venerdì 27 maggio 2005

Un Paese normale

Io sono per la Prima Repubblica con correzione alla grappa, dove ci sia una destra che non metta le bombe pagata dai servizi segreti dello Stato (cioè pagata con i nostri soldi); dove ci sia un centro, con o senza riferimenti alla cristianità, che non c'entra un tubo ed alla quale il riferimento politico serve come serve ad un pesce una bicicletta; una forza socialista moderata, senza decisionisti che concedono favori ai loro amici palazzinari in odor di televisione; infine una grande forza comunista, dove vengano banditi i giochetti democristiani di cui stanno diventando maestri gli attuali PRC e PdCI, ed ovviamente in cui il marxismo sia un valore ed un mezzo a cui restituire concretezza storica, senza paure che i palazzinari di cui sopra l'accusino di parentele embrionali col georgiano baffuto. Ritengo che tale sistema aderisca verosimilmente agli umori italici senza i lacciuoli della contingenza.

Questa organizzazione comunista l'avevamo già, fino a vent'anni fa. C'erano però anche i figli di papà, che per contestare i genitori si buttavano più a sinistra della sinistra. Molti ora, bastonato il PCI, si son messi proni sotto i palazzinari. Lenin li aveva scoperchiati molto bene, a suo tempo (la famosa "malattia infantile"). Noi, invece, abbiamo scambiato i mestieri: la destra che fa centro, la sinistra che fa centro, il centro... No, loro restano coerenti e fanno centro. Insomma, un Paese di centro globale, altro che bipolarismo.

Diciamola più semplice, nello schema che preconizzavo all'inizio: i DS non sono di destra, che facciano pure i socialisti. La Margherita non è di destra, che faccia pure il centro, e lo chiami DC o come diavolo gli pare. I fascisti facciano pure la destra: se è quella alla Fini la smetteranno di picchiare, sparare e bombare. I comunisti, per la miseria, facciano i comunisti! E che non ci sia compressione alcuna, ma espansione, di PRC e PdCI: in un PCI vero, sarebbero comunque due infime minoranze.

giovedì 26 maggio 2005

Mitrochin

Il 7 gennaio scorso è deceduto a Mosca Lev Mitrochin (nessuna parentela con il Mitrochin della famosa Commissione voluta da Berlusconi). Era nato il 16 febbraio 1930. Il suo curriculum era ricco di titoli accademici, di decine di libri pubblicati e tradotti, di collaborazioni con importanti riviste. I vecchi lettori di Rassegna Sovietica forse ricorderanno qualche recensione a qualcuno dei suoi libri dedicati agli Stati Uniti o ai "problemi dell'ateismo". Già, perché il suo interesse preminente di studioso era, sì, rivolto da sempre alla religione, al rapporto tra marxisti e credenti, particolarmente alle tematiche della teologia della liberazione. Ma fino all'avvento della perestrojka di Gorbačëv chi in URSS voleva occuparsi di questi argomenti doveva per forza farlo sotto la copertura dell'ateismo. Ricordo la stima che lo circondava tra gli esponenti della filosofia sovietica. Una volta, negli anni Settanta, durante una cena a Roma con importanti filosofi russi della corrente cosiddetta "italianista", parlando di lui rivelai un fatto di carattere personale: eravamo stati sposati, io e Lëva, con due sorelle e in quel momento eravamo entrambi divorziati. Come risposta, venne la proposta allegra e goliardica dei sovietici - in sintonia con l'atmosfera conviviale - di brindare alla mia salute "in quanto ex parente" di Lëva Mitrochin.

Un altro episodio che mi piace ricordare risale ai primi anni della perestrojka. Un gruppo di quelli che in Russia sarebbero poi diventati famosi con il nome di "oligarchi", i nuovi ricchi, organizzò una crociera "culturale" nel Mediterraneo di cui ancora oggi non sono stati chiariti molti aspetti. Il fatto è che vennero invitati a parteciparvi - gratuitamente - alcuni degli intellettuali russi più prestigiosi, tra cui Sergej Averincev e lo stesso Lev Mitrochin. Andai a ricevere Lëva nel porto di Civitavecchia. La nave russa era ancorata vicino alla banchina, c'era un via vai di gente che saliva a bordo e scendeva, nessun controllo da parte delle autorità italiane. Qualcuno portava pacchi di non si sa che cosa. Io e la mia compagna Flora prelevammo un Lëva alquanto smarrito, forse un po' alticcio, e lo portammo a cena a Roma.

Un tratto del suo carattere da non dimenticare era la sua generosità. Quando lui era già un autore di successo - e in epoca sovietica, come si sa , la pubblicazione di un libro comportava onorari considerevoli - mentre io ero un povero studente dell'Università di Mosca, era sempre lui a pagare il conto ogni volta che si andava in compagnia al ristorante.

