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sabato 16 aprile 2011

Scampoli di memoria 13

di Dino Bernardini

Il comunismo ereditario

A partire dalla seconda metà degli anni quaranta del secolo scorso, ogni estate, in tutta Italia, si svolgevano (e in parte si svolgono ancora) le tradizionali feste, о festival, de l’Unità, organizzate dal PCI finché è esistito (adesso suppongo che vengano organizzate dal PD). In ogni capoluogo di provincia, ma anche in moltissimi comuni minori, il PCI si mobilitava per il successo dell’evento, che durava una decina di giorni ed era, contemporaneamente, gastronomico e culturale. C’erano ristoranti improvvisati, librerie, dibattiti con la partecipazione di esponenti dei vari partiti politici, incontri culturali, rappresentazioni in cui si esibivano i big dello spettacolo. Tutta l’organizzazione si reggeva sull’impegno dei militanti del PCI, che vi prestavano la loro opera gratuitamente. L’ultimo giorno prima della chiusura c’era il comizio conclusivo. Ogni anno, dopo un centinaio di feste locali, si svolgeva la grande Festa nazionale de l’Unità. E ogni anno, alla Festa nazionale, era presente la delegazione, a turno, di uno dei tanti cosiddetti paesi socialisti.

Ho fatto questa breve sintesi delle feste de l’Unità per raccontare un episodio che vide protagonista una delegazione coreana. All’incirca a metà degli anni Settanta capitò che la Festa nazionale si svolgesse a Bologna e che il Paese ospite d’onore fosse quell’anno la Corea del Nord.

Tradizionalmente, il Paese invitato faceva dono di prodotti del proprio artigianato da vendere durante la festa. I coreani fecero arrivare dalla Corea un intero vagone di merci. Quando il vagone arrivò a Bologna, un paio di organizzatori italiani della festa accompagnò i coreani alla stazione per sdoganare la merce. Risultò che nel vagone c’erano prodotti dell’artigianato, un po’ di casse di vodka coreana e un mare di libri. Bisognava attribuire un valore alla merce e pagare la relativa tassa. Le bottiglie di vodka erano di due tipi: dentro alcune c’erano rametti di ginseng, in altre c’erano delle vipere. Morte, naturalmente. Pare che in Corea si usi confezionare la vodka così. Quando la vodka fu messa in vendita negli spacci della Festa, ebbe un successo strepitoso. Soprattutto la vodka con le vipere, che andò esaurita in poche ore.

Ma torniamo alla dogana. Per l’artigianato e per la vodka non ci furono problemi, i doganieri furono gentili e proposero di attribuire alla merce un valore modesto, cosicché anche la tassa di importazione risultò modesta, anzi modestissima. Il problema sorse per i libri. Si trattava delle Opere Complete del Compagno Kim Il Sung, detto il “Grande Leader”, tradotte in lingua francese. Mi pare che ogni raccolta completa fosse composta da una ventina di tomi, in totale erano circa un migliaio di volumi. Visto di che si trattava, i doganieri italiani, sempre gentili, intuendo che difficilmente quella merce avrebbe trovato un compratore, proposero di stabilire un valore di poche lire per ognuno dei volumi, in modo che la loro importazione costasse in totale un paio di migliaia di lire, о poco più.

– E’ una vergogna, – gridò inaspettatamente un dirigente coreano attraverso l’interprete. – Le opere del Compagno Kim Il Sung, Grande Leader, valgono moltissimo, questa è un’offesa per il nostro Paese!

A nulla valsero le dichiarazioni di stima per il “Grande Leader” e gli ammiccamenti per cercare di convincere i coreani che quel valore dichiarato era un modo per aggirare la dogana “borghese”. Bisognò pagare una somma consistente. Naturalmente, la pagò il PCI. Forse, con il senno di poi, penso che sarebbe bastato chiedere ai coreani di pagarla loro per convincerli ad accettare la valutazione iniziale. Già, perché all’estero i coreani del Nord hanno sempre avuto problemi con il denaro. Recentemente ho letto sui giornali che tutte le loro ambasciate hanno ricevuto l’ordine di autofinanziarsi. Sembra che l’ambasciata della Corea del Nord a Berlino trasformerà parte della propria sede in un ostello.

A Mosca, dove da anni tutte le case da gioco dell’epoca El’cin erano state chiuse, nel mese di aprile 2011 è scoppiato lo scandalo dei casinò clandestini che, si è scoperto, funzionavano all’interno di due ambasciate, quella della Bielorussia e, appunto, quella della Corea del Nord.

Ricordo anche che negli anni Settanta a Roma girava la voce che l’ambasciata presso la FAO (non esisteva allora un’ambasciata della Corea del Nord presso la Repubblica Italiana, adesso non so) si autofinanziasse con la droga, ma non ho mai letto che la polizia italiana abbia appurato la consistenza di questa voce. L’ambasciata si trovava allora all’EUR e in quegli anni ebbi occasione più volte di esservi ospite a cena insieme con il mio capo della sezione esteri del PCI, Antonio Rubbi. Devo dire che i coreani furono sempre estremamente gentili con noi.

Ma torniamo alla realtà inquietante della Corea di oggi. Le notizie più recenti parlano del pericolo di scontri e di una guerra con l’uso della bomba atomica con la Corea del Sud. I giornali hanno anche raccontato la vicenda triste dell’allenatore della nazionale di calcio nordcoreana che dopo la sconfitta all’ultimo campionato del mondo in Sud–Africa sembra sia stato licenziato e mandato a lavorare in un cantiere edile in qualità di aiutante carpentiere. Tuttavia ciò che resta più imbarazzante è il sistema ereditario di successione al potere. L’attuale capo, Kim Jong Il, “Leader bien–aimé” nella versione francese fornita dai coreani, è subentrato a suo padre Kim Il Sung, Grande Leader, e adesso ha già designato il suo terzogenito a succedergli. Insomma, essendo ancora la Corea del Nord un paese ufficialmente comunista, forse si potrebbe coniare una nuova definizione per il regime nordcoreano: quello di “comunismo ereditario”.

II boss della mafia russa

Erano gli anni confusi e travagliati della Russia di El’cin, l’epoca in cui, come funghi dopo un acquazzone, quasi ogni settimana nascevano in Russia effimere banche che dichiaravano fallimento dopo poche settimane о addirittura pochi giorni, il tempo necessario per organizzare qualche truffa ai danni di russi e soprattutto di società straniere. Anche diversi piccoli e medi imprenditori italiani rimasero truffati da qualche banca russa risultata poi insolvente. Il sistema era semplice. Si acquistava all’estero un certo quantitativo di merce e si forniva la garanzia bancaria che i dollari (si comprava e si vendeva soltanto in dollari) erano stati depositati e sarebbero stati trasferiti all’arrivo della merce. Ma, una volta arrivata in territorio russo, la merce scompariva e la banca che aveva garantito il pagamento dichiarava la bancarotta. Oppure si vendeva merce e, prima di spedirla, si incassava subito almeno un anticipo, ma poi il venditore scompariva e con lui la banca che l’aveva garantito. Era anche l’epoca in cui nacque il fenomeno degli oligarchi, gente spregiudicata che nel volgere di pochi mesi, in un Paese dove prima tutto apparteneva allo Stato, si impadronì di enormi ricchezze e creò grandi imperi finanziari.

In quei giorni, un amico italiano che aveva lavorato all’Associazione Italia–URSS venne a casa mia in compagnia di un russo, un certo Volodja, che era, come appresi qualche tempo dopo dai giornali, un esponente della nuova malavita russa, ma io allora non lo sapevo. Volodja disse che pochi giorni prima aveva avuto una trattativa con una società italiana alla quale voleva vendere una grossa partita di diamanti per centinaia di milioni di dollari, ma la trattativa non era andata in porto perché gli italiani non si erano fidati di lui e la ragazza che aveva fatto da interprete non era stata capace di spiegare loro la bontà del sistema di garanzie che lui aveva escogitato. Era convinto che l’interprete avesse tradotto male e che con un buon interprete sarebbe riuscito a convincere la controparte.

– Adesso io spiegherò a te la mia proposta, che secondo me offre ogni garanzia, e, se riesco a convincerti, poi tu devi dare il meglio di te come interprete e riuscire a convincere la controparte italiana. Se ci riesci, ti darò una percentuale sull’affare, bada che si tratta di centinaia di milioni di dollari. Ma di questo parleremo tra un po’, prima ti devo spiegare come si svolgerà la transazione.

Prima ancora della trattativa commerciale vera e propria sul prezzo della partita di diamanti, disse Volodja, le due parti devono concordare un meccanismo che renda impossibile a ciascuna delle parti di truffare l’altra. Con la seguente procedura: 1. Le due parti scelgono di comune accordo una grande banca italiana che funga da garante. 2. La parte russa consegna alla grande banca italiana un campione significativo dei diamanti. 3. Gli esperti delle due parti, insieme con quelli della banca, esaminano e stabiliscono la qualità dei diamanti. 4. Le due parti aprono la trattativa sul prezzo che la parte italiana pagherà a quella russa per l’acquisto dei diamanti. 5. Se non si raggiunge un accordo sul prezzo, la banca riconsegna alla parte russa i diamanti depositati e la trattativa finisce lì. 6. Se si raggiunge un accordo sul prezzo, la parte russa consegna alla banca italiana il resto dei diamanti, che gli esperti provvederanno a esaminare. 7. Se l’intera partita di diamanti risulterà della qualità dichiarata, la parte italiana deposita su un conto speciale presso la banca la somma concordata e soltanto a quel punto la banca consegnerà i diamanti alla parte italiana e i dollari alla parte russa.

Devo dire che a me il meccanismo sembrò convincente, nessuna delle due parti avrebbe potuto truffare l’altra. Tecnicamente, l’unica che fosse in grado di truffare una parte о l’altra, о tutte e due, sarebbe stata la grande banca, cosa naturalmente impensabile. Lo dissi a Volodja e aggiunsi che, per quanto riguardava la procedura della compravendita, l’affare mi sembrava fattibile. Restava da raggiungere l’accordo sul prezzo dei diamanti.

– Bene, – disse Volodja, adesso parliamo della tua percentuale.

– No, – gli risposi, – io faccio l’interprete e voglio essere pagato secondo le tariffe degli interpreti, che sono abbastanza buone.

– Ma così guadagni molto di meno.

– Non importa, preferisco così, non mi ci vedo nelle vesti di commerciante.

– D’accordo. Allora domani mattina ti passo a prendere e andiamo nella hall dell’albergo dove stanno i miei interlocutori, ci sediamo nel bar a bere qualcosa e aspettiamo. Prima о poi dovranno scendere, e quando escono dall’ascensore li intercettiamo e tu spieghi a loro la procedura che propongo.

Questa non me l’aspettavo. Avevo supposto che lui avesse già un appuntamento con la controparte italiana e che ci saremmo seduti tutti intorno a un tavolo a discutere. Invece dovevamo abbordare nella hall dell’albergo persone che non si aspettavano di vederci e che forse erano persino prevenute contro di noi.

– Caro Volodja, – gli dissi, – io sono pronto a tradurre la tua trattativa commerciale, ma intorno a un tavolo e con gente che è d’accordo a sedersi intorno al tavolo. Però bisogna prima telefonare e fissare un appuntamento. Se accettano andiamo, altrimenti puoi andarci lo stesso, ma con un altro interprete perché io non me la sento.

Fu così che la mia carriera nel commercio ebbe fine prima ancora di cominciare.

Qualche tempo dopo il mio amico dell’Italia–URSS mi disse che Volodja cercava una donna italiana per sposarla e subito dopo divorziare da lei appena la legge lo avesse consentito: era disposto a pagare 20 milioni di lire subito e altri 20 milioni dopo il divorzio. Il matrimonio non doveva essere consumato, a lui serviva soltanto per ottenere la cittadinanza italiana. Ma pare che la donna che in un primo tempo aveva accettato, ci avesse poi ripensato e non se ne sia fatto più nulla.

Infine, due о tre anni dopo, lessi su un giornale che Volodja, proprio lui, era stato assassinato a raffiche di mitra nella hall di un grande albergo di Mosca.

