizzera (cazzo, dalla Svizzera chi se l’aspettava?). E persino… Indovinate? La Slovenia, la Croazia e la Serbia! Grande! Eh, un po’ per uno, è la legge del contrappasso, o, per meglio dire, del menga…

Che dite, ho spiegato le ragioni per cui per me i bombardamenti NATO ed italiani in particolare in Jugoslavia sono stati una roba da vigliacchi macellai?

Una difesa europea autonoma deve costituire un’alternativa all’Alleanza Atlantica esistente. E’ un falso storico, infatti, che la NATO sia stata costituita per proteggere l’Europa occidentale dal blocco sovietico. E’ vero il contrario: il Patto di Varsavia fu costituito nel 1955 in risposta alla costituzione della NATO nel 1949. Come che sia, il Patto di Varsavia non esiste più dal 1991, come non esistono più tre Paesi che ne facevano parte (Cecoslovacchia, RDT ed URSS), ciò nonostante la NATO continua a dettare legge all’interno dei Paesi che la compongono (tra cui anche alcuni Paesi che, a vario titolo, erano membri del Patto di Varsavia, quali la Bulgaria, la Repubblica Ceca, l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Polonia, la Romania, la Slovacchia e l’Ungheria, oltre alla Slovenia, che faceva parte della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia), e nessuno pensa di scioglierla, pur se essa ha esaurito i compiti per i quali era stata costituita.

E la Russia? La Russia non ha mai, dico mai, fatto parte della NATO. La NATO ha bombardato la Jugoslavia. La Russia no. La NATO ha bombardato l’Iraq. La Russia no. La NATO ha bombardato l’Afghanistan. La Russia no (lo fece l’URSS, altra storia). La NATO bombarderà l’Iran. La Russia no. La NATO bombarderà la Corea del Nord. La Russia no. Come politica di difesa, pace e disarmo ha decisamente del perverso.

Mi corre l’obbligo citare il vituperato Gaber, in epoca non sospetta:

…Non c‘è popolo più giusto degli americani. Anche se sono costretti a fare una guerra, per cause di forza maggiore, s’intende, non la fanno mica perché conviene a loro. No! È perché ci sono dei posti dove non c‘è ancora né giustizia, né libertà. E loro… Eccola lì… Pum! Te la portano. Sono portatori, gli americani. Sono portatori sani di democrazia. Nel senso che a loro non fa male, però te l’attaccano. L’America è un arsenale di democrazia.

giovedì 15 novembre 2007

Scampoli di memoria 5

di Dino Bernardini

Coltivo da sempre una passione smodata per le enciclopedie. La nostra biblioteca di casa ne annovera molte, tra cui la Britannica, la Larousse, la Piccola Treccani, la spagnola del País, ecc. Ma, soprattutto, ho raccolto enciclopedie e dizionari in lingua russa. Posso dire di possedere quasi tutte le edizioni sovietiche del genere, che sono state moltissime. E’ noto che ai tempi dell’Unione Sovietica l’editoria in lingua russa si trovava ai primi posti delle classifiche mondiali per quantità di libri pubblicati. Ma attenzione, il dato è relativo alle copie, non al numero dei titoli. Affinché sia chiaro, ricorderò che, per esempio, l’editoria italiana è in situazione opposta: siamo ai primi posti nel mondo per numero di titoli pubblicati e agli ultimi posti per numero di copie. Il che significa che le tirature italiane sono spesso minime, mentre quelle sovietiche erano enormi. In compenso, nella vecchia URSS i prezzi dei libri erano incredibilmente bassi.

Il sistema di vendita delle grandi enciclopedie sovietiche era il seguente. Quando cominciava a uscire una nuova enciclopedia, chi acquistava il primo volume riempiva un modulo con tutti i suoi dati personali e pagava subito anche per l’ultimo volume. Poi, via via che uscivano, i volumi successivi venivano venduti liberamente nelle librerie e chiunque poteva acquistarli senza formalità. Ma l’ultimo lo potevano ritirare soltanto gli acquirenti del primo volume, che firmavano una ricevuta, previa presentazione di un documento di identità. Naturalmente, tra l’uscita del primo volume e quella dell’ultimo trascorrevano a volte degli anni, a seconda del numero dei tomi.

Mi sono dilungato su questi particolari perché altrimenti non si capirebbe come sia stato possibile, tecnicamente, arrivare all’incredibile episodio di censura che ora racconterò, se le case editrici non fossero state in possesso dei dati personali degli abbonati alle enciclopedie.

In epoca brežneviana un mio carissimo amico ora scomparso, il sociologo Eduard (Evik per gli amici) Arab-Ogly, mi regalò con un sorriso beffardo il 5° volume della Bol’šaja, pur sapendo che possedevo già l’intera enciclopedia in 55 volumi. Ma quel 5° volume conteneva qualcosa di cui il mio 5° volume era privo.

Il fatto è che il 5° volume della Bol’šaja Sovetskaja Enciklopedija in 55 volumi (2a edizione), uscito negli ultimi mesi del 1950, conteneva la voce Berija. Secondo la formula in uso per tutti i membri del Politbjuro del partito comunista sovietico, Berija era stato presentato come “uno dei più eminenti dirigenti del Partito e dello Stato sovietico, fedele seguace e tra i più stretti collaboratori di I. V. Stalin, membro del Politbjuro del CC del partito, vice presidente del Consiglio dei ministri dell’URSS”. Seguiva una sfilza di titoli e la biografia del potente capo dei servizi segreti, corredata da una pagina in cartoncino con il ritratto. Sennonché, nel 1953, poco dopo la morte di Stalin, Berija venne arrestato in modo rocambolesco e giustiziato. Come rimediare al fatto che il quinto volume dell’enciclopedia, trecentomila copie di tiratura, era già stato venduto da tre anni? La soluzione sembra quasi uscita dalla penna di Orwell.

Tutti gli abbonati all’enciclopedia ricevettero a domicilio la seguente lettera, di cui posseggo l’originale e che tradurrò integralmente (prego di fare attenzione al verbo “raccomandare”):

«ALL’ABBONATO ALLA GRANDE ENCICLOPEDIA SOVIETICA

La casa editrice scientifica di Stato Bol’šaja Sovetskaja Enciklopedija raccomanda di togliere dal 5° volume della BSE le pagine 21, 22, 23 e 24, nonché il ritratto inserito tra le pagine 22 e 23. In sostituzione, le vengono fornite le pagine con il nuovo testo.

Le suddette pagine vanno tagliate con le forbici o con una lametta da barba, lasciando vicino alla cucitura un margine a cui incollare le nuove pagine.

La Casa editrice scientifica di Stato “Bol’šaja Sovetskaja Enciklopedija”».

Che cosa contenevano le nuove pagine? Fotografie del Mar di Bering e alcune voci di personaggi e località minori che precedentemente erano state scartate. Ogni ulteriore commento mi sembrerebbe superfluo.

***

Sempre in tema di enciclopedie sovietiche, forse un giorno troverò il tempo di passare in rassegna l’evoluzione delle voci relative ai dirigenti sovietici caduti in disgrazia, poi riabilitati, poi fucilati, poi di nuovo riabilitati. Nel corso degli anni questi personaggi sono stati presentati di volta in volta, nelle varie enciclopedie, come “grandi dirigenti del movimento operaio”, oppure come “traditori”, o anche come “compagni che hanno sbagliato”. Più spesso però, dopo la condanna, scomparivano del tutto. Ma adesso voglio raccontare la breve storia della pregevole Kratkaja Literaturnaja Enciklopedija, l’enciclopedia letteraria degli anni Trenta che annoverò tra i suoi collaboratori il fior fiore dell’intelligencija sovietica. Credo che oggi valga un patrimonio e che qualsiasi collezionista farebbe pazzie per averla.

L’opera doveva essere in 12 volumi e lentamente, pur tra difficoltà d’ogni genere, la penuria di carta e ostacoli della censura, approdò felicemente al nono volume. Il decimo conteneva la lettera “S”, quindi la voce “Stalin”, anche se non si capisce che c’entrasse Stalin con un’enciclopedia letteraria. Ma tant’è, l’epoca era quella. Ebbene, il volume 10, già pronto per andare in libreria, venne bloccato in attesa di giudizio. La voce “Stalin” non era piaciuta.

