sabato 22 agosto 2009

Si fa per dire?

Sul venerdì di Repubblica del 21 agosto 2009, leggo un ennesimo stravolgimento della realtà, perpetrato con accanimento, incessantemente, consapevolmente. Per spiegare a cosa io mi riferisca, chiedo scusa a Piero Ottone se prendo a prestito il suo incipit dall’articolo nella medesima pubblicazione, ma su tutt’altro argomento:

Direte che mi ripeto, e avete ragione. Ma si ripetono anche gli eventi dei quali scrivo, e che vorrei che non si ripetessero.

Ebbene, nella sezione Esteri tale Alessandro Carlini racconta il restyling dell’Aeroflot. Hostess avvenenti, gonne accorciate e rinnovo, “si fa per dire” (parole sue) della flotta.

Sulle tratte europee internazionali non si ricorda aereo dell’Aeroflot che sia mai caduto, cosa che non si può dire dell’Alitalia (ricordate l’aereo caduto sulle Alpi al confine con la Svizzera?), ma è un vecchio discorso: se cade un aereo di Air France, cade un aereo della Air France, non della McDonnell Douglas statunitense. Se invece cade un Tupolev degli anni ’70 in Africa, mai revisionato da, che so io, Air Uganda, allora è caduto un aereo russo.

Come che sia, l’Aeroflot dispone di 104 aerei (l’Alitalia di 155, compresi i 57 di Air One, in un Paese grande un cinquantaseiesimo della Russia, a proposito di sprechi), di cui 11 Boeing 767 (l’Alitalia 6), 26 Tupolev 154, 6 Il'jušin 96, 15 A319 (l’Alitalia 12), 31 A320 (l’Alitalia 44), 10 A321 (l’Alitalia 23) e 3 A330 (l’Alitalia 2). Inoltre, l’Alitalia annovera 1 Avro RJ70, che non si producono dal 2003 (ne sono caduti 13), 6 Embraer 170 (72 posti, 850 km/h, analogo del Bombardier e del Super Jet Suchoj-Alenia, vedi sotto), 10 Bombardier CRJ900 (90 posti, 850 km/h), 18 Boeing 737 (ne sono caduti 147, infatti il Business Week lo ha dichiarato l’aereo più pericoloso del mondo) e 10 Boeing 777, 11 MD 80 e 12 MD 82, che non si producono dal 1999, essendone caduti 25 (e qui, al posto degli italiani, mi toccherei nelle parti basse: il Boeing 737 è il suo degno erede). Nel 2009 l’Aeroflot riceverà complessivamente 18 A320 e 6 A330. Dal 2016 (probabilmente il pennivendolo di Repubblica si riferiva a questo), l’Aeroflot riceverà 22 A350 e 22 Boeing 787. A breve dovrebbero arrivare anche 30 SSJ-100, alla cui costruzione ha partecipato anche la Finmeccanica e la Alenia, che evidentemente il pennivendolo ritiene dei fessi. Tanto fessi che è stata confermata documentalmente l’intenzione di acquistarne ulteriori 20.

ModelloAeroflotAlitaliaInizioFine
Avro RJ1700119782003
Embraer 170062002-
Bombardier CRJ9000101991-
Tupolev 15426019682007
Il'jušin 96601993-
MD 8002319801999
Boeing 7370181968-
Boeing 7671161982-
Boeing 7770101995-
Airbus A32056791987-
Airbus A330321992-

Sulla medesima pagina, a conferma (di cosa?), ci informano – questa è grossa, infatti non è firmato – che il 24 agosto è la festa dell’indipendenza dell’Ucraina e della Moldavia dalla… Russia. Stiamo parlando del 1991, appena 18 anni fa, e invece confidano già nella memoria corta degli italiani. Fu quello scellerato di El’cin, fin dalla fine del 1990, a spingere per la secessione della Russia dall’Unione Sovietica, creando non poco imbarazzo alle rimanenti 14 repubbliche, che rischiavano di diventare tante piccole enclave. Nell’agosto 1991 ci fu il tentativo di colpo di Stato, a seguito del quale il 26 dicembre l’URSS cessò di esistere. Il 1° dicembre, 25 giorni prima (non il 24 agosto, quando lo decise il Parlamento), in Ucraina si svolse un referendum per la secessione, cosa peraltro prevista dalla Costituzione sovietica (articolo 72). In quel periodo, seguirono l’esempio della Russia un po’ tutte.

