mercoledì 25 ottobre 2006

Lettera aperta ad un'amica

di Mark Bernardini
Di più: ad una mia compagna. Lei mi scrive:
Esci di casa la mattina e freddi chi ti capita davanti. Dove cogli hai colto bene. Prova a fare mente locale e ti accorgerai che su dieci persone che conosci nove "sono furbe".
Con la nostra sfiga proverbiale, coglierai quell'uno su dieci. Te la senti di affrontare questo rischio? Io no. Ricordo un manifesto del PCI rivolto ai terroristi. Cito a memoria: "sparano a una divisa, ma dentro c'è un uomo". Spareresti alla prima persona che per caso ti passa davanti, poi si scopre che era lì perché ha perso l'autobus, e l'ha perso per dare un bacio in più al suo bambino, prima che lo venisse a prendere l'odiato/a consorte, da cui ha divorziato da un paio d'anni, stanca delle percosse e/o delle urla, che è venuto/a a riportare il figlio dopo la giornata che gli è stata assegnata da un tribunale fatto anch'esso di uomini e donne, ciascuno con la sua misera storia personale. Ed era lì perché fa il doppio lavoro e si alza alle cinque, con i quali paga a malapena l'affitto. Oppure perché il lavoro non l'ha affatto, e alle cinque va a mettersi in fila, al collocamento piuttosto che aspettando un padroncino che sceglie, più o meno come mio nonno bracciante negli anni '20. Si chiama caporalato. Per l'ennesima volta esce, infreddolita ed assonnata, e d'improvviso viene freddata da un altro sfigato come lei, convinto di trovarsi davanti uno dei soliti furbetti italioti. Io non parlo solo per esserci passato in prima persona, 27 anni fa, ovviamente nel ruolo della vittima del terrorismo, non certo dell'artefice. E' che sono stato due volte a Beslan. Non riesco a liberarmi degli sguardi silenziosi delle centinaia di donne in nero, che le lacrime le hanno finite in un giorno settembrino d'inizio scuola. Laddove prima, in ogni cortile, regnava il vociare assordante e fastidioso dei bambini, ora regna il silenzio ed il lutto. Hanno fatto fuori un quarto di generazione del paese. E' che davanti all'hôtel Nacional' c'era anche Daria Bonfietti, senatrice diessina della commissione stragi, per caso passata due minuti prima solo perché aveva deciso di telefonarmi e le ho dato delle indicazioni topografiche. I dieci passanti due minuti dopo, ora sono ricordati da una stele. Pensionate, disoccupati. E' che alla Rižskaja dovevo esserci anch'io, esattamente a quell'ora, visto che ci vado quasi quotidianamente a lezione di canto. Un'ora prima, l'insegnante mi ha telefonato dicendo di stare poco bene. Gli altri, quelli del mercato rionale adiacente, dove i poveracci vendono e comprano le loro scarne masserizie, ora sono ricordati da un deporre ininterrotto da due anni di garofani rossi. 27 anni fa ero stato meno fortunato. Al processo a Rebibbia sei anni dopo, non scorderò per il resto della mia vita gli occhi stracolmi di angoscia di Cristiano Fioravanti. Pensaci. Pensa da che parte sarebbero stati i tuoi conterranei. No, ovviamente non Soru, né Cossiga: Gramsci, Berlinguer.