[Le puntate precedenti sono state pubblicate in Slavia 2005, N°3; 2006, N°N°2, 3 e 4; 2007, N°N°1 e 3; 2008, N°N°1, 2 e 4; 2009, N°1]; 2010, N°N°2 e 3]

lunedì 10 gennaio 2011

TG 3 menzognero

Il TG 3 deve sempre distinguersi per faziosità russofoba, inseguendo la logica per la quale "l'amico del mio nemico è mio nemico". Nell'edizione delle 19 del 7 gennaio 2011, un servizio a firma di Margherita Ferrandino dal titolo programmatico Dalla Russia con amore (per Berlusconi) ci racconta un film:

Agenti segreti russi salvano Berlusconi da terroristi islamici che vogliono ucciderlo durante il G8. Non è realtà, ma solo un film russo, voluto da Putin e prodotto dall'Fsb, il servizio segreto di Mosca, per migliorare l'immagine non molto seducente degli eredi del Kgb

Ed ecco la trascrizione completa dell'audio del servizio:

Salvare Silvio Berlusconi è la missione difficile affidata ai servizi segreti russi, che hanno il compito di proteggere il primo ministro italiano da un attentato terroristico durante il G8 a Roma. Un'impresa rischiosa e una trama avvincente per una spy story che potrebbe intitolarsi "Silvio e Vlad", ma che invece si intitola "Conto alla rovescia", ed è un film uscito in Russia nel 2004 con un successo al botteghino di 7 milioni di rubli, ma ancora sconosciuto al resto del mondo. Un action movie che ruota intorno ad un oligarca russo, ispirato a Boris Berezovskij, grande amico di Putin, che rappresenta il genio del male, che, alleandosi con terroristi arabi e ceceni, progetta di distruggere la città eterna, simbolo della cristianità. Ma a vegliare sulla capitale e il capo del governo, interpretato da Orso Maria Guerrini, ci sono gli aitanti agenti segreti russi, giovani, machi e vincenti, che si lanciano in singolari inseguimenti in Ferrari fra la capitale e la Costa Smeralda, due luoghi a caso. E nel film non mancano certo le belle ragazze, un po' spie, un po' no. "Conto alla rovescia" è stato ideato e prodotto dall'ex KGB su richiesta di Putin, deciso a rafforzare la sua immagine anche attraverso il cinema e la TV, e trascinando con se anche l'amico Silvio, che, quando si tratta di show, non si tira mai indietro.

Ohibò, mi sono detto, io in Russia ci vivo, eppure 'sto film non l'ho mai sentito nominare. E comunque ho notato subito non solo la somma risibile degli incassi (7 milioni di rubli sono appena 175 mila euro), ma anche e soprattutto uno strafalcione tanto lampante quanto infame: Berezovskij amico di Putin? E' una menzogna, è come dire che Berlusconi sia amico di Bersani, o di Vendola. Wikipedia italiana ci dice che:

Berezovskij, attualmente residente a Londra, è noto sia per essere stato uno dei primi miliardari del periodo post-sovietico sia per essere stato accusato - in un articolo sulla rivista Forbes e successivamente in un suo libro "Godfather of the Kremlin" ("Il padrino del Cremlino") - dal giornalista Paul Klebnikov (assassinato a Mosca nel 2004) di essere un boss della mafia russa.

Aggiungiamo anche che, con El'cin, è stato proprietario del Primo canale TV privatizzato (ricorda qualcuno?), nonché del giornale Kommersant (ricorda qualcosa?), e del giornale Nezavisimaja Gazeta (ricorda qualcosa e qualcuno?), poi vicesegretario del consiglio di sicurezza della Federazione Russa nel 1996-1997, segretario esecutivo della Comunità degli Stati Indipendenti nel 1998-1999 e deputato nel 1999-2000. Il primo procedimento penale contro di lui è stato intentato dal governo di Primakov nel 1999. Dal 20 settembre 2001 è ricercato dalla Russia con l'accusa di truffa, riciclaggio e tentativo di presa del potere con l'uso della forza (punibile con una reclusione da 12 a 20 anni). Il mandato di cattura fo spiccato dal Brasile (guarda un po' il caso) tramite l'Interpol per l'accusa di truffa e riciclaggio tramite la squadra di calcio Corinthias di San Paolo. Inoltre, dal 1999 è indagato dalla Procura svizzera, sempre per i reati di truffa e riciclaggio, che da allora lo ha dichiarato "persona non grata", impedendogli l'ingresso nel territoruio elvetico. Dal settembre 2003 risiede permanentemente in Gran Bretagna come rifugiato politico, e dispone del "Travel document" a nome di Platon Elenin. Nel 1996 aveva rinunciato alla cittadinanza israeliana per occupare le cariche statali citate all'inizio.

Paul Chlebnikov, che, nonostante il cognome, era cittadino statunitense, come la Politkovskaja, nel 1996 aveva accusato Berezovskij di avere assassinato il noto anchorman Vlad List'ev. Anni dopo, anche Chlebnikov è stato assassinato, nel 2004. Tuttora, sono sconosciuti mandanti ed esecutori.

Potrei continuare per pagine e pagine, visto che, oltre che in Brasile e in Svizzera, ci sono vari procedimenti giudiziari contro di lui anche in Olanda e in Francia, ma non è questo l'oggetto del presente articolo. Anche se sarebbe anche da ricordare che in Inghilterra è coproprietario di una Società fondata dal fratello minore di George Bush Jr., e che egli stesso ha dichiarato di avere finanziato le cosiddette "rivoluzioni arancioni" in Georgia e Ucraina, nonché le formazioni armate in Cecenia. Evito accuratamente di dare giudizi, ma quello che conta è che, alla luce di quanto sin qui esposto, affermare che Berezovskij sia amico di Putin ha decisamente del surreale. Un'offesa per la quale potrebbe arrabbiarsi non solo Putin, ma Berezovskij stesso, che, a differenza di Putin, è noto per essere piuttosto "sanguigno".

E allora, come mio solito, mi sono documentato. Intanto, per i proventi del film. Come dicevo, la somma mi pare risibile: "Vacanze di Natale in Sud Africa", in quattro settimane, ha incassato 17 milioni di euro. Non so se mi spiego. Incuriosito, dalla rete locale di quartiere internet mi sono scaricato il film spacciato per una produzione del KGB (non sarebbe male, se, nel fare di queste affermazioni, si citassero le fonti), ovviamente in russo. Mi sono dovuto sorbire 105 minuti d'azione, e personalmente non sono un cultore del genere.

L'oligarca spacciato per Berezovskij dal TG 3 risiede in una qualche villa del comasco o del lago di Garda. Ma Berezovskij quello vero, come già detto, risiede a Londra. Ed è basso, moro, pelato, con gli occhi marroni e con la pancetta. L'oligarca del film è alto, asciutto, biondo e con gli occhi chiari.

Tutta la scena col primo ministro italiano dura circa un minuto, verso la fine del film, è assolutamente incidentale rispetto alla trama, poiché il film si svolge quasi tutto in Russia. Il primo ministro italiano non viene mai citato per nome, ed è interpretato dal sempre apprezzabilissimo interprete teatrale Orso Maria Guerrini. I cultori di "Spazio 1999" lo ricorderanno giovanissimo in una delle puntate. I più, invece, lo ricordano nello spot pubblicitario della birra Moretti. Insomma, la somiglianza con Berlusconi è inesistente, e non solo per i baffi, ma per la voce profonda, e soprattutto per l'indole.

C'è un modo di dire russo che ben si adatta a questa bufala del TG 3: высосать из пальца (vysosat' iz pal'ca), letteralmente succhiare qualcosa da un dito, e sta per "inventare di sana pianta".

lunedì 8 febbraio 2010

Chi è filocosa

La Stampa, ore 18:24, 7 febbraio 2010: Ucraina, il filo russo Yanukovich scalza la premier Tymoshenko.

Repubblica, ore 19:07, 7 febbraio 2010: Yanukovich annuncia la vittoria. L'Ucraina all'opposizione filorussa.

Corriere della sera, ore 20:21, 7 febbraio 2010: Il leader dell'opposizione filorussa in vantaggio. Ma Iulia Timoshenko per ora non riconosce la sconfitta.

l'Unità, ore 20:36, 7 febbraio 2010: il leader filo-russo del Partito delle Regioni, Viktor Yanukovich, avrebbe vinto le elezioni presidenziali svoltesi oggi in Ucraina, sconfiggendo il premier Yulia Timoshenko.

Perché riporto questa breve rassegna di titoli ed incipit di giornali progressisti italiani? Perché voglio farvi riflettere sulle ragioni per le quali Viktor Janukovič (è così che si scrive, smettiamola anche con la traslitterazione "creativa") è sempre e comunque un uomo di Mosca e, sottinteso, di Putin ("filorusso", appunto), mentre Julija Timošenko (è così che si scrive) è solo la Presidente del Consiglio dei Ministri (la "premier", come piace dire ai giornalisti, all'opposizione e ai governanti italiani), non una parola sul fatto che sia talmente filo-occidentale da essere filo-yankee, smaniosa di entrare nella NATO.

Già che ci sono.

Gorbačëv (accento sulla "ë", non sulla "o")

El'cin (non Yeltsin et similia)

Medvedev (accento sulla seconda "e", non sulla prima)

Janukovič (accento sulla "o", non sulla "u")

Černobyl' (accento sulla "o" alla ucraina o, al limite, sulla "y" alla russa, ma comunque assolutamente non sulla "e" come si usa in Italia)

Kiev, Moldavia (in italiano, non traslitterando dall'ucraino e dal moldavo rispettivamente Kyiv e Moldova). Anche Nizza, in russo, resta Nizza, non diventa Nice, poiché il nome era noto da prima che nascesse Garibaldi.

sabato 14 novembre 2009

Il pressappochismo di Radio Popolare

Oggi ho scritto a Radio Popolare, avendo ascoltato, via satellite, la trasmissione "Onde Road". La ragione si evince dal contenuto:

Complimenti, finora un errore del genere lo hanno fatto solo quelli del TG 2: San Pietroburgo non è mai stata Stalingrado! Anche perché, tra le due città ci sono 1.692 km (come da Milano a Trapani). San Pietroburgo nel 1914 fu rinominata Pietrogrado per fare uno sgarbo ai Prussiani (Prima Guerra Mondiale), Leningrado nel 1924 (alla morte di Lenin) e di nuovo San Pietroburgo da El'cin nel 1991; Volgograd si è chiamata Caricyn (per la pronuncia: Zarizin) fino al 1925 e Stalingrado fino al 1961.

Il conduttore, Claudio Agostoni, utente di Facebook, mi ha risposto:

Grazie, maestro.

Ieri notte mentre registravo mi è scappata sta cazzata.

Spero non abbia inficiato il lavoro di una notte, visto che l'unica cosa che commenti è questo errore...

Prima di venir denunciato dal sindaco di san pietroburgo farò rettifica a mezzo stampa...

Ed ecco infine la mia replica. Se dovesse esserci un seguito, aggiornerò questa nota:

Hai poco da prendere per i fondelli: io avrei detto “ho detto una cazzata” e punto. Non è necessario essere tuttologi: per dire, io non mi occupo di India, perché non ci capisco una sega, non so quante ne siano le province, i distretti, o chissà quali altre unità amministrative. Se ci sono tirato per i capelli, magari prima consulto qualche enciclopedia, persino Wikipedia (pur se poco affidabile). Se non ho tempo, almeno evito di inerpicarmi con enunciazioni calate dall’alto che potrebbero farmi incespicare.

Nel caso in questione, tuttavia, stiamo parlando dell’assedio di Leningrado (lo chiama così persino il pseudo ereditiere al trono, non “di San Pietroburgo”), durato quasi tre anni, e soprattutto della battaglia di Stalingrado. Cristo, io e te siamo cresciuti entrambi cantando Stalingrado degli Stormy Six, dovrebbe far parte del nostro patrimonio storico, o sbaglio? E’ come se io dicessi che Ernesto Guevara sia stato ammazzato a Cuba. Però, se lo dicessi io, l’avrei detto in una cerchia ristretta di amici, o, al limite, nel mio blog. Tu invece sei un giornalista, ti ascoltano decine di migliaia di persone (persino a Mosca, come vedi). E’ una responsabilità che hai liberamente scelto, assumitela.

Ricordo una domenica, durante il vostro programma mattutino di musica classica, quando un pezzo russo venne spacciato per jugoslavo (o qualcosa del genere, è passato troppo tempo). Lo feci notare, e alla puntata successiva fu fatta una rettifica, dal medesimo conduttore, senza che ciò dovesse rappresentare un dramma o una “lesa maestà”.

