sabato 28 aprile 2007

Fischia il vento

Nessuno è dimenticato, nulla è dimenticato. Pagherete caro, pagherete tutto.

venerdì 20 aprile 2007

Opposizione di massa a Putin

Bandiera del Partito Nazional-Bolscevico di Eduard Limonovdi Mark Bernardini

Ho passato una settimana in Italia, per lavoro. Proprio in questi giorni, sembrava che in Russia fosse successo chissà cosa, quasi una mattanza fascista, nei confronti di un’opposizione di massa, avanguardia di un popolo oppresso sempre più insofferente.

Non avevo la possibilità di andare “alla fonte”, in albergo non avevo la parabola, dovevo basarmi su quanto affermato dai mass media italiani. Ne è risultato che una manifestazione di folle oceaniche è stata ingiustificatamente massacrata dalla polizia a San Pietroburgo. In effetti, le immagini erano molto sgradevoli, per chi, come me, ricorda le cariche armate della polizia democristiana degli anni ’70. Il fatto, poi, che Berlusconi abbia difeso Putin, suonava da conferma incontrovertibile e condanna inappellabile, per la solita logica per la quale “l’amico del mio nemico è mio nemico”.

Invece, avendo già avuto esperienze analoghe, in questi anni, mi è venuto subito qualche dubbio. Intanto, perché uno statista (Putin, mica Berlusconi) deve comunque intrattenere rapporti con gli altri governanti, indipendentemente dalle proprie simpatie o antipatie. Altrimenti, quando Andreotti scrisse la prefazione alla traduzione italiana dell’autobiografia di Ceauscescu, chissà cosa avremmo dovuto pensare. E poi perché troppo spesso ho verificato la distorsione delle informazioni più o meno cosciente e voluta dei pennivendoli italiani, quando si tratta di Russia (cfr. al termine del presente articolo). Allora ho provato a cercare tra i canali in chiaro di Sky, ed ho trovato EuroNews, che non è esattamente il megafono ufficiale del Cremlino. Qui viene il bello.

La manifestazione era autorizzata, ma vi hanno partecipato circa duemila persone, anziché le folle oceaniche paventate da Repubblica, RAI 3, RAI News 24, Corriere, Unità, Manifesto. In una città di quattro milioni e mezzo di abitanti. Ricordo quando a Roma, nel ’77, partivamo in corteo noi studenti da quel crocicchio di scuole superiori che erano i due licei scientifici “Newton” (1.100 studenti) e “Sarpi” (500), l’ITC femminile “Pietro Della Valle” (900) e l’ITIS “Galilei” (3.500). Non siamo mai stati meno di quattromila. Su seimila che erano gli studenti, mica i tre milioni d’abitanti di Roma.

Ma non è questo, o non solo. Al termine della manifestazione autorizzata, dai duemila si sono staccati cinquecento militanti del disciolto Partito Nazional-Bolscevico di Eduard Limonov ed hanno provato a dare l’assalto alla Procura cittadina. Secondo voi, la celere in Italia che farebbe? Esatto. Ed aggiungo che farebbe bene, ossia farebbe il proprio dovere, quello per il quale è pagata dai contribuenti, cioè da voi.

Quando partivamo in corteo a Roma, regolarmente si accodavano i vari “Autonomia Operaia” e consimili. Al termine, lancio di un paio di sampietrini verso i cordoni dei poliziotti, così quelli caricavano loro e noi, il gioco era fatto.

Analisi, innanzitutto. Nazional-Bolscevico? Abbiamo studiato marxismo su libri di testo diversi, evidentemente: io, da marxista, sono scontatamente internazionalista, è quasi una tautologia.

Qual’è la bandiera di questo Partito? Una falcemmartello nera in un cerchio bianco su sfondo rosso. Ricorda nulla?

Chi è Eduard Limonov? Negli anni ’70 faceva il dissidente negli Stati Uniti. Un bell’esempio di bolscevico, accidenti.

Il prefattore di Ceauscescu è rimasto noto, tra le molte nefandezze, per una massima assolutamente geniale: a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca. Ora, una buona parte dei giornalisti italiani sono ormai su per giù miei coetanei. La domanda la faccio senza girarci troppo intorno: loro, nel ’77, quando eravamo tutti studenti, da che parte stavano, “con chi”?

