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lunedì 21 ottobre 2019

Basta con le repressioni yankee!

Iniziamo con una breve cronistoria. Sono presente nel social network Facebook dal 2007, sono dodici anni. Ogni anno, quattro volte all’anno, trimestralmente, vengo bloccato per un mese, in pratica sono presente al 75%. Le ragioni sono le più disparate e le più risibili, recentemente (2019) per aver ricordato (2017) che Puškin era negro (mi rifiuto di definirlo, in italiano o in russo, colorato o abbronzato) e per aver condiviso (2015) un articolo di una rispettabilissima e storica testata sovietica e russa (Izvestija) in cui si stigmatizzava il blocco di numerose testate, funzionari dello Stato, giornalisti, esponenti politici di primo piano, ministri che parlassero di Ucraina.

La redazione "russofona" (???)
di Facebook a Dublino

Di tutto questo ho scritto innumerevoli volte nel mio blog principale, http://markbernardini.blogspot.com, e ho poi trovato molte persone che hanno condiviso i miei articoli di denuncia in Facebook. Difficile imbavagliarmi. Evidentemente, lo hanno capito anche i fascistelli delle redazioni italiana e russa di Fasciolibro (giova specificare che entrambe si trovano a Dublino per pagare meno tasse). Hanno quindi ora inventato un nuovo escamotage: non è più possibile condividere alcunché dal mio blog, perché… sarebbe una fonte di spam. Con effetto retroattivo: sono anche sparite tutte le condivisioni di questi anni, come se non fosse mai esistito. Naturalmente, è facile dimostrare che non c’è mai stato alcuno spam, può verificarlo chiunque vada anche adesso nel blog in questione. Ma non è questo il punto.

Il fatto è che anche questa vessazione è poco efficace. Ho altri 5-6 blog, continuerò a pubblicare e condividere in Facebook. Il giorno che dovessero bloccarli tutti, ne aprirei ulteriormente altri, all’infinito. Cosa possono farmi ancora? Glielo suggerisco io, anche se non potranno procurarmi che il fastidio di una puntura di zanzara.

Possono cancellare definitivamente il mio account. Beh, ne aprirei altri sempre all’infinito, ed anche bloccare il mio indirizzo principale di posta elettronica ed il mio cellulare non raggiungerebbe il risultato sperato, giacché ho svariati indirizzi e SIM card. Questo comporterebbe comunque la scomparsa di varie mie pagine e gruppi (uno per tutti, “Italiani di Russia”, esistente dal 2008, con oltre 7.000 iscritti). Solo che sono presente in molti altri social network, per esempio “V Kontakte” (http://vk.com) e “Odnoklassniki” (http://ok.ru), ma non sono gli unici, ed in essi ho già creato le “repliche” dei miei gruppi più importanti in Facebook.

Allora potrebbero bloccare il mio IP. Neanche questo risolverebbe il problema della mia fastidiosa presenza: oltre al Wi-Fi in casa, ho quello del cellulare, e dopo quello basta uscire di casa, Mosca ha il Wi-Fi gratuito in tutto il territorio urbano e sui mezzi pubblici sotterranei e di superficie, poi ci sono tutti i locali, non ce n’è uno che non lo abbia. Finalmente, per mestiere viaggio molto, non sempre mi collego da Mosca e non sempre dalla Russia.

Chiedo quindi a questi smanettoni peticellosi (potrebbero essere miei figli, il dio in cui non credo me ne scampi!) di riservare le loro attenzioni ad obiettivi più nobili, più degni di tale invidiabile costanza, per giustificare i loro stipendi.

giovedì 27 settembre 2018

Porošenko non più persona grata a Verona

Riassumiamo, в сухом остатке. Dei ladri ucraini (ma questo non è certo colpa dell'Ucraina e del popolo ucraino) commettono un furto a Verona. Disdicevole, ma qui la cittadinanza non c'entra una mina. Essendo un crimine segnalato all'Interpol, che è organo del Consiglio d'Europa (di cui fanno parte 47 Stati, di questi 27 sono membri dell'UE), le autorità ucraine svolgono le loro indagini e, paradossalmente e sorprendentemente, trovano la refurtiva (anche i ladri? Non mi risulta, ma pronto a ricredermi). E la restituiscono ai legittimi proprietari, cioè al Comune di Verona. E' ragione sufficiente per conferire la cittadinanza onoraria al Presidente (peraltro golpista ed illegittimamente eletto) di quel Paese?

Pare di no. E se, come sarebbe d'abitudine per i mariuoli statali ucraini, non l'avessero restituita?

Non importa. Non so cosa c'entri Sboarina con Mosca, so solo che l'Ucraina (candidato UE e NATO) ha ormai rotto il cazzo persino all'Ungheria (membro UE e NATO). Ah già: anche l'Ungheria è sotto sanzioni UE. Beh, allora la Polonia, membro UE anch'essa. No, pure quella sta per finire sotto sanzioni UE. Insomma, chi resta, la vecchia Europa? Occhio, potrebbe restare giusto quella, con un'implosione storica dell'UE, paragonabile alla Società delle Nazioni. Gli ucraini possiedono la poco invidiabile capacità di litigare con tutti i potenziali alleati, un po' come gli Stati Uniti di Trump...

mercoledì 25 gennaio 2017

C'è muro e muro

Ergere muri al confine tra due Paesi non è mai cosa buona. Tuttavia, come suggerisce il titolo, non tutti i muri sono uguali, qualche muro è più uguale degli altri. Per esempio, il muro di Berlino fu costruito per impedire di uscire, non di entrare. Da allora, ogni muro ha dichiarato di essere diverso e perciò più giustificato moralmente. Pensiamo, per esempio, a quello israeliano in Cisgiordania nel 2002. Ce n’è poi un’altra ventina, in giro per il mondo (Pakistan, Corea, Arabia Saudita, Kuwait, Emirati, Uzbekistan, Tailandia, Turchia, India, Egitto, Spagna, Botswana, Grecia, Irlanda del Nord, Bulgaria…), compreso quello iniziato nel 2014 e non terminato per mancanza di finanziamenti europei in Ucraina.

In queste settimane, il muro è tornato d’attualità: come preannunciato, il neopresidente statunitense Trump ha firmato il decreto di costruzione al confine col Messico. Suona piuttosto ingenuo pretendere da quest’ultimo il finanziamento, ma non lo è: in caso contrario, impedirà ai migranti di mandare soldi a casa. Pochi però ricordano – perché i media mainstream occidentali evitano accuratamente di menzionarlo – che in realtà tale muro già esiste fin dalla prima metà degli anni ’90, lungo tutta la California, l’Arizona e il Texas, con Bill Clinton presidente (democratico, giova ricordarlo).

Anche il muro lituano al confine con l’enclave russa di Kaliningrad (a spese dei contribuenti dell’Unione Europea, tre milioni e mezzo di euro) è diverso. E’ diverso intanto perché non ci sono migranti russi desiderosi di emigrare illegalmente in Lituania. E’ anche diverso perché il governatore di Kaliningrad, pur non condividendo l’isteria lituana, per tutta risposta ha offerto i mattoni della locale fabbrica russa di laterizi. Finalmente, è diverso perché i principali media europei e i vari radical chic salottieri sparsi per il vecchio continente preferiscono parlare del muro di Trump e tacere dei due muri (Ucraina, come già detto, e Lituania) in casa propria. Come dire: il mio muro è più bello e democratico del tuo.

giovedì 21 luglio 2016

Guerre USA

Riciclo e adatto alcuni miei scritti di quasi dieci anni fa.

Gli statunitensi la guerra l’hanno sempre fatta a casa d’altri, ora dalla parte della ragione (Prima e Seconda guerra mondiale), ora da quella del torto (Corea, Vietnam, l’America Latina in toto – quella centrale e quella del Sud – Medio Oriente, Algeria, Afghanistan, Iraq, Jugoslavia, Egitto, Libia, Siria, Turchia…).

Con buona pace dei sedicenti sinistrorsi salottieri radical chic italioti, non sta scritto da nessuna parte che i repubblicani americani siano il male ed i democratici americani siano il bene.

La guerra civile americana la iniziò il democratico Buchanan, e la terminò il repubblicano Lincoln. Sappiamo con che risultati e a quale prezzo, ma non importa.

La partecipazione americana alla prima guerra mondiale, alla Grande Guerra, la decise e la gestì il democratico Wilson. Sappiamo con che risultati e a quale prezzo, ma non importa.

La guerra in Corea la iniziò il democratico Truman (che fondò anche la NATO, nel 1949, mentre il Patto di Varsavia fu fondato solo nel 1955, come risposta alla NATO, contrariamente a quanto tuttora fa intendere in Occidente la propaganda yankee), e la terminò il repubblicano Eisenhower. Sappiamo con che risultati e a quale prezzo, ma non importa.

La guerra in Vietnam la iniziò il democratico Kennedy, e la terminò il repubblicano Nixon, tanto vituperato – giustamente, ma per altre cose – dalla mia sinistra italiana. Sappiamo con che risultati e a quale prezzo, ma non importa.

La guerra in Jugoslavia la iniziò il democratico Clinton, e la terminò il repubblicano Bush. Sappiamo con che risultati e a quale prezzo, ma non importa.

La guerra in Afghanistan la iniziò il democratico Clinton, ed è tuttora in corso. Sappiamo con che risultati e a quale prezzo, ma non importa.

La guerra in Iraq, iniziata sotto il repubblicano Bush, ha avuto le prime avvisaglie sotto il democratico Clinton. Sappiamo con che risultati e a quale prezzo, ma non importa.

Attendo – inutilmente – che gli USA mandino fuori le loro truppe da invasori dalla Jugoslavia, dall’Afghanistan, dall’Iraq, che non rompano i coglioni in Iran, che non mostrino i muscoli con la Russia, che vadano fuori dai coglioni dalla Germania, dal Giappone, dalla Corea, da Bruxelles, dalla Kirgizia, dalla Georgia, dall’Ucraina, dalla Repubblica Ceca, dalla Polonia, dai Paesi Baltici, e soprattutto dall’Italia: da Vicenza, dalla Sardegna, da Comiso, da Anzio.

Poi, dopo – e solo dopo – potremo riparlarne.

sabato 9 luglio 2016

Accordi di Minsk, sanzioni 2017

Il 1° luglio 2016 il Consiglio dell’Unione Europea ha prorogato le sanzioni economiche riguardanti settori specifici dell’economia russa fino al 31 gennaio 2017. Il 19 marzo 2015 il Consiglio europeo aveva convenuto di far dipendere la durata delle sanzioni dalla piena attuazione degli accordi di Minsk, che doveva avvenire entro il 31 dicembre 2015.

Dunque, tutto si incentra sugli accordi di Minsk. Sono fermamente convinto che ben pochi ne abbiano letto il contenuto. Vediamo allora di fare chiarezza. Ecco il testo completo in italiano (non è affatto lungo), mentre l'originale ufficiale in russo è consultabile sul sito del Cremlino.

1. Immediato e completo cessate del fuoco nelle zone di conflitto delle regioni di Donetsk e Lugansk, regioni dell’Ucraina, e sua rigorosa attuazione a partire dalle 00 h. 00 min. (tempo di Kiev) del 15 Febbraio 2015.

