Immagino che tutti siamo soddisfatti, nell’apprendere che il sostituto procuratore di Potenza, John Woodcock, ha incriminato cinque dipendenti della Regione Basilicata di stanza a Roma per truffa e peculato.
In brevis, i carabinieri hanno pedinato e fotografato i cinque dal barbiere, mentre compravano pesce al mercato, durante lo shopping in un negozio di calzature. Tutto in orario d'ufficio, grazie alla timbratura dei cartellini magnetici «cui provvedeva il complice che a turno veniva investito dell'incombenza». E questa è la truffa: i contribuenti lucani, giova ricordarlo, sono i loro datori di lavoro, e gli pagano lo stipendio, loro malgrado, per andarsene a zonzo.
Poi c’è l'uso indebito delle utenze telefoniche dell'ufficio, che sarebbero state utilizzate «in modo assolutamente sistematico, ripetuto e continuativo, per chiamate personali e private pari ad oltre l'88% del complessivo ammontare delle bollette pagate dalla Regione Basilicata», che anche in questo caso è parte offesa. Insomma, scrivono gli investigatori, tutto «come in una sorta di phone center gratuito», aperto anche ad amici e parenti. E perfino all'addetto delle pulizie, la cui moglie avrebbe fatto «lunghe e costose» telefonate ai suoi in Sudamerica. In alcuni casi venivano fatte telefonate «mute» ai cellulari dei familiari, o al proprio, al solo scopo di ricaricare il credito telefonico. E questo è il peculato, per il quale vale quanto già espresso per la truffa.
Tutto bene, tutto sacrosanto. Ricordo però che la stessa cosa venne fatta da Andropov, ambasciatore sovietico nel 1954-1957 a Budapest e capo del KGB nel 1967-1982, quando, nel 1982-1984 (anno della sua morte), fu segretario del PCUS e perciò capo dello Stato. E qui, chissà perché, gli italiani di destra e di sinistra, e ovviamente i sovietici prima e i russi poi, non erano d’accordo.
Dunque, farlo in URSS o in Russia è antidemocratico, mentre farlo in Italia è segno di giustizia efficiente. Eppure, in Russia è ancor più giustificato, visto che è possibile fare la spesa a qualunque ora di qualunque giorno, a differenza di quanto accade in Italia, perché sono i negozi che debbono adattarsi alle esigenze dei consumatori, e non viceversa.
Va bene, mi si potrebbe obiettare, ma in URSS in quel periodo capitava di non trovare quanto occorreva, dai generi alimentari all’abbigliamento. La maggior parte delle retate in orario d’ufficio, tuttavia, venivano compiute… nei cinema. Un bene di consumo primario?
Insomma, sposo in pieno l’iniziativa di Woodcock. Vorrei solo sentire un minimo di autocritica italiana, che invece temo non sentirò mai.
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