Passò un po’ di tempo e intanto il volume 11 fu pronto, dopo aver superato e aggirato chissà quali e quanti ostacoli e ottenuto il visto della censura. Così, venne stampato e messo in vendita. Soltanto allora ci si accorse che non era normale che il volume 11 fosse uscito prima del 10. Se ne accorsero soprattutto in alto loco, dove forse c’era ancora qualche amico della Literaturnaja che sperava di riuscire a salvare la pubblicazione imponendo un rifacimento del volume in questione. Evidentemente nel rigido sistema della censura c’era stata una smagliatura, un disguido, una svista, forse non involontaria. Ma, involontaria o no, questa svista fece precipitare le sorti della Literaturnaja Enciklopedija. I fautori del salvataggio vennero sconfitti, l’intera tiratura del 10° volume venne distrutta e nessuno osò conservarne neanche una copia per sé. Fu anche deciso che la cosa doveva finire lì. Il 10° volume non vide mai la luce neppure in forma rifatta e trascinò nella disgrazia anche il 12°, che era in gestazione, ma non arrivò mai in tipografia.

Quanto a me, sono comunque felice di possedere i dieci (1-9 e 11) volumi usciti di un’opera che fa onore alla cultura russa.

***

Negli anni Settanta del secolo scorso mi capitava spesso di soggiornare a Mosca per settimane, a volte più a lungo. Mi reputavo uno che la sapeva lunga, che riusciva a muoversi in Unione Sovietica come un pesce nell’acqua e che sapeva evitare le fregature. Tuttavia mi capitò di farmi “fregare” e voglio raccontare come.

Poco prima che io partissi per l’URSS lo scrittore Anatolij Kuznecov, autore di un romanzo di successo tradotto anche in Italia, Prodolženie legendy, era stato protagonista di un fatto clamoroso, del quale avevano parlato tutti i giornali del mondo. Dopo una lunga attesa, Kuznecov aveva ottenuto dalle autorità sovietiche il permesso di recarsi a Londra, a spese dell’Unione degli scrittori, per scrivere un libro sul soggiorno londinese di Lenin. Però gli era stato affiancato un accompagnatore: evidentemente non ci si fidava del tutto di lui. Un paio di giorni dopo l’arrivo a Londra i due sovietici stavano andando a piedi a una vicina biblioteca frequentata a suo tempo da Lenin quando si trovarono a passare davanti a un commissariato di polizia. Improvvisamente, Kuznecov piantò in asso il suo accompagnatore e si precipitò dentro il commissariato. Aveva, come si diceva allora, “scelto la libertà”.

Io arrivai a Mosca qualche giorno dopo. Appena mi sistemai in albergo, andai al banco di vendita dei giornali e delle riviste che, come in tutti gli alberghi sovietici, si trovava nella hall. Per curiosità, presi in mano l’ultimo numero, appena uscito, della rivista letteraria Junost’ e andai a controllare sul retro della copertina, nell’elenco della Redakcionnaja kollegija, il nome di Anatolij Kuznecov, che ne era membro. Vidi che il suo nome c’era ancora. Avrei potuto comprare quel numero della rivista, ma non lo feci perché, essendo abbonato a Junost’, ogni mese la ricevevo regolarmente a Roma. Pensai che sicuramente nel numero successivo Kuznecov sarebbe scomparso dall’elenco, ma che per quel numero le autorità non potessero fare più nulla. Errore.

Tornato a Roma, aspettai tranquillamente l’arrivo della rivista. Ero abbonato a diverse altre riviste letterarie in lingua russa, che una dopo l’altra arrivarono regolarmente. Ma non Junost’. Dopo due o tre mesi, finalmente la rivista arrivò. Nella Redakcionnaja kollegija il nome di Anatolij Kuznecov era scomparso. Avevano rifatto la copertina, non so se dell’intera tiratura, o delle sole copie inviate agli abbonati, o soltanto di quelle degli abbonati all’estero. Ma resta il fatto che di quel numero di Junost’ non ho la doppia copia, come mi è capitato invece per il 5° volume della Bol’šaja Sovetskaja Enciklopedija.

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Sempre in tema di censura, questa volta antistalinista, voglio raccontare infine un episodio nel quale venni coinvolto mio malgrado. Avevo tradotto in italiano il romanzo Zvezda di Emmanuil Kazakevič per la casa editrice Progress di Mosca. Era un romanzo di guerra e c’era un episodio bellico ambientato nella tenda di un generale sovietico. Il generale stava parlando con alcuni ufficiali, dietro di lui era appeso un ritratto di Stalin. Così era scritto nell’originale russo e così io avevo tradotto. Ma grazie a Chruščëv, dopo il famoso XX congresso del PCUS c’era stata la destalinizzazione. Quando ebbi in mano le bozze della mia traduzione mi accorsi che il ritratto di Stalin dietro al generale era scomparso. Lo feci notare al direttore della sezione italiana della Progress e cercai di convincerlo che per quanto sia lui che io fossimo degli antistalinisti, l’operazione non era lecita. L’unica persona che avrebbe potuto modificare legittimamente il testo sarebbe stato l’autore, Kazakevič, il quale però si dava il caso che fosse morto da una decina di anni. Ma non ci fu niente da fare. Il romanzo uscì censurato. D’altra parte, in epoca zarista era stato censurato in modo alquanto ingegnoso anche Gogol’. Nelle Anime Morte c’è un episodio in cui si parla di un arciprete che praticamente “compra” una ragazza. Che cosa fece la censura di allora per tutelare il buon nome della Chiesa ortodossa? Trasformò la parola protopop, arciprete, in Protopopov, che è un cognome abbastanza diffuso in Russia. In questo modo risultava che a comprare la ragazza non era stato un sacerdote, ma un qualsiasi signor Protopopov. Va detto che in epoca sovietica venne ristabilito nelle edizioni di Gogol’ il testo originale, protopop, arciprete. Ignoro come si comportino oggi le case editrici russe, se abbiano ripristinato o no la variante zarista. Ma, come scrisse Seneca, Nulla più mi stupisce.Slavia, rivista trimestrale di cultura

Dino Bernardini, "Slavia" N°1 2007

sabato 27 ottobre 2007

Litvinenko, al soldo del Mi-6 di sua maestà

di Mark Bernardini

Aleksandr Litvinenko, ex agente dell'FSB, avvelenato a Londra col polonio, lavorava per i servizi segreti britannici. I giornalisti inglesi ora nominano esplicitamente sia l'organizzazione, sia gli importi che egli riceveva dai suoi nuovi padroni.

Secondo la stampa albionica, che cita "fonti autorevoli dei servizi di sicurezza e della diplomazia", Litvinenko non solo era un agente del MI-6, ma riceveva nebsilmente 2.000 sterline.

Sempre secondo questi giornalisti, fu proprio John Scarlett, attuale capo del MI-6, a reclutarlo, a convincerlo di trasferirsi in Gran Bretagna ed a chiedere successivamente asilo politico per la sua famiglia. Lo riferisce "The Daily Mail".

E' opportuno ricordare che l'uomo d'affari Andrej Lugovoj, fino a poco tempo fa principale indiziato dell'omicidio di Litvinenko, aveva dichiarato che durante il loro incontro quest'ultimo aveva cercato di reclutarlo negli stessi servizi di sicurezza inglesi.

Fonte: Pravda.ru

Chissà quando e se i massmedia italiani si faranno autocritica in merito.

Miei articoli precedenti in merito:

Gajdar e Scaramella: questione di stile, 08/12/2006

Litvinenko bis, 01/12/2006

Litvinenko, 27/11/2006

venerdì 26 ottobre 2007

Carenza di sesso

di Mark Bernardini

Che mondo strano che è, quello della rete. Al mio sito, più precisamente alla pagina con le foto di mia figlia, che ha appena tre anni, si è affacciato un tizio dalla Grecia che cercava col motore di ricerca "porno 16 yo". Come diavolo c'è arrivato, a mia figlia? Semplice: mia figlia è nata alle 16:10, nella pagina comunico in spagnolo che il padre "soy yo", e mio cognato mi faceva gli auguri per una foto dove, neonata, la bimba risulta discinta, complimentandosi scherzosamente "per il porno"... Immagino quanto deve esserci rimasto male, l'imbecille onanista.

lunedì 22 ottobre 2007

De bello mastellico

di Mark Bernardini

Come è noto, essendo emigrato dall'Italia da ormai sei anni, io di quest'ultima non so più un cazzo. Questo a detta dei miei detrattori, ovviamente, ma non ha importanza quanto ciò sia vero: l'importante è ripeterlo finché non diventi vero. Che poi, via internet, mi legga tre-quattro quotidiani italiani al giorno, o che abbia la parabola apposta per far vedere il demendelirio che si vede sui canali raiberlusconiani in famiglia, o almeno i cartoni animati in italiano a mia figlia di tre anni, ciò poco conta.