2. Ritiro di tutte le armi pesanti da ambo le parti a distanze uguali per creare una zona di sicurezza con profondità almeno 50 km [distanza tra le due parti] riferita a sistemi di artiglieria di calibro di 100 mm o più, aumentata [la profondità della zona di sicurezza] a 70 km per i sistemi MLRS [lanciarazzi multiplo] e a 140 km per i sistemi MLRS “Tornado-S”, “Hurricane”, “Twister” e sistemi missilistici tattici “Punto” (“punto Y”):

– per le truppe ucraine, [il ritiro deve avvenire] dalla linea reale di contatto [attuale];

– per le forze armate delle regioni di Donetsk e Lugansk, regioni dell’Ucraina, dalla linea di contatto stabilita in base al memorandum di Minsk del 19 settembre 2014.

Il ritiro delle armi pesanti di cui sopra deve iniziare non oltre il secondo giorno dopo il cessate il fuoco e terminare entro 14 giorni. A questo processo contribuirà l’OSCE, con il sostegno del gruppo di contatto delle tre parti [Ucraina, Russia, OSCE].

3. Garantire un controllo efficace e la verifica del cessate il fuoco e il ritiro delle armi pesanti dal primo giorno del ritiro da parte dell’OSCE, con l’impiego di tutti i mezzi necessari, compresi satelliti, droni, sistemi radar e così via.

4. Nel primo giorno dopo il ritiro, avviare un dialogo sulle modalità delle elezioni locali in conformità con la legge ucraina e la legge dell’Ucraina “Sull’ordine temporaneo del governo locale in alcune regioni di Donetsk e Lugansk“, così come il futuro funzionamento di queste aree, sulla base della legge. Immediatamente, entro e non oltre 30 giorni dalla data di sottoscrizione del presente documento, adottare una risoluzione della Verkhovna Rada [Parlamento] dell’Ucraina per il territorio coperto dal regime speciale in conformità con la Legge dell’Ucraina “Sull’ordine temporaneo del governo locale in alcune zone dei regioni Donetsk e Lugansk“, basato sulla nota al Protocollo di Minsk del 19 settembre 2014.

5. Stabilire indulti e amnistie mediante l’emanazione di una legge che vieta la perseguibilità e la punizione delle persone in relazione agli eventi che hanno avuto luogo in alcune zone delle regioni di Donetsk e Lugansk dell’Ucraina.

6. Assicurarsi che il rilascio e lo scambio di ostaggi e persone detenute illegalmente avvenga in base al principio del “tutto per tutti“. Questo processo deve essere completato entro e non oltre il quinto giorno dopo il ritiro.

7. Fornire un accesso sicuro, consegna, stoccaggio e distribuzione di assistenza umanitaria ai bisognosi sulla base di un meccanismo internazionale.

8. Determinazione delle modalità del completo ripristino delle relazioni socio-economiche, compresi i trasferimenti sociali, come le pensioni e altri pagamenti (ricavi e proventi, pagamento puntuale di tutte le bollette, il rinnovo della tassazione nel quadro giuridico ucraino). A tal fine, l’Ucraina riacquisisce il controllo del sistema bancario nelle zone colpite dal conflitto, con la facoltà di ricorrere a un meccanismo internazionale per facilitare tali trasferimenti.

9. Ripristinare il pieno controllo del confine di Stato dell’Ucraina da parte del governo in tutta la zona del conflitto, che dovrà iniziare dal primo giorno dopo [lo svolgimento delle] le elezioni locali ed essere completata dopo una soluzione politica globale (elezioni locali in alcune zone delle regioni di Donetsk e Lugansk, sulla base della legge dell’Ucraina e della riforma costituzionale) entro la fine del 2015, fatto salvo il paragrafo 11, in consultazione e d’intesa con i rappresentanti delle singole regioni di Donetsk e Lugansk nel quadro del gruppo di collegamento tripartito [Ucraina, Russia, OSCE].

10. Il ritiro di tutte le forze armate straniere, delle attrezzature militari, così come dei mercenari dal territorio dell’Ucraina sotto la supervisione dell’OSCE. Disarmo di tutti i gruppi illegali.

11. La riforma costituzionale in Ucraina con l’entrata in vigore, entro la fine del 2015, di una nuova costituzione, intesa come elemento chiave di decentramento (tenendo conto delle caratteristiche delle singole zone delle regioni di Donetsk e Lugansk, concordato con i rappresentanti di questi settori), nonché l’adozione della legge permanente sullo status speciale delle singole regioni di Donetsk e Lugansk, conformemente alle misure di cui alla Nota [1], fino alla fine del 2015.

12. Sulla base della legge dell’Ucraina “Sull’ordine temporaneo di governo locale in alcune regioni di Donetsk e Lugansk” per quanto riguarda le elezioni locali, [queste] saranno discusse e concordate con le singole zone delle regioni di Donetsk e Lugansk nel quadro del gruppo di collegamento tripartito. Le elezioni si terranno nel rispetto delle pertinenti norme dell’OSCE e col monitoraggio da parte dell’ODIHR dell’OSCE.

13. Intensificare le attività del gruppo di collegamento tripartito, anche attraverso la costituzione di gruppi di lavoro per attuare gli aspetti rilevanti del Protocollo di Minsk [del 19 settembre 2014]. Tali gruppi di lavoro riflettono la composizione del gruppo di collegamento tripartito.

Nota [1]: Tali misure [per la legge permanente sullo status speciale delle singole regioni di Donetsk e Lugansk], in conformità con la legge “Sull’ordine speciale del governo locale in alcune regioni di zone di Donetsk e Lugansk” sono le seguenti:

– l’esenzione da pene, molestie e discriminazione di individui associati con gli eventi che hanno avuto luogo in alcune aree delle regioni di Donetsk e Lugansk;

– il diritto all’autodeterminazione della lingua;

– la partecipazione dei governi locali alla nomina dei capi delle procure e dei tribunali nelle regioni di Donetsk e Lugansk;

– la possibilità per le autorità esecutive centrali di concludere con le autorità locali competenti un accordo sullo sviluppo economico, sociale e culturale delle singole regioni di Donetsk e Lugansk;

– lo Stato sosterrà lo sviluppo socio-economico delle singole regioni di Donetsk e Lugansk;

– l’assistenza del governo centrale per la cooperazione transfrontaliera in aree selezionate delle regioni di Donetsk e Lugansk e di regioni della Federazione Russa;

– la creazione di unità di milizia popolare di supporto alle amministrazioni locali, al fine di mantenere l’ordine pubblico nelle regioni di Donetsk e Lugansk;

– i poteri dei deputati comunali e dei funzionari eletti nelle elezioni anticipate, nominati dalla Verkhovna Rada [Parlamento] dell’Ucraina in base a questa legge, non possono essere terminati.

Il documento è stato firmato dai partecipanti del gruppo di collegamento tripartito:

Ambasciatore Heidi Tagliavini [OSCE]

L.D. Kuchma, secondo presidente dell’Ucraina

M.Y Zurabov, Ambasciatore della Federazione Russa in Ucraina

A.V. Zakharchenko [DNR-Donetsk]

I.V. Plotnitsky [LNR-Lugansk]

Ora, per cortesia, qualcuno spieghi quali accordi non siano rispettati dalla Federazione Russa, o meglio ancora, di quali impegni, disattesi o meno, della Russia si sta parlando: non trovo alcun punto a tal proposito. Né può essere altrimenti, giacché l’Unione Europea e la Federazione Russa non sono parti in causa…

sabato 2 luglio 2016

TV russa vietata fuori dalla Russia?

"Non appena la «democrazia» ha sconfitto l'Ucraina, hanno vietato i canali televisivi russi. Non appena la «libertà» ha vinto in Argentina, hanno chiuso Russia Today. Ormai è una tendenza". Guardate che 'sta cosa non è proprio una cazzata. Parliamo di canali che trasmettono via etere a casa loro e via satellite (parabola) nel mondo. In Italia si vede Pervyj, RTR Planeta, Russia 24, più alcuni canali "leggeri", tipo telefilm, musica, televendite, ecc. Altrettanto in Russia: dopo che Berlusconi ci ha criptato i canali Mediaset (ma non era amico di Putin, per la sedicente sinistrorsa salottiera radical chic italiota?), e che un decennio prima ci avevano criptato La 7, siamo rimasti con i tre RAI (di RAI 4 e RAI 5 manco se ne parla), i TG 24 di RAI e Mediaset (Sky è da un decennio che ha criptato), RAI Gulp per i bambini (gli altri, tipo Yoyo, sono criptati fin dall'inizio), Uninettuno (che, francamente, serve solo agli studenti stranieri cultori della lingua italiana, benissimo, ma insomma non è rappresentativa), e ovviamente una miriade di canali "locali" che trasmettono televendite e soprattutto telefoni erotici (non sto nemmeno ad elencarli, ma parliamo di centinaia!!! di canali, peggio solo gli americani pseudoarabi). Insomma, immaginiamo che un qualsiasi Stato e per qualunque ragione vieti le trasmissioni dei canali italiani "seri" bollandola come propaganda (Francia, Belgio, Inghilterra...).

lunedì 9 maggio 2016

Fascisti putiniani? Non scherziamo

L'antifascismo non è un valore negoziabile, a seconda della contingenza.

Non è così sentito in Italia?

Lo è però sicuramente in Russia, dove non c'è famiglia che non abbia avuto un morto in casa per mano dei fascisti.

Irina Osipova putiniana?

Putin non perde occasione per ribadire il suo antifascismo.

La Osipova non è inutile: è dannosa.

Anche in Russia c'è il multipartitismo (checché ne dicano i media mainstream italioti), ed è pur sempre valido il vecchio adagio mondiale per il quale "quante teste, tante idee".

Ciò premesso, tuttavia, esistono alcuni valori universalmente recepiti: che so io, "non rubare", "non uccidere", e chi li infrange, quando e se scoperto, è oggetto di pubblico ludibrio (eccezion fatta per le ruberie dei berlusconiani e poi dei politici attuali di ogni sorta in Italia, che quasi se ne fan vanto).

Ecco, tra questi valori c'è quello dell'antifascismo tra la stragrande maggioranza delle persone "normali", intendendo il fascismo come quello originario italiano mussoliniano, quello tedesco hitleriano, quello spagnolo franchista, quello portoghese di Salazar, quello latinoamericano in quasi tutto quel continente e anche, ovviamente, quello ucraino attuale.

Viceversa, i vari neofascisti, le teste rasate et similia, vengono per lo più percepiti in modo più o meno implicito come dei pericolosi e violenti squilibrati mentali.

La sensibilità all'argomento varia da Paese a Paese, a seconda di quanto il Paese in questione ne sia stato fautore e/o ne abbia patito.

Tutto questo per dire che il sentimento antifascista è forse il più forte elemento di coesione esistente in Russia, per ragioni talmente lampanti che non meritano ch'io mi ci soffermi.

Voglio dire che in Russia non esistono le Meloni, i La Russa, i Gasparri, le Mussolini, le Santanchè: da Zjuganov a Žirinovskij, passando per Putin e Mironov, ma anche per personaggi strani come Prochorov o la Chakamada, sono tutti fieramente e sinceramente antifascisti e riconoscono il merito non solo del popolo sovietico, ma dei comunisti in particolare, nell'aver liberato l'Europa e il mondo dalla peste nazifascista.