La sua seconda moglie era una giovane laureata in filosofia, ambiziosa, dominata - si capì poi - da un suo sogno americano. Riuscì a convincere il marito ad accettare il modesto incarico di secondo segretario d'ambasciata a Washington, lui che aveva il titolo accademico di doktor nauk. L'importante per lei era andare negli USA e partorirvi un figlio, la via legale più sicura per ottenere la cittadinanza americana. Un giorno, dopo il lavoro, tornato nella sua casa di Washington, Lëva la trovò piena di agenti della CIA e del KGB. La moglie li aveva convocati dicendo che lei e suo marito avevano "scelto la libertà". Lëva, sorpreso, dichiarò di essere assolutamente estraneo a quella decisione della moglie. I due servizi segreti aprirono un'indagine e il risultato fu che la moglie e la figlia di Lev Mitrochin rimasero a Washington e lui tornò a Mosca. E qui lo aspettava un'altra sorpresa. La sua casa moscovita era totalmente vuota. Il fatto è che poche settimane prima la moglie aveva fatto una scappata a Mosca e aveva venduto tutto, mobili, letto, frigorifero, la bellissima collezione di dischi di Frank Sinatra, Benny Goodman e tutti i classici del jazz americano, che Lëva aveva raccolto in tanti anni. Insomma, l'unica cosa che non era stata venduta era la proprietà dell'appartamento, e solo perché era intestata a Lëva, che dovette ricominciare a mettere su casa facendosi prestare per prima cosa una brandina dagli amici.

Nonostante questa vicenda, nella biografia di Lev Mitrochin il legame con gli Stati Uniti era rimasto forte. Dolorosa era stata per lui la perdita in un incidente automobilistico del giovane rampollo della dinastia Rockefeller, suo caro amico fraterno. Era anche un appassionato estimatore del film Casablanca. Immancabilmente, ogni volta che ci si vedeva a Mosca o a Roma, mi diceva: "Dino, tu che hai orecchio, mi canti la canzone di Sam?".

Addio, Lëva, amico mio. Per noi vecchi atei non c'è consolazione.

Dino Bernardini (da Slavia N°2 del 2005)

sabato 21 maggio 2005

Tamerlano a Taškent

Gli Stati Uniti e il loro dittatore "speciale"

di Pepe Escobar

L'appoggio politico ed economico dell'amministrazione Bush al dittatore uzbeko Islam Karimov

"Sono felicissimo di essere tornato in Uzbekistan. Ho avuto un'interessante e proficua discussione con il presidente … l'Uzbekistan è un paese chiave della coalizione globale impegnata nella guerra al terrorismo. Ho portato al presidente i saluti del presidente Bush e il nostro apprezzamento per il coraggioso sostegno che questo paese dà alla lotta al terrore … I nostri rapporti sono eccellenti e lo saranno sempre di più".

Donald Rumsfeld a Taškent, capitale dell'Uzbekistan, febbraio 2004

Anch'io sono felice di essere tornato in Uzbekistan, nel 2003. Ho trovato un Paese tranquillo, dove i ragazzi, biondi, bruni, bianchi, olivastri, con gli occhi a palla, con gli occhi a mandorla, come i loro coetanei europei, all'uscita di scuola vanno nei bar coi tavolini all'aperto e si siedono a grappoli in venti su otto sedie.

Vedo che continua a prevalere la logica per la quale "l'amico del mio nemico è mio nemico". Così per Milosević, così per Ševardnadze, così per Kučma e Janukovič, così per Akaev, adesso così per Karimov (le parole di Rumsfield e di Bush sono assolutamente di circostanza, se non lo capite, o capite di politica quanto io di aramaico, o siete al soldo degli yankees), così sarà per Lukašenko, così sarà per Nazarbaev (Kazachstan), così sarà per Rachmonov (Tadžikistan), e poi Aliev (Azerbajdžan), Kočarjan (Armenia, giusto per fare un favore alla Turchia), per poi proseguire con Putin, fino ad arrivare a quelli indifendibili, tipo il turcomanno Nijazov, il nordcoreano Kim Čen Ir, e finalmente il cinese Hu Zen Tao.

Fantapolitica, la mia? Il 63% degli americani intervistati dal Time e dalla CNN ritengono che la Russia costituisca una minaccia per gli USA.

Nel novero dei Paesi che rappresentano una minaccia per gli Stati Uniti troviamo: l'Iraq (92%), la Corea del Nord (91%), l'Iran (87%), la Cina (85%) e Cuba (57%).

