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venerdì 2 agosto 2013

Berlusconi, redde rationem

No, non siamo alla resa dei conti. Intanto, in galera non ci va, e quante volte ho risposto, in questi tredici (sic!) anni di esilio forzato, a quanti volevano morto Berlusconi, che io non lo volevo affatto morto, bensì in galera, che sennò è troppo comodo. Poi c’è la faccenda dell’interdizione dai pubblici uffici, che non si sa ancora come andrà a finire (temo di saperlo benissimo, invece).

“La pena scatterà a ottobre”. Immaginiamo che uno si sia intrufolato in un pollaio ed abbia rubato una gallina. L'hanno pizzicato e l'hanno condannato in via definitiva ai domiciliari per quattro anni. Però, "non scherziamo”, mica subito, per ora resta in libertà a delinquere altri tre mesi, per dimostrare che non ce l’hanno con lui.

Altra mia frase di questi quasi tre lustri è che “ciascuno ha il governo che merita, l’Italia merita Berlusconi”. Ne resto convintissimo: chi l’ha votato per vent’anni? Mica è sceso da Marte con le armi in pugno. Berlusconi morirà per ragioni anagrafiche, circondato dai suoi commensali, servi e puttane. Si spegnerà “serenamente”, come suol dirsi. Non così tutti coloro che sono stati danneggiati – materialmente ma soprattutto mentalmente – dal ventennio berlusconico. Finirà Berlusconi, ma non i berluscones, finirà Berlusconi, ma non il berlusconismo, per cui non pagare le tasse è cosa buona e giusta, e chi afferma il contrario è comunista.

Guardiamoci intorno: i vari Dell’Utri, Previti, Alfano, Santanchè, Minetti, Daddario, Brambilla, Bondi, Apicella, Feltri, Brunetta, Letta (zio e nipote), Bonaiuti, Giovanardi, Miccichè, Bertolaso, Vito, Fitto, Carfagna, Meloni, Frattini, Craxi (la figlia), Palma, La Russa, Tremonti, Scajola, Urso, Sacconi, Matteoli, Mantovani, Prestigiacomo, Gelmini, Tajani, Belpietro, Alemanno, Gasparri, Mussolini (la nipote, ovviamente), Casini, Fini, Mastella, ma anche Bossi, Maroni, Calderoli, Galan, Zaia, Castelli, Borghezio, Tosi, Cota, Pannella, Rutelli, e persino Occhetto, D’Alema, Fassino, Veltroni, Renzi, Franceschini, Finocchiaro, Napolitano, Grillo, sono ancora tutti là. In un Paese normale ciò non sarebbe mai accaduto.

E qui ripeto (repetita juvant, sed stufant) il mio pensiero di tutti questi anni: nel Ventennio fascista, piazza Venezia era stracolma di folle osannanti ad acclamare il Duce sotto il balcone. E lo era anche piazzale Loreto nell’aprile del 1945, a prenderne a calci il cadavere. Nessuno era mai stato fascista. Nessuno ha mai votato Democrazia Cristiana per quarant’anni, nessuno è mai stato craxiano all’indomani di Tangentopoli. Fra una decina d’anni, risulterà che nessuno abbia mai votato Berlusconi.

No, proprio non siamo alla resa dei conti. No, non ritengo che ci sia alcunché da festeggiare.

martedì 3 agosto 2010

La nausea di Sartre applicata all'Italia d'inizio millennio

Repubblica: Putin ordina all'oligarca "Disegna l'auto del popolo"

Ne approfitto per una serie di riflessioni. Oligarca→Putin→Hitler. Un sillogismo che dovrebbe far pensare qualunque mente non ottenebrata. La Volkswagen, come peraltro decine di altre aziende (Opel, Fiat, Hyundai, Lada, Peugeot, Škoda, Nissan, Honda, Kia, Mazda, Mitsubishi, Renault, Suzuki, Daewoo, Ford, Subaru, Toyota, le prime che mi vengono in mente in Russia), fanno automobili accessibili ai più. Se ne sei fautore, dici che è per tutti; se ne sei detrattore, dici che è per il popolo. Come dire: per il popolo = comunisti = dittatura = fascismo = nazismo. Se l’avesse proposto Obama, Repubblica avrebbe titolato (e allegato la foto) ben diversamente, tipo: Obama sfida l'industria a produrre una vettura rivoluzionaria.