Ecco perché condivido il risentimento di molti italiani in Russia: non qui, non ora, non il 9 maggio.

lunedì 18 aprile 2016

Democrazie a confronto

Nonostante la guerra, alle elezioni politiche in Siria ha votato oltre il 57%.

In Italia, dove hanno dimenticato a quale prezzo di sangue sia stato conquistato il diritto di voto, al referendum sulle trivelle ha votato appena il 32%, contravvenendo alla Costituzione su invito del capo di governo non eletto ed invalidando il parere dell’86% degli italiani.

Ciascuno ha i governanti che merita.

All'estero, ha votato il 20% degli italiani, 19% in Europa, e persino in Russia, dove la metà è stata privata del voto per non aver ricevuto il plico elettorale (un caso?), il 21% si è scomodato di andare alla posta o, più probabile, di recarsi personalmente al Consolato.

Giusto per la cronaca, nella monarchica Olanda due settimane fa si è svolto un referendum contro l’associazione dell’Ucraina all’Unione Europea.

Ha votato anche lì appena il 32%.

Solo che da loro la soglia di validità è il 30%, quindi prevale il 62% dei votanti che hanno bocciato l’associazione.

La Germania ha già detto che se ne frega…

giovedì 2 luglio 2015

Questione di lingua

Mi stavo facendo un ragionamento sull'Ucraina, così, by the way, tra gli altri.

Fondamentalmente, cosa contrappongono i numerosi media mainstream occidentali e conseguentemente una cospicua fetta di popolazione dell'Occidente ("l'ha detto la televisione...")?

Di base, l'integrità territoriale ucraina e il diritto ad avere una lingua nazionale (cosa che, peraltro, nessuno ha mai contestato).

Bene.

Per il primo punto, sono nato in uno Stato che non esiste più (la Cecoslovacchia) e sono parzialmente cresciuto in uno Stato che non esiste più (l'Unione Sovietica).

Non m'interessa discutere, in questo contesto, di URSS, ma ricordo che i cecoslovacchi diedero una lezione di civiltà a tutto il mondo, quando, compiendo una scelta che personalmente ritengo sbagliata, si divisero per via parlamentare nel 1992 in repubblica Ceca (perché in italiano non chiamarla Cechia?) e Slovacchia.

Non fu sparsa nemmeno una goccia di sangue.

Ecco perché auspico una piccola Russia (Malorossija, l'Ucraina) ed una nuova Russia (Novorossija, la Russianova), senza che si ammazzino vecchi, donne e bambini (guardacaso, solo da una parte, mica da entrambe).

Per la questione linguistica, senza nemmeno scomodare i trentini (col tedesco e ladino), i valdostani (col francese) e i siciliani (con l'albanese), i friulani (col friulano medesimo e lo sloveno), i sardi (col catalano, il tabarchino, il sassarese e il gallurese) e i veneti (sempre col ladino), tralasciando gli infiniti dialetti (mi sono limitato alle lingue riconosciute), per l'art.6 della Costituzione della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista, né i polacchi, col bilinguismo lituano, tedesco, casciubo, bielorusso, ne i francesi con l'alsaziano, né gli sloveni e i croati con l'italiano, né gli spagnoli col catalano e il basco, né, infine, i belgi e i canadesi, ricordo che nei medesimi Stati Uniti (artefici della mattanza ucraina, giova ricordarlo) esiste una miriade di Stati in cui il bilinguismo è legge (Ungheria, Russia, buona parte degli Stati ex sovietici...).

In Louisiana, per esempio (la Patria di Louis Armstrong), francese ed inglese, con pari dignità.

Idem nelle Hawaii con l'hawaiiano e nel Nuovo Messico con lo spagnolo.

Lo spagnolo è la lingua madre del 12% della popolazione, con status speciale nel Nuovo Messico e ufficiale a Porto Rico; seguono per numero di parlanti cinese, francese (Louisiana, Maine), tedesco, tagalog, vietnamita, italiano.

L'inglese è ufficiale in 28 dei 50 Stati dell'Unione.

Perché allora quel che è consentito agli yankee non è consentito agli ucraini?

domenica 14 settembre 2014

L'Italia non aderisca alle sanzioni contro la Federazione Russa

Noi, cittadini italiani residenti in Russia, italiani in Italia che intrattengono rapporti professionali con la Russia, e più in generale persone che hanno a cuore i rapporti economici, politici, culturali ed umani tra i nostri due Paesi, esprimiamo la nostra forte preoccupazione e il nostro disappunto per l’estremizzazione del confronto tra Russia ed occidente, che ha già provocato consistenti perdite economiche ed un indebolimento della nostra posizione nel mercato russo, conquistata con una lunga storia di amicizia e di integrazione sociale e professionale.

Assistiamo ad una strategia di comunicazione strumentale ad opera della maggior parte degli organi di informazione italiani ed europei, guidata da posizioni nostalgiche di antiche contrapposizioni ideologiche che speravamo fossero superate da anni.

Il danno è estremamente elevato: nel solo settore agroalimentare perderemo circa 400 milioni di euro nell’esportazione verso la Russia. L’Italia era al secondo posto tra i Paesi europei nei rapporti commerciali con la Russia. Questa perdita potrebbe diventare strutturale ed irreversibile: la Russia non è un Paese autarchico, sostituirà l’Italia con nostri concorrenti del BRICS e dell’America Latina, e ci vorranno decenni per ritornare ai livelli attuali di interscambio. Un interscambio che nel solo primo semestre del corrente anno registra un calo del 6%, parliamo di mezzo miliardo di euro.

Perderemo le opportunità che i crescenti investimenti nel settore petrolifero avrebbero garantito per i prossimi decenni a numerosi contrattisti italiani, che offrono servizi e macchinari a numerose Società anche straniere che operano in Russia.

L’adozione di misure di sanzionamento delle maggiori banche russe e l’impossibilità di ricorrere da parte di queste ultime a linee di finanziamento a lungo termine comporterà tra le altre cose la difficoltà di molti italiani a vedere confermate le lettere di credito.

La posizione dell’Europa – e, con nostro rammarico, del nostro governo – alimenterà quel clima di sfiducia e diffidenza che porterà a contrapposizioni da cui nessuno trarrà beneficio.

State distruggendo decenni di lavoro, di investimenti e di collaborazione proficua e soprattutto di quel clima di rispetto e di considerazione di cui noi italiani abbiamo goduto da sempre.

Vi invitiamo ad un maggiore equilibrio e ad una più marcata autonomia del nostro Paese. Il rappresentante dell’UE a Mosca è l’ambasciatore lituano Vygaudas Ušackas, il rappresentante dell’UE a Kiev è l’ambasciatore polacco Jan Tombiński. E’ così che l’Unione Europea pensa di costruire la sua diplomazia? Qui non è questione di destra o sinistra: se in Italia e Francia governa il centro-sinistra, in Germania, Inghilterra, Spagna, governa il centro-destra, giusto per citare i Paesi più rappresentativi. E non gli Stati Uniti a dover stabilire cosa debba o non debba fare l’Europa con la Russia.

Ci rendiamo conto che confidare in una posizione “fuori dal coro” dell’Italia possa sembrare ambizioso e fantasioso. La storia insegna che, talvolta, il mondo cambia per le scelte coraggiose di qualcuno che agisce per primo, e l’Italia è appena entrata nel suo semestre di Presidenza dell’UE. In fondo, la Francia, cofondatrice della NATO, ebbe il coraggio di uscirne nel 1966 con De Gaulle, rientrando solo nel 2009 con Sárközy. L’Inghilterra, pur facendo parte dell’UE, non ha mai rinunciato alla propria valuta nazionale.

Non stiamo invitando ad uscire dalla NATO, dall’UE o dalla zona euro: ciò esula dalle nostre competenze. Tuttavia, se persino la Finlandia, membro anch’essa dell’UE, ha ora assunto una posizione ufficiale contro le sanzioni, che la danneggiano, non vediamo perché non possa farlo l’Italia. Ci state mettendo in ginocchio, in un momento in cui anche senza sanzioni in Italia si parla di recessione, di disoccupazione che sfiora il 13%, raggiungendo il 43% tra i giovani, di fallimento delle imprese (40 ogni giorno). Vi stiamo dunque invitando a fare una cosa semplice: fare gli interessi di quel Paese a governare il quale siete stati chiamati.

Per firmare, condividere e diffondere questa petizione, cliccate qui.

domenica 6 luglio 2014

Fascisti a Slavjansk

Ieri i fascisti sono entrati a Slavjansk. Cosa accadrà nelle prossime ore, quanti bambini innocenti moriranno, lo sappiamo tutti. Ma stiamo zitti. Non diciamo una parola! Ho acceso il telegiornale russo. La prima notizia è che è morto il metropolita ucraino della chiesa ortodossa. Poi, ovviamente, si parlava di Ucraina, ed in particolare di Nikita Michalkov, che è contro l’ingerenza della Russia negli affari interni dell’Ucraina. Non una parola su Slavjansk. A tutto c’è un limite. Da qui in avanti non capisco più. Torna alla memoria il 2008, l’Ossezia e l’Abchasia. No, non sto invocando l’occupazione. Anche nel 2008 non c’è stata una guerra: ci hanno sparato, siamo entrati, gli abbiamo dato due ceffoni (da un punto di vista militare, questo è stato, nulla di più), gli abbiamo spiegato a modo che non è il caso, e ce ne siamo andati. Non ci hanno più provato, i fascisti. E anche i loro fautori euroccidentali, che avevano scatenato tanta canea, di punto in bianco, hanno taciuto. Ora è tutto il contrario.

L’altroieri, dopo l’ennesimo viaggio di lavoro (per inciso, in un Caucaso settentrionale assolutamente pacifico), sono tornato in dacia in provincia di Mosca, dalla famiglia, da mia moglie, che amo, dai miei figli, che adoro. Ho fatto la brace, e sono arrivati i bambini di tutti i vicini. Ieri, quando ho saputo di Slavjansk, ho immaginato un bombardamento. Finito, niente più bambini, né i miei, né altrui.

In questi giorni, ho letto un articolo. L’autore ha pienamente ragione: se sarà guerra, a causa di quelli come me, chi spiegherà alle madri dei soldati russi che moriranno che i loro figli non torneranno mai più? Ed io però chiedo all’autore e a tutti i pacifisti tout court: chi spiegherà alle madri dei bambini ucraini sudorientali che i loro figli sono morti per niente? Davvero siete convinti che a star zitti come cenci si arrangia tutto? Possibile che non è chiaro, come ottant’anni fa, che poi ci sarà Belgorod, Rostov sul Don, Stavropol’, Krasnodar? Che attaccheranno la Crimea e Sebastopoli, che poi ci si aggrega pure la Georgia, e non sarà più solo Suchumi e Cchinvali, bensì Vladikavkaz, Nal’čik? Ricordo che vent’anni fa potevamo solo chiedere perdono ai serbi per non averli difesi. Eravamo deboli. Ma ora?