Poco conta, poiché altre sono le ragioni per le quali ho voluto prendere la penna d'oca (o imbracciare la tastiera a mo' di Kalašnikov, fate vobis).

Leggo, vedo, sento che Mastella, forte del suo zero virgola zero qualcosa (roba da prefisso telefonico), se i giudici comunisti non la smettono di importunarlo e di accusarlo di essere massone e ladro, non voterà un determinato articolo della Finanziaria (o una legge comunque legata ad essa, o qualcosa del genere, insomma qualcosa che fa cascare il governo e tornare Berlusconi).

Ho un problema di causazione, ovvero di consecutio temporum. Siccome i ragazzini del cortile mi hanno tolto il pallone, io tiro con la fionda al lampione più vicino.

Soprattutto, ci sono un paio di cose sulle quali voglio porre una domanda cadauna al vento, ed alle quali conosco già le risposte (dunque, ovviamente, la domanda è retorica).

La sinistra, sulla quale ho 47.384 riserve, viene accusata di "remare contro" e voler far cadere Prodi. Però intanto, forte di un milione di manifestanti (ai funerali di Berlinguer ed al referendum – perso – contro Craxi e l'abolizione della contingenza, ce n'erano un milione e mezzo), ha tenuto a specificare che non ce l'hanno col governo.

C'è il tiro al piccione. Io non mi schiero con i piccioni – che, per inciso, sono considerati imbecilli provenienti in massa dall'IRI, salvo poi riabilitarli come simbolo del movimento per la pace, ma nemmeno con i cacciatori, che generalmente (mi perdoni l'ARCI Caccia per il paragone, ma qui parliamo figurativamente) sono, chissà perché, proprietari di svariate immobiliari, televisioni, squadre sportive, case editrici e quant'altro.

Ecco quindi la prima domanda: è prospettico inseguire il centro anziché la sinistra? Davvero sicuri, il giorno che diverrà chiaro che i due concetti siano poco compatibili, che il centro, ex democristosinistro, sia in Italia più numeroso della paleosinistra, che, come si è visto, è ben più coriacea di quanto qualcuno sperasse?

Conseguenziale la seconda domanda: proprio sicurissimi che Mastella, e soprattutto i suoi dell'Udeur (anche lì ci sarà pure una maggioranza molecolare ed una minoranza di micron), se la sentano di far cadere il governo sulla Finanziaria perché un giudice ha indagato il loro segretario su una mera questione di mazzette? Non sottovalutiamo il popolo bue (che pure E' bue!): passerebbe alla storia recente che il centrosinistra è caduto perché la componente centrista ha voluto fare quadrato attorno ad un arraffone, mica perché la Finanziaria era comunista... Lo sanno anche loro, in politica, a certi livelli, ci sono arraffoni, mica minus habentes. Di Pietro avrà mille difetti, ma dargli dell'analfabeta giuridico, al giudice di Mani Pulite, è da dementi.

Se poi lo dovessero fare egualmente, pazienza: questo governo ha promesso di ritirare le truppe dall'Iraq il giorno dopo che avesse smesso di essere opposizione, ed invece ci ha messo mezzo anno, a differenza di Zapatero in Spagna o (vedremo) di Tusk in Polonia. E continua a sguazzare in Afghanistan, ex-Jugoslavia ed il dio in cui non credo solo sa dove ancora, in giro per un mondo straziato e straziante.

Ciascuno ha il governo che merita. L'Italia ha meritato Prodi, spero che non meriti nuovamente (ma qualche dubbio ce l'ho) l'imbonitore venditore di tappeti di Arcore.

sabato 15 settembre 2007

Istruitevi, perché...

di Mark Bernardini

...avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza, diceva il povero Antonio Gramsci. A settant'anni dalla sua morte, mai avrebbe potuto immaginare che proprio tra coloro che si richiamano alla sua filosofia si annida il cancro della putrefazione della lingua italiana.

Sul sito del Partito dei Comunisti Italiani si leggono molte banalità, del tipo: "Tizio Caio: I licenziamenti? Sono una vergogna". Stavolta però si passa il segno, anche se bisogna ammettere che Severino Galante non è certo novizio ad essere il peggiore tra i peggiori.

Galante: Islam. Maiale day festa di compleanno di Calderoli? Ufficio Stampa Roma 13 settembre 2007 Si potrebbe usare l'arma del sarcasmo per definire l'ennesima sparata di Calderoli contro la comunità islamica: vuole celebrare la sua festa di compleanno? Ma c'è poco da ridere: che un membro del Parlamento italiano, già ex Ministro della Repubblica proponga il "maiale day" nel periodo del Ramadan evidenzia senza ombra di dubbio quanto degradata e degradante sia la subcultura del personaggio in questione.

Banalità? Concordo. Ma due punti sono degni di considerazione: 1)la presunzione di essere sarcastici (dare del maiale a Calderoli è una cosa da fare seriamente, mica per ridere), e 2)la solita ignoranza della lingua italiana (o Calderoli è “già Ministro”, o è “ex Ministro”; se è “già ex Ministro”, vuol dire che non è più un ex Ministro). Il guaio è che gli ignorantoni come Severino Galante riempiono gli scranni di Montecitorio...

giovedì 23 agosto 2007

L’orso volante

di Mark Bernardini

Ci risiamo. Secondo il Corsera, "due Typhoon 2 hanno bloccato un Tu-95 russo il 17 agosto, giorno in cui Putin aveva annunciato la ripresa dei voli dei bombardieri". Sull'Unità, invece, dovendo essa distinguersi come sempre per russofobia, per un maleinterpretato complesso di colpa, si legge che "il governo britannico ha reso noto che venerdì scorso un caccia russo è stato intercettato nello spazio aereo inglese. E Mosca minaccia Praga: non fate costruire lo scudo spaziale americano nel vostro paese". Dai telegiornali di RAI e Mediaset, poi, si apprende che l'aereo in questione si chiama Bear-H, non TU-95 (Tupolev), questo sempre perché, come sanno anche i bambini, per le strade sterrate di Mosca, innevate anche a Ferragosto, gli orsi girano liberi e la fanno da padroni. Lo garantisce la NATO, nota ONG ONLUS, associazione umanitaria senza fini di lucro. Nessuno si è degnato di verificare la versione dell'altra campana, ossia sembrerebbe che i russi tacciano.

Naturalmente, non è vero. Il rappresentante delle forze aeree russe smentisce che sia stato violato lo spazio aereo britannico, il TU-95 era in volo per un'esercitazione militare già programmata. E quando si tratta di esercitazioni del genere, è prassi comune che ci si scambino tutte le informazioni del caso in maniera preventiva tra i vari Stati. Così è stato anche stavolta, ovviamente.

Göbbels diceva che non importa che una cosa sia vera, basta ripeterla a dismisura affinché lo diventi. Ma Göbbels non poteva certo immaginare che avrà dei prosecutori a distanza di settant'anni, nonostante la sconfitta.

A chi fa comodo che si mantenga e si perfezioni quest'immagine grottesca, questa macchietta dell'orso russo prevaricatore? All'Italia? No di certo. Lo sanno bene gli imprenditori italiani, grazie ai quali da decenni l'Italia si colloca stabilmente quale secondo partner commerciale dell'URSS prima e della Federazione Russa poi nell'ambito dell'Unione Europea, dopo la Repubblica Federale Tedesca. Alla sinistra italiana, forse? E' un mondo rovesciato, questo che abbiamo costruito e che stiamo vivendo (subendo?), dove la destra plaude alla Russia e la sinistra all'America reazionaria di Bush.

In mare come in cielo, esiste il concetto di "acque territoriali neutrali". In esse, appunto, tutti navigano e volano, previa notifica. L'aereo russo o ha invaso lo spazio britannico, o non lo ha invaso, tertium non datur. Gli inglesi dicono di sì, i russi dicono di no. Non penso che sia così difficile verificare, con la costosissima strumentazione moderna pagata con le tasse dei cittadini, chi abbia ragione e a chi invece stia crescendo un naso da Pinocchio. Sarebbe poi salutare che i risultati fossero resi noti con un rilievo almeno pari alla gazzarra di questi giorni. A giudicare dalle dichiarazioni unilaterali pubblicate in Occidente, mi permetto di dubitarne.