lunedì 23 ottobre 2006

La Russia, l'eterno cattivo

di Mark Bernardini
Ormai in Occidente la Russia è un tormentone. Breve rassegna stampa.
Repubblica
Il presidente del Parlamento europeo, Josep Borrell, non lo aveva accolto nel più caloroso dei modi, ricordandogli la preoccupazione dell'Unione per il deterioramento dei dritti umani in Russia, poi il minuto di silenzio osservato dai deputati per l'assassinio della giornalista Anna Politkovskaya, e il cenno alle difficoltà sofferte dalle Ong russe. "Facciamo affari con Paesi peggiori del suo - gli aveva poi detto - ma con voi vogliamo unirci e per questo è necessario che condividiate certi valori". Putin, palesemente irritato, si è difeso con l'attacco. Il Cremlino, ha detto - secondo quanto riferito dalle fonti citate da El Pais - non può accettare lezioni di democrazia da Paesi come la Spagna, in cui molti sindaci sono sotto inchiesta per corruzione, o dall'Italia, "dove è nata una parola come 'mafia'". Il premier spagnolo Jose Luis Zapatero, e quello italiano Romano Prodi, secondo le fonti, sono rimasti senza parole, mentre Putin rispondeva anche alle preoccupazioni europee per la situazione in Georgia e Cecenia: pensate a quello che avete combinato in Jugoslavia, ha detto.
Express
Les propos de Poutine ont été rapportés dès lundi dans la presse européenne, notamment par le quotidien espagnol El Pais. En réponse aux critiques qui lui ont été adressées, Poutine a stigmatisé la "corruption des maires espagnols" et déclaré, à l’attention de l’Italien Romano Prodi, "la mafia est un mot qui est née en Italie et non pas en Russie".
Unità
D'Alema: Putin perde prestigio. Sulla Cecenia non tacciamo
Repubblica
D'Alema e Bertinotti a Putin: "Si discuta della Cecenia"
Corsera
D'Alema-Bertinotti, critiche e accuse a Putin Il presidente della Camera sulla gaffe del leader russo: «Parole squalificanti». Il ministro: «Così non giova al suo prestigio»
ANSA
Nessun attacco a Italia e Spagna. Per fonti diplomatiche russe, Putin ha solo detto che 'la parola mafia non e' nata nella Federazione Russa'.
Francamente, io, oltre alla Jugoslavia, avrei ricordato che ultimamente nella Repubblica Ceca i Giovani Comunisti (la FGCI, per intenderci) sono stati messi fuori legge, e che in Lettonia un quinto della popolazione è apolide in quanto di etnia russa. Ma in realtà, nessuno in Italia riferisce che l'ignobile gazzarra premeditata orchestrata contro Putin con l'intento di "rovinargli la cena" (parole non mie), dividendosi giorni prima gli argomenti su cui punzecchiarlo, erano una scusa, ed in realtà della Politkovskaja, della Cecenia e della Georgia non gliene frega un tubo a nessuno. L'oggetto del contendere vero erano le forniture di gas e petrolio russi all'Unione Europea. Insomma, l'intento era di mostrare chi comanda in Europa. Solo che la musica viene orchestrata da Washington: è da quest'estate che Chainey e la Rice scorazzano in lungo e in largo nel vecchio continente con la stessa solfa. Per la Georgia, evidentemente Barroso non ricorda più il concetto di Stato sovrano. La Commissione Europea può pontificare sull'esecuzione delle proprie disposizioni internamente all'UE. Dell'Unione Europea, tuttavia, non fanno parte né la Russia, ma neanche la Georgia. Spetta dunque alla Russia decidere, chi far entrare in Russia e chi no. Ma il problema non sono i rapporti russo-georgiani, bensì della Georgia con l'Abchasia e l'Ossezia del Sud. In Abchasia vivono in tutto 150 mila persone, in Ossezia del Sud - 70 mila, di cui 40 sono profughi, grazie alla ponderata e lungimirante politica georgiana. Viceversa, vale la pena ricordare che l'UE non ha ancora risolto l'annosa questione dei visti con la Federazione Russa: l'argomentazione per cui i russi invaderebbero l'Europa come gli arabi suona un po' ridicola. Per la Cecenia, ai Bertinotti di destra e di sinistra gioverebbe ricordare che la guerra è finita da un pezzo, ed è rimasta solo nelle teste dei nostalgici opinion-makers occidentali. Maggiore risposta non meritano. Per la Politkovskaja, con che diritto si pretende da Putin alcunché? Quando in Italia hanno ammazzato Marco Biagi, qualcuno ha chiesto conto a Berlusconi? E già: "esecriamo, condanniamo"... Sembra quasi che la Russia abbia risposto: "Non ci passa manco per l'anticamera del cervello di cercarne gli assassini". Vediamo di tornare al vero oggetto del contenzioso, altro che "difesa della democrazia", "libertà di parola", "repressione delle ONG", "diritti dell'uomo": la questione vera è la ratifica della Carta energetica, che prevede l'accesso delle compagnie europee al gas ed al petrolio russi senza garantire in cambio qualsivoglia partecipazione della Russia alle tubature europee. I più inaciditi sono, ovviamente, i nuovi membri dell'UE, dai Paesi baltici a quelli dell'Europa orientale. No, non per aver fatto parte dell'URSS e del Comecon: è che a qualcuno è stata chiusa la tubatura, a qualcun altro la tubazione passerà intorno, ad altri ancora la Russia non compra più le acciughe, gli ortaggi, la carne... In brevis. Le maggiori esportazioni russe in Europa riguardano le risorse energetiche: il 57%. La Russia copre il 25% del fabbisogno europeo. Il 44% del gas importato dall'UE viene dalla Russia. Ovvero: in realtà, la Russia dipende dai consumatori europei ben più di quanto questi ultimi dipendano dalla Federazione Russa. Viceversa, il 34% delle esportazioni europee verso la Russia sono automobili e macchinari. Si parla molto di Sachalin-2. Nessuno tiene conto dell'esigenza di preservare l'ecologia di quella regione. Eppure, è noto che ultimamente il Congresso USA ha proibito alla BP di fare alcunché in Alaska, proprio per ragioni ecologiche. La Federazione Russa, per ora, non ha vietato alcunché a chicchessia. Il problema, allora qual è? Eccolo: i partner occidentali vogliono raddoppiare unilateralmente le loro spese dichiarate. Traduzione: siccome gli accordi prevedono che la Russia non percepisca alcun utile finché non verranno coperte tutte le spese, la Federazione Russa, in anni di estrazione petrolifera, finora non ha guadagnato un soldo. Ergo, col raddoppio delle spese, continuerà a non guadagnare nulla per altri dieci anni. Di che spese si tratta? Consulenze legali, personale straniero, missioni all'estero e via discorrendo. Gli accordi prevedono l'impiego del 70% di mano d'opera, materiale e macchinario locali (russi), invece non raggiungono manco il 50%. Tutti dettagli che rimangono nascosti, a copertura di coloro che cambiano vagamente gli argomenti, da economici a politici. Un'ultima ciliegina la cogliamo dal servizio da Mosca del corrispondente RAI Alessandro Cassieri, secondo il quale, parole testuali, "nessun giornale russo ha nemmeno menzionato la polemica tra l'UE e Putin". Ecco, al contrario, un breve elenco. Innanzitutto, il sito ufficiale del Capo dello Stato russo. Pravda.ru, in italiano. Vedomosti, in collaborazione con Wall Street Journal e Financial Times. Izvestija. Kommersant. Giusto per citare i più importanti, spero che basti: non ho citato il gazzettino di Tambov, come non ho citato la Padania, mi scuserete. Una domanda s'impone: incompetenza o malafede?