La novità è nell’indicazione di Stato (dire che è un’indicazione di Putin è una semplificazione rasente la banalizzazione generalizzata) per le automobili a corrente contro i petrolieri.

Da quando sono emigrato (tra un po’ sono dieci anni), leggo i giornali italiani attraverso gli RSS. E ne leggo tanti: Corsera, Repubblica, Sole 24 Ore, Stampa, Unità. Ebbene, sarà che fa caldo (per venerdì promettono +41°C), sarà che sono in dacia, sarà che sono in tutt’altre faccende affaccendato, lo confesso: ultimamente, mi scopro a scaricarli e a non leggerli. Si è rotto qualcosa in me, mi sono rotto io, e non solo le balle. Giorni fa leggevo una bellissima intervista con un compagno (non uso mai questa parola a caso) operaio della Zastava di Kragujevac. Che guadagnava duemila euro prima della guerra della NATO e di D’Alema, e, dopo dieci anni di disoccupazione, per sfamare la famiglia accetta di guadagnare 400 euro, sapendo perfettamente che questo va contro i suoi compagni di Torino e che presto resterà nuovamente disoccupato perché la produzione verrà spostata altrove, magari in Africa, magari a 100 euro al mese. Crumiro? Mah. Intanto i figli crescono.

Mi sono rotto di leggere delle troie di Berlusconi, mi sono rotto persino di sapere di Fini che fonda un altro Partito, di Bossi che inumidisce il microfono di saliva, di Formigoni ascoltato dai giudici, di Casini che, fiero, annuncia che non lo avranno, di Bersani che s’indigna, di Napolitano che ammonisce e firma, di Di Pietro che propone una casa comune della sinistra, di Vendola che si autopropone capopopolo nzaccarternativo in nome di un non meglio identificato amore per il popolo stesso.

Troppa acqua è passata sotto i miei ponti, in dieci anni, è ora che me ne renda conto persino io.

Anche in Facebook

sabato 22 agosto 2009

Si fa per dire?

Sul venerdì di Repubblica del 21 agosto 2009, leggo un ennesimo stravolgimento della realtà, perpetrato con accanimento, incessantemente, consapevolmente. Per spiegare a cosa io mi riferisca, chiedo scusa a Piero Ottone se prendo a prestito il suo incipit dall’articolo nella medesima pubblicazione, ma su tutt’altro argomento:

Direte che mi ripeto, e avete ragione. Ma si ripetono anche gli eventi dei quali scrivo, e che vorrei che non si ripetessero.

Ebbene, nella sezione Esteri tale Alessandro Carlini racconta il restyling dell’Aeroflot. Hostess avvenenti, gonne accorciate e rinnovo, “si fa per dire” (parole sue) della flotta.

Sulle tratte europee internazionali non si ricorda aereo dell’Aeroflot che sia mai caduto, cosa che non si può dire dell’Alitalia (ricordate l’aereo caduto sulle Alpi al confine con la Svizzera?), ma è un vecchio discorso: se cade un aereo di Air France, cade un aereo della Air France, non della McDonnell Douglas statunitense. Se invece cade un Tupolev degli anni ’70 in Africa, mai revisionato da, che so io, Air Uganda, allora è caduto un aereo russo.

Come che sia, l’Aeroflot dispone di 104 aerei (l’Alitalia di 155, compresi i 57 di Air One, in un Paese grande un cinquantaseiesimo della Russia, a proposito di sprechi), di cui 11 Boeing 767 (l’Alitalia 6), 26 Tupolev 154, 6 Il'jušin 96, 15 A319 (l’Alitalia 12), 31 A320 (l’Alitalia 44), 10 A321 (l’Alitalia 23) e 3 A330 (l’Alitalia 2). Inoltre, l’Alitalia annovera 1 Avro RJ70, che non si producono dal 2003 (ne sono caduti 13), 6 Embraer 170 (72 posti, 850 km/h, analogo del Bombardier e del Super Jet Suchoj-Alenia, vedi sotto), 10 Bombardier CRJ900 (90 posti, 850 km/h), 18 Boeing 737 (ne sono caduti 147, infatti il Business Week lo ha dichiarato l’aereo più pericoloso del mondo) e 10 Boeing 777, 11 MD 80 e 12 MD 82, che non si producono dal 1999, essendone caduti 25 (e qui, al posto degli italiani, mi toccherei nelle parti basse: il Boeing 737 è il suo degno erede). Nel 2009 l’Aeroflot riceverà complessivamente 18 A320 e 6 A330. Dal 2016 (probabilmente il pennivendolo di Repubblica si riferiva a questo), l’Aeroflot riceverà 22 A350 e 22 Boeing 787. A breve dovrebbero arrivare anche 30 SSJ-100, alla cui costruzione ha partecipato anche la Finmeccanica e la Alenia, che evidentemente il pennivendolo ritiene dei fessi. Tanto fessi che è stata confermata documentalmente l’intenzione di acquistarne ulteriori 20.