Sì, capisco: se solo ci proviamo, sarà guerra, quella vera, e gli USA non aspettano altro. Se invece non entriamo? La scansiamo? E’ solo una questione di tempo. Dico di più: l’unica speranza è che ci mostriamo decisi e gli statunitensi non si decidono, poiché la guerra l’hanno sempre fatta a casa d’altri, ora dalla parte della ragione (Prima e Seconda guerra mondiale), ora da quella del torto (Corea, Vietnam, l’America Latina in toto – quella centrale e quella del Sud – Medio Oriente, Algeria, Afghanistan, Iraq, Jugoslavia, Egitto, Libia…). E’ ormai un’altra epoca: se entrano in Russia, moriranno decine di milioni di persone. E altrettanti da loro. Lo sanno. Dovranno pensarci per forza.

Insomma, non so che pensare. E’ da un pezzo che non sono più un politico. Eppure, non si può osservare con indifferenza la pulizia etnica in atto letteralmente a poche centinaia di chilometri da noi. Non è giusto, proprio non è possibile. Ovviamente, se ci riteniamo esseri umani. Centinaia di arsi vivi, cantava Muslim Magomaev a proposito di Buchenwald. E a me torna in mente Odessa.

domenica 26 gennaio 2014

Euromajdan, c'è chi dice no

Nei social network si sta propagando esponenzialmente un appello di un gruppo di cittadini ucraini che smentisce l’opinione diffusa per la quale nel conflitto ucraino si contrappongono da una parte le autorità filorusse, e dall’altra il popolo amante della libertà. Ai miei lettori occidentali giungono notizie esclusivamente di una parte sola: non vi è menzione del fatto che stiamo parlando di un governo legittimo democraticamente eletto e di un raggruppamento bene organizzato, talvolta anche bene armato. In nome dell’obiettività ritengo utile ed equanime far conoscere a chi mi legge un punto di vista diverso, affinché ciascuno possa farsi un’idea disponendo di tutte le informazioni necessarie.
A TUTTI I FAUTORI DELL’EUROMAJDAN! Noi, cittadini dell’Ucraina, esigiamo che nei vari Majdan del Paese nei vostri diversi appelli scritti ed orali voi non parliate a nome nostro, e cioè in nome di tutto il popolo. Non dovete usare espressioni come “tutta l’Ucraina” e “tutti gli ucraini”! I vostri appelli debbono esprimere la vostra volontà, mentre noi la nostra la esprimeremo con un referendum. Noi non abbiamo organizzato i pogrom, non abbiamo distrutto con voi i monumenti, non abbiamo smontato le piazze, non abbiamo preso d’assalto né occupato i palazzi, non abbiamo massacrato i reparti del “Berkut”! Non abbiamo preso illegalmente il potere! Non abbiamo partecipato al vostro fianco all’euroillegalità sfrenata! E’ ora di finirla di incorporarci tra le vostre file! Noi, cittadini d’Ucraina, esprimiamo la nostra sfiducia ai vostri capi arruffapopoli, deputati del Parlamento ucraino, Arsenij Jacenjuk, Vitalij Kličko ed Oleg Tjagnibok! Noi non gli affidiamo la nostra vita e quella dei nostri figli! Chiediamo all’amministrazione del Paese di mobilitarsi e proteggere il proprio popolo dall’euroillegalità, da individui armati in odor di fascismo che vogliono far sprofondare il nostro Paese nel caos. Chiediamo risolutamente di organizzare un referendum panucraino, che siamo pronti a promuovere, affinché il popolo possa esprimere la SUA volontà, non la volontà di Tjagnibok, Kličko e Jacenjuk! Via la trojka dell’opposizione! No all’uso fazioso del nome di tutto il popolo! Noi esistiamo, e siamo contro quelle proteste che sfociano in disordini nella capitale e nelle regioni, che seminano odio e sono sostenute da politici europei e americani! Noi abbiamo una nostra posizione e la difenderemo! Vogliamo vivere in un’Ucraina di pace, dove la gente possa dormire sonni tranquilli. Ci rivolgiamo agli uomini di buona volontà: se non è troppo oneroso, fate un repost su tutte le vostre pagine in internet!

Il testo originale:

«ВСЕМ ПОКЛОННИКАМ ЕВРОМАЙДАНА! Мы, граждане Украины, требуем, чтобы вы на Майданах страны в любых своих обращениях, устных или письменных не высказывались от нашего имени, т.е. от имени всего народа. Не следует заявлять «вся Украина», «все украинцы»! Ваши обращения должны выражать вашу волю, а свою мы выразим на референдуме. Мы не устраивали погромы, мы с вами не ломали памятники, не разбирали площадь, не захватывали зданий, не избивали «Беркут'»! Не захватывали незаконно власть! Мы не участвовали в евробеспределе рядом с вами! Хватит приобщать нас к вашей численности! Мы, граждане Украины, выражаем полное недоверие вашим вождям-смутьянам, депутатам ВР Украины: А.Яценюку, В.Кличко, О.Тягнибоку! Мы не доверяем им свою жизнь и жизни своих детей! Просим руководство страны обратить внимание и оградить свой народ от европроизвола, от фашистски настроенных вооружённых людей, ввергающих нашу страну в хаос. Убедительно просим всеукраинский референдум, который мы согласны инициировать, чтобы народ мог выразить СВОЮ волю, а не волю Тягнибока, Кличко, Яценюка! Геть - тройке оппозиции! Нет - недобросовестному использованию имени всего народа! Мы есть! И мы против протестов, которые оборачиваются беспорядками в столице и регионах, которые сеют вражду и поддерживаются европейскими и американскими политиками! Мы имеем свою позицию и мы будем её защищать! Мы хотим жить в мирной Украине, где люди смогут спать спокойно. ЛЮДИ ДОБРЫЕ, ЕСЛИ ВАС ЭТО НЕ ЗАТРУДНИТ ДЕЛАЙТЕ ПЕРЕПОСТ НА КАЖДОЙ СТРАНИЦЕ!».

sabato 7 dicembre 2013

Ucraina, terra di conquista per l'UE

Durante la conferenza stampa di Letta e Putin a Trieste il 26 novembre 2013, fui proprio io a svolgere la traduzione simultanea sul canale televisivo russo di Stato Russia 24. Voglio dire che so di cosa sto parlando. Per ovvie ragioni di spazio, non posso riportare per intero l'intervento di Putin. Voglio però citarne alcuni passaggi, quelli relativi alle vicende ucraine, a seguito della scontata domanda del corrispondente RAI Alessandro Cassieri.

L’Ucraina è uno Stato sovrano, deve decidere autonomamente. Per quanto riguarda le asperità fra Mosca e Bruxelles, forse è proprio qui che sono insiti tutti i problemi. Mi permetto di esplicitare qui le nostre posizioni sulla vicenda. Tra la Russia e l’Ucraina è stato firmato ed è in vigore un accordo sulla zona di libero commercio. Ciò significa che su tutta una serie di posizioni doganali chiave i tassi sono azzerati. In tale accordo è stabilito che se una delle parti sigla accordi con una parte terza, qualunque altro Paese partecipante all’accordo sulla zona di libero commercio ha diritto di recedere dall’accordo stesso, oppure di ritirare quelle agevolazioni che vengono concesse al Paese partner nell’ambito di questo accordo.

Se l’Ucraina firma un accordo sulla costituzione di una zona di libero commercio con l’Unione Europea, essa si assume l’obbligo, e non sono sicuro che lo sappiate, due mesi dopo la firma, di ridurre i tassi doganali dell’85%, e due anni dopo addirittura del 95%. Ciò significa che se noi dovessimo mantenere l’accordo di libero commercio con l’Ucraina, abbiamo tutte le ragioni per ritenere che le merci europee, attraverso l’Ucraina, giungeranno direttamente sul nostro mercato, o come merci europee, o ufficialmente come merci ucraine. Per la nostra economia, ciò costituisce una minaccia reale.

Ecco perché chiederei ai nostri amici a Bruxelles, ai miei buoni amici personali della Commissione Europea, di astenersi da certe brusche affermazioni. Che cosa dobbiamo fare per compiacere loro, strozzare interi settori della nostra economia? In taluni Paesi europei attualmente la disoccupazione ha raggiunto il 25%, ed il 40% tra i giovani. Nella Federazione Russa, la disoccupazione costituisce il 5,2-5,3%, tra le più basse della nostra storia recente.

Ritengo che si debba depoliticizzare questo tema e concordare con la proposta del Presidente Janukovič e discutere tutti gli argomenti in formato trilaterale.

Come che sia, la scelta con chi firmare accordi di libero commercio, di rimanere nella zona di libero commercio con la Russia o meno, è una scelta sovrana dell’Ucraina stessa, e non c’è dubbio alcuno che rispetteremo questa scelta, quale che sia.

Ecco invece come riassume le dichiarazioni di Putin il mensile Russia Oggi, inserto de la Repubblica, in un suo redazionale (quindi, senza firma):

Putin ha affermato che “Kiev non può siglare accordi di libero scambio con l’Europa senza passare per il beneplacito della Russia”, visto che “così era stato deciso negli accordi firmati tra l’Ucraina e la Federazione solo pochi mesi fa”.

Incommentabile, senza scadere nel turpiloquio. Limitiamoci a dire che virgolettare delle affermazioni significa attribuirle, e se non corrispondono al vero, ciò è perseguibile penalmente, non si tratta più di opinioni del giornalista.

La Russia farebbe pesanti pressioni sull’Ucraina. Cosa dire di Barroso, che rifiuta la trilaterale in quanto ingerenza? Lo era anche quella degli Stati Uniti a Teheran nella Seconda guerra mondiale? O in Corea, in Vietnam, in Jugoslavia, in Afghanistan, in Iraq, in Libia, attualmente in Siria? Che dire di noti leader politici non solo lituani, ma soprattutto polacchi e segnatamente tedeschi che, anziché partecipare alla riunione dell’OSCE a Kiev, scendono in piazza e addirittura intervengono dal palco? Cos’è, una manifestazione di internazionalismo proletario?

Vedo i canali satellitari ucraini ed italiani riprendere le ragazzine più carine e definirle rivoluzionarie. No. Un rivoluzionario era Lenin, era Ernesto Guevara, era Nelson Mandela. Queste sono delle manifestanti. Soprattutto considero rivoluzionari chi lotta contro una dittatura, e trovo invece golpisti chi si presenta a libere elezioni democratiche, le perde e allora cerca di prendere il potere con la forza. Così è stato con Juščenko pochi anni fa, nel 2006 – e anche lì l’Unione Europea si è distinta, quanto a ingerenze – così è anche adesso, con il simbolo Timošenko, che invece in galera ci è finita perché avrebbe firmato dei contratti di fornitura gas troppo vantaggiosi per i russi. Insomma, i problemi ucraini sono tutti interni all’Ucraina stessa, sarebbe il caso di lasciare loro il privilegio di risolvere i problemi domestici senza i vari Kaczyński (il polacco più conservatore, cattolico e nazionalista che ci sia) e il liberista tedesco Westerwelle, ministro degli esteri, autore della decurtazione del welfare in Germania.

Su tutto questo il 6 dicembre 2013 presso la redazione italiana della radio di Stato russa La Voce della Russia si è svolta una interessante tavola rotonda, a cui ho partecipato, che consiglio vivamente di ascoltare a chi mi legge.

lunedì 8 febbraio 2010

Chi è filocosa

La Stampa, ore 18:24, 7 febbraio 2010: Ucraina, il filo russo Yanukovich scalza la premier Tymoshenko.