Repetita juvant: secessione dall’URSS, non dalla Federazione Russa, che era solo una delle quindici, anche se la più grande. Il giorno che Bossi attuasse i suoi piani criminali, andrebbe via dall’Italia, non dal Lazio, con buona pace di “Roma ladrona”.

venerdì 21 agosto 2009

Ucrainizzazione

Trovandomi in ferie a Pescara, mi sono imbattuto casualmente nell’orario dei voli dell’aeroporto abruzzese. Ho scoperto così che le uniche due destinazioni europee extra-UE sono Kiev e Leopoli.

Breve digressione. Insisto nella corretta dizione italiana di queste due città, non Kiyv e L’viv, esattamente come, in italiano, si dice Londra, Parigi, Zurigo, Zagabria, Fiume, non siete andati a London, Paris, Zürich, Zagreb, Rijeka.

Torniamo all’aeroporto. Dunque, Ucraina, ma non Russia. Vengono più ucraini che russi? Gli abruzzesi preferiscono andare in Ucraina piuttosto che in Russia? Probabili entrambe le cose. Soprattutto, perché con l’Ucraina c’è il volo diretto. Le badanti sono soprattutto ucraine? Beh, non vedo frotte di badanti ucraine d’alto bordo solcare i cieli abruzzesi.

I giornali italiani hanno pubblicato un rapporto della svizzera UBS sul costo della vita nei vari Paesi del mondo. Tra le città citate dai giornali, per ovvie ragioni, Roma e Milano, le varie città UE, e poi un po’ di città sparate a casaccio. Gli USA, e anche questo è logico, ma anche Tokyo, Johannesburg, Bogotà, Kuala Lumpur, Manila. E, indovinate? Kiev. Niente Mosca e San Pietroburgo.

Parliamo allora di cifre. In Italia, sono residenti 130 mila ucraini. In Ucraina, risiedono 322 italiani (258 famiglie). In Russia, ne risiedono 1.441 (1.018 famiglie). In compenso, l’Italia esporta 10 ed importa 16 milioni di € dalla Russia. I dati ucraini sono talmente irrisori da non essere presi in considerazione nemmeno dall’ISTAT.

Sia ben chiaro, il mio non è un problema di lesa maestà, di simpatie russe ed antipatie ucraine. Però dalle cifre che ho riportato appare ben evidente cosa sia importante per l’Italia e cosa no. E non è questione di gas.

Ogni tanto, i soliti dilettanti che i giornali italiani inviano a Mosca con la qualifica altisonante di corrispondenti, tirano fuori la solita balla di Mosca città più cara del mondo. Quale occasione migliore, questa del rapporto UBS, per far capire qualcosa al lettore italiano? Macché.

Capita anche a me, talvolta, di sentire italiani, sia stanziali che di passaggio a Mosca, lamentarsi rispettivamente dei 6.000 € di affitto mensile o dei 200 € a testa per cenare. Poi si scopre che parliamo di 120 mq sul Nuovo Arbat, che è come dire via del Corso a Roma o via Manzoni a Milano, e che la cena era nel corrispettivo del Savini… I russi “normali” mangiano a più non posso in trattoria a 30 €, magari anche pasteggiando a vodka, e vivono prevalentemente in bilocali di epoca sovietica da 50 mq, di cui sono quasi tutti proprietari. Personalmente, vivo nelle medesime condizioni, pagando 700 € di affitto.

lunedì 17 agosto 2009

Socialismo digitale

E’ da almeno un lustro che mi occupo periodicamente delle trasmissioni televisive italiane via satellite, principalmente in chiave emigrazione. In particolare, la nota dolente riguarda i criteri con cui vengono criptate talune trasmissioni piuttosto che altre, ed il criptaggio in quanto tale. Esso viene attuato sia dalle reti pubbliche (RAI) che da quelle private nazionali (Mediaset e La 7). I criteri, appunto, restano misteriosi e contraddittori, in nome di dichiarati e non meglio identificati “diritti di trasmissione all’estero”.

Da anni, la Corte Europea di Giustizia, interpellata in merito, ha precisato che non esiste in tal senso vincolo alcuno. Infatti, in Europa, sia nell’Unione Europea che fuori da essa, non esiste alcuna televisione “in chiaro” che cripti alcunché: giusto per fare degli esempi, RTR Planeta (pubblica) e ORT (privata) russe, ma anche ZDF (tedesca), TV5 (francese), ARTE (franco-tedesca), PTP (portoghese), TVE (spagnola), BBC (inglese) e molte altre che non seguo solo perché non ne comprendo la lingua.