Da ultimo, mi chiedi, implicitamente, di commentare l’insieme della trasmissione. Qui scendiamo nel campo delle opinioni, che, per definizione, sono opinabili, perdonami la tautologia. Non mi è piaciuto quel che avete detto sull’Unione Sovietica, non mi è piaciuto quel che avete detto sulla cosiddetta (in Occidente) “cortina di ferro”, e soprattutto non mi è piaciuto quel che avete detto su Tito. Ma qui, appunto, le opinioni sono come le corna: ciascuno ha le sue. Esprimere una linea editoriale (che non condivido) è una cosa, fornire false informazioni (che, ribadisco, finora sono state fornite solo dal TG 2 berlusconiano) è ben altra, ti pare? E bada che sono stato per quindici anni (fino allo scioglimento) nel PCI, e persino al suo interno – per non parlare dei gruppi extraparlamentari – venivo chiamato “socialdemocratico” (ricorderai certamente quanto fosse offensivo, all’epoca). Peccato che ora tutta quella gentaglia sia passata al PD (e, per fortuna pochi, tra i “gruppettari”, addirittura al PDL) ed ora mi dia dell’estremista: io sono rimasto sempre uguale (che palle, eh?), loro intanto hanno fatto “sguish”.

E’ vero: con Radio Popolare non vado più d’accordo, dopo averci collaborato per dieci anni gratuitamente “per la causa”, trovi tutto qui, o altrimenti basterebbe che tu chiedessi a quanti cito nella pagina che ti ho così linkato, ma cadiamo nuovamente nella personalizzazione. Basterebbe, come dicevo all’inizio, fare una rettifica: non ci sarebbe nulla di male, e ti farebbe onore.

sabato 22 agosto 2009

Si fa per dire?

Sul venerdì di Repubblica del 21 agosto 2009, leggo un ennesimo stravolgimento della realtà, perpetrato con accanimento, incessantemente, consapevolmente. Per spiegare a cosa io mi riferisca, chiedo scusa a Piero Ottone se prendo a prestito il suo incipit dall’articolo nella medesima pubblicazione, ma su tutt’altro argomento:

Direte che mi ripeto, e avete ragione. Ma si ripetono anche gli eventi dei quali scrivo, e che vorrei che non si ripetessero.

Ebbene, nella sezione Esteri tale Alessandro Carlini racconta il restyling dell’Aeroflot. Hostess avvenenti, gonne accorciate e rinnovo, “si fa per dire” (parole sue) della flotta.

Sulle tratte europee internazionali non si ricorda aereo dell’Aeroflot che sia mai caduto, cosa che non si può dire dell’Alitalia (ricordate l’aereo caduto sulle Alpi al confine con la Svizzera?), ma è un vecchio discorso: se cade un aereo di Air France, cade un aereo della Air France, non della McDonnell Douglas statunitense. Se invece cade un Tupolev degli anni ’70 in Africa, mai revisionato da, che so io, Air Uganda, allora è caduto un aereo russo.

Come che sia, l’Aeroflot dispone di 104 aerei (l’Alitalia di 155, compresi i 57 di Air One, in un Paese grande un cinquantaseiesimo della Russia, a proposito di sprechi), di cui 11 Boeing 767 (l’Alitalia 6), 26 Tupolev 154, 6 Il'jušin 96, 15 A319 (l’Alitalia 12), 31 A320 (l’Alitalia 44), 10 A321 (l’Alitalia 23) e 3 A330 (l’Alitalia 2). Inoltre, l’Alitalia annovera 1 Avro RJ70, che non si producono dal 2003 (ne sono caduti 13), 6 Embraer 170 (72 posti, 850 km/h, analogo del Bombardier e del Super Jet Suchoj-Alenia, vedi sotto), 10 Bombardier CRJ900 (90 posti, 850 km/h), 18 Boeing 737 (ne sono caduti 147, infatti il Business Week lo ha dichiarato l’aereo più pericoloso del mondo) e 10 Boeing 777, 11 MD 80 e 12 MD 82, che non si producono dal 1999, essendone caduti 25 (e qui, al posto degli italiani, mi toccherei nelle parti basse: il Boeing 737 è il suo degno erede). Nel 2009 l’Aeroflot riceverà complessivamente 18 A320 e 6 A330. Dal 2016 (probabilmente il pennivendolo di Repubblica si riferiva a questo), l’Aeroflot riceverà 22 A350 e 22 Boeing 787. A breve dovrebbero arrivare anche 30 SSJ-100, alla cui costruzione ha partecipato anche la Finmeccanica e la Alenia, che evidentemente il pennivendolo ritiene dei fessi. Tanto fessi che è stata confermata documentalmente l’intenzione di acquistarne ulteriori 20.

ModelloAeroflotAlitaliaInizioFine
Avro RJ1700119782003
Embraer 170062002-
Bombardier CRJ9000101991-
Tupolev 15426019682007
Il'jušin 96601993-
MD 8002319801999
Boeing 7370181968-
Boeing 7671161982-
Boeing 7770101995-
Airbus A32056791987-
Airbus A330321992-

Sulla medesima pagina, a conferma (di cosa?), ci informano – questa è grossa, infatti non è firmato – che il 24 agosto è la festa dell’indipendenza dell’Ucraina e della Moldavia dalla… Russia. Stiamo parlando del 1991, appena 18 anni fa, e invece confidano già nella memoria corta degli italiani. Fu quello scellerato di El’cin, fin dalla fine del 1990, a spingere per la secessione della Russia dall’Unione Sovietica, creando non poco imbarazzo alle rimanenti 14 repubbliche, che rischiavano di diventare tante piccole enclave. Nell’agosto 1991 ci fu il tentativo di colpo di Stato, a seguito del quale il 26 dicembre l’URSS cessò di esistere. Il 1° dicembre, 25 giorni prima (non il 24 agosto, quando lo decise il Parlamento), in Ucraina si svolse un referendum per la secessione, cosa peraltro prevista dalla Costituzione sovietica (articolo 72). In quel periodo, seguirono l’esempio della Russia un po’ tutte.

Repetita juvant: secessione dall’URSS, non dalla Federazione Russa, che era solo una delle quindici, anche se la più grande. Il giorno che Bossi attuasse i suoi piani criminali, andrebbe via dall’Italia, non dal Lazio, con buona pace di “Roma ladrona”.

mercoledì 17 giugno 2009

Che palle l'arancione

La mia prima reazione interiore ai disordini susseguitisi dopo le elezioni in Iran, è stata: ci risiamo, con le rivoluzioni arancioni finanziate dalla CIA. E, a differenza di trent'anni fa, non c'è più nel mondo (in Italia di sicuro) una sinistra pronta a contrastarlo, proni ora con Obama, prima con Clinton (vedi Jugoslavia).

Poi mi sono detto che forse no. Moussavi non è un novellino: era capo del governo proprio con Ahmadinejad (che non può starmi simpatico a prescindere, essendo io contrario ad ogni commistione tra Stato e chiesa), ed è stato quello che ha iniziato le ricerche per fare le bombe all'uranio arricchito. Dunque, checché ne dicano i pennivendoli italici proni, trattasi meramente di un regolamento di conti tra i potentati di quel Paese, e non vedo alcuna ragione (ne vedo eccome) per cui gli organi di informazione di massa della Penisola si debbano schierare.

Poi però mi sono ricordato che anche Saakašvili, sfigato avvocato del foro di Nuova York, era ministro con Ševardnadze. E mi sono anche ricordato che la moglie di Juščenko ha la cittadinanza statunitense.

Il gruppo L'Espresso-Repubblica, in Italia contro quel pagliaccio vanesio che è Berlusconi, è russofobo e filoyankee. La 7, in Italia contro quel pagliaccio vanesio che è Berlusconi, da qualche mese non trasmette più in chiaro in Europa (e in Russia), ma solo negli Stati Uniti. RAI Italia, spesso non filo Berlusconi in Italia, parla solo degli emigranti italiani in America, nonostante che iscritti all'AIRE (e dunque con diritto di voto) ci siano circa un milione e mezzo nelle Americhe e limitrofi e due milioni e mezzo in Europa ed Asia.

E' vero: l'Occidente avrebbe meno problemi a parlare con Moussavi, di quanti ne abbia a parlare con Ahmadinejad. Ma siamo nuovamente alla rivoluzione arancione.

Saakašvili ha fatto un golpe e adesso tratta gli oppositori come veniva trattato lui da golpista. Juščenko ha fatto un golpe e adesso tratta gli oppositori come veniva trattato lui da golpista. Se prevarrà Moussavi, accadrà la stessa cosa. In fondo, il golpe in URSS del 1991 e quello del 1993 di El'cin in Russia sono state le prove generali, come la pseudo rivolta contro Milošević. Perché certe regole, presentate come paradiso della democrazia, valgono solo finquando non intaccano gli amici dei nostri amici...

sabato 6 dicembre 2008

Alessio II

Trovo le seguenti notizie su RAI News 24:

http://www.rainews24.it/Notizia.asp?NewsId=89156

Mentre prosegue l'omaggio dei russi alla salma di Alessio II nella cattedrale del Cristo Salvatore a Mosca, continuano a rincorrersi gli interrogativi sul passato del patriarca di tutte le Russie come sospetto informatore del Kgb. Secondo alcuni esperti, il capo della chiesa ortodossa sarebbe stato un assiduo informatore della polizia politica del regime sovietico, reclutato nel 1958 con il nome di "Drozdov".

Quello di Alessio II sarebbe stato un destino comune a quasi tutti i vescovi russi nell'era sovietica, secondo quanto affermato da padre Gleb Iakunin, dissidente e difensore dei diritti dell'uomo, che ha studiato gli archivi del Kgb negli anni '90. "Erano tutti informatori. Ma Alessio si distingueva particolarmente. Era molto attivo nell'esercizio di questa professione", ha affermato. E molti di questi vescovi parteciperanno, adesso, all'elezione del successore di Alessio II, morto ieri all'età di 79 anni.

La prova più convincente della collaborazione di Alessio II con il Kgb sarebbe un documento scoperto in Estonia negli anni '90 dallo storico Indrek Jurjo, direttore delle pubblicazioni degli archivi di stato. "E' la descrizione dell'assunzione dell'agente Drozdov. Il suo vero nome non è indicato, ma tutto corrisponde alla biografia del patriarca Alessio II, tra cui l'anno della sua nascita", ha dichiarato Jurjo. "Il Kgb non ha esercitato forti pressioni su di lui. Non ci sono documenti compromettenti. Gli hanno appena offerto la possibilità di fare carriera e se avesse opposto un rifiuto sarebbe probabilmente rimasto un sacerdote ordinario", ha commentato ancora Jurjo.

Alessio non ha mai ammesso di essere stato un informatore del Kgb e la Chiesa ortodossa ha smentito tutte le accuse di infiltrazione nella polizia politica sovietica anche dopo la pubblicazione di alcuni articoli a tal proposito negli anni '90. Il patriarca ha tuttavia chiesto "perdono" per le azioni compiute dai vertici della chiesa, in un'intervista concessa al quotidiano russo Izvestia nel 1991. Spiegando come, da vescovo in Estonia, aveva ottenuto che nessuna chiesa locale venisse chiusa, aveva ammesso: "Difendendo una cosa, è necessario cedere su un'altra. Chiedo perdono, comprensione e preghiere a coloro i quali hanno ricevuto danno da compromessi, silenzio, passività forzata o espressioni di onestà tollerate dai vertici della Chiesa".

Secondo Oleg Kalouguin, ex generale del Kgb e autore di alcuni libri sui servizi segreti sovietici, Alessio II avrebbe ritenuto opportuno collaborare per salvare la chiesa ortodossa. L'ex ufficiale ha raccontato di avere chiesto nel 1991 all'allora vescovo le ragioni della sua scelta. "Che cos'altro avrei potuto fare? Dovevo scegliere tra emigrare, essere ucciso, andare in un campo di concentramento o collaborare. Ho cooperato per salvare la chiesa e me stesso", avrebbe risposto Alessio II.

D'altra parte, la direttrice dell'Istituto Keston di Oxford, Ksenia Dennen, afferma di non essere affatto stupita dalla collaborazione di Alessio II con il Kgb: non vedo "nulla di straordinario", ha confessato. "Tutto il mondo ne era a conoscenza e quello era l'unico modo che aveva la chiesa per sopravvivere come organizzazione non clandestina".

E adesso vediamo di analizzare, visto che è un sublime esempio di manipolazione dell'informazione da parte di pennivendoli italici venduti al potere – chiunque ci sia – per trenta denari, che si assurgono a coraggiosi giornalisti che rischiano la pelle.

Personalmente, non sono cristiano ortodosso. Non sono nemmeno cattolico. Non sono cristiano. Non sono religioso. E non sono nemmeno agnostico. Sono proprio ateo, e, a differenza di molti ipocriti italioti, non lo nascondo, ma anzi lo affermo con orgoglio. Non sono manco battezzato, né circonciso, né quant'altro, figuriamoci.