Repubblica, ore 19:07, 7 febbraio 2010: Yanukovich annuncia la vittoria. L'Ucraina all'opposizione filorussa.

Corriere della sera, ore 20:21, 7 febbraio 2010: Il leader dell'opposizione filorussa in vantaggio. Ma Iulia Timoshenko per ora non riconosce la sconfitta.

l'Unità, ore 20:36, 7 febbraio 2010: il leader filo-russo del Partito delle Regioni, Viktor Yanukovich, avrebbe vinto le elezioni presidenziali svoltesi oggi in Ucraina, sconfiggendo il premier Yulia Timoshenko.

Perché riporto questa breve rassegna di titoli ed incipit di giornali progressisti italiani? Perché voglio farvi riflettere sulle ragioni per le quali Viktor Janukovič (è così che si scrive, smettiamola anche con la traslitterazione "creativa") è sempre e comunque un uomo di Mosca e, sottinteso, di Putin ("filorusso", appunto), mentre Julija Timošenko (è così che si scrive) è solo la Presidente del Consiglio dei Ministri (la "premier", come piace dire ai giornalisti, all'opposizione e ai governanti italiani), non una parola sul fatto che sia talmente filo-occidentale da essere filo-yankee, smaniosa di entrare nella NATO.

Già che ci sono.

Gorbačëv (accento sulla "ë", non sulla "o")

El'cin (non Yeltsin et similia)

Medvedev (accento sulla seconda "e", non sulla prima)

Janukovič (accento sulla "o", non sulla "u")

Černobyl' (accento sulla "o" alla ucraina o, al limite, sulla "y" alla russa, ma comunque assolutamente non sulla "e" come si usa in Italia)

Kiev, Moldavia (in italiano, non traslitterando dall'ucraino e dal moldavo rispettivamente Kyiv e Moldova). Anche Nizza, in russo, resta Nizza, non diventa Nice, poiché il nome era noto da prima che nascesse Garibaldi.

sabato 16 gennaio 2010

Obama arancione

Con Obama cambia solo il volto, non le mire di questi mormoni figli dei peggiori delinquenti europei. Le rivoluzioni arancioni erano (sono?) come il pseudosocialismo che qualcuno pensava di esportare in tutto il mondo. Solo che, prima o poi, se si insiste troppo, qualcuno capisce il giochino e s'incazza. Dunque, dopo gli esperimenti infelici in Polonia nell'81 e in Cina nell'89, è una sequela di successi: '89 RDT, Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria, Bulgaria, Romania; '90 Jugoslavia; '91 URSS, Tadžikistan, Cecenia, Tataria; '93 Russia; '94 Kazachstan; '98 Armenia; '99 Serbia, Cecenia; '04 Georgia, Ucraina, Inguscezia; '05 Kirgizia; '09 Inguscezia. Ma più passano gli anni, più spesso il gioco s'inceppa: '94 Tataria; '95 Kazachstan; '97 Tadžikistan; '03 Armenia, Azerbajdžan; '04 Transnistria, Cecenia; '05 Uzbekistan;'06 Bielorussia; '08 Ossezia meridionale, Abchasia; '09 Moldavia. Basta prendere in mano una piantina geografica euroasiatica - meglio se correlata dei vari gasdotti esistenti ed in costruzione - per rendersi conto dell'accerchiamento perpetrato: qualcuno con una materia cerebrale estremamente semplificata, al Pentagono, evidentemente pensava e pensa di giocare a Risiko.

I tanti nostalgici ex filosovietici rimproverano a Gorbačëv di essere stato troppo blando, dimenticando che la guerra fredda l'ha persa chi per primo ha finito i piccioli, altro che politica, torti e ragioni. Obama, come Gorbačëv un quarto di secolo prima, ha ereditato la fine della festa, e deve fare buon viso a cattivo gioco: chi li paga i golpisti, il disoccupato dell'Oklahoma?

sabato 22 agosto 2009

Si fa per dire?

Sul venerdì di Repubblica del 21 agosto 2009, leggo un ennesimo stravolgimento della realtà, perpetrato con accanimento, incessantemente, consapevolmente. Per spiegare a cosa io mi riferisca, chiedo scusa a Piero Ottone se prendo a prestito il suo incipit dall’articolo nella medesima pubblicazione, ma su tutt’altro argomento:

Direte che mi ripeto, e avete ragione. Ma si ripetono anche gli eventi dei quali scrivo, e che vorrei che non si ripetessero.

Ebbene, nella sezione Esteri tale Alessandro Carlini racconta il restyling dell’Aeroflot. Hostess avvenenti, gonne accorciate e rinnovo, “si fa per dire” (parole sue) della flotta.

Sulle tratte europee internazionali non si ricorda aereo dell’Aeroflot che sia mai caduto, cosa che non si può dire dell’Alitalia (ricordate l’aereo caduto sulle Alpi al confine con la Svizzera?), ma è un vecchio discorso: se cade un aereo di Air France, cade un aereo della Air France, non della McDonnell Douglas statunitense. Se invece cade un Tupolev degli anni ’70 in Africa, mai revisionato da, che so io, Air Uganda, allora è caduto un aereo russo.

Come che sia, l’Aeroflot dispone di 104 aerei (l’Alitalia di 155, compresi i 57 di Air One, in un Paese grande un cinquantaseiesimo della Russia, a proposito di sprechi), di cui 11 Boeing 767 (l’Alitalia 6), 26 Tupolev 154, 6 Il'jušin 96, 15 A319 (l’Alitalia 12), 31 A320 (l’Alitalia 44), 10 A321 (l’Alitalia 23) e 3 A330 (l’Alitalia 2). Inoltre, l’Alitalia annovera 1 Avro RJ70, che non si producono dal 2003 (ne sono caduti 13), 6 Embraer 170 (72 posti, 850 km/h, analogo del Bombardier e del Super Jet Suchoj-Alenia, vedi sotto), 10 Bombardier CRJ900 (90 posti, 850 km/h), 18 Boeing 737 (ne sono caduti 147, infatti il Business Week lo ha dichiarato l’aereo più pericoloso del mondo) e 10 Boeing 777, 11 MD 80 e 12 MD 82, che non si producono dal 1999, essendone caduti 25 (e qui, al posto degli italiani, mi toccherei nelle parti basse: il Boeing 737 è il suo degno erede). Nel 2009 l’Aeroflot riceverà complessivamente 18 A320 e 6 A330. Dal 2016 (probabilmente il pennivendolo di Repubblica si riferiva a questo), l’Aeroflot riceverà 22 A350 e 22 Boeing 787. A breve dovrebbero arrivare anche 30 SSJ-100, alla cui costruzione ha partecipato anche la Finmeccanica e la Alenia, che evidentemente il pennivendolo ritiene dei fessi. Tanto fessi che è stata confermata documentalmente l’intenzione di acquistarne ulteriori 20.

ModelloAeroflotAlitaliaInizioFine
Avro RJ1700119782003
Embraer 170062002-
Bombardier CRJ9000101991-
Tupolev 15426019682007
Il'jušin 96601993-
MD 8002319801999
Boeing 7370181968-
Boeing 7671161982-
Boeing 7770101995-
Airbus A32056791987-
Airbus A330321992-

Sulla medesima pagina, a conferma (di cosa?), ci informano – questa è grossa, infatti non è firmato – che il 24 agosto è la festa dell’indipendenza dell’Ucraina e della Moldavia dalla… Russia. Stiamo parlando del 1991, appena 18 anni fa, e invece confidano già nella memoria corta degli italiani. Fu quello scellerato di El’cin, fin dalla fine del 1990, a spingere per la secessione della Russia dall’Unione Sovietica, creando non poco imbarazzo alle rimanenti 14 repubbliche, che rischiavano di diventare tante piccole enclave. Nell’agosto 1991 ci fu il tentativo di colpo di Stato, a seguito del quale il 26 dicembre l’URSS cessò di esistere. Il 1° dicembre, 25 giorni prima (non il 24 agosto, quando lo decise il Parlamento), in Ucraina si svolse un referendum per la secessione, cosa peraltro prevista dalla Costituzione sovietica (articolo 72). In quel periodo, seguirono l’esempio della Russia un po’ tutte.

Repetita juvant: secessione dall’URSS, non dalla Federazione Russa, che era solo una delle quindici, anche se la più grande. Il giorno che Bossi attuasse i suoi piani criminali, andrebbe via dall’Italia, non dal Lazio, con buona pace di “Roma ladrona”.

venerdì 21 agosto 2009

Ucrainizzazione

Trovandomi in ferie a Pescara, mi sono imbattuto casualmente nell’orario dei voli dell’aeroporto abruzzese. Ho scoperto così che le uniche due destinazioni europee extra-UE sono Kiev e Leopoli.

Breve digressione. Insisto nella corretta dizione italiana di queste due città, non Kiyv e L’viv, esattamente come, in italiano, si dice Londra, Parigi, Zurigo, Zagabria, Fiume, non siete andati a London, Paris, Zürich, Zagreb, Rijeka.

Torniamo all’aeroporto. Dunque, Ucraina, ma non Russia. Vengono più ucraini che russi? Gli abruzzesi preferiscono andare in Ucraina piuttosto che in Russia? Probabili entrambe le cose. Soprattutto, perché con l’Ucraina c’è il volo diretto. Le badanti sono soprattutto ucraine? Beh, non vedo frotte di badanti ucraine d’alto bordo solcare i cieli abruzzesi.

I giornali italiani hanno pubblicato un rapporto della svizzera UBS sul costo della vita nei vari Paesi del mondo. Tra le città citate dai giornali, per ovvie ragioni, Roma e Milano, le varie città UE, e poi un po’ di città sparate a casaccio. Gli USA, e anche questo è logico, ma anche Tokyo, Johannesburg, Bogotà, Kuala Lumpur, Manila. E, indovinate? Kiev. Niente Mosca e San Pietroburgo.

Parliamo allora di cifre. In Italia, sono residenti 130 mila ucraini. In Ucraina, risiedono 322 italiani (258 famiglie). In Russia, ne risiedono 1.441 (1.018 famiglie). In compenso, l’Italia esporta 10 ed importa 16 milioni di € dalla Russia. I dati ucraini sono talmente irrisori da non essere presi in considerazione nemmeno dall’ISTAT.

Sia ben chiaro, il mio non è un problema di lesa maestà, di simpatie russe ed antipatie ucraine. Però dalle cifre che ho riportato appare ben evidente cosa sia importante per l’Italia e cosa no. E non è questione di gas.

Ogni tanto, i soliti dilettanti che i giornali italiani inviano a Mosca con la qualifica altisonante di corrispondenti, tirano fuori la solita balla di Mosca città più cara del mondo. Quale occasione migliore, questa del rapporto UBS, per far capire qualcosa al lettore italiano? Macché.