E poi, i criteri. Vengono criptate le partite di calcio, ma non i giri ciclistici. Le competizioni sportive, ma non le trasmissioni sportive. Lo sport, ma non la pubblicità. Capita così che, in questo mondo globalizzato, la FIAT come la “Mario Rossi” SAS o SNC, la Roberts come la mozzarella campana, la Telecom come Viacal, Wind come Barilla, Rita Dalla Chiesa con i suoi divani come le centinaia di veline berlusconiane riciclate che hanno mancato il seggio parlamentare (Guzzanti padre parlò di “mignottocrazia”) con creme, pillole, lettini, lettoni, yogurt, cabale del lotto, telefoni zozzettoni, suonerie che pensi di comprarne una e ti ritrovi abbonato, insomma la vergognosa baraonda che pretende di mostrare le aspirazioni italiche, è sufficiente che paghi un passaggio pubblicitario su un canale nazionale piuttosto che sui canali locali interconnessi (tipo Odeon, per intenderci), per finire in casa di chiunque, sul pianeta Terra, abbia settato dei canali italiani per le più svariate ragioni. Ricordate le speranze degli albanesi, all’epoca di Enver Hoxha, che guardavano RAI 1 con una semplice antenna analogica?

Ma torniamo a quel che viene criptato. “L’ultima carrozzella”, con Aldo Fabrizi, ma non “Walker Texas Ranger” col santone Chuck Norris. Il “Maresciallo Rocca” con Gigi Proietti, ma non “JAG Avvocati in divisa”. La signora in giallo, ma non il tenente Colombo. E soprattutto, il primo tempo di, che so io, “La dolce vita”, ma non il secondo, oppure il secondo tempo di “C’eravamo tanto amati”, ma non il primo.

L’impressione è che sia tutto a discrezione del tecnico di turno, a seconda delle volte che va a prendersi un caffè. Per chi, come me, ha superato almeno i quarant’anni, tutto ciò ricorda l’epoca delle prime TV non RAI, tra cui quelle estere Telemontecarlo, la Svizzera Italiana, Antenne Deux e Capodistria. Solo che all’epoca criptavano esclusivamente la pubblicità. Il contrario di quanto accade oggi. E poi, all’epoca i danneggiati erano gli italiani in Patria, mentre oggi sono gli emigranti italiani nel mondo. Solo quelli iscritti all’AIRE (Albo Italiani Residenti all’Estero, presso ogni Consolato d’Italia nel mondo) sono quasi quattro milioni, per non parlare del formidabile veicolo immediato di diffusione della lingua e della cultura italiana (di cultura, invero, ce n’è sempre meno, ma non è questo il punto) che è la televisione tout court.

Su questi temi, a suo tempo lanciai una petizione in rete, replicata successivamente in Facebook. Il risultato è deprimente: rispettivamente, 169 e 329 firme, a conferma che, finché un problema non tocca in prima persona, è inutile confidare in una parvenza di solidarietà. Ne scrissi anche a tutti i deputati e senatori eletti nei collegi esteri della presente e della precedente legislatura, e agli eurodeputati italiani, sempre delle ultime due legislature. Muro di gomma: l’unica deputata ad avere aderito è durata appena due anni (2006-2008), era di Forza Italia. Nessun altro suo compagno di Partito, né di AN, Lega Nord, UDC, PD, IDV, Verdi e sinistra ora extraparlamentare ha usato la cortesia almeno di declinare l’invito, ad eccezione di un radicale, che ha, appunto, declinato.

Nel frattempo, in Europa abbiamo anche perso del tutto La 7, che, di punto in bianco, senza preavviso né spiegazione, ha deciso di criptare le trasmissioni in chiaro per l’Eurasia, trasmettendo invece gratuitamente verso gli USA. Eppure, ci sono circa 1,5 milioni di italiani nel continente americano (la stragrande maggioranza in America Latina) e più di due milioni in Europa. Serve dirlo? Ho chiesto lumi a La 7 e ovviamente la risposta è caduta nel vento.

Torno ora a parlarne perché il problema sta per coinvolgere gli italiani in Italia: hai visto mai che ora capiranno la nostra condizione all’estero?

Ricapitoliamo. Negli ultimi anni, cinque milioni di famiglie si sono fatte tentare dal pacchetto a pagamento Sky, appartenente allo “squalo australiano” Murdoch (lo chiamano così i suoi fautori, non c’è quindi alcun intento offensivo da parte mia). Giova ricordare che, tra l’altro, sua è buona parte delle testate giornalistiche estere che, a differenza di quanto accade in Italia, non hanno taciuto in merito alle orge (nel senso letterale del termine) di Palazzo, sarde e romane, pagate dai contribuenti.