ModelloAeroflotAlitaliaInizioFine
Avro RJ1700119782003
Embraer 170062002-
Bombardier CRJ9000101991-
Tupolev 15426019682007
Il'jušin 96601993-
MD 8002319801999
Boeing 7370181968-
Boeing 7671161982-
Boeing 7770101995-
Airbus A32056791987-
Airbus A330321992-

Sulla medesima pagina, a conferma (di cosa?), ci informano – questa è grossa, infatti non è firmato – che il 24 agosto è la festa dell’indipendenza dell’Ucraina e della Moldavia dalla… Russia. Stiamo parlando del 1991, appena 18 anni fa, e invece confidano già nella memoria corta degli italiani. Fu quello scellerato di El’cin, fin dalla fine del 1990, a spingere per la secessione della Russia dall’Unione Sovietica, creando non poco imbarazzo alle rimanenti 14 repubbliche, che rischiavano di diventare tante piccole enclave. Nell’agosto 1991 ci fu il tentativo di colpo di Stato, a seguito del quale il 26 dicembre l’URSS cessò di esistere. Il 1° dicembre, 25 giorni prima (non il 24 agosto, quando lo decise il Parlamento), in Ucraina si svolse un referendum per la secessione, cosa peraltro prevista dalla Costituzione sovietica (articolo 72). In quel periodo, seguirono l’esempio della Russia un po’ tutte.

Repetita juvant: secessione dall’URSS, non dalla Federazione Russa, che era solo una delle quindici, anche se la più grande. Il giorno che Bossi attuasse i suoi piani criminali, andrebbe via dall’Italia, non dal Lazio, con buona pace di “Roma ladrona”.

sabato 14 febbraio 2009

Le ragioni di Berlusconi

Devo ammetterlo: stavolta sono d'accordo con lui. Stasera diceva che mai un governo della storia repubblicana italiana è stato coeso come il suo.

Va beh, esagera come suo solito. Però è uno dei più coesi, su questo non c'è dubbio: ve lo immaginate, con 'sta crisi, se il governo Prodi non fosse caduto su Ceppaloni? Sarebbe stata una corsa a saltare sul carro berlusconiano, a chi fa prima.

E' questa la ragione per cui non è che gli indecisi, quelli in bilico, votino Berlusconi perché gli piace più di tanto; è che nessuno propone qualcosa di credibile, di migliore. Di migliore non rispetto a una cosa buona, no, appunto, rispetto a Berlusconi, ma certo che se queste sono le alternative...

Parlo degli indecisi proprio perché quelli convinti, come me da una parte e, immagino, come molti dalla parte opposta, voteranno in un certo modo fino a crepare. Totale, 49,9% a testa, per cui, come diceva Gaber, chiunque vada al governo, basta che a un deputato gli venga un attacco di diarrea e casca il governo.

Paradossalmente, è la minoranza degli indecisi a decidere, altro che democrazia. Che poi, 49,9% si fa per dire: parliamo dei voti validi.

In Italia, ci sono 59 milioni di residenti. Togliamo i minorenni. Restano 49 milioni. Togliamo quelli che non hanno votato. Restano 36 milioni di voti validi. Togliamo quelli che non hanno superato lo sbarramento. Rimangono 32 milioni di elettori reali. Di questi ultimi, 17 milioni su 32 fanno il bello e il cattivo tempo. Mezzo secolo fa questa si chiamava "Legge truffa", ma lasciamo perdere.

Fatto sta che 17 milioni decidono su 59, ammesso che i 17 milioni si rendano conto di quel che fa una decina di migliaia di potentati. Meno di un terzo, il 29%, per la precisione. E se avesse vinto la cosiddetta opposizione, tutta preoccupata degli equilibri interni? Non tra i Partiti della singola coalizione, quello è scontato, in quei 16 milioni: ma proprio nei teocon di Veltroni e Rutelli, che sono 12 milioni, contro i 14 di Berlusconi e Fini (gli altri 3 sono di Bossi e Lombardo).