Da ultimo, la faccenda (o meglio: il grosso affare lucroso, per taluni) dei missili terra-aria statunitensi da dislocare nella Repubblica Ceca, in Polonia, in Estonia, in Lituania, e, perché no, in Ucraina, in Georgia e chi più ne ha più ne metta. Immaginiamo un mondo rovesciato, dove non fossero gli Stati Uniti, ma la Russia ad espandere la propria sfera d'influenza a dismisura. Immaginiamo missili russi dislocati nella Corsica, sulla Costa Azzurra, nei pressi di Basilea, in Tirolo, a Lubiana, Zara, Sibenicco, Spalato, Tirana, sull'isola di Malta, a Tunisi ed Algeri. Voi che dite, sarebbe giustificato qualche missile italiano di difesa a Genova, Torino, nella Val d'Aosta, a Como, Bolzano, Pordenone, Ravenna, Ancona, Pescara, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Napoli?

martedì 21 agosto 2007

Italia 1952

L'Italia si trova nell'Europa meridionale. Essa occupa quasi tutta la penisola appenninica ed una serie di isole, tra le quali le più grandi sono la Sicilia e la Sardegna. Il territorio complessivo è di oltre 301 mila kmq; la popolazione è di circa 48 milioni di abitanti. Le città più grandi sono la capitale Roma (1.619 mila abitanti), Milano (1.286 mila), Napoli (1.021 mila), Torino (726 mila abitanti).

Il Paese dispone di notevoli giacimenti di bauxite, zolfo, zinco. Tuttavia, il Paese è molto carente di minerali metalliferi e di risorse combustibili. Esso importa minerali di ferro, rottami di ferro, metalli rari e non ferrosi, carbone, petrolio, benzina, cotone, legname. L'Italia è un Paese agroindustriale. La sua economia è caratterizzata da un'industria moderna sviluppata, concentrata prevalentemente nel settentrione (costruzioni meccaniche, navali, tessile, energia ed impianti elettrici) e dall'arretratezza delle regioni agricole meridionali. Il proletariato urbano e rurale è di 8 milioni di persone, ovvero il 54% di tutta la popolazione attiva italiana, mentre quello urbano in particolare rappresenta il 36%, concentrato prevalentemente nei grossi centri industriali.

Nell'economia agricola italiana, in presenza di anacronismi feudali, soprattutto nel sud del Paese, dominano le imprese di tipo capitalista, che possiedono il 64% di tutte le aree coltivabili, il 70% del bestiame, l'80% del prodotto agricolo lordo e l'85-90% dei prodotti agricoli commerciali.

La maggioranza schiacciante dei lavoratori della campagna italiana è privata della terra e consiste in una massa sterminata di vari milioni di mezzadri, giornanti, braccianti, intenti a lavorare la terra dei latifondisti con attrezzi rudimentali, e di piccoli fittavoli, che pagano ai latifondisti con metà del raccolto. Su 5 milioni di famiglie che compongono la popolazione agricola del Paese, l'84% o non possiede del tutto la terra, o la possiede in misura insignificante, mentre 40 mila latifondisti posseggono 10 milioni di ettari di terra. La distribuzione iniqua della terra viene aggravata anche dal fatto che vaste aree di terra di proprietà dei latifondisti non vengono lavorate. Ad esempio, nel Mezzogiorno non sono lavorati circa 2 milioni di ettari di terra, mentre c'è più di 1 milione di contadini senza terra.

L'Italia fascista era il principale alleato della Germania hitleriana in Europa durante la Seconda guerra mondiale. A seguito delle vittorie conseguite dall'Unione Sovietica sulla Germania hitleriana, e la disfatta perpetrata dall'esercito sovietico nei confronti delle armate italiane, il regime fascista italiano ha subìto un colpo mortale.

Nel settembre 1943 l'Italia ha capitolato di fronte agli Alleati, ed in ottobre ha dichiarato guerra alla Germania. Nel 1943-1944 la maggior parte dei territori italiani sono stati occupati dalle truppe hitleriane. Il popolo italiano ha risposto agli invasori con un ampio movimento patriottico partigiano, forte soprattutto nell'Italia settentrionale. Il Partito Comunista Italiano è stato il promotore ed ha diretto la guerra di liberazione nazionale del popolo italiano. Durante l'occupazione tedesca in Italia è stato costituito il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), un'organizzazione antifascista clandestina ben radicata nel territorio. Il CLN era una coalizione dei Partiti antifascisti italiani che mobilitava le masse alla lotta armata contro gli invasori tedeschi ed i fascisti italiani. Durante la guerra l'Italia è stata occupata dalle truppe angloamericane. L'occupazione angloamericana è costata al Paese 10-12 miliardi di dollari, un costo superiore quasi di una volta e mezzo rispetto ai danni subiti dall'economia italiana a causa della guerra.

Il 2 giugno 1946 in Italia si è svolto un referendum nazionale sulla forma di ordinamento statale, a seguito del quale in Italia è stata proclamata la Repubblica, una grande vittoria dello schieramento democratico. Tuttavia, gli imperialisti americani sono riusciti a spaccare il CLN e mettere al potere un loro agente: Alcide De Gasperi, capo del Partito reazionario della Democrazia Cristiana. Con il sostegno degli invasori nel Paese si è rafforzata la reazione, sono risorti gli elementi fascisti, e la cricca di De Gasperi ha intrapreso una politica apertamente reazionaria. Nel maggio 1947, su ordine di Washington, dal governo sono stati estraniati i comunisti ed i socialisti. Il Paese è stato trasformato in una colonia degli Stati Uniti.

Nel febbraio 1947 gli Alleati hanno firmato un trattato di pace con l'Italia. Il 18 aprile 1948, a fronte di uno spietato regime poliziesco di violenza, ed anche con un'ingerenza diretta del governo USA e del Vaticano, si sono svolte le prime elezioni parlamentari postbelliche. Il Parlamento italiano è composto da due camere: la Camera dei Deputati ed il Senato. Alla Camera per cinque anni sono stati eletti 574 deputati, ed al Senato per sei anni 237 senatori. Inoltre, sono stati nominati 107 senatori "di diritto": gli ex Presidenti del Consiglio dei Ministri, gli ex membri del Senato eletti per non meno di tre legislature, i combattenti antifascisti che si sono distinti particolarmente, ecc. Lo schieramento democratico, che alle elezioni ha costituito il Fronte Democratico Popolare, nonostante tutti gli sforzi della reazione ha ottenuto 183 seggi alla Camera e 103 al Senato.

Nel maggio 1948 il Parlamento ha eletto per sette anni come Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, liberale.

Il governo antipopolare di De Gasperi esprime la volontà dei monopoli capitalisti e dei grossi latifondisti, ed ha tradito la nazione, dando corso alla trasformazione del Paese in un vassallo degli Stati Uniti.

L'accordo "bilaterale" firmato il 28 giugno 1948 dal governo De Gasperi e dagli USA sull'estensione all'Italia degli "aiuti" del "piano Marshall" ha contribuito a peggiorare lo stato economico del Paese.

A seguito dell'applicazione del "piano Marshall" l'industria è stata adattata agli interessi aggressivi dei monopoli statunitensi. Gli imperialisti americani cercano di soffocare i settori pacifici della produzione e di sviluppare l'industria asservita alla preparazione della guerra. Il "piano Marshall" ha liquidato i settori chiave della produzione italiana, da cui dipende l'indipendenza nazionale del Paese e che sono in concorrenza con l'industria americana sui mercati mondiali: siderurgia, costruzioni meccaniche, navali, tessile, elettrotecnica, ecc. A seguito della marshallizzazione, l'economia italiana dipende completamente dagli interessi degli imperialisti americani. Agli inizi del 1951, il livello industriale complessivo non raggiungeva quello del 1938. L'industria era occupata di appena il 30-74% della propria capacità.

Il "piano Marshall" ha compromesso l'agricoltura italiana, poiché gli esportatori americani importano nel Paese i prodotti agricoli che l'Italia produce essa stessa; nel 1950 la produzione agricola era pari a circa l'87% del 1938.