Oltre l’abbonamento, è necessario acquistare un decoder. In questo modo, era finora possibile guardare gratuitamente i tre canali RAI, i tre Mediaset e La 7, fatto non trascurabile per quelle zone italiane, e non sono poche, che hanno difficoltà ataviche di ricezione analogica, dovute a territori montuosi ed impervi. E questa era la prima fase.

Seconda fase. RAI, Mediaset, La 7 e tutte le TV locali stanno gradualmente passando al cosiddetto “digitale terrestre”. Tanto per cambiare, occorre acquistare un decoder. Diverso da quello di Sky: non sono compatibili. Finora, ciò riguarda solo RAI 2 e Rete 4, e solo in alcune regioni, ma è questione di mesi, addirittura di settimane.

Terza fase. Il 30 luglio 2009 sono spariti da Sky i canali RAI Sat: Yoyo e Smash Girls (per l’infanzia), Premium (il meglio della RAI), RAI Cinema, il Gambero Rosso (cucina), RAI Extra. Il motivo? E’ scaduto il contratto RAI – Sky. Quest’ultima offriva 370 milioni di euro spalmati su sette anni, la RAI ha rifiutato. RAI 1, 2 e 3, e i tre di Mediaset, restano visibili, senza aggravi per Sky o i suoi abbonati, perché è ancora in vigore (scadrà il 31 dicembre 2009) l’accordo tra la TV pubblica e il Ministero delle Telecomunicazioni, che impegna la RAI a trasmettere su tutte le piattaforme, compresa quella satellitare.

Fase quattro. Murdoch (che personalmente e ovviamente non mi è simpatico) ha attaccato il gestore delle reti pubbliche, capo del governo, nonché proprietario delle maggiori reti private? L’onta verrà lavata, sempre a spese del cittadino. Prima con l’aumento dell’IVA al 20%, poi ci si inventa un’altra Sky. Si chiama Tivusat. Appartiene a RAI, Mediaset e Telecom (editore, tra l’altro, de La 7 e MTV). Altro decoder, ça va sans dire, incompatibile con Sky e digitale terrestre. Quando dico “incompatibile” voglio dire, tra l’altro (ma non solo), che col decoder Sky inserito non si possono attaccare al televisore i decoder Tivusat e/o digitale terrestre, per non parlare del costo di due decoder (o di un televisore di nuova generazione e di un decoder) e di due abbonamenti. Come che sia, ecco aggirato il vincolo imposto dal Ministero delle Telecomunicazioni. Contestualmente, verranno criptati tutti i film distribuiti dalla maggiore casa italiana, la Medusa. By the way, a chi appartiene? Lo sapete: al fratello del proprietario de”Il Giornale”.

Torniamo a oggi. Senza preavviso, agosto ha segnato due autogol, nel senso di due partite di calcio criptate: Italia – Svizzera under 21 e Inter – Lazio. Personalmente, sono da sempre indifferente al pallone, ritengo che il calcio sia quello delle ossa ed il tifo sia una malattia endemica. Questo però immagino che interessi poche persone. Molte di più, invece, dovrebbero porsi la domanda del chi decida. Ecco che torniamo al trattamento finora riservato agli emigranti e, a ritroso, agli anni ’70 di Telemontecarlo, Svizzera e Capodistria. Certo, le partite sono state trasmesse su Tivusat. Come detto, altro ennesimo decoder, per altro finora introvabile,alla modica cifra di euro cento. Però così RAI e Mediaset si vedranno anche dove è impotente il digitale terrestre. Ma come? Non avevano detto che il digitale terrestre era la panacea delle zone difficoltose per l’analogico?

Qui, prima o poi, scatterà la fase cinque: anche la RAI solo a pagamento, niente più servizio pubblico. Pensa che siano miei vaneggiamenti? Considerate cosa avreste detto quattro anni fa se vi avessi detto che non avreste più visto RAI 2 e Rete 4 senza un decoder, Tivusat, Sky o terrestre che fosse.

E in Europa? Per ora, vediamo in chiaro, pur con tutti i criptaggi vessatori possibili e immaginabili, RAI 1, 2, 3 e i tre di Mediaset (della politica filo USA de La 7 e perciò di Telecom Italia abbiamo già detto). Quel che accadrà di qui alla fine dell’anno è una pagina ignominiosa di storia che dovremo ancora scrivere.