Francamente, mi stava molto più simpatico l'estone Alessio II, che ha combattuto, armi in pugno, ragazzino, contro i nazisti, piuttosto che il tedesco Ratzinger, che nazista lo è stato in prima persona. Una questione di stile e di etica, se vogliamo.

Ma vediamo di analizzare, dicevo.

Si parla di "alcuni esperti". Nomi e cognomi? Altrimenti, non sono esperti, ma semplici anonimi e vili delatori, che oltretutto non si sa se non siano in realtà inventati di sana pianta dai pennivendoli di cui sopra, che sono troppo pavidi per assumersi la responsabilità delle loro allusioni. E si pone, soprattutto, un problema di millantato credito e di vilipendio. Cioè, di calunnia gratuita. Gratuita perché manca il soggetto da denunciare in tribunale.

Chi è Gleb Jakunin? Già il fatto che sia osannato dal Partito Radicale italiano dovrebbe mettere in guardia e suscitare non pochi pruriti. Ma non è questo, il fatto più eclatante. Jakunin, ex sassofonista jazz, viene definito "dissidente". In epoca sovietica? No: adesso. Ma adesso non ci sono dissidenti! A meno che non si possa definire dissidente chiunque, nel proprio Paese, sia contrario alla maggioranza al governo. Allora, in Italia circa un terzo degli abitanti è "dissidente", nei confronti di Berlusconi. Mi pare un termine smodato. Di più: Jakunin è stato deputato. Quando? Dal 1993 al 1996, ovvero da dopo che El'cin ha massacrato con i carri armati il Parlamento russo (4 ottobre 1993). Insomma, è uno el'ciniano di ferro.

Chi è Indrek Jurio? Un illustre sconosciuto. Uno dei tanti. Ma è estone. Dunque, degno di fede in quanto russofobo per elezione etnica. Almeno, da come viene presentato in occidente. Un po' come se tale Mario Rossi parlasse di Lavrentij Beria, o tale Vladimir Ivanov parlasse di Amintore Fanfani. Per carità, ciascuno può parlare di quel che gli pare, basta che non venga recepito come "verbo".

Cosa corrisponde, nella descrizione dell'agente "Drozdov", secondo Jurio? L'anno di nascita. Una prova inoppugnabile. Io sono nato nel 1962. Chissà quanti figli di puttana sono nati anch'essi nel 1962. C'è poco da fidarsi, di noialtri del 1962. Qualcos'altro? Dice di sì. Cosa? Non ci è dato di saperlo.

Anzi: una prova sarebbe il perdono che Alessio II ha chiesto per le malefatte della chiesa ortodossa in epoca sovietica. Attendo le scuse della chiesa cattolica per le malefatte compiute in epoca nazista tedesca e fascista italiana.

Chi è Oleg Kalugin? E' una delle gole profonde del dossier Mitrokhin. Ma sì, la bufala di Paolo Guzzanti, non so se mi spiego. Ci aveva messo pure mio padre, figuriamoci. Strano che non ci sia finito pure io. Quindici anni fa il Corriere della Sera lo definiva "lo 007 di El'cin". E non finisce qui: pur di guadagnar soldi, una mattina sì e l'altra invece pure elargiva pillole di rivelazioni a pagamento, tipo quando si inventò marines yankee trasferiti dal Vietnam a Mosca. Ma vive negli Stati Uniti. Dunque, adesso diventa anch'esso il verbo.

E poi, Gorbačëv. Secondo i giornali italiani, era profondamente avvilito, addirittura sconvolto. E invece? Invece, ha detto di essere tuttora ateo, ma che è sinceramente dispiaciuto per la morte di una persona degna. Avete trovato qualche accenno a ciò nei giornali italiani?

Fondamentalmente, ho una sola domanda da porre ai pennivendoli italici di cui sopra: ma a voi che vi frega? Possibile che vi paghino persino per questo? Continuate a parlare dell'isola dei famosi, che vi riesce decisamente meglio…

venerdì 19 settembre 2008

E la borsa (russa) e la vita

In merito alla chiusura per un paio di giorni della borsa russa, qui hanno deciso di far raffreddare i cervelli ai brokers, prima di riaprire, proprio ad evitare storiacce tipo 17 agosto 1998. E tutto il Paese, da governo ad opposizione, passando per il popolino, è d’accordo. In Occidente fanno in altro modo? Chi se ne frega, anche perché spesso, nella storia, se ne sono visti i risultati.

A questo aggiungiamo che, alla riapertura, lo Stato ha fornito alle tre principali banche centrali mezzo trilione di rubli (quattordici miliardi di euro), affinché a loro volta possano garantire che nessuna delle banche minori faccia bancarotta e che possa diffondersi il panico con effetto a macchia d’olio. Qui per ora tutto bene (e speriamo meglio).

A differenza del decennio alcolico (El’cin), in Russia è gradito che esista la borsa, ma se non c’è – nessuno piange, ed il Paese va avanti lo stesso. Un po’ come per la OMC: entrarci, eviterebbe un sacco di scartoffie doganali tra Russia ed UE, tra Russia ed Occidente in genere; ma se la signora Rice non gradisce, qui nessuno si strappa i capelli, il Paese è autosufficiente anche senza OMC.

Autarchia? Beh, in un Paese che ha tutta (tutta!) la tabella di Mendeleev a disposizione, non sarebbe un dramma. Sarà per questo che, periodicamente, al Congresso USA, si trova il russofobo di turno che afferma che bisognerebbe ridiscutere l’appartenenza della Siberia (sic!) alla Russia?

Vedrete, nelle prossime settimane, che casino scoppierà sui confini territoriali russi nel circolo polare artico! E non sto scherzando: il riscaldamento globale sta portando allo scoperto risorse prima inimmaginabili...

sabato 16 febbraio 2008

Stati Uniti Planetari

di Mark Bernardini

Stamane mia moglie mi raccontava di un altro bambino, un po’ più grande, che a scuola, qui a Mosca, era stato giudicato “ritardato”. I suoi genitori sono due pittori, dipingono anche icone nelle chiese. L’ho visto: un normalissimo ragazzino, con buona propensione per le lingue straniere (ed io ne so qualcosa). Come tutti i ragazzini, per anni i genitori non potevano lasciare in giro una sveglia, l’avrebbe smontata. Solo che lui smontava persino i cardini delle porte.

Qual era il problema? Non aveva mai fatto un puzzle. Personalmente, ritengo che sia un gioco come un altro, non vi è nulla di antipedagogico, né però d’altra parte può essere assunto a parametro di giudizio in questa sorta di anamnesi arbitraria, compilata, evidentemente, da dei dilettanti allo sbaraglio. Dopo quel giudizio, i genitori gli hanno regalato alcuni puzzle, tempo qualche giorno e a scuola li faceva nella metà del tempo degli altri.

Ovviamente, da questo episodio desidero estrarre una morale, un meccanismo, una logica un minimo rappresentativa statisticamente.

Ricordo, nel 1978, al liceo a Roma, avevamo una materia che si chiamava Educazione civica. Naturalmente, non appena in Italia si riesce a combinare qualcosa di buono, bisogna subito abolirlo. Così è stato per questa materia: quale momento migliore, oggi, sarebbe stato per studiare la Costituzione? Ma lasciamo stare, torniamo ad allora. Con malcelata soddisfazione, ma anche con sincero stupore, apprendemmo che, da un sondaggio (già allora, accidenti), il 70% dei nostri coetanei statunitensi erano convinti che, durante la Seconda guerra mondiale, gli statunitensi (ma loro dicono “americani”) ed i sovietici (ma loro dicevano “russi”) avessero combattuto gli uni contro gli altri. Da allora sono passati trent’anni, i ventenni di allora sono i cinquantenni di oggi. Sono, in altri termini, la classe dirigente del Paese più potente del nostro pianeta. E ci stupiamo che il loro Presidente possa confondere non dico Slovenia e Slovacchia, ma Austria ed Australia?

Dalla metà degli anni ’80, dall’inizio della perestrojka, e soprattutto dopo la dissoluzione dell’URSS e la presa armata del potere da parte di El’cin, col cannoneggiamento del Parlamento nel ’93, nello spazio geografico postsovietico si era andato affermando il mito americano, fatto di Coca-Cola, Mac Donalds, marchi, neon, grattacieli, gomme americane.

Il nuovo Millennio ha segnato il riscatto e la disillusione, per fortuna. Ma intanto i ventenni di vent’anni fa oggi fanno gli insegnanti. E giudicano i malcapitati, nati in questo Millennio, a colpi di test. Se non si inverte la tendenza rapidamente, ci troveremo i malcapitati di oggi a testare altri malcapitati domani, ed il gioco sarà fatto: Stati Uniti Planetari.

sabato 12 gennaio 2008

Russia e religione

di Antonio Gramsci e Mark Bernardini

Si tratta di un nostro carteggio, in questi giorni a cavallo tra due anni, sull'argomento in oggetto. E' nato da un articolo di Antonio per l'Unità, a cui avevo risposto, pur sapendo perfettamente che l'Unità non mi avrebbe mai pubblicato, essendo io un appestato proveniente dal PCI che non si è mai iscritto a PDS-DS-PD. Ne è nato un confronto di idee e di valori espressivi molto interessante. Senza false modestie, un'ottima rappresentazione di come a me piace e ritengo si debba discutere.

L'ora di religione obbligatoria

Ecco, è scoppiata la prima tempesta che si aspettava già da un pezzo. La procura di San Pietroburgo ha scoperto una infrazione pesante della legge "sulla libertà di coscienza e sulle organizzazioni religiose" da parte di un ginnasio di medicina dove senza nessuna autorizzazione ufficiale si impartivano lezioni di religione ortodossa. Si è verificato inoltre che gli studenti erano obbligati alle preghiere quotidiane. Si sa che in almeno due regioni della Federazione Russa - in quelle di Belgorod e di Vladimir - la religione ortodossa è diventata già da qualche anno la materia obbligatoria in tutte le scuole. E non si tratta per niente della storia delle religioni mondiali, disciplina ancora nello stadio di elaborazione e sperimentazione, della cui necessità se ne discute già dalla fine degli anni novanta e il carattere laico della quale è sempre sottolineato dal Ministero d'istruzione e da Putin stesso. Invece in queste regioni si tratta proprio di lezioni di religione ortodossa (la materia si chiama "le basi della cultura ortodossa") condotte più o meno secondo lo stesso schema come lo si fa in Italia nell'insegnamento della religione cattolica. Tuttavia questa iniziativa promossa dalle autorità regionali con il tacito consenso del Cremlino non è stata contestata dalla popolazione locale ma anzi, da essa è stata molto gradita. Infatti, trattandosi delle regioni tra le più depresse della Russia centrale (oltre tutto, la città di Belgorod è famosa per il suo alto livello di corruzione) "l'oppio del popolo" rappresenta per il momento forse l'unico svago e il rimedio contro il degrado culturale e sociale con tutto il suo carico di disoccupazione, criminalità e, soprattutto, alcolismo. Invece quello che è accaduto a San Pietroburgo acquista immediatamente un taglio di un precedente molto grave trattandosi della capitale culturale, della città forse più "europea" nel nostro Paese. Questo avvenimento può significare che la lunga battaglia tra i sostenitori e gli avversari dell'introduzione delle ore obbligatorie di religione è entrata nella sua fase finale.

Secondo la legislazione russa è l'alunno stesso che in ultima istanza può decidere se frequentare o meno le ore di religione (in Italia sono i genitori che firmano una rispettiva autorizzazione). Avendo una lunga esperienza dell'insegnamento nella scuola italiana a Mosca potevo osservare più volte come il fatto di non frequentare le ore di religione creava un contrasto poco sano tra l'alunno e il resto della classe. Nella maggior parte dei casi si trattava degli alunni i cui genitori appartenevano alla elite intellettuale. Di conseguenza, soprattutto quando si trattava di un allievo brillante e con la personalità forte, la materia stessa veniva in un certo senso compromessa come se "la religione spettasse solo al popolino". Succedeva anche dell'altro. Non dimenticherò mai un ragazzino proveniente da una famiglia dei fisici, oltreché di origine ebraica, che cercavo disperatamente di difendere da insulti e maltrattamenti dei compagni di classe ("tu non ci credi, non sei uno dei nostri"). L'altro aspetto riguarda invece la coerenza logica con le altre materie, soprattutto con storia e scienze naturali. Come si può spiegare al bambino ingenuo che le atrocità commesse dai cristiani (incendio della biblioteca ad Alessandria, inquisizione, conversione forzata degli ebrei spagnoli, processi contro Giordano Bruno e Galilei, sterminio dei vecchi credenti russi, ecc.) non ha niente a che fare con i precetti di Gesù, leggendario o reale che sia. È più o meno come tentare a spiegare che i crimini del regime di Stalin non offuschino minimamente profondità e altezza morale del pensiero di Marx ed Engels.