La legge sulla "riforma" agraria, approvata dal governo De Gasperi nel gennaio 1950, non ha risolto i bisogni dei braccianti e dei contadini senza terra. Questa legge prevede la conservazione del sistema dei latifondi. La terra viene quindi assicurata solo ai ricchi proprietari terrieri. Questa "riforma" fraudolenta è stata approvata allo scopo di scongiurare la riforma "dal basso" attuata dalle masse contadine dei senza terra, che occupavano le terre dei latifondisti inutilizzate. Il commercio estero italiano non ha raggiunto il livello anteguerra, il "piano Marshall", distruggendo le storiche relazioni commerciali italiane, costringe ad importare merci prevalentemente dagli USA (nel 1949 il 36,2% di tutte le importazioni), a fronte di misere esportazioni italiane negli USA (nel 1949 il 3,8% di tutte le esportazioni). A seguito degli impegni previsti dal "piano Marshall" assunti dall'Italia, viene anche compromesso il commercio di quest'ultima con i Paesi a democrazia popolare e con l'Unione Sovietica. Nel Paese cresce la disoccupazione. Persino i dati ufficiali, sicuramente sminuiti, dicono che nel 1950 c'erano più di due milioni di disoccupati totali e quasi tre milioni di disoccupati parziali.

Il costo della vita, rispetto al livello prebellico, al 1951 è cresciuto di 48 volte, e da gennaio 1950 a gennaio 1951 l'indice dei prezzi all'ingrosso è cresciuto del 21%. Lo stipendio medio mensile di un operaio in Italia è di 23.500 lire, di un bracciante di 13.346 lire (al nord) e di 3.868 lire (al sud). Il 70% della popolazione italiana non ha un reddito sufficiente per il minimo vitale di sussistenza; 3,5 milioni di lavoratori fanno parte della categoria dei "mendicanti"; nel Paese ci sono 1,5 milioni di pensionati che percepiscono dalle tre alle quattromila lire al mese (con un minimo vitale di sussistenza di 60 mila lire per una famiglia media di quattro persone), ed un milione di anziani ed invalidi che non hanno una pensione, 5 milioni di italiani non hanno una dimora ed abitano in grotte, locali abbandonati, capanne fatte con mezzi di fortuna.

Per migliorare la situazione delle masse lavoratrici e far rinascere l'economia dell'Italia, la Confederazione Generale del Lavoro (CGIL) nel 1949 ha promosso un Piano del lavoro. Questi prevedeva dei grandi investimenti di capitali nelle costruzioni di pace, per aumentare la richiesta di forza lavoro e conseguentemente ridurre la disoccupazione; la realizzazione della riforma fondiaria e la conclusione di un accordo tra i contadini e i latifondisti, per dare la terra ai contadini che ne sono privi ed assicurare delle condizioni di lavoro stabili in campagna. Ma il governo De Gasperi, orientandosi sugli interessi dei monopolisti americani, ha rifiutato di realizzare il Piano del lavoro.

La politica estera del governo De Gasperi è completamente assoggettata agli interessi dell'imperialismo americano.

Il governo italiano non assolve ai propri obblighi relativi al trattato di pace: non vengono rispettate le limitazioni militari inflitte all'Italia, il fascismo non solo non è stato del tutto estirpato nel Paese, ma viene nuovamente incoraggiato, gli impegni relativi alle riparazioni di guerra non vengono onorati. Il governo italiano sabota il pagamento delle riparazioni all'Unione Sovietica, stabilite in 100 milioni di dollari.

Infrangendo il trattato di pace, l'Italia è entrata nell'alleanza espansionista nordatlantica. Gli USA armano con tenacia l'Italia. Nel 1950 in Italia sono state importate dagli USA armi e materiali bellici per 200 miliardi di lire. Realizzando gli impegni assunti con l'entrata nell'Organizzazione-Trattato espansionista dell'Atlantico del Nord, il governo italiano ha accettato l'occupazione di fatto del Paese ad opera delle truppe americane. La casta militare americana ha già conquistato i porti, le basi navali e gli aeroporti italiani strategicamente più importanti (Livorno, Napoli, Augusta, Pescara, ecc.). L'esercito italiano è stato posto sotto il controllo degli americani, alcune divisioni italiane sono state incluse nell'esercito "europeo" del generale Eisenhower. Nel territorio nazionale sono stati dislocati i quartier generali dell'esercito della NATO per la "zona meridionale" dell'Europa. Incoraggiato dagli imperialisti americani, il governo italiano esige l'abolizione del trattato di pace. Esso si è dichiarato pronto a sostenere il piano dell'imperialismo americano nei confronti del riarmo della Germania e della rinascita del militarismo germanico. L'Italia partecipa al "piano Schumann" ed al "piano Pleven". Per il 1951 il governo italiano ha approvato stanziamenti per gli armamenti per un importo di 850 miliardi di lire, pari a quasi due terzi del bilancio dello Stato. Al fine di liquidare le limitazioni sulle forze armate italiane, nel settembre 1951 gli USA, l'Inghilterra e la Francia, conformemente alle decisioni del Consiglio del Blocco nordatlantico ad Ottawa, hanno dichiarato di essere pronti a rivedere le condizioni del trattato di pace con l'Italia. Di fronte al movimento sempre crescente delle masse popolari contro le minacce di guerra e la politica antinazionale, la cricca governante di De Gasperi ricorre al terrorismo contro le forze progressiste del Paese ed agli incessanti tentativi di disgregare il movimento operaio. Durante il biennio 1948-1949 e nella prima metà del 1950 i suoi mercenari ed i fascisti hanno assassinato 62 lavoratori, di cui 48 comunisti, ferito 3.126 lavoratori, di cui 2.367 comunisti, arrestato, processato, gettato in carcere più di 111 mila persone, di cui oltre 89 mila comunisti.

Seguendo il corso della fascistizzazione del regime, nel luglio del 1951 il governo reazionario di De Gasperi ha fatto approvare in Parlamento la legge sulla cosiddetta "difesa civile", che gli dà il diritto di proclamare nel Paese in qualsiasi momento lo stato d'emergenza e la militarizzazione della produzione e della forza lavoro. Questa legge dà anche diritto al governo di organizzare una polizia di tipo fascista. Attualmente, il governo sta preparando dei progetti di legge contro la libertà di sciopero e di stampa, e di inasprimento delle sanzioni contro i fautori della pace.

In Italia a capo della coalizione reazionaria governante, costituita dal Vaticano, c'è la Democrazia Cristiana, il più grande dei Partiti borghesi. Questo Partito è al soldo degli imperialisti americani. Con il sostegno degli USA e del Vaticano, ed anche impiegando le violenze poliziesche e le falsificazioni, alle elezioni del 1948 i democristiani hanno conquistato 305 seggi alla Camera e 149 al Senato. La DC è sostenuta dall'organizzazione cattolica del Vaticano, Azione Cattolica.

Della coalizione reazionaria fanno parte anche altri Partiti: il Partito Socialista Democratico, il cosiddetto Partito socialista sezione dell'"Internazionale socialista", il cui vertice è la quinta colonna diretta degli imperialisti americani, i capi sono Saragat e Romita; il Partito Repubblicano, che esprime prevalentemente gli interessi della media borghesia, il capo è Pacciardi; il Partito Liberale, un Partito filomonarchico dei latifondisti e dell'alta borghesia, prevalentemente finanziaria; il Partito neofascista Movimento Sociale Italiano (MSI), ecc.

La politica antinazionale condotta dai governanti italiani sotto il diktat dei padroni americani trova una strenua opposizione da parte di tutti gli strati della popolazione italiana. Gli operai dei centri industriali hanno manifestato più volte contro il terrorismo poliziesco e le violenze, ed in appoggio alle richieste in difesa delle libertà democratiche. Nel 1950 solo a Milano gli operai hanno scioperato per complessivi 18 milioni di ore lavoro. Un terzo di queste ore riguardavano scioperi di solidarietà, proclamati a difesa delle libertà e dei diritti democratici del popolo.

In Italia sono molto diffusi gli "scioperi al contrario", durante i quali gli operai e tutti i lavoratori di una determinata azienda, difendendo il diritto al lavoro e manifestando contro la riduzione del lavoro ed i licenziamenti arbitrari, prendono in mano la direzione aziendale. I lavoratori dirigono le aziende finché l'amministrazione non rinuncia all'idea di liquidare l'azienda o ridurre la produzione.

Il movimento di occupazione da parte dei contadini dei latifondi non coltivati o poco coltivati ha assunto un carattere di massa. Esso è particolarmente diffuso nel sud del Paese. A seguito delle manifestazioni dei contadini senza terra e dei braccianti il governo De Gasperi è stato costretto a legittimare il passaggio nelle loro mani di oltre 200 mila ettari di terra.