Una breve nota di colore a chiosa va spesa ricordando che Putin, capo del governo russo, a differenza del suo omologo italiano, non è preoccupato da presunti lettoni che gli vengono ascritti dai pennivendoli della penisola mediterranea. Preferisce pensare alla diffusione della televisione digitale, che è già una realtà nel 10% del territorio russo (stiamo parlando di un Paese con undici fusi orari). Diffusione, attenzione… gratuita. Forse non è chiaro: gratuita, repetita juvant. Sia via satellite che via cavo (che sarebbe il “digitale terrestre”: in Italia amano sempre complicare le cose). Il processo di digitalizzazione dovrebbe concludersi entro il 2015. Un processo “graduale, naturale, impercettibile e non oneroso per il consumatore”, ha detto Putin il 30 giugno 2009. “Finché il 95% della popolazione non avrà ricevuto i decoder e non avremo assicurato loro un segnale digitale stabile, proseguiremo anche con le trasmissioni analogiche”. Forse è sfuggito il concetto: i decoder dovranno essere “ricevuti”. Gratuitamente.

Quando leggo quel che scrivono i vari Dragosei (Corriere della Sera), Coen (Repubblica), Canciani e Cassieri (RAI) della Russia, sembra di leggere di una Russia da mondo parallelo, tipo Star Gate. Ebbene, essi ritengono di trovarsi nel Paese del socialismo reale, vedendone solo gli aspetti negativi. Socialismo reale decisamente no, i Coen e i Dragosei sono arrivati con quasi vent’anni di ritardo, ma indubbiamente questi sono elementi reali di socialismo. Che, personalmente, mi sento di condividere.

lunedì 10 agosto 2009

Furbetti della Pubblica Amministrazione

Immagino che tutti siamo soddisfatti, nell’apprendere che il sostituto procuratore di Potenza, John Woodcock, ha incriminato cinque dipendenti della Regione Basilicata di stanza a Roma per truffa e peculato.

In brevis, i carabinieri hanno pedinato e fotografato i cinque dal barbiere, mentre compravano pesce al mercato, durante lo shopping in un negozio di calzature. Tutto in orario d'ufficio, grazie alla timbratura dei cartellini magnetici «cui provvedeva il complice che a turno veniva investito dell'incombenza». E questa è la truffa: i contribuenti lucani, giova ricordarlo, sono i loro datori di lavoro, e gli pagano lo stipendio, loro malgrado, per andarsene a zonzo.

Poi c’è l'uso indebito delle utenze telefoniche dell'ufficio, che sarebbero state utilizzate «in modo assolutamente sistematico, ripetuto e continuativo, per chiamate personali e private pari ad oltre l'88% del complessivo ammontare delle bollette pagate dalla Regione Basilicata», che anche in questo caso è parte offesa. Insomma, scrivono gli investigatori, tutto «come in una sorta di phone center gratuito», aperto anche ad amici e parenti. E perfino all'addetto delle pulizie, la cui moglie avrebbe fatto «lunghe e costose» telefonate ai suoi in Sudamerica. In alcuni casi venivano fatte telefonate «mute» ai cellulari dei familiari, o al proprio, al solo scopo di ricaricare il credito telefonico. E questo è il peculato, per il quale vale quanto già espresso per la truffa.

Tutto bene, tutto sacrosanto. Ricordo però che la stessa cosa venne fatta da Andropov, ambasciatore sovietico nel 1954-1957 a Budapest e capo del KGB nel 1967-1982, quando, nel 1982-1984 (anno della sua morte), fu segretario del PCUS e perciò capo dello Stato. E qui, chissà perché, gli italiani di destra e di sinistra, e ovviamente i sovietici prima e i russi poi, non erano d’accordo.

Dunque, farlo in URSS o in Russia è antidemocratico, mentre farlo in Italia è segno di giustizia efficiente. Eppure, in Russia è ancor più giustificato, visto che è possibile fare la spesa a qualunque ora di qualunque giorno, a differenza di quanto accade in Italia, perché sono i negozi che debbono adattarsi alle esigenze dei consumatori, e non viceversa.

Va bene, mi si potrebbe obiettare, ma in URSS in quel periodo capitava di non trovare quanto occorreva, dai generi alimentari all’abbigliamento. La maggior parte delle retate in orario d’ufficio, tuttavia, venivano compiute… nei cinema. Un bene di consumo primario?

Insomma, sposo in pieno l’iniziativa di Woodcock. Vorrei solo sentire un minimo di autocritica italiana, che invece temo non sentirò mai.