E infatti, neanche nel periodo del disgelo e oltre, dopo il famoso discorso di Chruščëv al XX plenum del PCUS, nelle scuole sovietiche si preferiva di non parlarne. Come può il povero professore di scienze naturali trattare l'origine dell'Universo, la teoria di Darwin (in particolare l'evoluzione dell'uomo) avendo accanto a sé un collega che davanti agli stessi alunni asserisce esattamente il contrario? Proprio quest'anno la Russia ha avuto il suo primo processo "scimmiesco" quando un padre si è rivolto al tribunale accusando l'insegnante di biologia dell'offesa dei sentimenti religiosi di sua figlia. Per il momento questo padre premuroso ha perso la causa però è diventato famoso e ha trovato subito appoggio, soprattutto tra i rappresentanti delle scienze umanistiche, principali fautori dell'idea nazionale in cui il recupero della religiosità dei russi è il punto chiave.

I sostenitori delle ore obbligatorie di religione capeggiati dal patriarca Alessio II affermano che solamente attraverso lo studio di questa disciplina il bambino può concepire i valori umani ed associarsi al processo culturale di cui la religione, appunto, fa la parte integrante. Ma non sarebbe più efficace distribuire questi valori, questa cultura in maniera organica e equilibrata in tutte le materie scolastiche? Come è noto, le vitamine si assimilano meglio non nello stato puro ma in forma degli ingredienti del cibo più rozzo.

Antonio Gramsci, l'Unità, 29 dicembre 2007

* * *

Cara redazione, ho avuto uno scambio di lettere molto suggestivo con il mio amico Mark Bernardini che come me proviene da una famiglia italo-russa. Lui si trovava in Italia quando è uscito il mio articolo sulle ore obbligatorie di religione e mi ha scritto subito una lettera molto interessante che ritengo sia degna dell'attenzione dei lettori. A mia volta ho scritto la risposta che contiene alcuni chiarimenti e aggiunte al mio articolo.

Caro Antonio, vivo a Mosca anch'io e noi ci conosciamo. Mi permetto quindi di rispondere alla tua lettera del 29 dicembre, non già perché io non ne condivida il contenuto, ma piuttosto per contribuire ad arricchirne le argomentazioni.

Sgomberiamo subito il campo da ogni fraintendimento: non sono agnostico, sono ateo e non sono nemmeno battezzato, grazie ai miei genitori, che mi hanno lasciato la possibilità di scegliere, da adulto. Considero comunque la religione come tale un fenomeno degno di studio, che ha influito ed influisce pesantemente sulla storia, sulla filosofia, sulla psicologia, sulla letteratura e sulle scienze esatte. In pratica, non c'è campo dello scibile umano che non ne sia stato coinvolto, nel bene e nel male.

Mi sono riconosciuto pesantemente nella tua descrizione del ragazzino "diverso" perché esonerato dall'ora di religione a Mosca. Da sempre, a scuola, esiste il "ciccione", il "quattrocchi", il "roscio", eccetera. Quando studiavo a Mosca da bambino, all'inizio degli anni '70, ogni estate andavo da mio padre in Italia. Essendo nato di luglio, non potevo quindi festeggiare il compleanno con i miei compagni di classe. Per questo, escogitai la festa del 25 aprile, con la scusa di San Marco, perché però per me era il giorno della Liberazione italiana dal fascismo. Tutto bene, finché non lo scoprì una nostra insegnante, che ci fece una pesantissima reprimenda pubblica, accusandomi di oscurantismo. Sono assolutamente certo che quell'insegnante, se mai fosse ancora viva, è ora tra le più fervide vecchiette frequentatrici della chiesa ortodossa.

Analogamente, quando iniziai le medie inferiori in Italia, ho subìto tutti i pregiudizi legati all'essere l'unico bambino esonerato dall'ora di religione cattolica. E' bene ricordare, infatti, che c'è molto più rispetto per coloro che si professano di "altra" religione, piuttosto che non per quanti ne sono privi del tutto.

Ecco perché quindi, e vengo alla tua lettera, sono per ora molto meno preoccupato di te per la laicità dello Stato russo: non bisogna dimenticare, infatti, che la Russia non a caso è una Federazione. Tant'è che, per quanto riguarda la religione, si dichiara ortodosso il 63% della popolazione, solo il 2% frequenta assiduamente le chiese, e solo il 55% dichiara di credere in dio, quale che sia. In altre parole, anche in Italia non tutti i cattolici credono in dio. Giusto per fare un esempio, a Pasqua 2003 le chiese moscovite sono state frequentate da appena 63 mila persone, circa lo 0,5% degli abitanti della capitale. Ma quando parlo di Federazione, mi riferisco non tanto e non solo all'alta percentuale di atei, quanto alla presenza di altre religioni: a parte mezzo milione di cattolici, un milione e mezzo di armeni gregoriani, un milione di protestanti, un milione e mezzo di ebrei (mezzo milione concentrato proprio a Mosca) ed altrettanti buddisti, ci sono 15 milioni di musulmani. Riassumendo, sarà ben dura che qualcuno possa concedersi il lusso di scatenare le ire non dico di circa 60 milioni di non credenti (e tra questi anche 12 milioni di "ortodossi"), ma di ben oltre venti milioni di religiosi non cristiani ortodossi.

Altro è che condivido pienamente le tue preoccupazioni. In altra epoca ed altro contesto avrei invitato alla "vigilanza". E faccio mio l'appello firmato nel 2006 da dieci luminari dell'Accademia russa delle Scienze, tra cui i premi Nobel Alfërov e Ginzburg. Proprio a quest'ultimo, che ha superato i 90 anni ed ha una lucidità che farebbe invidia a molti giovanotti, in un'intervista televisiva l'anno scorso chiesero del suo rapporto con dio. L'arzillo vecchietto, fino a quel momento piuttosto tranquillo, ha strabuzzato gli occhi: sono un fisico, come potete pensare che io possa credere in qualcosa?

Mark Bernardini, 30 dicembre 2007

* * *

Caro Mark, la tua lettera è molto suggestiva, soprattutto nella parte dedicata ai ricordi dell'infanzia difficile. Pero non posso condividere del tutto le tue argomentazioni che mirano a ridimensionare il fenomeno della catechizzazione nel nostro Paese. E' vero che la Russia è una Federazione, ma il fenomeno riguarda soprattutto la Chiesa ortodossa che comunque annovera il maggior numero di credenti nel nostro Paese ed è considerata quasi la religione di Stato. Si puo convincersene durante le festività ortodosse, quando tutti i canali televisivi trasmettono contemporaneamente tutte le funzioni svolte nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca.

Invece i musulmani, il grosso dei quali vive in Caucaso e nella Repubblica di Tatarstan, non persero mai le loro tradizioni religiose. Tuttavia certi cambiamenti li hanno avuti anche loro e riguardano soprattutto lo studio delle fonti, che non era un'impresa facile nell'Unione Sovietica. Molti giovani tartari, per esempio, hanno intrapreso gli studi religiosi in Arabia Saudita e nella repubblica del Tatarstan sono state aperte numerose madrasse. In Caucaso, dove nell'epoca sovietica era diffuso il sufismo moderato con il suo culto dei santi, adesso si ritorna all'islam più rigido e tradizionale. Invece il risveglio della religione buddista, quasi completamente dimenticata nella repubblica dei Calmucchi è stata promossa negli anni Novanta dal presidente Kirsan Iljumzinov. In altre repubbliche, come in Buriatia e Tuva, permane da secoli un miscuglio bizzarro tra le credenze sciamanistiche locali e il lamaismo tibetano.

Non voglio parlare di altre confessioni che hanno pochissima importanza nella composizione religiosa del Paese (per esempio, dopo l'emigrazione massiccia degli ebrei negli anni 70-80 il giudaismo ha perso le sue posizioni, lo stesso si può dire dei protestanti tedeschi). Concentriamoci quindi sul recupero dell'Ortodossia russa promosso energicamente dal Cremlino e di conseguenza da tutte le autorità locali. Uno degli obiettivi, magari indiretto, di questa iniziativa secondo il mio punto di vista, forse troppo marxista, è di togliere alla popolazione la capacità del ragionamento critico. Non per caso nel mio articolo ho menzionato la regione di Belgorod la cui amministrazione e tra le più corrotte in Russia (il governatore Evgenij Savčenko è coinvolto nei numerosi scandali sull'edilizia illegale, sulla trasformazione dei terreni arabili in quelli per il trasporto, ecc.), ma lo studio obbligatorio della religione ortodossa fiorisce in tutte le scuole. E non voglio parlare delle banalità che tu conosci bene: la collaborazione di quasi tutti i gerarchi della Chiesa ortodossa, incluso il patriarca Alessio II, con il KGB nell'epoca sovietica e i loro stretti legami con il mondo degli affari. In questo settore alla fine degli anni Novanta si è distinto in modo particolare il metropolita di Smolensk e Kaliningrad Kirill con il commercio quasi illegale (usava agevolazioni fiscali trattandosi di aiuti umanitari) di sigarette, diamanti e perfino petrolio ricavandone milioni di dollari. Molte carte della sua documentazione commerciale portavano la firma del Patriarca. Non per caso molte iniziative sulla "promozione" dell'Ortodossia provengono proprio da lui. Kirill è diventato anche "famoso" con le sue proposte sulla limitazione dei diritti degli omossessuali.

Caro Marco, la battaglia in realtà è dura. Il nemico non è molto intelligente ma astuto. Non importa quante persone hanno frequentato le chiese durante la Pasqua. Importante è che cosa c'è scritto nei libri scolastici che leggono i nostri figli, che cosa fanno vedere alla Tv, cosa scrivono nelle riviste e giornali più in voga. Pochissimi sanno chi è Alfërov (solo perché è stato nella lista elettorale del Partito comunista), quasi nessuno ormai conosce Ginzburg (che era invece un mito per la mia generazione e per quelle precedenti, nell'epoca d'oro in cui i fisici erano divinità), però tutti sono subito informati delle "rivelazioni" religiose dei nostri cantanti e attori famosi fatte nelle innumerevoli interviste. L'immagine di Putin stesso, amatissimo "padre della nazione", con la candela accesa sullo sfondo dell'icona della Madonna che appare sugli schermi televisivi viene imposto con ostinazione più volte all'anno.

Forse non è modesto fare riferimento a mio nonno, però voglio ricordare la sua teoria del cambiamento "molecolare" dell'opinione pubblica in favore della classe dominante, i cui promotori principali sono gli intellettuali.

Nel nostro caso specifico questa classe è composta da coloro che hanno favorito il depredamento del nostro Paese. Sono diventati persone rispettabili, per bene. Cercano perfino di arricchire il loro bagaglio culturale, mandano i figli a studiare nei migliori collegi dell'Inghilterra, sono diventati patrioti e sognano la "Magna Russia". Vogliono diventare insomma una nuova nobiltà russa, non dimenticando anche noi, il popolino, facendoci ogni tanto qualche regalino. Vogliono che noi dimentichiamo il loro passato ignobile di truffatori. L'ha detto molto chiaramente il "capro espiatorio" di tutti i mali della Russia, il "padre" della privatizzazione Anatolij Čubajs in una intervista: "Cari amici, ormai la privatizzazione è una roba da passato. Per andare avanti non dovremo mai ritornare a discuterne". Purtroppo la religione, che da tempo si è trasformata da protesta sociale in conformismo sociale, e il migliore strumento per tale operazione.

Auguri per l'Anno Nuovo.

Ti abbraccio

Antonio, 31 dicembre 2007

* * *

Carissimo,

mi pare che involontariamente e casualmente stiamo creando un dibattito molto interessante, per ora a due, ma spero a breve di vedervi partecipare anche altri.

Il bello è che siamo perfettamente d'accordo, è solo una questione di sfumature, di accenti: tu sei sinceramente preoccupato per una eccessiva catechizzazione (ed anzi una catechizzazione sic et simpliciter) della Russia, io rifuggo ogni confusione e commistione tra Stato e Chiesa, ma non la vedo così imponente, al momento, forse influenzato dall'aver vissuto 27 anni (tre quinti della mia vita) in un Paese dove la Chiesa – cattolica – la fa tuttora da padrona in tutto, dalle preferenze sessuali all'ordinamento civile: l'Italia.

