giovedì 29 maggio 2008

Spese opinabili del Parlamento Europeo

SPR:HRVATSKA-PREVOD-EP U Evropskom parlamentu prevođenje s hrvatskog na srpski ZAGREB, 28. maja (Tanjug) - Na inicijativu Doris Pak i Hansa Svobode, u Evropskom parlamentu je od juče uvedeno prevođenje s hrvatskog na srpski jezik, jer su hrvatski prevodioci izdvojeni u posebnu kabinu, odvojenu od zajednilke kabine za srpski, bosanski i crnogorski jezik, javljaju danas hrvatski mediji. Hrvatski predstavnici bili su protiv ideje Sekretarijata EP da, shodno praksi Haškog suda, obezbedi zajednički prevod na hrvatsko-srpsko-bosanskom jeziku. (Kraj)

http://www.tanjug.co.yu:86/RssSlika.aspx?14006

Agendo in base all'iniziativa di Doris Pak e Hans Svoboda, ieri, nel Parlamento UE, è stata introdotta la traduzione dal croato al serbo (SIC), cosicchè i traduttori croati sono stati collocati in una cabina a parte, separata dalla cabina congiunta per serbo, bosniaco e montenegrino (SIC SIC). L'informazione giunge dai media della Croazia. I rappresentanti della Croazia erano contrari all'idea del Parlamento UE che, sulla scia della prassi del Tribunale dell'Aja, fosse procurata una traduzione unica per la lingua croata-serba-bosniaca.

Personalmente, ricordo una situazione analoga all’inizio degli anni ’90, durante una delle mie prime traduzioni simultanee (prime si fa per dire, le facevo da un quinquennio, ma insomma, rispetto agli attuali trent’anni d’esperienza, mi rendo conto che erano cazzate). Una mezza litigata, per la prima volta, con una collega, che spiegava a noi russofoni che il serbo ed il croato hanno le stesse differenze che ci sono tra il russo ed il polacco.

Cioè, tipo tra l’italiano e lo spagnolo. Breve spiegazione per i non slavoparlanti. Il serbo ed il croato sono sempre stati uguali. Ma hanno sempre scritto, rispettivamente, con caratteri cirillici e latini. Un concetto fondamentale, tant’è che sulla base latina del serbocroato proviene, tra l’altro, in parte, la traslitterazione scientifica internazionale in caratteri latini dei suoni slavi. Da qui, i caratteri “č”, “š”, “ž” e ”šč” con cui vi ho tediati in tutti questi anni. E di questo sono particolarmente grato a mio padre, assolutamente italiano, che mi ha insegnate queste cose quasi “col latte”.

Breve digressione: ricordo anche quando venivo in Italia solo per l’estate (come ora, nuovamente, peraltro). Mio padre si faceva su per giù un mese di ferie con me, ma gli altri due mesi doveva pur lavorare, e mi portava con se in giro per cabine di simultanea, ed anche di questo gli sono grato. Fu così, ad esempio, che ricordo mio padre nel 1972, poco prima che si lasciasse crescere la barba che non ha mai più rasato, con baffi di sudore in una cabina di un caldo impossibile, al congresso nazionale della CGIL a Bari, quando si trattava di decidere se aderire alla confederazione CGIL-CISL-UIL o meno. Ecco perché quando nel 1986 io, interprete da ormai otto anni, mi trovai per la prima volta in cabina, alla XXII rassegna internazionale del cinema di Pesaro, per me fu una cosa quasi naturale, spontanea.

Ma torniamo agli anni ’90. Qualche anno dopo, nella basilica di San Pietro, ho notato un’altra chicca del genere. Chi c’è stato avrà senz’altro visto nella navata laterale sinistra i confessionali, con indicata in lingua latina la lingua appunto della confessione. Ebbene, da Woytila in poi, c’è il croato. Ed – ovviamente? – non il serbo. Negli anni successivi, io, ateo convinto da sempre, portando svariate delegazioni postsovietiche a San Pietro (cos’altro volete vedere, a parte il Colosseo e la tomba di Cirillo e Metodio alla basilica di S.Clemente sullo stradone di S.Giovanni, dirimpetto ad una delle trattorie dove lavorò mio nonno, se avete poche ore a disposizione?) ho scoperto di dover spiegare ai postsovietici – anche postcomunisti – tutti presi dalla loro riscoperta religiosità (compresi gli excomunisti ora oligarchi), che i non cattolici, pur se cristiani, non possono essere confessati.

Ripeto, da ateo convinto e non battezzato: un cristiano non cattolico non può avere assoluzione. Provate ad immaginare cosa voglia dire per un cristiano che per la prima e probabilmente unica volta si trova a Roma. Viceversa, un prete ortodosso (che in Italia, come termine, viene identificato con massimalista e perciò estremista, come gli islamici) si sposa, più figli fa e più è un bravo cristiano, ma soprattutto confessa chiunque, non solo cristiano, ma cattolico, protestante, avventista, islamico, buddista o quant’altro che sia. Alla faccia dei cliché sul liberalismo di una religione rispetto ad un’altra.

Va beh, affari loro, dei religiosi sic et simpliciter. Resta il fatto che i croati sono stati per secoli ora sotto i turchi, ora sotto gli austroungarici, ma si ritengono i veri detentori di non so cosa. Vorrei solo ricordare che il compagno partigiano Josip Broz Tito era croato, e ha dato ai popoli slavi meridionali la dignità di nazione, dove essere bosniaco piuttosto che macedone era come in Italia essere molisano piuttosto che campano. Va bene che, coi tempi che corrono, qualcuno si inventa la nazione padana, ma insomma...

giovedì 1 maggio 2008

1° Maggio rosso e proletario

1 maggio 1956, Piazza Rossa

1 maggio 1977, Piazza San Giovanni

1 maggio 1978, Maccarese, Cooperativa agricola

In quegli anni, ogni 1° maggio mi cucivo da solo sull'occhiello di una giacca sempre troppo grande (dismessa da qualche parente, non da mio padre, che, maniacalmente, si infilava a forza quelle dismesse da me) una coccarda rossa, sempre la stessa. Ero orgoglioso di scendere di casa e sentirmi addosso gli occhi stupiti della portiera, dei vicini, del barista. Ero orgoglioso di arrivare in Piazza San Giovanni e vedere gli sguardi stizziti dei "coccardari", quelli che vendevano le coccarde con uno spillo ("usa e getta", si direbbe oggi) a 100 lire. Soprattutto, ero orgoglioso di passare dal mio quartiere fascista di Piazza Tuscolo, attraversando le mura Aureliane, costeggiando largo Brindisi, dove prima che nascessi c'era l'osteria comunista di mio nonno, alla Piazza rossa di bandiere di San Giovanni, che vedevo già dalle finestre di casa, mentre riecheggiavano a tutto volume l'Inno dei lavoratori, l'Internazionale, Bandiera rossa e Bella ciao, e di ritornare a conclusione della manifestazione. Per un giorno, quel giorno, nessuno poteva osare di dirmi qualcosa. La sera tardi, ormai 2 maggio, tagliavo accuratamente i fili e riponevo con affetto la mia coccarda in un cassetto.

Altro che concerti.