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Vedasi, sullo stesso argomento: Kazachstan Il conflitto russo-georgiano Anna Politkovskaja Stereotipi La Russia, l’eterno cattivo La Russia vista dall’Occidente Litvinenko Litvinenko bis Gajdar e Scaramella: questione di stile Ucraina: l’Italia deve per forza schierarsi?

mercoledì 11 aprile 2007

Lavrov santo subito

Commento del MAE russo alla pubblicazione del rapporto del Dipartimento di Stato USA "Sostegno degli USA ai diritti dell'uomo ed alla democrazia nel mondo nel 2006"

Il Ministero degli Esteri della Federazione Russa ha analizzato attentamente la relazione annuale del Dipartimento di Stato USA sull'appoggio ai diritti dell'uomo ed alla democrazia nel mondo. Sia il tono generale di questo documento che i passaggi in esso contenuti per quanto riguarda la Russia consentono di fare alcune osservazioni.

Primo, la relazione ha un carattere palesemente politicizzato e riflette molto poco il reale stato delle cose. La sua parte "valutativa" ripete completamente il rapporto del Dipartimento di Stato di marzo sullo stato dei diritti dell'uomo nel mondo. In quei Paesi che seguono la scia della politica estera statunitense la situazione viene descritta positivamente, mentre coloro che "non si adeguano" vengono criticati. Come base analitica vengono usate opinioni soggettive sui "successi" di singoli Stati nel garantire la supremazia del diritto, la gestione opportuna, la libertà di opinione, di parola, di riunione, la leggittimità delle elezioni. A tal proposito, è opportuno sottolineare che persino questi criteri ambigui sono destinati ad essere applicati solo "all'esterno": la relazione tace sui numerosi problemi nel campo dei diritti dell'uomo internamente agli Stati Uniti.

Secondo, nella parte del documento relativa alla Russia viene utilizzato tutto un arsenale di mosse logiche banali - tinte fosche, selezione di fatti a dimostrazione di preconcetti, sostituzione di concetti, interpretazione arbitraria dei fatti e vari altri espedienti – per convincere i contribuenti statunitensi che la Russia necessiti urgentemente di essere democratizzata. A leggere il rapporto, lo "scantonamento" dagli standard e le norme democratiche viene riscontrato praticamente in tutti i campi della vita politica e sociale, e andrebbe ancor peggio se l'Ambasciata americana a Mosca non appoggiasse i movimenti sociali e le più svariate iniziative democratiche. In precedenza, il Dipartimento di Stato a suo tempo aveva aveva fomentato sulla stessa falsa riga le agitazioni in preparazione delle cosiddette "rivoluzioni colorate".

Terzo, dal rapporto diventa evidente che l'attività "democratizzatrice" USA all'estero ha ben poco a che vedere con gli sforzi reali per promuovere i principi democratici e difendere gli standard internazionali di difesa dei diritti. In realtà si tratta di una rozza sponsorizzazione degli interessi nazionali americani. La relazione intima agli ambasciatori ed alle rappresentanze diplomatiche di imporre attivamente gli standard di "democrazia alla Washington" non solo diplomaticamente, ma politicamente ed economicamente. Coloro che in tal senso si distingueranno di più, compresi gli ambasciatori all'estero, verranno premiati. In altri termini, si dà carta bianca a sfruttare i diritti dell'uomo come pretesto per ingerirsi nelle questioni interne di Stati sovrani, e l'attivismo in questo campo viene solo approvato e stimolato. Viene descritto dettagliatamente tutto il novero di pressione: stimolare i massmedia e le organizzazioni non governative conformemente orientate, "educare correttamente" gli organi di potere in loco, controllare i processi elettorali, sponsorizzare le "opportune" iniziative legislative, organizzare un'ampia attività propagandistica ed ovviamente finanziare generosamente tutto questo lavorio.

Sorge dunque la domanda di quanto una simile attività, perpetrata dai rappresentanti ufficiali di uno Stato sul territorio di un altro Stato, corrisponda ai principi universalmente riconosciuti del diritto internazionale, quali il rispetto della sovranità degli Stati e la non ingerenza nei loro affari interni, nonché alle norme del diritto internazionale che regolano le modalità di funzionamento delle rappresentanze diplomatiche. Viene forse consentita una simile attività da parte delle ambasciate straniere sul territorio degli Stati Uniti?

La Russia è pronta ad un dialogo concreto e costruttivo sui diritti dell'uomo con tutti i Paesi, compresi gli USA. Allo stesso tempo siamo convinti che sia intollerabile sfruttare le idee di democrazia e di garanzia dei diritti dell'uomo come paravento per ingerirsi negli affari interni di chicchessia, anche attraverso le rappresentanze dimplomatiche statunitensi all'estero. Ciò è indubbiamente in contraddizione col loro status e col principio della reciprocità.

Traduzione di Mark Bernardini

lunedì 2 aprile 2007

Ucraina: l'Italia deve per forza schierarsi?

di Mark Bernardini

Leggo su Repubblica che in Ucraina il Presidente Juščenko ha sciolto il Parlamento "contro il premier filo russo Janukovič". Siamo alle solite.