domenica 22 ottobre 2006

Stereotipi

di Mark Bernardini
Molti mi accusano di essere russofilo. Diciamo che per molti, per essere considerati tali, è sufficiente non essere russofobi.
Putin
Tutti ricordano certe battute di Putin sulla circoncisione, sull’affogare i terroristi nel cesso, e via sproloquiando. E devo dire che in buona sostanza sono d’accordo con lui. Solo che io di mestiere non faccio il Presidente, e dunque posso permettermi di fare battute sopra le righe. Lui no. Ieri Putin ha detto un’altra delle sue bischerate. Leggo nei massmedia italiani, a proposito dell’incriminazione del Presidente israeliano Katsav per abusi sessuali, che Putin si sarebbe complimentato: “Katsav sì che è uomo, ha violentato 10 donne”. Trasformato immediatamente in “Putin loda Katsav: ha stuprato”. Adesso vediamo come stanno realmente le cose. Katsav è accusato di avere violentato due donne e di averne molestate svariate altre approfittando della propria carica istituzionale. Se fosse vero, sarebbe disdicevole, per non dire grave, gravissimo. Io però faccio parte ancora di quella razza in via di estinzione per i quali ciascuno è innocente finché non ne sia stata dimostrata la colpa. Tra poco ci proteggerà il WWF. Altrimenti, dico che Berlusconi tocca il culo alle vecchiette e ruba i portafogli, e dirlo dovrebbe essere sufficiente per metterlo in galera. Oddio, per quanto, l’ultima accusa… Ho dovuto documentarmi, per parlare con cognizione di causa, spulciare i vari giornali russi ed italiani disponibili in internet, sacrificare del tempo che avrei potuto dedicare al lavoro e alla famiglia. Ho l’impressione che spesso – troppo spesso – così non facciano chi della penna ha fatto un mestiere. E’ qui la differenza tra un giornalista ed un pennivendolo. Per quanto riguarda Katsav, solo sul Corriere della Sera, con cui di solito non sono certo tenero, ho trovato notizie e riflessioni degne di tale nome. Il pensiero corre istintivamente a Monica Lewinsky: violentata anche lei? Per quanto però riguarda Putin, ho trovato la solita fuffa anche qui. Proviamo a spiegarla così. Un vostro conoscente viene accusato di avere rubato, che so io, lo stemma in marmo dal portone della Banca d’Italia. Il vostro conoscente ha anche perso l’uso delle gambe in un incidente. Interrogati in merito, rispondete: “Complimenti! Se è per questo, è stato anche l’esecutore materiale della strage di via Fani, nel 1978”. La battuta sarebbe decisamente infelice. Ma il giorno dopo, tutti i pennivendoli farebbero a gara (ovviamente, se voi foste degni di nota) a dire che voi siete tra i pochi brigatisti rossi ancora in libertà.
Tornatore
Saltiamo di palo in frasca. Anche Tornatore, che passa per essere non dico di sinistra, ma almeno progressista, sta preparando un film sui novecento giorni dell’assedio di Leningrado. Ha deciso di farlo, parole sue, perché Stalin ha fatto di tutto, riuscendovi per non parlarne mai. Infatti, dice, tutti confondono l’assedio di Leningrado con la battaglia di Stalingrado. Verissimo. Solo, ha dimenticato di aggiungere: in Occidente ed in particolare in Italia. Stalin, dunque, c’entra poco e niente. Ma è uno stereotipo ormai affermato, e spero (vanamente) nessuno mi accusi con ciò di essere uno stalinista. In Russia, e ancor prima in Unione Sovietica, l’assedio di Leningrado, con la settima sinfonia di Šostakovič, eseguita il 29 marzo 1942 con i pochi orchestranti rimasti in vita e trasmessa su tutto il territorio nazionale, fino allo stretto di Bering, era e resta uno dei momenti più nobili di coesione popolare. Chiunque abbia visitato questo Paese, italiani compresi, ha potuto rendersene conto.
Stereotipi
Perché ho voluto chiamare in questo modo queste mie brevi riflessioni? La “cultura” (le virgolette sono d’obbligo) statunitense, come un cancro, ha pervaso la parte occidentale del vecchio continente. Così, gli italiani sono tutti bassi, di carnagione olivastra, bruni, con la barba che gli cresce fino agli zigomi, mangiano esclusivamente pizza e pastasciutta, suonano il mandolino e cantano “O sole mio”. I russi sono tutti perennemente ubriachi di vodka, d’estate ci sono almeno venti gradi sotto zero, per le strade di Mosca girano indisturbati gli orsi polari, ogni nemico politico finisce in mano al KGB (che, per inciso, non esiste da quindici anni, come in Italia non esiste né l’OVRA, né il SIFAR) e poi nei gulag siberiani, ogni altro nemico personale finisce ammazzato per strada. Stereotipi, appunto: pressappochismo, superficialità.