Capita anche a me, talvolta, di sentire italiani, sia stanziali che di passaggio a Mosca, lamentarsi rispettivamente dei 6.000 € di affitto mensile o dei 200 € a testa per cenare. Poi si scopre che parliamo di 120 mq sul Nuovo Arbat, che è come dire via del Corso a Roma o via Manzoni a Milano, e che la cena era nel corrispettivo del Savini… I russi “normali” mangiano a più non posso in trattoria a 30 €, magari anche pasteggiando a vodka, e vivono prevalentemente in bilocali di epoca sovietica da 50 mq, di cui sono quasi tutti proprietari. Personalmente, vivo nelle medesime condizioni, pagando 700 € di affitto.

sabato 10 gennaio 2009

Capire l'Ucraina

di Aleksandr Sabov

(L’autore di questo articolo, scritto a caldo nel 2004 ai tempi della cosiddetta rivoluzione arancione, ma che, in una situazione che si è ripresentata senza via di uscita, sembra quasi scritto nel 2007, alla vigilia delle nuove elezioni, è un giornalista russo esperto di politica internazionale, che è stato per molti anni corrispondente da Parigi prima della Komsomol’skaja pravda e poi della Literaturnaja gazeta. Per nascita, Sabov proviene dalla Galizia, una regione situata all’incrocio tra più nazioni. In uno dei suoi libri, ha raccontato dello strano destino di sua sorella, che, senza essersi mai mossa dal proprio villaggio, si è trovata ad essere, nel corso della sua vita, cittadina austriaca, polacca, ungherese, cecoslovacca e sovietica. Oggi, dopo il crollo dell’URSS, supponiamo sia cittadina ucraina. L’articolo di Sabov riflette abbastanza fedelmente le posizioni russe sull’argomento, che naturalmente sono diverse da quelle di molti autori ucraini).

Ormai è da più di un mese che rimaniamo incollati davanti alla televisione e soffriamo per l’Ucraina. E’ dunque vero che il Paese si trova sull’orlo della scissione? E’ già tornata la “rivoluzione castana”, o si è temporaneamente allontanata fino al terzo turno di elezioni? Ad ogni modo, in Ucraina occidentale, dove si trova la potente Chiesa greco - cattolica, l’ultima tappa della campagna elettorale coinciderà con il Natale. I propagandisti “arancioni” sono già in giro per le campagne, dove entrano nelle case a recitare poesie natalizie: “Si siedono a tavola, non bevono e non mangiano, dànno consigli…”.

Nel suo famoso saggio Kak nam obustroit’ Rossiju (Come possiamo sistemare la Russia), uscito un anno prima del dissolvimento dell’URSS, Aleksandr Solženicyn (“Io stesso per poco non sono per metà ucraino”) pensava, con un senso di dolore lacerante, proprio all’Ucraina e alla Russia con i loro venti milioni di parenti dall’una e dall’altra parte! Un anno fa abbiamo letto il libro Ukraina – ne Rossija (L’Ucraina non è la Russia) del Presidente Leonid Kučma, scritto al termine del suo decennale mandato. Ciò che più lo preoccupava era l’“incompiuta auto-identificazione degli ucraini”. Ricordiamo anche un vecchio dibattito, svoltosi in occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Taras Ševčenko, quando anche la Russia, dopo l’Ucraina, aveva cominciato a cantare il suo Zapovit (“Quando morirò, seppellitemi… Seppellitemi e alzatevi, liberatevi con il sangue dei nemici, conquistate la libertà”). Un famoso giornalista della rivista Novoe vremja (Tempi nuovi), Michail Men’šikov, così si espresse a questo riguardo (Pis’ma k russkoj nacii, 1914):

«C’è da chiedersi quali “nemici” avesse l’Ucraina ai tempi di Ševčenko cinquanta anni fa. Di certo, non più i polacchi e non più i tartari. Anche a non voler considerare gli altri attacchi politici dei “parenti” di Taras, era chiaro che gli unici nemici che popolassero allora la sua fantasia erano i “moscali” [i moscoviti], che avrebbero tenuto l’Ucraina in prigione e gli ucraini in catene [kajdany]. Era vero tutto ciò? E’ stato vero allora o in qualsiasi altro momento della storia? … Forse, l’annessione della “Piccola Russia” alla “Grande Russia” nel XVII secolo avvenne in qualche modo con la forza, ma a forzarla non furono i “moscali”, bensì i polacchi, i giudei, i turchi, i tatari… Dov’è la vostra schiavitù, dove sono le catene, dov’è l’urgente necessità di cospargere l’intero Dnepr di sangue grande-russo?».

Un punto fermo su questa discussione dimenticata venne posto a suo tempo da una trojka itinerante della VČK (1): nel 1918 il “černosotenec” [membro dell’organizzazione di estrema destra dei “Cento neri”] M. O. Men’šikov venne fucilato sulla riva del lago Valdaj, vicino alla sua dača. Oggi, dopo 75 anni, è stato riabilitato. Gli estimatori del suo talento, in collaborazione con il museo cittadino di Valdaj, hanno organizzato un ciclo patriottico di letture intitolato Men’šikovskie čtenija e si stanno adoperando affinché vengano ripubblicati i suoi libri.

Sono tante le spine di questo genere rimaste infisse nella memoria dei nostri popoli durante la vita vissuta in comune all’interno degli imperi russi. Ma adesso vogliamo soffermarci sugli ucraini: come si evolvono oggi i loro rapporti?

I nuovi “federalisti”

Già durante la prima presidenza di Leonid Kučma, trenta storici ucraini avevano scritto un’opera imponente, Ukrainskaja gosudarstvennost’ v XX veke (L’ordinamento statale ucraino nel XX secolo). Il libro inizia così:

“Per fortuna o per sfortuna, nel XX secolo il socialismo è stato l’ideologia più influente in Ucraina. A partire dai primi tentativi di fondazione dei partiti politici nelle zone a nord del Dnepr, proprio all’inizio del secolo, passando attraverso la guerra di indipendenza del 1917-1922 e fino al crollo dell’URSS, il movimento politico ucraino e tutti i governi ucraini (o pseudo - ucraini) sono stati socialisti”. L’autore di queste righe è James E. Meis, importante collaboratore scientifico dell’Istituto di Relazioni nazionali e di Politologia dell’Accademia delle scienze ucraina, il quale sottolinea anche che gli ucraini sono sempre stati dei “sognatori federalisti”. Né si deve dimenticare che il “padre della nazione” Michail Gruševski, famoso storico nonché primo Presidente della Repubblica Popolare Ucraina, eletto dalla Rada centrale (2), un’assemblea che non era stata eletta da nessuno, a suo tempo aveva proposto di ritagliare le circoscrizioni amministrative in modo che avessero una popolazione di circa un milione di persone e fossero in grado di gestire “le questioni in materia di sanità, trasporti, agricoltura, territorio, industria e istruzione”. Chissà che Chruščëv non abbia ripreso da lui l’idea dei sovnarchoz (3)?

Tuttavia, la prima a cui questa idea piacque fu la Repubblica Sovietica Donecko-Krivorožskaja, il cui fantasma è stato alla testa dell’attuale parata ucraina di rivendicazioni di sovranità. Nel febbraio del 1918 questa “repubblica” propose che tutta la futura Federazione Russa venisse formata da analoghe regioni economicamente omogenee e non dalle repubbliche nazionali sovietiche, come era stato già deliberato dal terzo congresso panrusso dei Soviet. Mosca però non riconobbe la Repubblica Sovietica Donecko-Krivorožskaja né come repubblica separata né come componente della Federazione russa. E’ curioso che, se si paragonano quegli eventi con quelli attuali, si potrebbe pensare che sulla scena agiscano le stesse forze motrici e persino gli stessi leader, magari con nomi diversi. Quali ragioni, per esempio, emersero allora a sostegno della separazione? Le stesse di oggi: la vicinanza con la Russia, l’eterogeneità della popolazione, l’ucrainizzazione e la derussificazione, il rifiuto di consegnare il denaro al bilancio dello Stato e di “nutrire” così quelle regioni dell’Ucraina che vivono con le “dotazioni”. Solo che questa volta la posta in gioco è più alta: il Congresso ucraino dei deputati, riunitosi recentemente a Severodoneck a sostegno di Viktor Janukovič, ha minacciato di costituire una “Repubblica Federale Sud-orientale con capitale Char’kov”. Il governatore di Char’kov, Evgenij Kušnarev, è salito subito alla tribuna: «Voglio ricordare una cosa alle teste calde che sfilano sotto i vessilli arancioni: da Char’kov a Kiev ci sono 480 chilometri, mentre il confine con la Russia è a 40 chilometri (applausi). “In piedi, mio grande Paese, questa è una guerra per la vita o per la morte, contro le forze oscure del fascismo, contro la peste arancione! (valanga di applausi)”» [salvo l’accenno finale alla “peste arancione”, sono le parole di una famosa e commovente canzone nata nei primi giorni dell’invasione nazista dell’URSS (N.d.R.)] . Ci sono anche altri progetti di separazione: ad esempio, quello del kraj di Novorossijsk, che rivendica uno status di territorio libero autogovernato. Una particolarità notevole del “separatismo orientale” è data dal fatto che, con rare eccezioni, l’apparato amministrativo è compatto.

Al contrario, in Ucraina occidentale il separatismo ha preso quasi ovunque la forma di opposizione contro i dirigenti delle amministrazioni presidenziali, ossia dei governatori. La rada regionale di L’vov [Leopoli], subito dopo aver riconosciuto Juščenko come presidente legalmente eletto, ha rimesso in piedi il vecchio oblispolkom [Comitato esecutivo regionale], escludendo la oblgosadministracija [Amministrazione regionale statale] da ogni attività. Quando poi la Rada nazionale [Parlamento] ha insistito per lo scioglimento degli ispolkom in quanto forme illegali di potere, a L’vov e subito dopo anche a Černovcy sono stati eletti direttamente nelle piazze dei “comitati di salvezza nazionale”. Funzionari regionali di livello dirigenziale vanno adesso, quasi senza nascondersi, a tenere discorsi presso questi comitati.

In questa situazione estrema, il sistema statale ucraino ha mostrato segni di cedimento. Ormai chiunque sia il presidente dovrà affrontare lo stesso compito: arrestare un processo che sta facendo scivolare il Paese verso la creazione di “due Ucraine”. Ma perché una tale separazione è divenuta possibile?

La cicatrice dell’annessione

Nel 1921 la Polonia riconobbe l’Ucraina sovietica mentre la RSFSR (4) e l’USSR (5) riconobbero i diritti della Polonia sulla martoriata Galizia. Due anni dopo, questa decisione venne confermata anche dal Consiglio degli ambasciatori dei Paesi dell’Intesa (6). Per i leader storici della causa ucraina si trattò di un colpo terribile: la speranza di istituire in Galizia un’Ucraina indipendente era fallita. Dovettero rivolgere lo sguardo a un’altra Ucraina, quella “sotto i Soviet” (così la chiamavano). Allora l’ex presidente della UNR (7) Michail Gruševski, l’ex presidente del Direttorio Vladimir Vinničenko, il “romantico dell’idea ucraina” Mikola Michnovski e altri esponenti del Tovariščestvo ukrainskich postepencev espressero al potere sovietico la loro disponibilità a “ritornare a casa” e a contribuire alla lotta contro la Polonia dei pan, a patto che in cambio venisse attuata una piena ucrainizzazione della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina.