La forza trainante e dirigente dello schieramento democratico è il Partito Comunista. Esso è stato fondato nel gennaio 1921. Nel 1950 il Partito Comunista, assieme alla Federazione Giovanile Comunista, contava più di 2,5 milioni di iscritti. Il PCI gode di grande influenza non solo tra la classe operaia ed i contadini, ma anche in ampi strati degli intellettuali. Negli ultimi anni è cresciuta l'influenza del PCI tra le masse contadine. Le organizzazioni comuniste esistono in tutte le più grandi aziende del Paese.

Come quantità di parlamentari, il PCI è il secondo Partito, con 131 seggi alla Camera e 67 al Senato. Il segretario generale del Partito è Palmiro Togliatti, i suoi vice sono Luigi Longo e Pietro Secchia. L'organo quotidiano centrale del Partito è il giornale "l'Unità". Il PCI è legato da saldi vincoli d'amicizia, basati sull'unità d'intenti, con il Partito Socialista, a capo del quale c'è Pietro Nenni, che conta 750 mila iscritti. Alla Camera esso ha 52 seggi, al Senato 36. Nenni è Presidente del Consiglio nazionale italiano per la pace. L'unità d'intenti tra comunisti e socialisti in Italia testimonia incontrovertibilmente che la reazione non è riuscita a raggiungere un qualche significativo successo nella causa della disgregazione della classe operaia.

Grazie alla loro politica di unità, il PCI e il PSI sono riusciti ad unire le forze progressiste del Paese e costituire un possente schieramento per la pace e la democrazia, di cui fanno parte: la più grande associazione sindacale CGIL, con 5 milioni di iscritti, l'Unione delle Donne Italiane (1.053 mila iscritte), l'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia (280 mila iscritti), la Lega delle Cooperative (3 milioni di iscritti), l'Associazione "Italia-URSS" (500 mila iscritti).

Lo schieramento democratico si batte contro la politica di guerra del governo De Gasperi, per una politica di pace, esige l'uscita dell'Italia dall'unione espansionista della NATO, una sostanziale riduzione delle spese militari, una politica d'amicizia con l'Unione Sovietica ed i Paesi a democrazia popolare.

Il movimento per la pace italiano si rafforza incessantemente. Esso riveste varie forme: scioperi di massa, manifestazioni, comizi, rifiuto di scaricare gli armamenti americani nei porti e di trasportarli nel Paese, di produrre materiali bellici, di presentarsi agli uffici di leva, dibattiti sulla pace, raccolta di firme per varie petizioni, ecc. Il Manifesto di Stoccolma è stato sottoscritto da 17 milioni di italiani. La raccolta di firme per l'Appello del Consiglio Mondiale della Pace per un trattato di pace tra le cinque grandi potenze sta riscuotendo un grande successo. Nel Paese funzionano più di 20 mila comitati per la pace.

Lo schieramento democratico lotta per conquistare la maggioranza della popolazione italiana, per formare un governo di pace che assicuri al popolo italiano pace, pane, libertà ed indipendenza nazionale.

(Dall'Almanacco dell'URSS del 1952. Traduzione di Mark Bernardini)

giovedì 9 agosto 2007

E’ così che si diventa vecchi

di Mark Bernardini
Nel 1997, per un invito casuale, iniziai a cantare, alla "veneranda" età di 35 anni (per il canto operistico è davvero un'età inusuale). Come corista, verdiano, mi sono esibito nel Requiem nel Duomo di Milano, nel "Nabucco" a Spira in Germania, e poi ancora nel "Nabucco" e nella "Forza del destino" a Busseto ed a Siena. Nel 2002, dopo un periodo nel coro delle Comunità Europee a Bruxelles, mi sono trasferito (o meglio, sono tornato) a Mosca. Come è ovvio, non volevo perdere l'esperienza accumulata in quel quinquennio, soprattutto perché a quest'età è evidente che non si può contare su una carriera duratura. Chiesi a parenti vari se conoscevano qualcuno che potesse darmi lezioni e mi dissero di conoscere un basso del Bol'šoj in pensione. Mi presentai quindi di fronte a questo omone, omen nomen, che con la sua voce cavernicola mi spiegò il suo metodo, convinto che fosse tipico della "scuola italiana". Non che non avesse ragione, ma, purtroppo, parliamo di una scuola scomparsa da svariati decenni, almeno in Patria, sul suolo italico.
Non era questo, però, che mi aveva stupito: il fatto è che io non ricordo mai i nomi delle persone, ma ricordo per tutta la vita i volti, sono molto fisionomista. Infatti, ero assolutamente certo che, chissà quando, chissà dove, ma io questo metro e ottanta per centoventi chili l'avevo già conosciuto, e quando ebbi il sospetto, lo interruppi:
– Stanislav Bogdanovič, mi perdoni, l'80% della musica operistica mondiale è italiana; per caso, Lei è mai stato in Italia?
– Certo, ci mancherebbe! Svariate volte!
– Per caso, anche nel 1981?
– Beh, sì, quella fu la prima volta…
– Sempre per caso, con l'Associazione culturale URSS–Italia?
– Sì, ricordo, Viktor Voroncov, Lev Kapalet…
Con Lev Kapalet mi legava un rapporto particolare. Ricordo ancora quando, dopo l'asilo Montessori di Roma, un anno di asilo ad Ul'janovsk e due anni di scuola a Mosca, forse l'ultima senza l'insegnamento di una lingua straniera (ma in compenso, pur essendo una scuola assolutamente ordinaria, con lezioni settimanali di canto e balletto), mi ritrovai alla scuola speciale N°10 (ora N°1225) ad indirizzo francese, dove avevamo lezioni settimanali di matematica, scienze, storia, eccetera in francese, oltre, ovviamente, a quelle di lingua. Fu lì che conobbi il padre di una mia compagna di classe, convinto che fosse italiano, visto che il suo italiano era decisamente migliore del mio. Era invece assolutamente russo (ebreo, ma questo, a differenza dell'epoca attuale, non importava a nessuno), ed era il segretario di URSS–Italia ed amico di mio padre.
All'inizio degli anni '80 sua figlia, appena sposata, morì di meningite fulminante, poco più che ventenne. Lev non si riprese più. Quando, nel 2003, su richiesta di mio padre, gli portai a Mosca un numero di Slavia in cui quest'ultimo ricordava un episodio della loro giovinezza, egli per prima cosa mi portò a visitare la stanza della figlia. Soprattutto, ricordo due busti della figlia a grandezza naturale, uno in marmo, l'altro in bronzo.
C'è qualcosa di innaturale, quando i figli muoiono prima dei genitori. Contro natura.
Ma torniamo a Stanislav Sulejmanov.
– Sì sì, Voroncov e Kapalet, ma… chi era il suo interprete?
E' qui che la sua sicumera, nel senso più benevolo del termine, ha vacillato. Mi rimarrà per sempre il ricordo di come spalancò la mascella: improvvisamente, ricordò anche lui.
Più di vent'anni prima, lui, promettente basso trentacinquenne del Bol'šoj, ebbe me, diciannovenne, come interprete. Lo ricordo, già canuto ma nel fior fiore, cantare alticcio su richiesta "O sole mio" e "Bella ciao" al ristorante. Ci fu però ben altro episodio che ci accomunò.
Eravamo in Toscana, più precisamente a Montecatini, dove otto anni dopo vissi per due anni in tutt'altro contesto, ed eravamo in un'osteria io, Stanislav Bogdanovič, Alfeno Biondi (segretario del comitato locale di Italia–URSS), Luciano Ajazzi, toscano anch'esso ma dell'Italia–URSS nazionale, e Viktor Voroncov.
– Che mangiamo?, chiese Luciano.
– Siamo nella Patria della bistecca alla fiorentina, risposi, ça va sans dire…
– Ma cammina, mica ce la fai!
– Luciano, vediamo di intenderci: io ne prendo due, di bistecche alla fiorentina; se non ce la faccio, me le pago da me, in caso contrario paghi tu, che tanto paga l'Associazione, quindi tu hai vinto in partenza.
Vinsi io, mangiando contro forza ed impiegandoci più di due ore, ma Stanislav Bogdanovič fu l'unico a sostenermi, mangiandone a sua volta una e mezza.
Cantò un po' ovunque, in giro per l'Italia, con me al seguito, ma rimase legato soprattutto alla Puglia ed alla provincia di Bari, dove coltivò amicizie fraterne per i successivi vent'anni, prima fra tutte quella con Giacomo Luccarelli.
Anche Viktor Voroncov l'avevo preso per italiano quando lo conobbi, proprio in quella tournée del 1981. Scoprii invece che era la prima volta che veniva in Italia: il suo italiano era frutto esclusivamente dei suoi studi in URSS. L'unica cosa che lo tradiva era l'assoluta assenza di qualsivoglia inflessione dialettale: sfido a trovare un italiano che non si porti dietro i retaggi della sua regione di provenienza. Dirò di più: tutti i compagni di studio italiani di mio padre dell'università di Mosca hanno trasferito nel loro russo le loro inflessioni, generando un effetto davvero straordinario, tra romano, napoletano, bolognese, toscano, siciliano, lombardo.
Viceversa, anche Viktor mi fece i suoi complimenti, dicendo che non aveva mai conosciuto un italiano con un russo così impeccabile come il mio (non sapeva ancora che mia madre sia russa e chi io fossi), o anzi che ne aveva conosciuto solo uno, con una proprietà di linguaggio che compensava il suo accento. Gli chiesi di chi si trattasse e mi rispose che difficilmente l'avevo conosciuto, trattandosi della generazione precedente, un certo Dino Bernardini. Quando gli dissi che aveva davanti il figlio di Dino mi abbracciò commosso. Finì che, per gioco, alle tavolate ufficiali, io facevo i brindisi in russo, e lui mi traduceva in italiano.
Nel 1986 mi trasferii da Roma a Milano: fu Luigi Remigio, Gino, ad invitarmi a lavorare per l'Interexpo, all'epoca la Società che organizzava le più importanti fiere italiane a Mosca, da Agritalia a Strojitalia, da Upakitalia alle collettive italiane in ambito Inlegmaš et similia. Gino per me non è stato solo dapprima, a metà degli anni '80, un datore di lavoro e poi un cliente, ma un amico, fuori da ogni retorica. Un amico di famiglia: con mio padre si erano conosciuti all'università di Mosca nella seconda metà degli anni '50, ed avevano poi lavorato insieme a Praga all'inizio degli anni '60. Furono proprio Piero Casi e Gino a fare la colletta tra gli altri italiani presenti a Praga per comprarmi il passeggino.
Nel 2003, a Mosca, durante una presentazione di vini italiani, venni ingaggiato dall'Istituto per il Commercio Estero per la traduzione simultanea. La mia compagna di cabina, invece, fu ingaggiata proprio da Gino. Fu così che conobbi mia moglie.
Era una ragazza molto preparata, con un ottimo italiano, ma era molto tesa, perché la terminologia vinicola proprio non le apparteneva, considerando anche la sua giovane età. Io non usavo fare delle avances alle colleghe, ma giusto per farla sentire a suo agio le feci una vecchia battuta di mio padre, definendola mia "concabina". Ci siamo sposati meno di un anno dopo…
All'Interexpo a Mosca c'era anche Marisa Florio, ora da anni direttrice a Mosca della Camera di Commercio italo-russa. Il caso vuole che un altro compagno di studi di mio padre, Salvatore Pepitoni, mi mise in contatto con la GIZA di Reggio Emilia (più nota come "Gi & Gi"); cambiai quindi azienda. Poco tempo dopo, Marisa si sposò con Viktor Saviščev, che lavorava all'URSS–Italia con Voroncov e Kapalet. Sono tuttora considerati una coppia "storica", nella comunità italiana a Mosca.
La coincidenza impensabile è che il mio Stanislav Bogdanovič, di cui, come detto, avevo perso completamente le tracce, fu suo testimone di nozze.
In questi cinque anni, mi ha portato a livelli canori ben superiori rispetto a quanto potevo sperare, anche iscrivendomi all'Accademia Russa di Arti Teatrali (il vecchio GITIS) e facendomi esibire come baritono drammatico solista in alcuni teatri moscoviti. Ogni volta che mi sono lasciato prendere dallo sconforto per essere troppo in età avanzata per il canto professionale, mi citava Mario Del Monaco e, perché no, anche se stesso.
Il 1 giugno 2007, sessantunenne, è morto Stasik Sulejmanov, mio insegnante di canto; il 22 giugno 2007, a 77 anni, a Roma, è morto Gino Remigio.
Forse sono troppo coinvolto, per poter parlare di queste due persone per quel che erano, ma a me resta un senso di amaro in bocca, di qualcosa di non detto, di non terminato. Forse mi sento, ora, più vecchio di quel che sono, ma certo è che, esattamente come quando morì Lëva Kapalet, mi sento più povero, perché molto poteva essere ancora fatto, detto, scritto. E, nel mio caso, cantato. La speranza, immodestamente ed ingiustificatamente, è che io giustifichi in qualche modo gli anni a venire che mi restano da vivere, spero davvero molti, avendo una figlia di meno di tre anni, vivendoli nel modo migliore atto a dimostrare che l'aver conosciuto queste persone non sia stato insensato.
Mark Bernardini, "Slavia" N°4 2007