E' il risultato del maggioritario. Che è perfettamente utile ai padroni, ma masochista per chi fosse, non dico di sinistra, ma un atomo meno di destra di Berlusconi. E' questo, il nodo da sciogliere. Fino ad allora, non c'è nessun programma da discutere, nobile o ignobile che sia.

giovedì 17 luglio 2008

Lasciare un’impronta nella storia

Come è piuttosto intuibile, ero contrario e contrariato per le impronte coatte dei bambini zingari, ordinate dal batterista padano che, con un male interpretato sense of humour, il cantante da piano bar delle crociere di lusso ha voluto mettere a capo degli affari interni. Vista la sconfessione da parte del Parlamento Europeo, più che fare dietro-front, la notiziona è che dal 1 gennaio 2010 le impronte verranno prese a tutti, e riprodotte sulle carte d'identità.

Nel 1976, in Spagna muore l'ultimo dittatore fascista d'Europa, Francisco Franco (poco tempo prima, la rivoluzione dei garofani in Portogallo), lasciando ai colonnelli fascisti greci, golpisti del 1974, il primato dell'anacronismo nel vecchio continente: gli stadi di sterminio del cileno Pinochet erano lontani un oceano.

Subito, rientra dall'esilio a Madrid Santiago Carrillo, segretario generale del Partito Comunista Spagnolo (che alle prime elezioni democratiche del 1977 avrebbe preso quasi il 10%). Viene arrestato sotto bordo dell'aeromobile, per essere poi rilasciato di lì a qualche giorno.

Fatto sta che, come Federazione Giovanile Comunista Romana, subito organizziamo una veglia notturna sotto l'ambasciata spagnola, in piazza di Spagna. Eravamo tutti un po' massimalisti ed un po' uguali, barba (quelli a cui già cresceva), capelli lunghi, false Clark ai piedi, eskimo. Si distingueva un ragazzino dall'aria "secchiona", con gli occhiali Rayban da vista, con cravatta e giacca di raso rosa scuro, che al megafono spiegava tutta la nostra esecrazione, con pacatezza, moderatamente, ma anche serenamente. Chiesi chi fosse, e mi dissero che era il nostro segretario della FGCR, tale Valter Veltroni. Sì, l'attuale segretario del Partito Democratico, quello che dice di non essere mai stato comunista.

Eppure, il fascismo interiore spagnolo non era stato ancora estirpato. Nel 1981, il colonnello Tejero entra in Parlamento armi in pugno, prendendo in ostaggio i deputati, con tanto di diretta televisiva. Ricorda molto la macchietta di Ugo Tognazzi nel film "Vogliamo i colonnelli". Fu in quell'occasione che il re Juan Carlos, pur essendo un monarca, dimostra di essere un sincero democratico, negandogli ogni appoggio e giustificazione, facendogli terra bruciata attorno. Il golpe si sgonfia nel giro di poche ore.

Ricordo quando, nel 1980, al mio primo campo internazionale di volontariato antincendio, conobbi per la prima volta dei ragazzi spagnoli. Le loro carte di identità erano già plastificate, cosa che in Italia sarebbe accaduto ben quindici anni dopo, ed erano già della dimensione di una carta di credito, cosa che in Italia è arrivata solo in questo millennio, e nemmeno dappertutto. Ma c'era una cosa che metteva i brividi: l'impronta digitale. La mente correva alle leggi razziali fasciste italiane del 1938, alle schedature a seguito delle quali mezzo milione di zingari vennero gasati nei campi di sterminio: Germania, Italia e Repubblica di Vichy.

Il modulo della carta d'identità italiana, tuttora, è quello del Ventennio mussoliniano. Il rettangolino bianco in basso a sinistra sotto alla foto, laddove finora viene scritto il prezzo, era destinato, appunto, all'impronta digitale del detentore del documento. Se ho bene interpretato le disposizioni di legge, tra un anno e mezzo torneremo indietro di settant'anni.

Coi tempi che corrono, mi si potrebbe obiettare, bisogna pur identificare ogni essere umano, se si vogliono evitare ulteriori stragi che continuano ad insanguinare il pianeta. Oggi esistono molti altri mezzi tecnologici, dalla lettura dell'iride a quella del DNA. Decisamente, farebbe meno impressione. Una questione psicologica? Probabile: il fascismo è ancora troppo vicino, troppe sono ancora le sue sue vittime viventi (compreso il sottoscritto, che non è esattamente un vecchio, con i suoi 46 anni).