La proposta venne accettata. In quello stesso anno 1923, il Comitato Centrale del VKP(b) (8) approvò una risoluzione sulla necessità di “ucrainizzare” l’Ucraina. La campagna di ucrainizzazione assunse ritmi intensi nel 1925, quando L. M. Kaganovič venne nominato primo segretario del CC del KP(b)U (9). Lo stesso Lazar’ Moiseevič imparò l’ucraino a tempo da record e pretese che tutto il personale seguisse il suo esempio. La lingua russa venne bandita ovunque: furono chiuse numerosissime scuole ad indirizzo russo e in sostituzione vennero aperte scuole ucraine. Cinquantamila insegnanti di lingua ucraina residenti in Galizia si trasferirono in Ucraina. Per gli uffici giravano i “controllori linguistici”, gli scrittori vennero sfidati a ripulire le loro opere dai “russismi”. I linguisti, invece, ripulirono urgentemente Ševčenko: questi scriveva «car’», «kobzar’», sostituite con «car», «kobzar»; scriveva «osen’», «kamen’», sostituite con «osin’», «kamin’»; «Kiev» divenne «Kiïv», sebbene Taras Grigor’evič non conoscesse affatto la lettera ï. Gli accademici ripulivano i vocabolari, fenomeno che, tra l’altro, dura tuttora. Recentemente, sono arrivato in un vicolo cieco: cosa vuol dire «pidtjagul’nicja»? Sembra che voglia dire «ipotenusa» [gipotenuza]: cosa vuol dire, invece, «matolok»? Pare voglia dire «idiota» [idiot]. Ma gipotenuza e idiot sono parole che ancora di recente facevano parte del lessico ucraino.

Nelle regioni orientali dell’Ucraina, dove si parla il “suržik”, che tra l’altro è un lingua viva ed espressiva, l’ucrainizzazione forzata era sempre stata percepita come un’offesa e, di conseguenza, venne avversata. Persino Lazar’ Moiseevič, a suo tempo, fece un gesto di rinuncia. In Galizia, invece, che si era ritrovata nuovamente sotto il dominio della Polonia dei pan, emersero nuove forze. Nel 1929 il pensatore Dmitro Doncov, con un gruppo di ammiratori del suo libro Nacionalizm, fondò quell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini che, in seguito, diede vita all’esercito ucraino degli insorti di Stepan Bandera. Ecco succintamente riassunte le idee di Doncov, in base alle quali si erano formati gli uomini di Bandera: il nazionalista ucraino deve rifiutare la concezione razionale della vita e rafforzare dentro di sé “la volontà di tendere alla vita, al potere, all’espansione”; essere romantici significa «nutrirsi della leggenda dell’“ultima battaglia”»; essere dogmatici vuol dire “obbedire agli ordini senza discutere”; essere fanatici significa “ritenere la propria verità come unica, generale, obbligatoria per gli altri”. Essere, se necessario, un fanatico amorale significa “estendere le rivalità intestine e la reciproca infedeltà, portare il dissidio in casa. Senza tutto ciò, non può sussistere alcuna unione, alcuna comunità!”.

Agli occhi di queste persone, la storia appariva come un crudele e ingiusto paradosso. Si erano sacrificati per l’ideale di un’Ucraina indipendente, erano arrivati a massacrare per questo la lingua ucraina, e i bolscevichi si erano appropriati di tutto ciò con il loro “pseudo - stato ucraino”. Avevano persino firmato la pace con i polacchi, e a loro era rimasto il buco della ciambella.

I tentativi di riabilitare gli uomini di Bandera come eroi nazionali, di cui dànno conto le notizie provenienti dalle regioni occidentali dell’Ucraina, adesso non dividono più la Russia e l’Ucraina, bensì la società ucraina stessa. Il rischio non consiste più nel ritorno del fenomeno Bandera, che certo non tornerà: il pericolo è nel ritorno delle idee su cui esso era germogliato.

Le arance blu

Sfogliamo il manuale di storia su cui oggi studiano i ragazzi ucraini della quinta classe, senza interrompere il filo del discorso: che cosa si dice riguardo all’OUN (10) e all’UPA (11)? Sembra che, verso il 1943, l’esercito di Bandera “liberò dai tedeschi la maggior parte delle città ucraine”. Mi stropiccio gli occhi, ricorro ai documenti, alle fonti: nel 1943 tutti i dirigenti dell’UPA passarono un corso di aggiornamento professionale nei campi tedeschi. Agli ordini di chi, dunque, combatté quell’esercito, quali città liberò… dai tedeschi?

I russi figurano nel manuale solo come “moscali”. Si tratterebbe, a quanto pare, di varie tribù ugro-finniche provenienti dal nord, dove si sarebbero spinte “anche genti appartenenti alle tribù ucraine”. Nel manuale si sostiene che, provenendo da Kiev, giunto a Suzdal’, Andrej Bogoljubskij vi trovò non solo una nuova capitale ma anche un nuovo popolo. Con il quale nel 1169 saccheggiò Kiev in modo tale che “più tardi il pogrom tataro non aggiunse molto a quei pogrom intestini”. Gruševski si limitò a questa breve constatazione. I nuovi storici ucraini, invece, hanno dedotto che fu appunto questa marcia su Kiev a portare al divorzio definitivo tra Ucraina e Russia. Non si vede però come si possa parlare di divorzio se prima non ci fosse stato un matrimonio.

Ai “moscali” subentrano poi i “moscali comunisti”, la cui occupazione principale sarebbe stata quella di “distruggere l’Ucraina”, “distruggere la lingua ucraina”(?!). Il capo del NKVD (12), Berija, avrebbe avuto l’intenzione di trasferire tutti gli ucraini in Siberia. Mosca avrebbe ceduto la Crimea, facendola entrare a far parte della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, al fine di “addossare all’Ucraina la responsabilità morale per l’espulsione della popolazione tatara”.

Devo ammettere che ho chiuso il manuale della quinta classe persino con un senso di sollievo: si trattava solo di vecchie controversie, di questioni del passato. Si rimestano vecchi rancori. Ben altra alienazione hanno dovuto superare altri popoli, basti pensare ai francesi e ai tedeschi. Ma oggi non c’è alternativa: i rapporti tra Russia e Ucraina si possono fondare solo sulla base degli interessi nazionali. Per non parlare poi dei caratteri nazionali: una peculiarità dei russi è che nella loro testa c’è l’idea fissa dello zar, mentre gli ucraini hanno nel sangue tutt’al più l’“atamanščina” (13). Non ho dubbi sul fatto che gli ucraini sentano più vicina a sé la repubblica parlamentare che non quella presidenziale. Se solo Leonid Kučma avesse a suo tempo introdotto una riforma politica, ma non alla fine, bensì agli inizi o a metà del suo mandato…

C’è però che il manuale delle classi superiori, quello che tratta la storia fino ai giorni nostri, non può essere messo da parte così facilmente. Qui è scritto, nero su bianco, che i russi in terra ucraina sono stranieri, che “il potere imperiale russo” ha intenzionalmente popolato di russi l’Ucraina meridionale ed orientale allo scopo di strappare in seguito questi territori a favore della metropoli. In altre parole, ci sono i “moscali interni”, c’è una “quinta colonna della Russia”. Non sarà per questo che oggi in Crimea si dice: “Le nostre arance sono blu?”. Il solo Fondo Soros, stando a quanto Bogdan Gavrilišin, presidente della sezione ucraina del Fondo stesso, ha reso noto in un’intervista di qualche anno fa al giornale di Kiev Zerkalo nedeli, ha pubblicato già 90 manuali e sussidiari di storia dell’Ucraina “di impostazione anti-colonialista”. A quanto sembra, nella storia dei nostri Paesi ci sarebbero state già quattro “guerre russo-ucraine”. Mazepa è adesso un eroe nazionale ucraino, che cercò di correggere il fatale errore commesso da Bogdan Chmel’nicki quando convocò la Rada di Perejaslav…

Se a questo punto siamo riusciti a farci una qualche idea del sottofondo storico dell’ondata “arancione”, quella “blu” la presenteremo così come appare agli occhi degli ucraini occidentali. “La popolazione di Doneck, nel complesso, è costituita da immigrati poveri provenienti da Kursk e da altre regioni della Russia. Si tratta per lo più di gente losca, avvilita, analfabeta, all’interno della quale sono diffusi l’alcolismo, il banditismo, il teppismo, i furti” (Za vil’nu Ukrainu, L’vov). “…Occorre distruggere il marciume dell’influenza moscovita e di altri influssi nelle città ucraine, che sono piene di parassiti, di quella sporca massa moscovita semicriminale e sottoproletaria, insediata intorno a fabbriche e imprese che non servono a nessuno… A qualsiasi tipo di resistenza da parte di questa biomassa si deve rispondere con immediate azioni dissuasive e punitive” (da Slovo, organo della Tovariščestvo della lingua ucraina, ente finanziato dallo Stato).

E veniamo infine a coloro che sono già pronti alla guerra. L’Assemblea Nazionale Ucraina (UNA (14)), al momento della sua fondazione dieci anni fa, si presentò quale continuatrice della causa di Stepan Bandera. Insieme con la sua organizzazione paramilitare UNSO (15) (Autodifesa nazionale ucraina), svolse a Kiev esercitazioni dello stato maggiore per mettere a punto le misure da intraprendere nel caso di una “secessione della Crimea, della fondazione di una Repubblica Donecko-Krivorožskaja o di una aggressione della Russia contro l’Ucraina”. Da quella dichiarazione conseguiva che l’UNA era pronta, ancora prima dell’inizio di un conflitto, a concentrare in territorio russo “50-100 punti di appoggio per atti di terrorismo”. In conseguenza di ciò il Ministero della Giustizia ucraino privò UNA-UNSO (16) dello status legale, ma, due anni dopo, effettuò una nuova registrazione dell’organizzazione, che adesso esorta la gioventù della Galizia a seguire l’esempio di Che Guevara (e non quello di Stepan Bandera) e ha assunto la denominazione non più di “movimento nazionalista”, bensì di “associazione eurasiatica”. Di fatto però la sua eurasiaticità si riduce a fraternizzare in tutto il mondo con le organizzazioni terroristiche islamiche e a mandare propri combattenti in Cecenia, mentre per ciò che riguarda propriamente la Galizia coltiva l’idea di unire gli ortodossi e i cattolici “in un unico patriarcato”. Il leader dell’UNA-UNSO, Dmitro Korčinski, si è presentato alle elezioni attuali come candidato alla carica di Presidente dell’Ucraina. Non ha superato il primo turno. Ma anche così è troppo.

Promettere e dimenticare!

Per una parola russa, minacciò una volta questo giovane politico, taglieremo un dito, per due parole la mano, per tre la testa. Non è il caso di esagerare la serietà di simili minacce: per gli estremisti nell’attuale Ucraina non è certo un momento buono. Ma già il fatto stesso di percepire una parte della società come una biomassa sottoproletaria e le insistenti accuse pubbliche di “moscalità” si accordano con troppa evidenza con la formula del fanatismo di Doncov: “considerare la propria verità unica, generale, obbligatoria per gli altri”. Anche quando ciò provoca una “lite in casa”.

Mi permetto ora di citare un autore altolocato che ha riflettuto a lungo su questo tema: «La nazione ucraina (nazione-Stato) si forma oggi non in senso etnico, ma politico e civico. Cosa vuol dire “si forma”? Vuol dire che in essa è in corso un processo di consolidamento, una tappa necessaria del quale è costituita dal consolidamento socio-culturale. Ma non c’è il pericolo di una divaricazione? Il progetto non potrebbe infrangersi sulla questione linguistica? Ove si rispettino rigorosamente i diritti e le libertà di tutti i gruppi della società e ove si conduca una ragionevole politica culturale, ciò non dovrebbe avvenire».