Dopo il golpe filo-occidentale e filo-NATO di Juščenko, nel marzo del 2006 si sono tenute le elezioni parlamentari. Il Partito di Janukovič ha ottenuto il 32%, quello della Timošenko (vicina a Juščenko, ma in rotta con quest'ultimo) il 22%, quello di Juščenko il 13%, i socialisti il 5%, i comunisti il 3%. Con i premi di maggioranza, Janukovič con socialisti e comunisti ha costituito un governo ben saldo.

Due settimane fa, undici deputati dell'opposizione filo-Juščenko sono passati con la maggioranza, maggioranza che, come già detto, era comunque tale anche senza di loro.

Juščenko ha masticato amaro ed ha minacciato lo scioglimento del Parlamento. La maggioranza ha risposto minacciando l'impeachment del Presidente.

La Costituzione prevede un solo caso in cui il Presidente abbia tale diritto: qualora non vi sia maggioranza ed il Parlamento sia in stallo. Non è questa la situazione.

Insomma, in questi giorni ne parleremo ancora molto, ma una domanda mi sovviene, ovviamente retorica: Juščenko, pur se con un golpe occidentale, è il Presidente; Janukovič è il capo del governo, invece eletto a furor di popolo. Per Repubblica, al contrario, Juščenko è il Presidente democratico, Janukovič è l'usurpatore filorusso. La domanda: da dove nasce la russofobia di Repubblica?

di Mario Ferrandi

Dalla guerra in Jugoslavia in poi, Repubblica si distinse anche rispetto al Corriere nel fare da megafono alla slavofobia; ma le sue radici sono purtroppo generalizzate e hanno tratto dal '91 alimento originale e feroce proprio dalla sinistra, TUTTA la sinistra eccetto frammenti esigui, come ricorderai in quegli anni. A recitare "La Lista" con Milošević a capo degli assassini era Paolo Rossi a "Su la testa".

Sarebbe interessante interpellare qualche esperto di psicologia del profondo sul perché, ma è il nucleo, la slavofobia intendo, del transito dell'ex PCI, dell'ex sinistra extraparlamentare, perfino della sinistra cattolica, come l'Agesci, schierata a inviare volontari a Sarajevo a difendere i musulmani e a diffamare i serbi cristiani. E' un cesaricidio, una ipostasi di Bruto: pugnalare alle spalle Gorbačëv che aveva fatto quello che la sinistra italiana gli aveva sempre chiesto, disarmare, trasparenza, fidarsi dell'occidente, aprire le gabbie del Patto di Varsavia, migrare verso una socialdemocrazia antiautoritaria per poi, quando lo fece, sposare a tradimento Reagan, l'Impero americano, e l'avventura neocolonialista all'est, abbattere qualsiasi bandierina rossa, provocare e finanziare sollevazioni di piccola borghesia anticomunista, e infine inviare i bombardieri a Belgrado Vorrei anch'io tanto saperti rispondere, ma non lo so fare. Non l'ho mai capito, anche se l'ho seguito e memorizzato nei suoi vari passaggi, questo processo. Gente che si scandalizzava per una molotov, finanziare e armare stragisti e narcotrafficanti come l'UCK con un piacere sublime e decidere liste di fabbriche jugoslave da bombardare col Consiglio di Fabbrica a presidio dentro. Una spiegazione che mi sono dato è che pugnalare alle spalle l'intero mondo slavo fosse una sorta di vendetta a lungo covata in segreto per qualche torto che mi sfugge.

Un sacco di questi rinnegati si è costruito belle carriere con Paese Sera, l'Ora di Palermo e le tesi dell'oro di Mosca. Ciò che ho chiaro è che partecipano, TUTTI, e apparentemente all'unisono, con rarissime differenziazioni marginali, come golem andati in loop, a un disegno di disgregazione imperialista a guida angloamericana dell'Eurasia, che appare a qualsiasi osservatore razionale ampiamente fallito e in fase di reversione rapida, e a una vulgata neoliberista volgare e improbabile, altrettanto vacillante ovunque. Forse è un ceto politico che non ha mai neanche immaginato di esercitare o poter esercitare una sovranità nazionale e un pensiero politico indipendente, né sentimenti di pietas elementare, professionisti del servilismo verso una grande potenza straniera.

Caduta l'URSS, rimanevano gli USA, co' Franza o co' Spagna purché se magna. Prima o poi non dispero che qualcuno si penta e ci racconti la cospirazione imperialista e la sussunzione della sinistra italiana da dentro come è avvenuta. Succederà, il tempo è galantuomo e quello storico è anche non privo di ironia...