martedì 17 ottobre 2006

Metrò, tristezza

di Mark Bernardini
Ma secondo voi, chi è quello stronzo che si sganasciava e che era dietro Prodi durante le dichiarazioni di cordoglio di quest'ultimo?! Non sarebbe il caso di licenziarlo in tronco?! Colpirne uno per educarne cento...

lunedì 16 ottobre 2006

Auguri sentiti al professore

di Mark Bernardini
Ieri, a Madrid, Prodi ha lanciato un paio di messaggi piuttosto importanti, che purtroppo si perdono nel magma mediatico italico dei delitti di Cogne e di isole improbabili riempite da dementi assunti al ruolo di fini intellettuali. Il primo, di primo acchitto, fa pensare a Berlusconi: "Giornali e tv contro di me". Solo che, diametralmente opposto al nefasto quinquennio berlusconiano, ha ragione. La questione riguarda il caso Telecom, o meglio le intercettazioni come tali: "Anch'io ero stato spiato, ma nessuno dice niente, solo l'Unità lo ha scritto". L'azienda telefonica di Stato che spia il capo del governo. In uno Stato degno di tale nome, la questione avrebbe fatto saltare un mucchio di poltrone eccellenti. In Italia, pochine. E a rate. Lo scandalo, sempre a detta di Prodi (e concordo), "è stato sviato con delle assurde accuse, che dicevano che noi volevamo intervenire sulla Telecom". E guarda caso, le accuse della destra al governo sulla Telecom sono arrivate a ridosso della Finanziaria. Ho scritto varie volte come in politica non ci siano né fessi, né coincidenze. E qui veniamo al secondo messaggio. Testualmente: "Lotterò contro l'evasione fiscale anche se protesteranno a milioni". E' forse l'unica volta che lo vedo tirare fuori le palle. Auguri, Prodi. Ne avrai bisogno.

