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domenica 26 giugno 2016

Extracomunitari inglesi

In un gruppo di interpreti che lavorano con le strutture eurocomunitarie, è stata pubblicata una lettera di Juncker, rivolta ai funzionari britannici. Essendo pubblica, non infrango alcun codice deontologico nel riportarla, e ritengo sia interessante. Riporto altresì il mio commento.

Dear Colleagues, please find below a message from the President of the European Commission to British staff :

Dear colleagues,
Yesterday, the citizens of the United Kingdom voted to leave the European Union. This result makes me personally very sad – but I respect their choice.
I know that many of you are concerned about your future after this vote. I fully understand that. So I want to send a clear message to you, colleagues, and especially to colleagues of British nationality.
According to our Staff Regulations, you are "Union officials". You work for Europe. You left your national 'hats' at the door when you joined this institution and that door is not closing on you now. As European civil servants you have always been loyal to our Union, contributing tremendously to our common European project. And so it will be in this spirit of reciprocal loyalty that I will work together with the Presidents of the other European institutions to ensure that we can all continue counting on your outstanding talent, experience and commitment. I know you all have legitimate expectations about your rights and duties, your families who might have followed you to Brussels and your children who might be enrolled in schools here.
Let me assure you that I will do everything in my power as President of the Commission, to support and help you in this difficult process. Our Staff Regulations will be read and applied in a European spirit.
In the coming days and weeks, you will all have the opportunity to show the European Commission at its best. The eyes of the world will be upon us, expecting us to provide stability, act decisively and uphold Europe's values. I have every confidence in you. Together we will rise to that task.
Jean-Claude Juncker

Ed ecco la mia risposta ai miei colleghi:

Chiedo scusa se rispondo in italiano, ma il mio inglese non sarebbe sufficiente per dei concetti complessi, almeno in questo caso. La lettera mi pare assolutamente degna, anche se di circostanza. In pratica, si vuole rassicurare i vari funzionari - interpreti compresi - che da un giorno all'altro si sono ritrovati ad essere extracomunitari, che, nel limite delle competenze della Commissione, quest'ultima cercherà di venire incontro alle loro esigenze (per esempio, ma non solo, molti sono forse prossimi all'età pensionabile?). Ciò detto, il popolo è sovrano, e o lo è sempre, o non lo è mai, non sono ammesse eccezioni. Qui potrei parlare della Crimea, ma non vorrei aprire un flame su cui so che molti non condividono le mie opinioni. Ciò su cui invece varrebbe la pena di riflettere è lo scenario (già paventato da taluni) di una Scozia che esce dal Regno Unito ed occupa il posto dell'Inghilterra in seno all'UE, o addirittura della secessione dell'Irlanda del Nord, che va a ricongiungersi con la madrepatria d'Irlanda e perciò entra automaticamente nell'Unione Europea. Non mi soffermo su quel che ne pensi io personalmente, faccio solo una constatazione di fatto. Come è noto, ciascuno Stato nazionale membro ha diritto ad una sola lingua ufficiale nelle strutture comunitarie. Come ce la caviamo con il gaelico e lo scozzese?
Concludo con una breve digressione personale. Ho lavorato a Bruxelles al PE nel 2001-2002. Tutti ricordiamo che la lingua franca era il francese: ricordo ancora quanto mi divertivo a sentire gli eurodeputati portoghesi e greci comunicare tra loro in francese. Tutto è cambiato nel giro di pochissimi anni, con l'ingresso dei nuovi membri fuoriusciti dal Comecon: mi capitò di fare un salto in Parlamento nel 2005-2006, parlavano tutti inglese. Quello che voglio dire è che non è affatto detto che certi processi richiedano il passare di ere geologiche.
Mark Bernardini

giovedì 26 novembre 2015

Chi sono i turcomanni

In questi giorni, causa i fascisti assassini che hanno mitragliato i piloti russi in territorio siriano, si parla molto di turkmeni, di turkmeni siriani e di turcomanni, sia in italiano che in russo (туркмены, сирийские туркмены и туркоманы), ciascuno affermando che la sua è la definizione giusta e tutti gli altri sono ignoranti.

Oltre ad una ricerca in rete, mi sono rivolto alla versione cartacea del XVIII volume del Grande Dizionario Enciclopedico della UTET del 1972.

E' vero, sono turkmeni siriani, è vero, sono turcomanni e non è vero, non sono turkmeni.

Mi spiego.

"Turcomanni" è un etnonimo, comprende svariate popolazioni, tra le quali prevalentemente i turkmeni attuali della Turkmenia ex-sovietica e i turkmeni siriani, appunto (oltre a numerose altre popolazioni minori, residenti anche - non solo - negli attuali Kazachstan, Uzbekistan, Kirgizia, Tadžikistan).