martedì 17 luglio 2007

I costi parlamentari

di Mark Bernardini

Tutti noi, periodicamente, è almeno dal 1999 che riceviamo un messaggio, tipica espressione delle catene di Sant'Antonio, in cui si afferma che "sull'ultimo numero dell'Espresso" (e mai nessuno si preoccupa di verificare, segno che nessuno lo legge) sono pubblicati i dati di quanto guadagnano i parlamentari, con una serie di ridicole menzogne che portano l'acqua al mulino del più becero populismo e qualunquismo. In totale, si parlava di 37 milioni di lire mensili, mentre erano 14 milioni tutto compreso (rimborso spese di viaggio, ecc.: 9 milioni di stipendio e 5 di rimborsi). E francamente, sapendo quanto costano i trasporti e gli alberghi, non ritengo che vi sia alcunché di scandaloso. In particolare, vedasi

http://it.groups.yahoo.com/group/noberluska/message/35723

Poi qualcuno ha convertito il tutto in euro, e la catena è ricominciata, facendo sempre riferimento "all'ultimo numero dell'Espresso". Va avanti così da 8 anni.

Il sito http://www.politicalink.it/i_costi_della_politica.htm finalmente cerca di fare un po' di chiarezza. Beninteso, anche questi dati andrebbero verificati, quindi per ora sono da prendere col beneficio dell'inventario; tuttavia, mi pare già un bel progresso, da citare ogni qualvolta vi dovesse arrivare quel delirio (e vi arriverà ancora a lungo, purtroppo), vi invito quindi a conservare il presente messaggio. Ovviamente, bisogna anche considerare, come tutti noi abbiamo assaporato sulla propria pelle, che dall'introduzione dell'euro i costi sono lievitati, spesso più che raddoppiati. Difficile quindi fare i raffronti con la lira, o quantomeno non vanno fatti in maniera manichea.

Indennità parlamentare corrisposta per 12 mesi: 5.486,58 € al mese + Diaria di soggiorno: 4.003,11 € al mese*

*(Da questa diaria vengono detratti € 206,58 per ogni seduta nella quale il deputato non abbia partecipato almeno al 30% delle votazioni che in essa sono effettuate)

Ad ogni deputato vengono inoltre corrisposti:

mensilmente un rimborso forfettario di € 4.190 per le spese sostenute al fine di mantenere il rapporto con gli elettori

trimestralmente (per i trasferimenti dal luogo di residenza all'aeroporto più vicino e tra l'aeroporto di Roma-Fiumicino e Montecitorio) un rimborso spese pari a 3.323,70 euro, per il deputato che deve percorrere fino a 100 km per raggiungere l'aeroporto più vicino al luogo di residenza, ed a 3.995,10 euro se la distanza da percorrere è superiore a 100 km.

I deputati, qualora si rechino all'estero per ragioni di studio o connesse all'attività parlamentare, possono richiedere un rimborso per le spese sostenute entro un limite massimo annuo di 3.100,00 euro.

annualmente un rimborso di € 3.098,74 per spese telefoniche

Facciamo due conti sui costi della politica ed i possibili risparmi:

In Italia ci sono 950 parlamentari, che ad una media di 14.500 euro al mese, costano complessivamente 13.775.000 € al mese, ovvero circa 165 milioni di € l'anno

Facciamo un paragone con Stati di dimensione paragonabile all'Italia:

  • In francia ci sono 898 parlamentari
  • In germania ci sono 670 parlamentari
  • In spagna ci sono 600 parlamentari
  • Nel regno unito ci sono 659 parlamentari

A conti fatti:

Senza diminuire la retribuzione ai parlamentari, ma semplicemente riducendo il numero di essi, portandolo a 600 (ad esempio, 400 deputati + 200 senatori) si risparmierebbero circa 60 milioni di euro ogni anno

mercoledì 27 giugno 2007

Prospettive sinistre

di Mark Bernardini

Su un articolo di Milena Gabanelli nel forum della RAI nel gruppo di discussione No Berluska si è sviluppato un dibattito dal quale vi propongo un mio intervento.