Del resto, è piuttosto evidente ed oggettiva la progressiva, ancorché repentina, militarizzazione della penisola italiana, dall'invio dell'esercito a Roma per il mantenimento dell'ordine pubblico, al divieto di mangiar panini nelle piazze (chi di noi non l'ha fatto, da studente senza un soldo bucato?), passando per il sequestro dei borsoni contenenti merci, cosa che, ovviamente, danneggia solo i soliti poveracci morti di fame, mica i negozianti di via Montenapoleone o di via del Corso.

E' un fascismo (per ora) latente, che percepisco persino nel vedere passare elicotteri ogni mezzora sopra le spiagge, a differenza di appena un anno fa. Il Parlamento Europeo, che certo non è un covo di comunisti sovversivi, per ora è un argine che 35 anni fa non avevamo. Ma quanto resisterà, ancora, a fronte degli interventi di razzisti di Mario Borghezio (quello che spruzzava il DDT sulle prostitute negre sul treno Torino-Milano) e Roberto Fiore (uno dei fondatori di "Terza Posizione", quella dei Fioravanti, della Mambro, di Alibrandi)?

lunedì 11 febbraio 2008

Conta a sinistra

di Mark Bernardini

Fossi per il pensiero unico, affermerei “fuori dai coglioni gli estremisti, ma anche i dorotei, i morotei e tutti i loro lacchè”. Al contrario, non sono per il pensiero punico (no, non è un errore di battitura), faccio mie da vent’anni le parole di Luigi Pintor “una testa un voto”. Però, a diciassette anni dal referendum dell’enfant prodige Mariotto Segni (che a destra c’è sempre stato) e dell’enfant débile Achille Occhetto, è ora davvero di contarsi, non solo tra destra e sinistra (pardon! Centrodestra e centrosinistra, centro illuminato – a spese dei proletari e senza pagare la bolletta, ‘sti gran fiji de ‘na mignotta – e centro rubamazzo), ma soprattutto dal centro e verso sinistra.

Quando dico ciò, mica mi aspetto chissà quali sconvolgimenti, per cui si dovesse improvvisamente scoprire che gli italiani sono tutti comunisti e vorrebbero mandare Berlusconi in un gulag, Fini alle presse e Casini alla catena di montaggio (Gasparri, Bossi, Calderoli e Borghezio in fonderia no, ché combinano casino pure lì, col loro quoziente). No, per carità del dio in cui non credo. Però sono svariati lustri che pratico un principio piuttosto elementare: che ciascuino si assuma le proprie responsabilità, altro che maggioritario. Vi ricordate la storia repubblicana ’46-’91? Avete mai provato a chiedere a qualcuno se votava DC prima, o PSI poi? La risposta perentoria, sdegnata, offesa, era regolarmente: “chi, io? Ma come ti permetti?”. E poi vincevano sempre loro. In altre parole, è dal millennio scorso che dico e scrivo: “ciascuno ha il governo che merita, l’Italia merita Berlusconi”. Non mi pare di disporre di chissà quali elementi ficcanti da farmi cambiare opinione.

Il centrodestra, che non esito a definire “destra” e basta (il centro è già occupato dal PD), per la loro violenta reazionarietà nell’esercizio del potere votato e non votato, non ha mai brillato per intelligenti intuizioni. Ragionano per logica binaria: si regolano con determinati algoritmi compotamentali. “Oggi a me, domani a te”, “occhio per occhio, dente per dente”, “se la montagna non va da Maometto, Maometto va alla montagna”, “divide et impera”, “ognuno per se”... Sono algoritmi esistenziali con una precisa struttura logica, che si possono esprimere con simboli matematici e circuiti elettronici. “Oggi a me, domani a te” è un tipico schema con una correlazione inversa positiva. “Occhio per occhio”, schema negativo. “Chi va piano...”, linea di ritardo. “La montagna da Maometto...”, tipicamente “if... else...”, un elemento logico universale composto da un banalissimo transistor e due diodi. “Divide et impera”, infine, altro non è che il principio della partizione di un’informazione complessa in elementi binari elementari, facilissimi da trattare. Vogliono strafare, e prevedo anche che ce la facciano, è un lusso che possono concedersi, visto il misero spettacolo offerto dai loro “antagonisti” (???) in questo anno e mezzo.

martedì 20 novembre 2007

Fuori la NATO e dalla NATO

di Mark Bernardini

In Aprile, quotidiano per la sinistra, continua il dibattito in vista dell'Assemblea generale di Roma dell'8 e 9 dicembre 2007 per la Sinistra unita. Sono intervenuto anch'io, a proposito di NATO e di bombardamenti in Jugoslavia.