Fin qui, è la logica imperialista. Non capisco invece la sinistra euroccidentale. Passi per quella italiana: Berlusconi si spaccia per amico di Putin? Sillogismo ovvio: Putin è uguale a Berlusconi, se do addosso a Berlusconi do addosso anche a Putin. Che poi Putin, da buon pragmatico, intrattenga buone relazioni con ogni capo di Stato, alla sinistra europea non interessa affatto (Andreotti scrisse la prefazione alla traduzione italiana dell'autobiografia di Ceausescu). Passi anche per il complesso di inferiorità di polacchi, ungheresi e baltici. Ma i tedeschi, i francesi, gli inglesi, i belgi, gli olandesi? Tutti che devono passare dal via del portatore sano di democrazia?

Ventitre uomini d'affari della città, tuttora in sciopero della fame, sono da febbraio in carcere, accusati di "terrorismo islamico".

Uomini d'affari? O beh, certo, lo sono anche Chodorkovskij e, da Londra, Berezovskij, che finanzia il terrorismo ceceno in chiave antiputiniana. Infatti anche loro sono difesi dalla sinistra europea...

Fanno parte di Akromia, un piccolo movimento islamico il cui programma politico privilegia il successo economico oltre l'ideologia e il fondamentalismo religioso.

Ah, ecco.

Secondo Alison Gill di Human Rights Watch dell'Uzbekistan, Akromia sarà il prossimo obiettivo delle forze di sicurezza di Karimov.

Secondo me, invece, l'Uzbekistan sarà il prossimo obiettivo delle rivoluzioni di velluto pilotate dagli Stati Uniti, e Bush da un giorno all'altro saluterà il nuovo presidente "democratico" uzbeko, negando di avere mai appoggiato Karimov.

L'esercito del dittatore uzbeko Islam Karimov venerdì scorso ha aperto il fuoco ad Andijan - Ferghana Valley - contro migliaia di manifestanti disarmati [...] Martedì scorso, un gruppo di furibondi dimostranti vicini ai 23 imprenditori ha organizzato una rivolta armata con l'obiettivo di liberarli e ha preso il controllo del palazzo sede dell'amministrazione locale, dove, fra l'altro, in molti hanno richesto l'arrivo di Karimov.

Manifestanti disarmati che organizzano una rivolta armata. Bel colpo.

L'unica religione di stato è la vodka, capace di alleviare persino le difficili condizioni economiche in cui versa il paese.

Certo. E gli italiani son tutti mafiosi, suonano il mandolino, mangiano gli spaghetti e preparano la pizza. Ragazzi, avete mai provato a bere un qualsiasi superalcolico dai 40° in su quando la temperatura raggiunge i 40°C?

La Casa Bianca non fiaterà. Il Cremino non fiaterà, come accaduto per i fatti di Andjian.

Ho già detto, per quel che riguarda la Casa Bianca. Per il Cremlino, invece, faccio notare che non è intervenuto nemmeno in situazioni ben più importanti per il proprio assetto geopolitico, come nei Paesi confinanti Ucraina e Georgia. La ragione? Semplice: perché, a differenza degli Stati Uniti, la Russia non esporta la democrazia né con i carriarmati, né con i moderni cacciabombardieri americani. Dunque, il Cremlino può esprimere "viva preoccupazione", talvolta "esecrazione", ma niente più.

lunedì 9 maggio 2005

Un cielo di pace per la vittoria

Poi qualcuno dice che sbaglio a sentirmi a casa, in Russia. E' da un anno, dal 9 maggio 2004, che la televisione scandisce quotidianamente, impietosa: "mancano 364 giorni alla vittoria", "mancano 363 giorni alla vittoria", ecc. E' stato un crescendo di importanza. Sì, dite pure che è una macchinazione mediatica. Per strada, sempre meno cure dimagranti e yogurt, e sempre più appelli ai veterani ad indossare le proprie medaglie, "perché il Paese è orgoglioso" di loro. Gli annunci sui mezzi pubblici vengono frammezzati dagli auguri ad avere un cielo di pace. Chissenefrega della Presidente della Lettonia (manco mi ricordo come si chiama, sai che tragedia), nata e cresciuta negli Stati Uniti, che non viene a Mosca e pretende le scuse della Russia per la presunta "occupazione sovietica". Chissenefrega di Saakašvili, Presidente georgiano, anch'esso formato all'Università negli Stati Uniti, che non viene manco lui. Chissenefrega di Tony Blair, che aveva promesso di venire in caso di vittoria ed ha ora dichiarato di avere altro da fare. Chissenefrega di Juščenko, la cui moglie, di origine ucraina, è nata e cresciuta negli Stati Uniti e lavorava al Dipartimento di Stato degli USA (insomma, con Condoleeza Rice ed affini) ed ha avuto la cittadinanza ucraina non appena il marito ne è diventato Presidente con un colpo di Stato. In realtà, chissenefrega d'ogni pusillanime opportunista e d'ogni sciovinista in odor di fascismo. Almeno questo giorno, è nostro.