Hai ragione: il problema non è tanto e non è solo quello della Chiesa ortodossa quanto quello della religione come tale, che storicamente è prontissima a sostituirsi ad ogni valore morale in periodi di assenza di questi ultimi. Dirò una cosa scontata e marxiana che a molti suonerà da bestemmia, ma, brechtianamente, sono abituato a stare dalla parte del torto perché gli altri posti erano tutti occupati: la religione continua ad essere un oppio micidiale per il popolino, seconda solo alla fede nella propria squadra del cuore.

Per quanto riguarda Alessio II, sfondi una porta girevole, anche se comunque preferisco un patriarca ortodosso estone che abbia combattuto contro i nazisti, ad un patriarca cattolico tedesco che abbia fatto parte delle SS. Sul KGB e sui serivizi di sicurezza di Stato, di qualsiasi Stato, invece, ho ben altra opinione. Ogni Stato, di ogni epoca, deve disporre di tali servizi, persino la Repubblica delle Bahamas: se c'è qualcosa da depredare, stai tranquillo che gli Stati confinanti cercheranno sempre di impossessarsene, facendo la guerra o fomentando la rivolta interna. Certo, non bisogna farsi prendere dalla mania dell'accerchiamento, ma trovo del tutto normale e giustificato che in Italia ci sia il SISMI, in Russia l'FSB, in Inghilterra il MI6, eccetera: tutto sta a vedere se si comportino in modo lecito, previsto dall'ordinamento legislativo del proprio Paese. Come ricorderai, nei giorni del golpe dell'agosto 1991 tutti se la presero con Dzeržinskij, abbattendone la statua, colpevole di tutte le bestialità possibili ed immaginabili perpetrate dal KGB. Dzeržinskij è morto nel 1926, in circostanze mai del tutto chiarite, il KGB era di là da venire. Di più: ebbe l'intelligenza di comprendere che non si costruisce un servizio di sicurezza interno, con tedeschi, inglesi, francesi che premevano alle porte, partendo da zero. E la lungimiranza di ammettere che una parte degli agenti dell'epoca zarista non si erano macchiati di crimini, ma erano come i carabinieri italiani: nei secoli fedeli, e non già ad un governo, ma allo Stato. E' sulla loro base che costituì la ČK.

Hai ragione, Antonio: la battaglia è durissima, ed il nemico non è esattamente una cima, in compenso è furbo. Un po' come Berlusconi, ma questo è un altro discorso. Mio padre, che non ritengo costituisca un'eccezione, è stato sì tamburino dei Balilla, come quasi tutti quelli della sua generazione. Ma suo padre, confinato da Mussolini (Ustica, Ponza, Favignana) e torturato dalla Banda Koch, ha svolto la funzione di traino, per cui mio padre ancora oggi si dichiara ateo e comunista. Come vedi, a nulla sono serviti i libri e le ore obbligatorie di religione a scuola. Ciò premesso, sposo in pieno le tue preoccupazioni: come dicevo all'inizio, è solo una questione di accenti, o di priorità.

La teoria di tuo nonno mi pare molto azzeccata, e sorprendentemente attuale, soprattutto riferita al bombardamento mediatico italiano e alla menzogna elevata a sistema da parte della cosiddetta opposizione russa, quella che, al potere dopo la dissoluzione dell'URSS, ha depredato il depredabile. Non so, forse le mie posizioni sono eccessivamente snobistiche, ma non mi sento pronto a muovere un dito per chi osanna certi personaggi, e non è questione di democrazia: gli italiani che votano Berlusconi, ma anche il suo amico Craxi prima e la Democrazia Cristiana per mezzo secolo. Dico che la democrazia non c'entra perché con Mussolini piazza Venezia era piena dello stesso popolino che pochi anni dopo ne prendeva a calci il cadavere in piazzale Loreto. Idem dicasi di El'cin, e dovremo ancora prima o poi fare i conti con la mattanza del Parlamento russo del 1993.

Mark Bernardini, 1 gennaio 2008

mercoledì 27 giugno 2007

Prospettive sinistre

di Mark Bernardini

Su un articolo di Milena Gabanelli nel forum della RAI nel gruppo di discussione No Berluska si è sviluppato un dibattito dal quale vi propongo un mio intervento.

...Rita diceva che a votare con i tampax nel naso ci siamo già andati e il risultato l'abbiamo davanti agli occhi.

La Gabanelli, ex intrattenitrice di Telelombardia, dice che sono almeno vent'anni che vota contro, anziché "per". Io, la prima volta che ho votato contro, è stato l'anno scorso. Non è una differenza da poco: denota due mentalità, due percorsi e, in ultima analisi, due obiettivi sideralmente opposti.

Sempre più sconsolata, Rita rifletteva che ora è giunto il momento del PD e dell'ascesa al trono di Veltroni, quello che non è mai stato comunista, ma stava iscritto al PCI per combattere dall'interno. Il futuro è immaginabile, l'impoverimento morale della politica è diventata scienza. L'azzeramento degli ultimi sospiri di sinistra è pressoché inevitabile... E allora, che si fa?.

Si può pensare quel che si vuole della nuova Sinistra di Mussi (e personalmente non ne penso granché bene), però è un tentativo, quello di coordinarsi con parte del PRC, parte del PdCI e parte dei Verdi, che tenta di rispondere alla domanda di Rita. Non è il grande Partito Comunista di Gramsci, Togliatti, Longo, Berlinguer? Grazie, lo so. Ma è sempre meglio sia del PD, sia delle posizioni alla Gabanelli. Voglio citare ancora la mia frase preferita sul Partito da "Novecento" di Bertolucci, perché i fatti restano fatti: Depardieu porta in officina un volantino, è l'Unità clandestina.

- Quale Lenin? Guarda come siamo ridotti: non c'è più la casa del popolo, non c'è più la tessera, non c'è più il giornale...

- Toh il giornale, guarda! E' la prova che ci sono dei compagni, che l'hanno scritto e stampato, rischiando la prigione. Toh, guarda per quante mani è già passato. Imparalo. Imparalo a memoria, perché quando si sarà consumato, toccherà a te raccontare agli altri quello che c'era scritto.

- Ma come si fa ad andare avanti, senza nemmeno più la Lega, senza nessuno che ti dice niente? Dì la verità, Olmo, siamo tutti isolati, se protesti ti sbattono in galera, come si fa andare avanti senza il Partito?

- Già: il Partito... Ma che scusa. Il Partito sei tu, e lo sai. E' Eugenia, è Enzo, è Armando, e poi di là dal fiume, c'è tutta la famiglia Azzali, e giù in fondo alla carraia la famiglia del Guercio, lì è il Partito, dappertutto! Se c'è uno che lavora, lì è il Partito! Dietro le sbarre delle prigioni, dove ci sono migliaia di compagni, lì c'è il Partito!

E il fatto è che si continua (e Rossano non perde occasione) a dire: "largo ai giovani!", "largo al nuovo!". Quali giovani, questi lobotomizzati da un quindicennio di berlusconismo?! Quale nuovo, quello che veniva proposto da Ivan Scalfarotto (ricordate, vero?), che dava del vecchio a Pecoraro Scanio (salvo poi tacere sul fatto che Pecoraro Scanio è del '59 e Scalfarotto è del '66) e diceva di non avere mai fatto politica, mentre quindici anni fa era consigliere circoscrizionale del "Sole che ride"?

A me i dilettanti allo sbaraglio incutono timore, rischiano di rappresentare i maiali della fattoria degli animali: bravi, avete cacciato via i padroni umani, e poi? Ma poi è davvero un problema di forma mentis: Rita, il sottoscritto, Franco, Pietro, Mario e molti altri facciamo politica da almeno trent'anni. Embeh? Io ero segretario di zona della FGCI e membro della segreteria del PCI in una circoscrizione romana di 200.000 abitanti, praticamente una città. Franco, se la memoria non mi falla, era segretario della Federazione PCI di Latina, Pietro è stato segretario del nostro circolo FGCI, sempre a Roma. Mario faceva altre cose, ma certo era un punto di riferimento, a Milano. No, non sto candidando nessuno, anche perché, per quanto mi riguarda, temo che, mentre ero seduto sulla riva del fiume ad attendere cadaveri eccellenti, troppa acqua sia scorsa sotto il ponte della solidarietà. Ma certo mi fido molto più di un Carlo Leoni (ex segretario della FGCI romana), di un Marco Fumagalli (ex Movimento Lavoratori per il Socialismo ed ex segretario nazionale della FGCI, con me a pigliare botte a Comiso nel 1983 e 1984), di un Luciano Pettinari (ex Movimento Lavoratori per il Socialismo, Manifesto e Partito di Unità Proletaria), di un Claudio Fava (non solo per il sacrificio del padre: l'ho visto personalmente all'opera al Parlamento Europeo), di un Giovanni Berlinguer (che ad un congresso della FGCI Romana ci disse che la Democrazia Cristiana è un cancro al cui solo pensiero gli prudono i metacarpi), di un Giulietto Chiesa (che non tradì Gorbačëv e lottò contro El'cin), piuttosto che non degli Scalfarotto di turno, simulacri e contraltari proprio dei vari D'Alema, Fassino, Veltroni.

Dunque, io sono seduto al davanzale. Però vedo panorami più speranzosi e più credibili di appena un anno fa.

venerdì 9 marzo 2007

Il calcio è quello delle ossa

di Mark Bernardini

A me del calcio me n’è sempre fregato sideralmente meno di nulla. Ovviamente, avendo vissuto in Italia per svariati decenni, ho dovuto averci a che fare. Ed ho anche giocato a pallone, a Roma, ai giardinetti di via Sannio, coi ragazzini vicini di casa, quando ogni isolato era come un villaggio a sé, come allo stadio della Romulea, quando ancora esisteva la serie “D”. Pochi anni prima, quando in Italia venivo solo d’estate, dall’Unione Sovietica, un quarto d’ora dopo l’inizio del secondo tempo, agli inizi di giugno ed a fine agosto, ci facevano entrare gratis, a me, mio padre ed un’altra dozzina di sfaccendati, verso le dieci e mezzo del mattino.

A metà degli anni Settanta quando ero alle medie, mio padre aveva riallacciato i rapporti con i suoi compagni delle medie. Fu così che un giorno andammo allo stadio assieme a loro ed i loro figli miei coetanei. Ricordo ancora: Lazio–Cagliari. Nel Cagliari c’era il leggendario Gigi Riva, il portiere era Albertosi, secondo della Nazionale, svariati lustri prima dello scandalo del calcio scommesse. Quello della Lazio era Pulici, terzo della Nazionale, e c’era Giorgione Chinaglia, Wilson, Oddi, Garlaschelli, Nanni, Frustalupi, e la buonanima di Re Lecconi, che pochi anni dopo entrò da un amico gioielliere ed esclamò per scherzo “fermi tutti questa è una rapina”, beccandosi una pallottola in fronte, poiché lo sventurato amico gioielliere subiva la terza rapina in un mese. Quell’anno, invece, la Lazio vinse lo scudetto.

Io e gli altri ragazzini riempimmo le nostre lattine vuote con i sassolini dei viali di accesso allo stadio, e le sbattevamo tra loro, incuranti degli sguardi scandalizzati degli altri spettatori adulti e del fatto che il massimo del casino, nel raggio di una dozzina di metri, era quello procurato da questi quattro–cinque ragazzini ritmanti e vocianti.

Fu l’ultima volta, almeno così credevo. Vent’anni dopo, ho avuto la ventura di accompagnare allo stadio due delegazioni di sindaci russi, a distanza di due settimane una dall’altra. Prima il Milan a San Siro, poi la Roma all’Olimpico. Eravamo nelle tribune “privilegiate”, quelle che costano un sacco di soldi, più o meno al centro campo. Era d’inverno, perciò i sindaci mi hanno amato, quando gli ho proposto di assaggiare una bevanda tipicamente italiana, molto in voga agli stadi, il caffè “Borghetti”. Non ho contato le bottigliette, ma credo che il totale ammontasse a svariati litri. Nel frattempo, lo spettacolo era più che altro l’odore acre dei lacrimogeni che invadeva il campo ed anche le nostre tribune, le botte nelle rispettive curve, i seggiolini di plastica che andavano a fuoco a frotte. Per i sindaci era “esotico”, io invece provavo vergogna per un Paese che comunque rappresenta metà della mia essenza. Un branco di selvaggi.