lunedì 9 ottobre 2006

Corsi e ricorsi

di Mark Bernardini
L'orizzonte è l'"approdo finale" al Partito europeo, "siamo centrali nella coalizione", l'ambizione è quella di "essere trainanti nella coalizione". Il segretario interviene in apertura dell'assemblea nazionale e traccia le linee guida per il suo Partito. E avverte: è ora di mettersi in discussione per fare uscire il Partito da un porto, anche confortevole, e farlo navigare in mare aperto". Né risparmia considerazioni sull'attuale governo: "Quando cadrà, e cadrà, anche se non si sa quando, lo farà non perché la parte radicale toglierà il suo appoggio. La crisi è al centro, il punto di frattura è proprio quello. Il tallone d'Achille è al centro". Un intervento lungo e articolato che raccoglie il "netto dissenso" di un collega di partito - che tuttavia rimanda all'indomani altre considerazioni - e che affronta anche un tema imprevisto, il destino del quotidiano di Partito, che spiazza più di un osservatore: "Lo voglio dire con chiarezza: il giornale, così com'è, non ha più ragione di esistere. Se voi sapeste quanti soldi costa al Partito, pensereste come me che questi soldi sarebbe meglio spenderli in modo diverso". In quanto alle sorti del partito, il segretario ribadisce che l'obiettivo "non è presidiare un'area né perimetrare il nostro consenso", invita l'assemblea a non pensarsi come "in un recinto obbligato", e spiega come l'identità del Partito possa confluire all'interno della coalizione europea, che "non è un'internazionale" e quindi "un movimento politico come il nostro, capace di parlare a larghi strati di società" ha "tutte le carte in regola per farvi parte". Tutto questo, precisa il segretario, compreso il superamento "della contrapposizione con il centro" non significa "perdita dell'identità", al contrario ne rappresenta "un rafforzamento", significa che l'identità non è un fatto museale" e che si confronta con l'evoluzione della società. Il segretario si interroga sulla "forma del partito", oggi che "le correnti sono un fatto superato, una stagione trascorsa", e chiede maggiore consapevolezza dell'impegno "in un progetto più ambizioso di quello che abbiamo onorevolmente rappresentato fin qui". L'identità, dunque - tema "centrale" ma che non può essere "liquidato con i soliti dogmi" - va collocata "non solo in un contesto nazionale, ma europeo; per questo l'approdo al Partito Europeo è inevitabilmente il punto terminale del progetto". Il leader del Partito sa bene "che abbiamo il culto della buona memoria, ma questo dev'essere una linfa per aumentare il consenso fuori da noi. Dipende dal nostro comportamento evitare il rischio di perdere la nostra identità, perché l'approdo europeo non è il primo passo ma l'ultimo di un percorso che deve essere partecipato. Oggi non ci possiamo più fermare - conclude - abbiamo indicato una via". E se qualcuno esprime il prorpio dissenso netto sui contenuti complessivi della relazione, si schiera al fianco del suo segretario per la parte che riguarda il giornale. "E' l'unico passaggio della relazione che ho applaudito" dichiara, e ne approfitta per fare riferimento a alcuni malumori che ruotano intorno del partito, secondo cui "se il quotidiano serve solo per censurarci, tanto vale chiuderlo". "Guai a rinunciare a una presenza", intima un altro, che ricorda di essere entrato al quotidiano "come abusivo" e di esserne uscito "da direttore". Qualcosa "bisogna fare - aggiunge - per migliorare la nostra comunicazione, comunque è giusto discutere su tutto, anche sul giornale". Nessun dubbio sulla necessità "di rendere più efficace l'azione di uno strumento che è stato e sarà utile, ma che ha bisogno di una profonda revisione" per un altro dirigente, mentre un ex ministro precisa: "Quello del segretario è stato un invito alla trasformazione, non certo alla chiusura, che nessuno vuole". "Parole nette sulla necessità di ammodernare" il giornale: così il direttore del quotidiano giudica le affermazioni del segretario. "Nessuno vuole chiudere il giornale - sostiene - il problema è la modernizzazione". E' una situazione di difficoltà "nota da tempo e su cui si è aperto il dibattito - aggiunge - già in luglio abbiamo lanciato un appello a governo e Parlamento contro i tagli di fondi. La manovra economica colpisce tutte le aziende, tra cui noi. C'è preoccupazione in tutti i giornali di partito, ed il segretario non ha fatto che esplicitarla".
* * *
1990? 1993? 1998? Occhetto? D'Alema? Veltroni? Fassino? Bertinotti? No: 2006, Gianfranco Fini...

domenica 8 ottobre 2006

Anna Politkovskaja 1

A proposito dell'omicidio di sabato 7 della giornalista Anna Politkovskaja a Mosca, analizziamo i titoli dei maggiori massmedia.
Quelli russi:
NTV: Anna Politkovskaja resta un ideale di onestà
Rossijskaja Gazeta: A Mosca, nel proprio portone lungo la via Lesnaja, è stata uccisa la giornalista Anna Politkovskaja
Quelli francesi:
Libération: Une journaliste d'opposition abattue à Moscou
Le Monde: Une figure du journalisme russe d'opposition assassinée à Moscou
Nouvel Obsérvateur: Une journaliste abattue à Moscou
Quelli spagnoli:
El País: Asesinada en Moscú Anna Politkóvskaya, periodista rusa crítica con el Kremlin
La Vanguardia: Asesinan a Anna Politkóvskaya, periodista rusa crítica con el Kremlin
Quelli italiani:
Ansa: Russia: uccisa una giornalista
Corriere della Sera: Russia: uccisa reporter anti guerra in Cecenia
Repubblica: Giornalista assassinata a Mosca, denunciò l'orrore della guerra cecena
Solo l'Unità si spinge all'indicazione del mandante:
L'Unità: Uccisa la giornalista che denunciò la guerra di Putin
Giusto venerdì 6, dicevo:
...In questi esercizi ginnici eccelle in particolare l’Unità, probabilmente per un malcelato (e male interpretato) senso di peccato originale, protesa spasmodicamente a dover dimostrare di essere più antisovietica dei sovietici. Legittimo. Purtroppo, finisce regolarmente col trascendere in russofobia. [...] Quali sono gli obiettivi della sinistra italiana e dell’Unità?