Ne ho sentite, viste e lette di tutti i colori, in questi giorni, sugli organi di informazione di massa occidentali. La più puerile è quella di Oświęcim (Auschwitz) liberata dagli americani.

Bush dice che "la fine della Seconda Guerra Mondiale ha significato per l'Europa Occidentale la liberazione. Per i Paesi dell'Europa Orientale e del Baltico, invece ha significato occupazione ed imposizione del comunismo". Capita, l'antifona? Gli USA hanno portato liberazione, l'URSS - schiavitù.

Il Los Angeles Times dice che, "mentre la Germania si scusa periodicamente di fronte ai popoli d'Europa per i crimini di Hitler e sborsa miliardi alle vittime del nazismo, la Russia caparbiamente si rifiuta la propria responsabilità per 10, forse 20, milioni di persone vittime di Stalin".

E' poi un crescendo. Su Q&A Wiki trovate che "il vincitore principale sono gli USA". Di più: "l'Unione Sovietica è responsabile del 70% dei morti civili della Germania". In realtà, "la guerra è stata vinta dagli Stati Uniti. Senza di essi Hitler avrebbe conquistato rapidamente la Gran Bretagna, e solo dopo avrebbe spostato buona parte delle truppe sul fronte orientale, la Russia non avrebbe resistito ad un attacco così possente. Hitler è stato sconfitto dagli americani"...

Sono anni che si va avanti così. Due anni fa avevo già scoperto che "senza gli USA il mondo parlerebbe tedesco" e che "la Russia non deve essere prevenuta nei confronti di coloro che l'hanno salvata dal fascismo".

Prima o poi faremo i conti con tutti, non ho altro da aggiungere.

domenica 1 maggio 2005

1° Maggio rosso e proletario

Sì, lo so, mo' co' 'sta parabola vi sto tediando. Mi sto guardando il Primo Maggio. Che tristezza.

Non mi riferisco al concerto, ma a Scampia, Napoli. Vedete, la mia generazione è cresciuta sulle lezioni di storia, Trade Unions e compagnia danzante. Bella ciao. Fa impressione vedere Pezzotta che dice che i lavoratori non hanno libertà di manifestare in Russia Bianca. Fa impressione perché non è vero. Fa impressione perché è un Paese intero ad essere povero, non c'è un padrone contro cui lottare come organizzazione dei lavoratori. Ed è povero perché in Italia c'è un sindacato debole incapace di dire le cose pane al pane e vino al vino, e cioè che se non si lotta contro il padrone in uno dei sette Paesi più ricchi del mondo, a risentirne sono il 90% della popolazione del mondo. Invece, lo si scarica su Lukašenko. Complimenti. Il sindacato democristiano CISL. Non me ne frega niente che molti compagni preferiscono stare nella CISL anziché nella CGIL. Ciascuno risponda di fronte alla propria coscienza.

E intanto c'è il papabile locale che, ad ogni parola del capo, sul palco, applaudiva ed annuiva, cercando approvazione da parte dei circostanti, papabili come lui. Che infatti gli davano ragione. Scommettiamo che sarà il prossimo segretario locale? Non andremo avanti così. Sì, magari alle prossime elezioni ci leviamo di torno il Merda, ma giusto per beccarci Fini di lì ad un lustro. Perché rammollirsi negli agi non salva dalla globalizzazione. E la globalizzazione, checché ne dica la sinistra (definita tale) italica, vuol dire che lo sfruttamento del XIX secolo e ancora lì. Anzi: è qui. Qualcuno, che "tiene famiglia", è capace e disposto a condannare se stesso e la famiglia di cui prima alla fame in nome di quanti lo circondano? Perché solo così, facendo massa, non ci sarà bisogno di fare la fame individualmente. E' pronto a rinunciare agli agi il papabile che poggiava il gomito sul podio di Pezzotta? E' pronto a farlo il corrispondente di RAI 3 Maurizio Mannoni, ex figgicciotto e mio coetaneo o giù di lì, ex Video Uno (TV locale di Roma) di Paese Sera, che citava sul lavoro l'attuale Papa, ex esseesse? Caro Maurizio, che tristezza vedere la tua testa canuta, tu che eri il morettino fulminante idolo delle ragazzine. Capisco: anche tu hai da perderci qualcosa. Non c'è nulla di male ad incanutire. Però io, la mattina, quando mi faccio la barba, non mi vergogno a guardare me stesso negli occhi.