Racconto tutto questo per ragioni inimmaginabili. Il Presidente russo, Putin, ha fatto una ramanzina pubblica contro la Lega Calcio russa ed il circuito satellitare a pagamento NTV Pljus, che appartiene alla TV “in chiaro” NTV, privata, un tempo di proprietà dell’oligarca Gusinskij, riparato a fine anni ’90 in Israele ufficialmente perché il Cremlino era in mano ai comunisti (El’cin?! Oh, Gesù…). La ragione dell’arringa putiniana? Incredibile: la Lega e la TV hanno concluso, pensate un po’ un contratto, per cui le partite del campionato (che qui, per ragioni climatiche, inizia di marzo) in televisione per la prima volta si potranno vedere solo sul satellitare. Per intenderci, è come il digitale terrestre in Italia, solo che la parabola è molto più diffusa ed a buon mercato, in Russia.

Ricorda niente? Che so io, le partite criptate non solo su Mediaset, ma persino sulla RAI, pubblica, quando si tratta delle trasmissioni per gli emigranti sparsi in tutto il mondo e che guardano la RAI come unico contatto con il proprio Paese d’origine giusto via satellite. Incredibile, dicevo. No: incredibile è quel che è accaduto nel giro di meno di ventiquattr’ore dal rimbrotto di Putin. Sì, molto diretto, nient’affatto diplomatico, quello che in Occidente viene definito il “pugno forte” dovuto ai suoi trascorsi nei servizi di sicurezza (pochi ricordano o vogliono ricordare, invece, che per anni è stato vicesindaco di San Pietroburgo, quando il sindaco era Sobčak, tanto adorato dagli occidentali…). Personalmente prediligo le repubbliche parlamentari, ma questa però – la Russia – è una repubblica presidenziale, come la Francia, per intenderci. Dunque, Putin conta un filo più di Ciampi o Napolitano.

Ebbene, il governo ha annullato d’autorità il contratto menzionato, almeno per un anno. Me lo immagino, in Italia: comunisti! Questi però vanno in chiesa e si fanno il segno della croce. Tutti, dal primo all’ultimo, fa parte del bon ton. Le televisioni private (chiamiamole finalmente col loro nome: “commerciali”, altro che “libere”) hanno gridato allo scandalo: che succederà, hanno detto, se anche i genitori pretenderanno di far vedere gratis i cartoni animati "d'autore" ai loro pargoli? Giuro, non è una mia congettura. Che succederà? Mah. Forse che vivremo in un mondo migliore, dove ci sono alcuni valori (i cartoni, mica il pallone) che non sono commercializzabili?

sabato 13 gennaio 2007

Cappaggibbì

di Mark Bernardini

Ogni Stato degno di tal nome ha i propri servizi di sicurezza, e ovviamente ogni Stato contrario all'ordinamento statale altrui, ne dice di tutti i colori sui servizi segreti degli altri, per cui l'FSB, forse l'unica struttura non corrotta, diventa l'impersonificazione del male e della corruzione. Del resto, in America, sono abituati, financo con l'attore pazzo Ronald Reagan e il suo "impero del male"... Roba da fumetto, o da cartone animato.

Venendo alla sostanza, il fondatore dei servizi sovietici Dzeržinskij, polacco ed ebreo (come me. No, io non sono polacco), che s'è fatto svariati anni di carcere duro e confino in Siberia con la polizia zarista russa, ha avuto l'intelligenza di fondare i servizi sovietici senza mandare al rogo i funzionari zaristi: aveva capito perfettamente che quelli erano come i carabineri italiani di un tempo (non di adesso), nei secoli fedeli allo Stato, non al governo.

Successivamente e tuttora, gli si affibbiano tutte le colpe del KGB. Peccato che lui abbia fondato la ČK e sia stato ammazzato da Stalin (ufficialmente, appendicite, ed aveva meno anni di me attualmente) nel 1926.

In dicembre del 2005, scrivevo proprio qui:

Stalin col Partito fu ben più che severo. Negli anni '20 ha tolto di mezzo tutti - fisicamente - i compagni di Lenin, la classe dirigente della Rivoluzione: Dzeržinskij, Frunze, Kamenev, Zinov'ev, giusto per fare qualche nome. Poi arriviamo agli anni '30. Togliere Kirov di mezzo non fu facile: era il beniamino del Comitato Regionale di Leningrado. Fu una battaglia memorabile, degna dei migliori western, con Kirov e i suoi che si difendevano armi in pugno dai killer staliniani lungo i corridoi dello Smol'nyj, che meno di vent'anni prima aveva visto i bol'scevichi espropriare, in modo decisamente meno cruento, il potere al governo provvisorio del "socialista rivoluzionario" (eser) Kerenskij, con la sua rivoluzione di febbraio. Beffa: Stalin accusa la "cricca trozkista-buchariniana" dell'omicidio di Kirov. Bucharin, ottimo economista e beniamino del Partito a Mosca, morirà fucilato nel 1938; Trockij, fondatore dell'Armata Rossa, con una picconata in testa di un sicario in Messico nel 1939. Un po' come il socialista Rossetti in Francia negli anni '30 ad opera dei sicari mussoliniani.

In questo contesto, bisogna ripensare anche all'operazione delle purghe, nel quale l'omicidio dei dirigenti amici di Lenin è solo la punta dell'iceberg. Una riflessione che, negli anni, ho riportato qui più volte. Repetita juvant. Le rivoluzioni, da che mondo è mondo, le fanno i giovani. Lenin, il più anziano, nel 1917 aveva 47 anni, Bucharin aveva 29 anni, Trockij 38, Dzeržinskij 40, Frunze 32, Zinov'ev 34, Stalin 38, Čapaev 30, Antonov-Ovseenko 34... Cosa era rimasto del Partito di Lenin dopo le purghe staliniane di metà degli anni '30? All'inizio del 1939 il Partito aveva 1.589.000 membri e 889.000 candidati. Tra i membri, coloro che avevano un'anzianità di tessera antecedente al 1917 erano lo 0,3% (circa 500 compagni); quelli iscritti nel 1917, l'1% (1.600 compagni); iscritti nel 1918-1920, il 7% (12.500 compagni). Nel 1941 nel Partito rimaneva solo un 6% di comunisti entrati nel Partito durante la vita di Lenin.

Un altro dato significativo riguarda i delegati del XVII e XVIII congresso (rispettivamente, 1934 e 1939). L'80% dei delegati del XVII congresso con diritto di voto si era iscritto al Partito negli anni della clandestinità e della guerra civile, cioè prima del 1921. Al XVIII congresso questi delegati erano appena il 19,4%. Quelli della clandestinità erano nel 1934 il 22,6% ed i membri del Partito dal 1917 il 17,7% dei delegati. Nel 1939 la loro percentuale tra i delegati al congresso era rispettivamente del 2,4% e del 2,6%.

Cambiò repentinamente anche la componente anagrafica dei delegati. Metà di questi ultimi al XVIII congresso con diritto di voto era sotto i 35 anni. I delegati dai 36 ai 40 anni rappresentavano il 32%, tra i 40 e i 50 il 15,5%, sopra i 50 il 3%. Altrettanto sostanziali furono i cambiamenti nella composizione sociale del Partito, provocati non solo dalle repressioni di massa, ma anche dalle nuove condizioni di ammissione al Partito (soppressione dei privilegi riservati agli operai), stabilite dallo Statuto del PCP(b) (Partito Comunista Pansovietico bolščeviko), ratificato dal XVIII congresso. Il 28 maggio 1941 la sezione organizzazione ed istruzione del Comitato Centrale ha inviato ai segretari del CC una nota, in cui si comunicava che nel 1939-1940 sono stati ammessi al Partito 1.321.500 persone, tra le quali gli operai erano il 20%, i contadini il 20%, gli "impiegati e gli altri" il 60%. Tra i 3.222.600 membri e candidati del Partito al 1 gennaio 1941 gli operai erano il 18,2%, i contadini il 13%, gli impiegati il 62,4%, gli studenti e gli altri il 6,4%. Tra gli operai, i membri e i candidati del Partito tra il 1933 e il 1940 sono scesi dall'8 al 2,9%, mentre tra gli impiegati sono saliti dal 16,7% al 19,2%. Nonostante la quantità di operai nel Paese fosse cresciuta nello stesso periodo del 25,8%, la quantità di operai comunisti si era ridotta da 1.312.000 a 584.800 persone (questo indirettamente sta a testimoniare che gli operai furono uno degli obiettivi principali delle purghe di Partito del 1933-1936 e delle repressioni di massa del 1937-1938). Nel 1941 c'era un comunista per ogni 35 operai ed ogni 5 impiegati. Tra gli impiegati comunisti era particolarmente alto il peso specifico dei funzionari, dei militari e degli addetti degli organi di repressione.

1)La VČK, Commissione Straordinaria Panrussa, è stata fondata nella Russia sovietica da Dzeržinskij il 20 dicembre 1917. E' rimasta tale fino alla creazione dell'URSS, dopo la guerra civile, il 6 febbraio 1922.

2)La GPU (Direzione Politica di Stato) è rimasta tale fino al 2 novembre 1923.

3)Trasformata in OGPU (nessuna differenza: Direzione Politica di Stato Unificata), è rimasta tale fino al 10 luglio 1934. Il capo è stato comunque Dzeržinskij, dal 20 dicembre 1917, a quando l'hanno ammazzato, il 20 luglio 1926.

4)Molto più nota l'NKVD (Commissariato Popolare per gli Affari Interni), dal '34 appunto, al 3 febbraio 1941. Come è noto a chi legge un minimo, in qualunque lingua, in Europa occidentale i nazisti già imperversavano.

5)E' importante perché in realtà l'NKVD, prima dell'invasione nazista (22 giugno 1941), nel febbraio 1941 fu suddivisa in NKVD vera e propria ed NKGB (Commissariato Popolare per la Sicurezza dello Stato), per poi essere riuniti nuovamente un mese dopo iniziata l'invasione nazista ed essere stata proclamata conseguentemente la "Grande Guerra Patriottica"; trasformato nuovamente, unificato, in NKGB nell'aprile 1943. La battaglia di Stalingrado (grazie alla quale tutti voi e tutti noi non abbiamo i ritratti di Adolf come fondatore della Patria nei nostri uffici, altro che yankees, poche palle: chi è che è arrivato ad Oświęcim, alias Auschwitz - non è in Germania, do you remember? -, contrariamente a quanto in Italia insegnano a scuola e persino in film com "La vita è bella" di Roberto Benigni?), iniziata, a differenza di come ve la raccontano, il 23 agosto 1942 e terminata il 2 febbraio 1943. La macchina da guerra della Wermacht si è arenata sulle rive del Volga. E' così, e non altrimenti, che è finita la "peste bruna".

6)Torniamo a noi. Il 15 marzo 1946 l'NKVD viene trasformato in MGB (Ministero per la Sicurezza di Stato), per dare un segnale di discontinuità, come in Italia.

7)Il 7 marzo 1953 (due giorni dopo la morte di Stalin e tre anni prima dello storico XX Congresso del PCUS, con la relazione destalinizzante di Chruščëv), l'MGB viene inglobato nel Ministero degli Interni.

8)Il 13 marzo 1954 viene fondato il famoso KGB (Comitato per la Sicurezza dello Stato). Andropov, che ne viene spacciato per capo vita natural durante, nel 1956 era ambasciatore a Budapest e cercò a tutti i costi di evitare i carri armati, nonostante essere stato vittima di un attentato in cui morì sul colpo il suo autista e rimase semiparalizzata per sempre sua moglie), fu capo del KGB "appena" (si fa per dire) dal 1967 al 1982. Come che sia, fu lui a sponsorizzare il segretario del PCUS di Stavropol' Gorbačëv.

9)Va beh, poi sono iniziate le pagliacciate el'ciniane: il 26 novembre 1991 (il 18 agosto c'era stato il tentativo di golpe, il 26 dicembre Gorbačëv scioglie l'URSS in diretta televisiva), El'cin fonda l'AFB (Agenzia per la Sicurezza Federale).

10)Il 24 gennaio 1992 sempre l'ubriacone El'cin, tanto amico degli Stati Uniti, fonda l'MB (Ministero per la Sicurezza).

11)Il 21 dicembre 1993 (nell'ottobre del medesimo anno El'cin fece bombardare il Parlamento, peggio della Moneda a Santiago del Cile dell'11 settembre 1973), El'cin istituisce l'FSK (Servizio Federale di Controspionaggio).

12)Il 3 febbraio 1995 sempre lui fonda l'FSB, che ridendo e scherzando esiste da 12 anni.

lunedì 27 novembre 2006

Litvinenko 1

Pravdada: Pravda on line

Siccome i media occidentali ne dicono di tutti i colori, salvo non dirne una vera, vi presento due articoli (il primo tradotto da me) dalla Pravda. Potete anche non credergli, ma almeno potete ascoltare una voce fuori dal coro...