Ricapitolando, tutti i turkmeni e tutti i turkmeni siriani sono turcomanni, ma non tutti i turcomanni sono turkmeni o turkmeni siriani.

Gli assassini in questione sono questi ultimi.

giovedì 2 luglio 2015

Questione di lingua

Mi stavo facendo un ragionamento sull'Ucraina, così, by the way, tra gli altri.

Fondamentalmente, cosa contrappongono i numerosi media mainstream occidentali e conseguentemente una cospicua fetta di popolazione dell'Occidente ("l'ha detto la televisione...")?

Di base, l'integrità territoriale ucraina e il diritto ad avere una lingua nazionale (cosa che, peraltro, nessuno ha mai contestato).

Bene.

Per il primo punto, sono nato in uno Stato che non esiste più (la Cecoslovacchia) e sono parzialmente cresciuto in uno Stato che non esiste più (l'Unione Sovietica).

Non m'interessa discutere, in questo contesto, di URSS, ma ricordo che i cecoslovacchi diedero una lezione di civiltà a tutto il mondo, quando, compiendo una scelta che personalmente ritengo sbagliata, si divisero per via parlamentare nel 1992 in repubblica Ceca (perché in italiano non chiamarla Cechia?) e Slovacchia.

Non fu sparsa nemmeno una goccia di sangue.

Ecco perché auspico una piccola Russia (Malorossija, l'Ucraina) ed una nuova Russia (Novorossija, la Russianova), senza che si ammazzino vecchi, donne e bambini (guardacaso, solo da una parte, mica da entrambe).

Per la questione linguistica, senza nemmeno scomodare i trentini (col tedesco e ladino), i valdostani (col francese) e i siciliani (con l'albanese), i friulani (col friulano medesimo e lo sloveno), i sardi (col catalano, il tabarchino, il sassarese e il gallurese) e i veneti (sempre col ladino), tralasciando gli infiniti dialetti (mi sono limitato alle lingue riconosciute), per l'art.6 della Costituzione della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista, né i polacchi, col bilinguismo lituano, tedesco, casciubo, bielorusso, ne i francesi con l'alsaziano, né gli sloveni e i croati con l'italiano, né gli spagnoli col catalano e il basco, né, infine, i belgi e i canadesi, ricordo che nei medesimi Stati Uniti (artefici della mattanza ucraina, giova ricordarlo) esiste una miriade di Stati in cui il bilinguismo è legge (Ungheria, Russia, buona parte degli Stati ex sovietici...).

In Louisiana, per esempio (la Patria di Louis Armstrong), francese ed inglese, con pari dignità.

Idem nelle Hawaii con l'hawaiiano e nel Nuovo Messico con lo spagnolo.

Lo spagnolo è la lingua madre del 12% della popolazione, con status speciale nel Nuovo Messico e ufficiale a Porto Rico; seguono per numero di parlanti cinese, francese (Louisiana, Maine), tedesco, tagalog, vietnamita, italiano.

L'inglese è ufficiale in 28 dei 50 Stati dell'Unione.

Perché allora quel che è consentito agli yankee non è consentito agli ucraini?

domenica 19 aprile 2015

Cerco un editore!

Dal 2000, nei ritagli di tempo libero, ho lavorato alla stesura di un “Dizionario italiano-russo e russo-italiano di terminologia musicale”. Dopo tre lustri, ho finalmente terminato, a saperlo non mi ci sarei mai messo. Un’opera ciclopica: più di 3.600 lemmi dall’italiano al russo, più di 3.200 nel verso opposto, 417 pagine a corpo 12, comprensive di disegni e diagrammi.

Perché ne parlo? Chiedo a quanti mi leggono se conoscono qualche indirizzo “ad personam” di case editrici che potenzialmente potrebbero essere interessate, per evitare di scrivere ai soliti “info” chiocciola qualcosa.

L’idea è semplice e difficile: trovare un editore italiano ed uno russo da mettere in contatto fra loro e pubblicare il dizionario in contemporanea ed in entrambi i Paesi. E’ un’impostazione già realizzata un quarto di secolo fa: la Zanichelli pubblicò assieme ad un editore russo il dizionario universale Kovalëv (l’ultimo era il Zor’ko solo sovietico del 1977, quindi obsoleto). Ovviamente, poi voglio contattare anche alcuni produttori di dizionari elettronici: Lingvo, Multitran, Promt.

Se il mio piano andasse in porto, occuperei una nicchia vuota: non esiste, non è mai esistito un dizionario italiano-russo musicale. Nel 1978 a Budapest (siamo ancora nell’Ungheria socialista) fu pubblicato un dizionario in sette lingue (ce l’ho, ovviamente), tra cui l’italiano e il russo, e questo è l’unico dizionario, oltretutto introvabile.

Scrivetemi in privato a mark@bernardini.com.