Tuttavia è appunto ciò che si è verificato un anno dopo l’uscita dell’ottimistico libro di Leonid Kučma. Nei giorni roventi della crisi ucraina la mia attenzione venne catturata da una dichiarazione del presidente dell’Istituto per la strategia nazionale, Stanislav Belkovski: “La separazione non procede secondo la linea delle relazioni con la Russia. La questione qui è l’atteggiamento verso la cultura e la lingua. Dire che qualcuno in Ucraina guardi alla Russia come alla manna è un errore”.

In teoria, ciò è risaputo già da quattordici anni, a partire dall’ultimo referendum sovietico, quando l’Ucraina scelse la strada dello sviluppo indipendente. Già allora, il confronto del numero totale dei votanti con quello della comunità russa non lasciava alcun dubbio sul fatto che anche quest’ultima, con una preponderante maggioranza, avesse operato la scelta a favore di un’Ucraina senza l’URSS, a favore dell’Ucraina e “non della Russia”. Vale a dire che già in quella fase, di fatto, tutti i cittadini della repubblica, senza differenze tra i gruppi etnici, avevano dimostrato di essere una nazione ad altissimo potenziale di consenso politico, pronta a costruire un suo nuovo Stato comune. Il potenziale, tuttavia, è cosa del futuro, che non si può costruire senza un fondamento, senza il consenso delle comunità etniche.

Il famoso appello “a una Russia unica ed indivisibile” tracciato sul monumento di Bogdan Chmel’nicki a Kiev appartiene all’ucraino M. Juzefovič. Precedentemente, costui veniva ingiuriato in quanto “filo moscovita”, mentre adesso semplicemente viene chiamato “collaborazionista”. Ma perché adesso ci si dovrebbe arrabbiare per un monumento del passato? I nuovi tempi esigono una nuovo appello: “Per una Ucraina unita e indivisibile”. Quando e su quale pietra scolpirlo lo deciderà la storia futura. Intanto si sta preparando la pietra.

Da qui erano partiti anche Leonid Kravčuk e Leonid Kučma: nei loro programmi elettorali promisero di fare il possibile al fine di attribuire alla lingua russa lo status, se non di seconda lingua statale, almeno di lingua ufficiale. Tuttavia, al momento di assumere la carica, il punto di vista cambiò. Kravčuk affermò che in Ucraina non ci sono russi, e che "gli undici milioni di parlanti russo non rappresentano un problema". Durante l’attuale campagna presidenziale, Leonid Kučma, prendendo la parola nella regione di Čerkassy, ha sollevato dubbi su alcuni punti del programma elettorale di V. Janukovič, tra cui anche l’eterna pietra d’inciampo, lo status della lingua russa. Adesso Leonid Danilovič non sente neanche la necessità di argomentare la sua posizione: «In quanto Presidente dell’Ucraina, intendo dichiarare solo una cosa: la Costituzione per me è come il “Padre Nostro”. Ed è tutto. I commenti a questo proposito sono superflui». A queste affermazioni Viktor Fedorovič, dalla regione di Vinnica, replicò che, in caso di vittoria, avrebbe sottoposto a referendum nazionale lo status della lingua russa, la doppia cittadinanza e i rapporti tra l’Ucraina e la NATO, “dove non si deve entrare”. Comunque vada, è ormai giunto il momento di fare chiarezza sulla natura della lingua russa in Ucraina, se la si deve considerare una madrelingua oppure una lingua straniera. Senza di ciò, non si può ovviare alla confusione statistica, non si può costruire una chiara politica nazionale che sia rispettosa verso tutti i gruppi di popolazione.

Una sola lingua porterà fino a Kiev?

Ma quanti russi ci sono in Ucraina? “8.334.100”, risponde con esattezza matematica nel suo libro il Presidente Kučma, evidenziando subito il rapporto tra ucraini e russi: 77, 8% e 17, 3%. Il restante 5% è costituito da gruppi etnici minori, di cui elencherò solo quelli che ammontano almeno a 100.000: ebrei, bielorussi, moldavi, tatari di Crimea, bulgari, polacchi, ungheresi, romeni. Questa era la situazione alla fine del 2001.

A quel tempo, Vladimir Malinkovič, direttore della sezione ucraina dell’Istituto internazionale di ricerche umanistiche e politiche, aveva già abbandonato la squadra presidenziale in segno di disaccordo con le sue posizioni. Era stato proprio lui a elaborare le promesse elettorali del presidente sullo status della lingua russa e il relativo progetto di legge presentato alla Rada. Ecco il suo punto di vista, espresso a Radio Svoboda: “Noi siamo un Paese dove c’è un bilinguismo reale. Oggi le persone che sono state educate alla cultura russa e a cui è cara la lingua russa, rappresentano non meno del 50% della popolazione ucraina. Alla lingua russa occorre assegnare uno status che può essere leggermente inferiore a quello della lingua ucraina nazionale. Così non ci sarebbero arbìtri da parte degli impiegati a L’vov, in Crimea o a Lugansk”.

Ecco dunque come stanno le cose: nella statistica presidenziale sono del tutto omessi i cosiddetti “ucraini di lingua russa”! Si tratta, certamente, di un gruppo non etnico, ma linguistico, tuttavia sono pur sempre cittadini ucraini. Sono propriamente cittadini di etnia ucraina, la cui madrelingua è il russo. Ecco spiegato il motivo per cui i candidati alla carica di presidente cedono sempre alla tentazione di puntare ai voti di questa metà del Paese e, una volta ottenuti, dimenticano subito le loro promesse.

Ha mai contato qualcuno quanti sono in Ucraina i cittadini di etnia russa e quanti quelli di etnia ucraina ma di madrelingua russa, quanti sono quelli realmente immigrati e quanti quelli che hanno dietro di sé più di una generazione, o addirittura secoli? Probabilmente ricerche del genere sarebbero state effettuate, se lo storico bilinguismo dell’Ucraina fosse stato ufficialmente riconosciuto. Anzi, all’inizio questo bilinguismo è stato soppresso dalla scienza e, in seguito, in silenzio e senza clamori, è stato bandito dalla politica. Iniziò Gruševski, quando era professore all’Università di L’vov: l’antica Rus’, nei suoi lavori di storia, si trasformò dapprima in “Ucraina-Rus’”, poi il nome “Rus’” venne abbandonato e rimase solo “Ucraina”. Poi, “russi” e “bielorussi” si dissolsero definitivamente nella “storia millenaria del popolo ucraino”. Su come questo punto di vista sia coesistito con la scienza storica dell’epoca sovietica, quando Gruševski divenne socio dell’Accademia delle scienze dell’URSS, non intendo pronunciarmi. E’ evidente, tuttavia, che, una volta “svernato”, questa tesi sia fiorita con la primavera ucraina. Proclamando che l’antica Rus’ era uno Stato ucraino primigenio, hanno privato del luogo di origine non solo i russi e i bielorussi, ma anche buona parte degli ucraini.

Non sarà per questo che il pensiero politico ucraino scorre attualmente lungo due correnti separate? In una, c’è il lavoro collettivo di quegli storici ucraini di cui abbiamo parlato all’inizio di questo articolo, nell’altra troviamo un intero fiume di pubblicazioni che calpestano apertamente la verità storica. Basta sfogliare lo Slovar’ drevneukrainskoj mifologii (Vocabolario di mitologia ucraina antica) dell’“etnografo e scrittore” Sergej Plačinda: “Arii (orii) è il nome più antico degli ucraini, i primi aratori del mondo. Sono loro che hanno impiegato per primi i cavalli in questa attività, che hanno inventato la ruota e l’aratro, sono stati loro i primi nel mondo a coltivare la segala, il grano, il miglio, loro che hanno esportato le proprie conoscenze sull’agricoltura e sui mestieri del popolo in Cina, in India, in Mesopotamia, in Palestina, in Egitto, nell’Italia settentrionale, nei Balcani, nell’Europa occidentale, in Scandinavia. Le tribù degli arii sono state alla base di tutte le culture indoeuropee”.

Se queste cose fossero state pubblicate in qualcuna di quelle edizioni speciali dove i geni non riconosciuti dànno sfogo alla propria anima, non varrebbe neanche la pena di farci caso. Ma vengono pubblicate nei giornali centrali, le case editrici le stampano con grandi tirature. Le ultime scoperte sono: Cristo sarebbe nato non in Galilea bensì in Galizia, la lingua ucraina sarebbe la “lingua di Noè prima del diluvio” e addirittura la “base viva del sanscrito”. Nessuno, né i corifei della scienza storica né il potere politico ucraino, ha mai cercato neppure di frenare questa insensata invenzione di miti. Ma quando l’autocoscienza nazionale di un popolo si nutre di miti, c’è da meravigliarsi di ciò che avviene nelle strade?

Da Rossijskaja gazeta, 24 dicembre 2004, p. 10. Traduzione di Martina Valcastelli.

1 Vserossijskaja Črezvyčajnaja Komissja po bor’be s kontrrevoljuciej [Commissione straordinaria per la lotta alla controrivoluzione].

2 Central’naja Rada: blocco patriottico - nazionale dei partiti socialisti ucraini e delle organizzazioni democratiche, istituito nel marzo del 1917. Organo del potere statale ucraino, svolse le funzioni del Parlamento regionale nel periodo aprile 1917-gennaio 1918 e marzo-aprile 1918. Ne fu presidente M. S. Gruševski.

3 Sovety narodnogo chozjajstva: organismi economici.

4 Rossijskaja Sovetskaja Federativnaja Socialističeskaja Respublika: Repubblica federale socialista sovietica russa.

5 Ukrainskaja Sovetskaja Socialističeskaja Respublika: Repubblica socialista sovietica ucraina.

6 Accordo politico-militare stipulato tra Inghilterra, Francia e Russia nel 1904. Durante la Prima guerra mondiale, per contrastare la coalizione tedesca, si aggiungeranno all’Intesa più di venti Stati, tra cui gli USA, il Giappone e l’Italia.

7 Ukrainskaja Narodnaja Respublika: Repubblica popolare ucraina.

8 CK: CC, Comitato Centrale. VKP(b), Vsesojuznaja kommunističeskaja partija (bol’ševikov): Partito comunista pansovietico (bolscevico).

9 Kommunističeskaja partija (bol’ševikov): Partito comunista (bolscevico).

10 Organizacija Ukrainskich Nacionalistov: Organizzazione dei Nazionalisti ucraini.

11 Ukrainskaja Povstančevskaja Armija: Esercito insurrezionale ucraino.

12 Narodnyj Komissariat vnutrennich del: Commissariato del popolo agli affari interni.

13 Periodo della storia ucraina degli anni 1918-1920, caratterizzato dall’instaurazione di poteri in regioni separate dell’Ucraina.

14 Ukrainskaja Nacional’naja assambleja: Assemblea nazionale ucraina.

15 Ukrainskaja nacional’naja samooborona: Autodifesa nazionale ucraina.

16 Ukrainskaja Nacional’naja Assambleja: Assemblea Nazionale Ucraina; Ukrainskaja nacional’naja samooborona: Autodifesa nazionale ucraina.

Slavia, rivista trimestrale di cultura

Aleksandr Sabov, "Slavia" N°2 2008