E' ora di sbilanciarsi contro la NATO. Bisogna sporcarsi le mani, berlinguerianamente, senza paure di perdere voti, poltrone, convenienze. Si chiama onestà intellettuale. La difesa europea, inquadrata nell’ONU, verrebbe da se. Ed anche l’ONU, se non diamo retta alla proposta di Chávez di spostare la sede da Washington, rischia di fare la fine della Società della Nazioni.

Per quanto riguarda la Jugoslavia, cosa diavolo vuol dire “DOVETTE intervenire la NATO”? Gliel’ha ordinato il medico? L’ONU ha fatto fior di risoluzioni, in nessuna – IN NESSUNA! – è mai stato dato mandato alla NATO di fare da gendarmi. Infatti, l’ONU voleva mandare i caschi blu. Ma non è solo questo. Immaginiamo quel cerebroleso di Bossi iniziare sul serio la sua paventata secessione. Immaginiamo i carabinieri che arrestano i dinamitardi trentini e gli alpinisti veneziani (mi riferisco a quegli imbecilli che salirono sul campanile di San Marco), immaginiamo che, dopo la caccia all’immigrato, già in atto, si ritorni alla caccia al terrone, ma stavolta con linciaggi in piazza; solo che i matrimoni misti, il meticciato (sto usando volutamente tutta terminologia loro), è talmente diffuso che iniziano anche le ronde meridionali di autodifesa proletaria, che partono da Quarto Oggiaro per bastonare le signore impellicciate di corso Buenos Aires, mogli di quei padani che intanto continuano ad impiccare pugliesi e calabresi ai pali della luce di piazzale Loreto. Interviene l’esercito, che però è anch’esso misto. Ecco che si passa alla guerra fratricida, di trincea: non più sassi e bastoni, ma FAL e Garand (l’esercito italiano continua ad essere all’avanguardia, in fatto di armamenti). I cadaveri vengono ammassati lungo i marciapiedi, non si fa in tempo a seppellirli né tantomeno a riconoscere le spoglie, comincia a diffondersi il tifo, il colera e, vista la zona climatica, la malaria, si rischia una rigurgito endemico della peste di secoli fa.

Ecco che l’ONU si indigna, con gran dignità, esecra e condanna. E discute se sia il caso di inviare i caschi blu. Nel frattempo gli USA, pardon la NATO, con il pretesto di difendere a)le proprie basi militari in territorio italiano; b)i propri interessi strategici nel Mediterraneo e nello scacchiere internazionale (leggi: avamposto per bombardare qua e là in Medio Oriente); e c)la democrazia nel mondo, comincia a bombardare Milano, e poi Torino, e poi Padova (cazzo c’entra Padova? Niente, ma bombardare Venezia non serve a un cazzo, tanto basta aspettare e affonda da sola), e giù Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Cagliari (la Maddalena no, altrimenti l’anno prossimo Berlusconi va in vacanza a Manhattan), Palermo (no, Palermo no, ché s’incazzano quelli di Little Italy. Va beh, allora facciamo Catania o Messina). Di più: alla NATO si unisce, per poi dividere le fette di torta al tavolo delle trattative, Francia, Austria e Svizzera (cazzo, dalla Svizzera chi se l’aspettava?). E persino… Indovinate? La Slovenia, la Croazia e la Serbia! Grande! Eh, un po’ per uno, è la legge del contrappasso, o, per meglio dire, del menga…

Che dite, ho spiegato le ragioni per cui per me i bombardamenti NATO ed italiani in particolare in Jugoslavia sono stati una roba da vigliacchi macellai?