venerdì 6 ottobre 2006

Il conflitto russo-georgiano

di Mark Bernardini
Quando si parla delle repubbliche ex-sovietiche, c’è una tendenza che accomuna la sinistra italiana alla destra occidentale. Il leitmotiv è che in nessuna di esse siano da considerare democratiche qualsivoglia elezioni, a prescindere. Salvo poi trasmutare le medesime repubbliche in campioni di democrazia quando muovono passi felpati da elefante in cristalleria nei loro rapporti col fratello maggiore: la Federazione Russa. In questi esercizi ginnici eccelle in particolare l’Unità, probabilmente per un malcelato (e male interpretato) senso di peccato originale, protesa spasmodicamente a dover dimostrare di essere più antisovietica dei sovietici. Legittimo. Purtroppo, finisce regolarmente col trascendere in russofobia. E’ quanto si sta verificando per quanto riguarda la Georgia. Il povero Troisi direbbe che, più che un complesso, in testa si ritrovano un’orchestra. A me piace ragionare di numeri: è su loro che si possono costruire ragionamenti ed opinioni, il resto sono sovrastrutture, o, più banalmente, fuffa. La popolazione della Georgia è di meno di cinque milioni di persone. Di questi, un quarto vive all’estero. In particolare, il 15% (800.000) vive in modo più o meno clandestino in Russia, dove gestiscono illegalmente il gioco d’azzardo ed i mercati alimentari rionali. Il reddito medio di una famiglia georgiana tipo è composto per il 60% dai trasferimenti bancari provenienti dall’estero. Dalla Russia in Georgia annualmente vengono trasferiti da uno a due miliardi di euro, in buona parte senza che su questi proventi qualcuno abbia pagato le tasse. E’ importante tenere presente, in questo contesto, che il PIL georgiano è di circa 15 miliardi. In altre parole, questi trasferimenti rappresentano quasi il 10% del PIL nazionale. Sempre per un confronto, il PIL della Federazione Russa è di un trilione e mezzo. Dall’inizio dell’anno, solo attraverso i trasferimenti bancari elettronici, dalla Russia sono giunti in Georgia poco meno di 200 milioni di euro, ovvero il 70% di tutti i trasferimenti bancari provenienti dall’estero: giusto per un paragone, nel medesimo periodo dagli Stati Uniti sono giunti appena 25 milioni, pari al 10%. Nei trasporti, soprattutto aerei, la Georgia ha un debito nei confronti della Russia pari a tre milioni e mezzo di euro. Come è noto, il gruppo dirigente georgiano percepisce uno stipendio da un fondo speciale di tre milioni di dollari costituito dalle corporazioni statunitensi in qualità di fondo retribuzione della direzione politica georgiana. In particolare, Saakašvili prende 1.500 dollari, i ministri del suo governo ne prendono 1.200. Per un modesto avvocato americano, quale era, non è andato molto più avanti. A questi però bisogna aggiungere i soldi di Soros, la bellezza di altri due milioni di dollari per gli stipendi dell’apparato statale georgiano. Le continue provocazioni dei “saakascisti” (come li chiamano in Russia, con allusione nient’affatto velata) hanno portato ad una serie di sanzioni: interrotti tutti i trasporti e le comunicazioni postali; a giorni, interdizione dei trasferimenti bancari verso la Georgia. Con l’arresto dei quattro militari russi per presunto spionaggio, è stata superata una soglia molto pericolosa, che rischia di rivelarsi per la Georgia come catastrofe economica. In politica non esistono ingenuità. Perché, allora, Saakašvili ha deciso di superarla, questa soglia? E’ chiaro, si dice che le sanzioni russe non sono dovute a ragioni economiche, bensì geopolitiche. Verissimo. Non si capisce per quale arcana ragione un creditore dovrebbe fare sconti ad un debitore che ogni giorno cerca di prenderlo a calci nel sedere. In politica, non esistono nemmeno le coincidenze. Giusto in questi giorni, il Senato USA ha votato un progetto di legge per l’ingresso a tappe forzate della Georgia nella NATO, bruciando tutte le formalità previste. Ufficialmente, si chiama “atto di consolidamento della libertà nella NATO”. Concretamente, presuppone lo stanziamento dal bilancio federale di dieci milioni di dollari. Il giorno dopo, la Georgia ha arrestato i quattro militari russi, accusandoli di complicità in vari attentati terroristici del 2004 e 2005. Peccato che i militari fossero di stanza in Georgia da appena quattro mesi, ovvero dalla primavera scorsa. Tra due anni, ci saranno le elezioni presidenziali in Georgia. Per allora, Saakašvili spera di mantenere almeno una delle sue promesse con cui organizzò il golpe di tre anni fa, quella di riunificare il territorio georgiano, facendo i conti una volta per tutte con Abchasia ed Ossezia del Sud. Come sempre, una guerra è il modo migliore per chiudere gli occhi sul fallimento economico in tempo di pace. Solo che l’Abchasia, dove più della metà della popolazione ha il passaporto della Federazione Russa, e che usa come moneta nazionale il rublo russo, è entrata nell’impero zarista russo ben prima della Georgia, e non gradisce affatto di far parte di quest’ultima. Per