...Rita diceva che a votare con i tampax nel naso ci siamo già andati e il risultato l'abbiamo davanti agli occhi.

La Gabanelli, ex intrattenitrice di Telelombardia, dice che sono almeno vent'anni che vota contro, anziché "per". Io, la prima volta che ho votato contro, è stato l'anno scorso. Non è una differenza da poco: denota due mentalità, due percorsi e, in ultima analisi, due obiettivi sideralmente opposti.

Sempre più sconsolata, Rita rifletteva che ora è giunto il momento del PD e dell'ascesa al trono di Veltroni, quello che non è mai stato comunista, ma stava iscritto al PCI per combattere dall'interno. Il futuro è immaginabile, l'impoverimento morale della politica è diventata scienza. L'azzeramento degli ultimi sospiri di sinistra è pressoché inevitabile... E allora, che si fa?.

Si può pensare quel che si vuole della nuova Sinistra di Mussi (e personalmente non ne penso granché bene), però è un tentativo, quello di coordinarsi con parte del PRC, parte del PdCI e parte dei Verdi, che tenta di rispondere alla domanda di Rita. Non è il grande Partito Comunista di Gramsci, Togliatti, Longo, Berlinguer? Grazie, lo so. Ma è sempre meglio sia del PD, sia delle posizioni alla Gabanelli. Voglio citare ancora la mia frase preferita sul Partito da "Novecento" di Bertolucci, perché i fatti restano fatti: Depardieu porta in officina un volantino, è l'Unità clandestina.

- Quale Lenin? Guarda come siamo ridotti: non c'è più la casa del popolo, non c'è più la tessera, non c'è più il giornale...

- Toh il giornale, guarda! E' la prova che ci sono dei compagni, che l'hanno scritto e stampato, rischiando la prigione. Toh, guarda per quante mani è già passato. Imparalo. Imparalo a memoria, perché quando si sarà consumato, toccherà a te raccontare agli altri quello che c'era scritto.

- Ma come si fa ad andare avanti, senza nemmeno più la Lega, senza nessuno che ti dice niente? Dì la verità, Olmo, siamo tutti isolati, se protesti ti sbattono in galera, come si fa andare avanti senza il Partito?

- Già: il Partito... Ma che scusa. Il Partito sei tu, e lo sai. E' Eugenia, è Enzo, è Armando, e poi di là dal fiume, c'è tutta la famiglia Azzali, e giù in fondo alla carraia la famiglia del Guercio, lì è il Partito, dappertutto! Se c'è uno che lavora, lì è il Partito! Dietro le sbarre delle prigioni, dove ci sono migliaia di compagni, lì c'è il Partito!

E il fatto è che si continua (e Rossano non perde occasione) a dire: "largo ai giovani!", "largo al nuovo!". Quali giovani, questi lobotomizzati da un quindicennio di berlusconismo?! Quale nuovo, quello che veniva proposto da Ivan Scalfarotto (ricordate, vero?), che dava del vecchio a Pecoraro Scanio (salvo poi tacere sul fatto che Pecoraro Scanio è del '59 e Scalfarotto è del '66) e diceva di non avere mai fatto politica, mentre quindici anni fa era consigliere circoscrizionale del "Sole che ride"?

A me i dilettanti allo sbaraglio incutono timore, rischiano di rappresentare i maiali della fattoria degli animali: bravi, avete cacciato via i padroni umani, e poi? Ma poi è davvero un problema di forma mentis: Rita, il sottoscritto, Franco, Pietro, Mario e molti altri facciamo politica da almeno trent'anni. Embeh? Io ero segretario di zona della FGCI e membro della segreteria del PCI in una circoscrizione romana di 200.000 abitanti, praticamente una città. Franco, se la memoria non mi falla, era segretario della Federazione PCI di Latina, Pietro è stato segretario del nostro circolo FGCI, sempre a Roma. Mario faceva altre cose, ma certo era un punto di riferimento, a Milano. No, non sto candidando nessuno, anche perché, per quanto mi riguarda, temo che, mentre ero seduto sulla riva del fiume ad attendere cadaveri eccellenti, troppa acqua sia scorsa sotto il ponte della solidarietà. Ma certo mi fido molto più di un Carlo Leoni (ex segretario della FGCI romana), di un Marco Fumagalli (ex Movimento Lavoratori per il Socialismo ed ex segretario nazionale della FGCI, con me a pigliare botte a Comiso nel 1983 e 1984), di un Luciano Pettinari (ex Movimento Lavoratori per il Socialismo, Manifesto e Partito di Unità Proletaria), di un Claudio Fava (non solo per il sacrificio del padre: l'ho visto personalmente all'opera al Parlamento Europeo), di un Giovanni Berlinguer (che ad un congresso della FGCI Romana ci disse che la Democrazia Cristiana è un cancro al cui solo pensiero gli prudono i metacarpi), di un Giulietto Chiesa (che non tradì Gorbačëv e lottò contro El'cin), piuttosto che non degli Scalfarotto di turno, simulacri e contraltari proprio dei vari D'Alema, Fassino, Veltroni.

Dunque, io sono seduto al davanzale. Però vedo panorami più speranzosi e più credibili di appena un anno fa.

lunedì 25 giugno 2007

Marcette su Roma

di Mark Bernardini

Strategia della destra LA MARCIA SU ROMA Furio Colombo, l'Unità, 19 giugno 2007

Fausto Bertinotti ha lanciato un messaggio appassionato: «Ci vuole una sinistra unita che parla col cuore». Ma, da titolare di una delle tre massime istituzioni, la presidenza della Camera, si è accorto che i leghisti, al grido nobile e risorgimentale di «fuori dalle balle», solo tre giorni fa hanno occupato i banchi del governo con un gesto simile a quello tentato nel Parlamento spagnolo dal colonnello della Guardia Civil Antonio Tejero Molina nel 1981?

«Il governo è illegittimo»: la destra va sul Colle per fare pressing. Forse non avrà la sfrontatezza di chiedere apertamente elezioni (cosa che fa Bossi con Calderoli che minaccia le marce dei padani) ma punta a delegittimare Prodi e a chiedere un «governo breve» per far decantare la situazione e poi votare.

Sapete che nuova c'è? Vista la situazione, io son d'accordo con la Lega: facciamogliela fare, 'sta Marcia e facciamogli occupare Montecitorio.

C'è però una conditio sine qua non: un parallelismo ancora una volta con la Spagna, ma di 45 anni prima, tornando al 1936. Ecco, ci vorrebbe un po' di gente di sinistra che, anziché andare "fuori dalle balle", le proprie balle le tirasse fuori, ovviamente in senso figurato. Ed ovviamente memori del 1939 spagnolo, stavolta avremmo imparato la lezione.

Capiterebbe così che quel migliaio di "rompiballe", con le camicie brune, nere, no, verdi, sarebbe accolto a Porta Pia, a San Giovanni, San Paolo, San Lorenzo (mamma mia, troppi santi), non solo dal popolino romano, novelli Meo Patacca e Rugantino, ma da centinaia di migliaia di borgatari, bottegai, e poi immigrati vecchi e nuovi, calabresi, siciliani, napoletani, marocchini, filippini, senegalesi, insomma da un nugolo di diseredati, giù a menar legnate e rimandarli a casa a curarsi le ferite nelle acque sante del Po. Nel frattempo, il Monte Citorio sarebbe cinto d'assedio, con tanto di barricate improvvisate, fatte di carretti dei bottegai artigiani trasteverini con dentro asserragliati questi lanzichenecchi, fino a liberare il Parlamento con un assalto a furor di popolo, ma senza concedere loro manco l'Aventino: spalmati di pece ed impiumati, rispediti anch'essi a bere le loro ampolle inquinate...

Beh, forse sogno troppo. Meglio che non vengano, altrimenti ci saranno un Prodi ed un Napolitano ad esprimere il loro fermo sdegno, ad esecrare, a dissentire.