Delitto rituale N°2

24.11.2006 Fonte: Pravda.Ru URL: http://www.pravda.ru/politics/authority/205115-0

Mentre in Occidente sputano bava sul tema famigerato della "mano del Cremlino" nella morte di Litvinenko, tenente colonello dell'FSB (servizio federale di sicurezza, ex KGB, il corrispettivo del SISMI italiano, prima, in ordine decrescente di tempo, SID 1965-1977, SIFAR 1949-1965, SIM 1927-1943, Ufficio I 1900-1927), sfuggito alle indagini, dandone la colpa personalmente al presidente Putin, le edizioni della stampa britannica degna di tale nome delineano un quadro completamente diverso: la questione non è così univoca, come tentano di descriverla gli abitanti evasi della "Mosca sul Tamigi".

Intanto, il decesso di Aleksandr Litvinenko sul letto d'ospedale non fa onore alla medicina britannica, che, da quando questo malato il 1° novembre si è rivolto ad essa, non è riuscita ad individuare né le cause dell'avvelenamento, né l'avvelenamento stesso. La malattia è stata circondata via via da nuovi attributi di cospirazione, a partire dalla protezione armata presso la corsia d'ospedale e fino alle affermazioni di avvelenamento ora semplicemente con tallio, altamente tossico, ora col suo isotopo radioattivo, e finalmente con un composto di vari veleni... Alla fine i medici britannici hanno fatto una dichiarazione che i massmedia russi cosiddetti liberali hanno preferito ignorare, non rientrando nel tema prediletto dell'intelligence di sangue.

Frattanto, lo stato di salute misterioso del grave malato assomigliava sempre più alla sintomatologia di un cancro al quarto, ultimo, stadio. E' diventata chiara anche la causa della repentina caduta dei capelli del paziente. E' risultato che sia stato sottoposto ad un'intensa chemioterapia, per la quale Litvinenko si è sentito ancora peggio. Non occorreva essere dei luminari della medicina per capire un'ovvietà: negli avvelenamenti non si usa la chemioterapia.

Ma ecco una citazione letterale odierna da un autorevole giornale londinese, non scandalistico: "Secondo quanto appreso dai corrispondenti del Guardian, ieri mattina la polizia ha preso in considerazione l'ipotesi dell'autoavvelenamento. Immediatamente prima della morte di Litvinenko Scotland Yard ha dichiarato che non c'è alcuna "indagine su un eventuale attentato alla vita. In ultima analisi, gli altolocati pubblici ufficiali di polizia dubitano che quest'ultimo sia stato veramente vittima di un complotto del Cremlino".

Immediatamente prima vuol dire la sera del 23 novembre. La mattina seguente riscalda l'opinione pubblica con una notizia sensazionale buttata a brutto muso: di lì a poco, ecco che il morto ha dettato lui stesso come stanno le cose, aspettate un attimo che lo rendiamo di dominio pubblico. Pareva che nel frattempo la missiva dal letto di morte venisse "limata". "Lei è riuscito a tapparmi la bocca, ma a caro prezzo. Si è mostrato da barbaro impietoso quale è e quale la ritengono i suoi oppositori. Si può far tacere una persona. Ma l'ondata di protesta si spanderà per tutto il mondo...". Non hanno avuto il coraggio nemmeno di muovere le loro accuse o esprimere i propri sospetti in prima persona: si sono coperti con un morto, da cui nessuno pretenderà più alcunché.

Il Guardian londinese si è preso la briga di verificare da dove sia partita l'ampia campagna, durante la quale più volte si è supposto che Litvinenko sia stato vittima di un attentato del Cremlino. I giornalisti hanno individuato un'unica fonte, semplicemente perché non ce n'erano altre. Il "piazzamento" è stato effettuato da una delle agenzie di pubbliche relazioni di Londra, a capo della quale c'è lord Tim Bell, già consulente per i rapporti col pubblico di lady Thatcher. La medesima agenzia ha diffuso la fotografia di Litvinenko calvo in letto d'ospedale ai più grandi massmedia mondiali. Come è facile intuire, il proprietario unico dell'ufficio pi-erre di lord Bell è, manco a farlo apposta, Boris Berezovskij.

In seguito si è chiarito che era unica anche la versione dell'avvelenamento di Litvinenko con i sali di metalli pesanti. Un certo dipendente del lord ha contattato il professor John Henry, il maggior tossicologo britannico. Proprio quest'ultimo ha espresso giusto una supposizione, ossia che la causa del malanno di Litvinenko potrebbe essere da ricercare nel tallio o nei suoi isotopi. Ma gli organizzatori di questa provocazione sono stati traditi dalla solita fretta e scarsa attenzione per i particolari di Berezovskij. Il fatto è che mister Henry non si è occupato delle cure di Litvinenko, e quando le sue dichiarazioni sono finite nei massmedia non poteva conoscere i risultati delle analisi di laboratorio: non erano ancora pronte. Questo è quanto è stato raccontato sempre al "Guardian" dai medici dell'ospedale. E' lecito supporre che tra gli esculapi ci sia stato un gentlemen's face-to-face meeting. Il professor Henry non è più disponibile per un qualche commento: ieri il luminare ha dichiarato che se ne lava le mani, poiché si è "già scottato una volta".

Insomma, non ci sono ragioni oggettive per parlare di un omicidio implicitamente politico con risonanza indotta, il secondo dopo la tragica fine di Anna Politkovskaja, osservatrice della "Novaja Gazeta". Allora diciamo che è stata la seconda morte di quest'autunno di un ex cittadino russo particolarmente contrario all'ordine costituito della Russia. Eppure, ci sono alcune considerazioni comuni a questi tristi avvenimenti.

Primo: entrambi i tragici personaggi erano vicini a Boris Berezovskij, forse anche troppo.

Secondo: entrambe le vittime accusavano l'entourage del presidente russo in modo aspro, senza compromessi, ma senza alcuna prova, e Berezovskij non poteva non notare che la loro efficacia andava riducendosi. Se Anna, trovandosi in Russia, almeno risultava ancora essere una punta di diamante, il funzionario dei servizi segreti aveva ormai ben poco dell'esperto, dopo sei anni di emigrazione. Non risultando più utili, questi emissari dell'influenza che fu si stavano gradualmente trasformando in fonte di pericolo, sapendo molto delle bravate del loro patron.

Intervenendo a Londra durante uno dei dibattiti sull'assassinio di Anna Politkovskaja, Litvinenko ha raccontato che il presidente russo trasmetteva le sue minacce allla giornalista tramite Irina Chakamada (ex dirigente dell'Unione delle Forze di Destra).

Quando l'ha saputo, la Chakamada si è indignata ed ha dichiarato che un delirio dalla prima all'ultima parola, poiché l'ex candidata alla Presidenza della Federazione Russa non mette piede al Cremlino da tre anni. Ha supposto che la vogliano volutamente far litigare con i "democratici": tipo, è corrotta dal Cremlino. Non ha voluto commentare la morte dell'ex ufficiale dell'FSB:

- Non so cosa combinano a Londra. E' una storia talmente torbida che non ci si può capire nulla.

Terzo: bisogna ricordare le confessioni di Berezovskij rese pubbliche dal conduttore televisivo Vladimir Solov'ëv, nelle quali dichiarava l'utilità di un assassinio "rituale" di un qualche personaggio noto, per dare uno scossone a Mosca, di modo che una folla di centomila persone spazzi via l'odioso regime di Putin... Con la Politkovskaja non è successo. Cilecca?

Ed ora, in simultanea con la prima londinese di James Bond, la prima dello "scandalo dei veleni" nel cuore della democrazia occidentale. Con consegna a domicilio, di modo che questi pigri borghesi possano percepire il tutto a livello epidermico.

Spiace ricordare Confucio con le sue stanze ed i suoi gatti neri, ma i fatti sono fatti. Non esiste un referto medico del defunto Litvinenko che parli di avvelenamento. In vita, non ha proferito parola, oralmente, tutto è interpretato da altri, comprese le dichiarazioni in punto di morte. I suoi interpreti non meritano fiducia, per definizione: basta ricordare l'omicidio di Vlad List'ev, socio di Berezovskij quando ancora era in auge a Mosca, o l'avvelenamento a Kiev di Ivan Rybkin. Viktor Juščenko ha avuto più fortuna, ma i segni del veleno sono rimasti per tutta la vita, come se dei demoni avessero tritato dei piselli sulla sua faccia... Insomma, trovarsi Berezovskij come protettore è una prospettiva piuttosto pericolosa per la propria incolumità.

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Omicidio Litvinenko: la stampa russa assolve Putin

26.11.2006 Source: Pravda.ru URL: http://italia.pravda.ru/russia/3870-0

"Non intendo commentare ora la morte di Aleksander Litvinenko, parlerò la settimana prossima": al telefono con il quotidiano russo 'Komsomolskaja Pravda' il magnate in esilio Boris Berezovskij, amico dell'ex colonnello del Kgb morto avvelenato a Londra, è categorico.

Molti quotidiani moscoviti però suggeriscono che sarebbe lui il più avvantaggiato dalla morte di un collaboratore divenuto peraltro inutile e forse scomodo, mentre il presidente Vladimir Putin, che la stessa vittima ha accusato come mandante dell'omicidio, viene assolto dalla maggioranza dei commentatori.

Fa presa sulle pagine dei giornali russi la dichiarazione fatta ieri dal consigliere presidenziale per gli affari europei Sergej Jastržembskij, secondo il quale "ci sono coincidenze inquietanti fra le morti di persone che criticavano il potere in Russia e gli avvenimenti internazionali ai quali Putin è invitato a partecipare.

L'impressione è che ci si trovi davanti a una campagna bene orchestrata, o a un piano per screditare Mosca e la sua leadership". Jastržembskij ha ricordato l'uccisione il 7 ottobre della giornalista Anna Politkovskaja, proprio il giorno del compleanno del leader del Cremlino e alla vigilia di un suo importante viaggio in Germania; la morte dell'immigrato illegale Tengiz Togonidze, che era fra i deportati della 'guerra fredda' con Tbilisi, mentre il presidente era in partenza per il vertice informale dell'Ue a Lahti, in Findlandia; il drammatico decesso di Litvinenko in coincidenza con un cruciale incontro sull'energia fra Putin e l'Unione europea.

La tesi è sposata in pieno da 'Komsomolskaja Pravda', e ulteriormente elaborata dal giornale del governo 'Rossijskaja Gazeta', che analizza l'eterna domanda del 'cui prodest'. Arrivando alla conclusione che quella morte ruota comunque attorno a Berezovskij, o perché ne è il maggiore beneficiario - avalla le sue critiche alla deriva autoritaria e passatista del Cremlino - o perché alcuni gruppi criminali hanno voluto vendicarsi del tycoon. Per Nikolaj Kovalëv, ex capo dell'FSB (i servizi segreti russi) interpellato da Kommersant, "c'è la calligrafia di Berezovskij" nel delitto: "Sono certo che nessun servizio di intelligence abbia a che vedere con questa vicenda. E' opera di nemici personali del presidente russo, per metterlo sotto scacco".

Il giornale interpella anche altri personaggi di opinione ben diversa: da Andrej Kozyrev, ministro degli esteri all'epoca di Boris El'cin, che chiede a Jastržembskij di "rivelare cosa sa del presunto complotto"; all'attivista Aleksandr Osovcov, del Fronte civile unito, per il quale il mandante è "Putin e nessun altro"; alla deputata liberale Irina Chakamada, che vede "due possibili regie: una che vuole sostenere Putin, una che vuole abbatterlo".

Quest'ultima tesi è fatta propria da un esperto straniero consultato dal quotidiano, l'ex capo del consiglio per lo spionaggio della CIA americana Fritz Hermart: "potrebbe trattarsi di una lotta interna fra vari gruppi del Cremlino, gli uni pronti allo scontro con l'Occidente, gli altri propensi alla mediazione".

L'analista statunitense identifica i 'falchi' nell'entourage di Igor' Sečin, vicecapo dell'amministrazione presidenziale. Vladimir Ryžkov, deputato liberale indipendente, lega l'uccisione di Litvinenko a quella della Politkovskaja, affermando che dietro "c'è la stessa mano".

Evgenij Jašin, ex ministro dell'economia del periodo el'ciniano, liquida la tesi del complotto contro il Cremlino con una secca battuta: "Non c'è alcun bisogno di screditare la leadership russa, lo fa già per conto suo". Infine, c'è una minoranza che parla di servizi deviati: radio "Eco di Mosca" non esclude la possibilità che dietro alla morte dell'ex colonnello del KGB vi siano semplicemente gli antichi colleghi adirati contro il 'traditore', che avrebbero deciso di agire di propria iniziativa.

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