fare un esempio, quando la Georgia è uscita dall’URSS, nel 1990, l’Abchasia decise di rimanere a farne parte, esattamente come di far parte della CSI contrariamente al rifiuto dell’epoca da parte della Georgia. Per l’Ossezia, le cose stanno anche peggio: l’Ossezia del nord fa parte della Russia zarista dalla fine del XVIII secolo, mentre quella del sud è stata costituita nel 1922 come parte della Georgia sovietica. Esiste un principio universalmente riconosciuto, quello del diritto all’integrità territoriale di uno Stato. Esiste però un altro principio, non meno riconosciuto, quello del diritto all’autodeterminazione dei popoli. Abbiamo visto come, negli ultimi quindici anni, la comunità internazionale (che forse sarebbe più corretto definire “comunità occidentale”) utilizzi ora uno ora l’altro principio a seconda delle proprie convenienze geopolitiche contingenti. E’ quella che viene chiamata “politica dei doppi standard”, o “dei binari paralleli”. L’Ossezia del sud si è proclamata Stato indipendente fin dal 1989, ed è da allora che periodicamente la Georgia vi invia truppe, senza però ottenere altro risultato che la morte di migliaia di civili e l’emigrazione di altrettante migliaia di famiglie ossete verso l’Ossezia del nord, ossia verso la Federazione Russa. Da tempo l’Ossezia del sud vuole unirsi a quella del nord, costituendo in futuro un’unica Ossezia in seno alla Federazione Russa come soggetto autonomo. E’ poco probabile che la Russia si faccia coinvolgere in uno scontro militare diretto con la Georgia, ma è evidente che la Russia non manterrebbe una neutralità totale in caso di conflitti armati a ridosso dei propri confini e troverebbe forme più meno velate per sostenere le eventuali vittime di un’aggressione georgiana. Dunque, Tbilisi non ha alcuna possibilità di conseguire una vittoria militare, salvo un appoggio diretto di USA e NATO; ma, per quanto Saakašvili risulti gradito agli americani, è difficile immaginare che questi decidano di litigare con Mosca per salvare la faccia del presidente georgiano, pena nuovi inimmaginabili conflitti militari. Fino alla dissoluzione della Georgia stessa. Nonostante che la strada dall’aeroporto di Tbilisi alla città porti ora il nome di George Bush. La pratica di intitolare strade e piazze a personaggi ancora viventi richiama alla memoria ben altre esperienze storiche. Insomma, gli Stati Uniti che obiettivi perseguono? Circa un mese fa un ex ambasciatore sovietico in Germania occidentale ed un ex generale del KGB, ormai entrambi in pensione, hanno presentato un rapporto al parlamento russo. Il rapporto in questione è impressionante, nella parte che descrive i rapporti russo-statunitensi a breve termine. Gli USA potrebbero concorrere a formare un “politico di sinistra” in Russia che isoli il governo del dopo elezioni presidenziali russe del 2008. Subito dopo, Washington avrebbe mano libera nel tentare una “rivoluzione arancione” in Russia. Il passo successivo sarebbe quello di disfare la supremazia energetica russa attraverso una serie di processi di disgregazione interna, di implosione della Federazione Russa attraverso un rimescolamento dei vertici governativi ed economico-industriali. Una “rivoluzione arancione” soft. Come? Materiali compromettenti per attuare un discredito su scala internazionale, incremento della pressione politica sull’attuale leadership attraverso la protesta sociale, per introdurre in finale varie sanzioni, tipo il congelamento dei fondi monetari di Stato su conti in banche estere. Non finisce qui. Si delinea la strategia di attacco alla sovranità energetica russa: accesso di fornitori internazionali alternativi al sistema di conduttura d’esportazione. Gli USA prima pretenderanno di privatizzare le compagnie del gas e del petrolio, attraverso una annessione attiva alle compagnie occidentali, e finalmente progetti alternativi di rifornimento in Europa direttamente dal Caucaso e dall’Asia centrale. Nel frattempo verrà inscenata una protesta giudiziaria su scala internazionale in merito allo schema impiegato dalle aziende russe fornitrici di gas e petrolio. Parliamo ancora una volta di materiale compromettente per mandare a monte i progetti di cooperazione russi in questi settori con la Repubblica Popolare Cinese. Da ultimo, gli Stati Uniti cercheranno di compromettere l’autorevolezza politica russa per ridurne al lumicino i rapporti con l’Unione Europea. Il G 8 tornerebbe allo schema “G 7”. Il rapporto citato teoricamente sarebbe segreto, ma i giornali russi ne parlano. Come già detto, in politica nessuno è fesso e nulla è lasciato al caso. La ragione per cui dunque si parla pubblicamente di un rapporto segreto è la stessa per cui più modestamente ne parlo io: la speranza che con ciò gli Stati Uniti rinuncino. Non so se ciò accadrà, anzi ci credo poco e niente, ma faccio e scrivo di quel poco che può dipendere da me come singolo individuo coerentemente ai miei aneliti. Quali sono gli obiettivi della sinistra italiana e dell’Unità?