Una difesa europea autonoma deve costituire un’alternativa all’Alleanza Atlantica esistente. E’ un falso storico, infatti, che la NATO sia stata costituita per proteggere l’Europa occidentale dal blocco sovietico. E’ vero il contrario: il Patto di Varsavia fu costituito nel 1955 in risposta alla costituzione della NATO nel 1949. Come che sia, il Patto di Varsavia non esiste più dal 1991, come non esistono più tre Paesi che ne facevano parte (Cecoslovacchia, RDT ed URSS), ciò nonostante la NATO continua a dettare legge all’interno dei Paesi che la compongono (tra cui anche alcuni Paesi che, a vario titolo, erano membri del Patto di Varsavia, quali la Bulgaria, la Repubblica Ceca, l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Polonia, la Romania, la Slovacchia e l’Ungheria, oltre alla Slovenia, che faceva parte della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia), e nessuno pensa di scioglierla, pur se essa ha esaurito i compiti per i quali era stata costituita.

E la Russia? La Russia non ha mai, dico mai, fatto parte della NATO. La NATO ha bombardato la Jugoslavia. La Russia no. La NATO ha bombardato l’Iraq. La Russia no. La NATO ha bombardato l’Afghanistan. La Russia no (lo fece l’URSS, altra storia). La NATO bombarderà l’Iran. La Russia no. La NATO bombarderà la Corea del Nord. La Russia no. Come politica di difesa, pace e disarmo ha decisamente del perverso.

Mi corre l’obbligo citare il vituperato Gaber, in epoca non sospetta:

…Non c‘è popolo più giusto degli americani. Anche se sono costretti a fare una guerra, per cause di forza maggiore, s’intende, non la fanno mica perché conviene a loro. No! È perché ci sono dei posti dove non c‘è ancora né giustizia, né libertà. E loro… Eccola lì… Pum! Te la portano. Sono portatori, gli americani. Sono portatori sani di democrazia. Nel senso che a loro non fa male, però te l’attaccano. L’America è un arsenale di democrazia.

lunedì 25 giugno 2007

Marcette su Roma

di Mark Bernardini

Strategia della destra LA MARCIA SU ROMA Furio Colombo, l'Unità, 19 giugno 2007

Fausto Bertinotti ha lanciato un messaggio appassionato: «Ci vuole una sinistra unita che parla col cuore». Ma, da titolare di una delle tre massime istituzioni, la presidenza della Camera, si è accorto che i leghisti, al grido nobile e risorgimentale di «fuori dalle balle», solo tre giorni fa hanno occupato i banchi del governo con un gesto simile a quello tentato nel Parlamento spagnolo dal colonnello della Guardia Civil Antonio Tejero Molina nel 1981?

«Il governo è illegittimo»: la destra va sul Colle per fare pressing. Forse non avrà la sfrontatezza di chiedere apertamente elezioni (cosa che fa Bossi con Calderoli che minaccia le marce dei padani) ma punta a delegittimare Prodi e a chiedere un «governo breve» per far decantare la situazione e poi votare.

Sapete che nuova c'è? Vista la situazione, io son d'accordo con la Lega: facciamogliela fare, 'sta Marcia e facciamogli occupare Montecitorio.

C'è però una conditio sine qua non: un parallelismo ancora una volta con la Spagna, ma di 45 anni prima, tornando al 1936. Ecco, ci vorrebbe un po' di gente di sinistra che, anziché andare "fuori dalle balle", le proprie balle le tirasse fuori, ovviamente in senso figurato. Ed ovviamente memori del 1939 spagnolo, stavolta avremmo imparato la lezione.

Capiterebbe così che quel migliaio di "rompiballe", con le camicie brune, nere, no, verdi, sarebbe accolto a Porta Pia, a San Giovanni, San Paolo, San Lorenzo (mamma mia, troppi santi), non solo dal popolino romano, novelli Meo Patacca e Rugantino, ma da centinaia di migliaia di borgatari, bottegai, e poi immigrati vecchi e nuovi, calabresi, siciliani, napoletani, marocchini, filippini, senegalesi, insomma da un nugolo di diseredati, giù a menar legnate e rimandarli a casa a curarsi le ferite nelle acque sante del Po. Nel frattempo, il Monte Citorio sarebbe cinto d'assedio, con tanto di barricate improvvisate, fatte di carretti dei bottegai artigiani trasteverini con dentro asserragliati questi lanzichenecchi, fino a liberare il Parlamento con un assalto a furor di popolo, ma senza concedere loro manco l'Aventino: spalmati di pece ed impiumati, rispediti anch'essi a bere le loro ampolle inquinate...

Beh, forse sogno troppo. Meglio che non vengano, altrimenti ci saranno un Prodi ed un Napolitano ad esprimere il loro fermo sdegno, ad esecrare, a dissentire.