mercoledì 4 ottobre 2006

I "coglioni" di Berlusconi

Leggo su Repubblica: Impazza su internet il testo dell'sms che gira tra i sostenitori del centrodestra. Ricordando quel "coglioni" detto da BerlusconiSms: "Messaggio per i comunisti"Un tormentone dai fan della CdlROMA - Era solo questione di tempo. I supporter della Casa delle Libertà ora si scatenano e portano i loro affondi ai sostenitori del centrosinistra con tutti i mezzi possibili. Anche quelli telematici. Sul filo non tanto sottile dell'ironia. L'ultimo messaggio che circola via sms sui telefonini e, naturalmente, via email, prende spunto dal quel famoso "coglioni" rivolto, senza tanti giri di parole, dall'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a quegli italiani che alla vigilia delle elezioni avevano scelto di votare per il centrosinistra.Ecco il testo: "Messaggio per i comunisti: Ora che il tuo governo ha mandato i soldati in Libano, ora che sta per tagliarti le pensioni, ora che ti obbligherà a pagare con assegni, ora che ha liberato ladri, assassini e truffatori, ora che stabilirà per legge il periodo delle tue ferie, ora che aumenterà le tasse, toglierà fondi ai comuni... Ammettilo: inizi a sentirti un po' coglione? Beh, qualcuno ti aveva avvertito...". Ci sono due cose da fare, secondo me: la prima, chiarire a chi rivolgersi per unsolicited spam di telefonia mobile. La seconda, ragionare tra i nostri. Dunque, vediamo. A parte una serie di menzogne (taglio delle pensioni, per esempio), cosa si rimprovera al governo attuale? Di essere troppo simile a quello precedente, direi. Dunque, da una parte, dov'è il peggioramento paventato dal centrodestra? Viceversa, dovrebbero essere contenti e ringraziare, pensa se si mettessero a fare i comunisti. Siamo noi ad essere scontenti, per non dire altro. E ne abbiamo ben donde: mica li abbiamo votati per fare quel che stanno facendo. Però, la politica di centrodestra del centrosinistra non potrà mai essere identica in tutto e per tutto a quella del centrodestra: non abbiamo un ladro a capo del governo, che affama il popolo promettendo balocchi ed intascando personalmente i soldi in saccoccia... Perseverare è ciellino Mi riferisco a Formigoni. Breve premessa: quando alle Regionali del 2000 venne confermato in Lombardia, sembrava avesse vinto la guerra. Bassolino, vincitore in Campania, gli fece notare, in diretta, che in metà delle Regioni aveva vinto il centrosinistra, compresa la Campania, che è la seconda regione d'Italia per popolazione e perciò per elettori. Formigoni gli rispose dandogli dell'ignorante. E' sufficiente prendere qualunque atlante d'Italia per scoprire che Formigoni, oltre che dare del bue all'asino, è il classico violento verbale che non tromba. Ieri sera a Ballarò, Formigoni, recidivo, ha affermato che la Finanziaria penalizza chiunque guadagni più di 30.000 euro annui, ovvero "1.400-1.500 euro al mese". A casa mia, 30.000 diviso 12 mesi fa 2.500 euro al mese. Tra coloro che mi leggono, quanti guadagnano 2.500 euro al mese? Ah, forse intendeva con le tredicesime e finzillacchere varie? Beh, intanto non l'ha specificato, e così, seguendo gli insegnamenti del compagno Goebbels, a furia di ripetere una menzogna, diventa vera. Personalmente, la prima ed unica volta che ho superato i 30.000 euro annui (35.000, per la precisione, mica miliardi), dal 1986 ad oggi, è stato giusto l'anno scorso, ma vivo all'estero, non sono rappresentativo.