mercoledì 27 febbraio 2008

Indovina chi l'ha detto

  1. Tav: si farà, va completata e utilizzata appieno.
  2. No-Nimby: basta con l'ambientalismo del no che cavalca ogni movimento di protesta del tipo Nimby cioè non nel mio giardino.
  3. Diritti: l'aborto è un tema troppo delicato per finire nell'agone politico.
  4. Immigrazione: non si possono aprire i boccaporti. Roma era la città più sicura del mondo prima dell'ingresso della Romania nell'Ue.
  5. Tasse: ridurremo la pressione fiscale.
  6. Afghanistan: i nostri soldati sono lì a difendere la pace. Noi dobbiamo continuare ad essere impegnati in missioni di pace.
  7. Afghanistan bis: bisogna riconsegnare l'Afghanistan alla democrazia.
  8. Imprenditori affezionati: gli imprenditori sono lavoratori: dei lavoratori che sono affezionati alle loro aziende.
  9. Basta col '68: chi allora proponeva il "6 politico" produceva un falso egualitarismo che perpetuava le divisioni sociali e di classe esistenti.
  10. Sicurezza: maggiore controllo del territorio grazie alle nuove tecnologie, a cominciare dalle reti senza fili a larga banda, e la videosorveglianza da far diventare un terminale della rete.
  11. Sarkozismi: nel mio governo mi piacerebbe avere Blair.
  12. Sarkozismi bis: nel mio governo vorrei avere Gianni Letta e Letizia Moratti.
  13. Meno, meno, meno: meno veti, meno burocrazia, meno conservatorismi.
  14. Più, più più: l'Italia deve lasciarsi alle spalle il passato e scegliere il nuovo, smettere di accontentarsi e volere di più, ricercare la felicità.
  15. Comunismo: il comunismo è l'impresa più disumana della storia con oltre cento milioni di morti.
  16. Comunismo bis: non sono mai stato comunista.
  17. Montezemolo: guardo con molto interesse al suo programma.
----Soluzione
1. Walter; 2. Entrambi; 3. Entrambi; 4; Walter; 5. Entrambi; 6. Walter; 7. Silvio; 8. Walter; 9. Walter e Nicolas; 10. Walter; 11. Silvio; 12. Walter; 13. Walter; 14. Walter. 15. Silvio; 16. Walter; 17. Montezemolo parlava del programma di Walter ma anche di Silvio.
Fonte: Francesco Pinerolo

martedì 26 febbraio 2008

Banca di Roma

Ricordate il tormentone del BancoPoste Italiano? Era l'agosto 2005, ce le hanno fatte a peperini. Adesso tocca alla Banca di Roma:

Gentile cliente ,Per la vostra sigureza e per il tanto numero di accedere al vostro conto online http://www.bancaroma.it/ abbiamo preso come misura precauzionale di blocare momentaniamente il vostro conto Vi preghiamo di confermare che il vostro conto e ancora attivo si che funziona in parametri normali. Per confermare tutte queste click sul seguente link: .
Considerazioni migliori,
Il reparto sicurezza
CONFIDENZIALE!
Questo email contiene le informazioni confidenziali ed è inteso per il destinatario autorizzato soltanto. Se non siete un destinatario autorizzato, restituisca prego il email noi ed allora cancellilo dal vostri calcolatore e posta-assistente. Potete nè usare nè pubblicare qualsiasi email compreso i collegamenti, né rendete loro accessibili ai terzi in tutto il modo qualunque. Grazie per la vostra cooperazione.

Dove ci porta l'header?

Return-Path: <david.nzioka@mail.innscorkenya.co.ke>

Received: from [196.216.66.126] (port=43263 helo=mail.innscorkenya.co.ke)

id 1JToxQ-000Dwh-7E

Received: by mail.innscorkenya.co.ke (Postfix, from userid 544) id 08FF81DC73F

From: Banca Di Roma <servizi.online@bancadiroma.it >

Message-Id: <20080226001234.08FF81DC73F@mail.innscorkenya.co.ke>

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Insomma, se non sono coreani, sono kenyoti. Che palle... Ma con un italiano rispetto al quale un qualsiasi traduttore robot sembra un Dostoevskij, dove volete andare? Chi volete che ci caschi?

Questo mi ricorda un messaggio che girava anni fa, sempre valido e divertente:

ATTENZIONE !!!!!!!!! ATTENZIONE !!!!!!!!!!!!!! In questo momento voi avete ricevuto il "virus albanese". Siccome noi nella Albania non ha esperienza di software e programmazione, questo virus albanese funziona su principio di fiducia e cooperazione. Allora, noi prega voi adesso cancella tutti i file di vostro ar-disc e spedisce questo virus a tutti amici di vostra rubrica. Grazie per fiducia e cooperazione.

sabato 23 febbraio 2008

La passione secondo Veltroni

di Mark Bernardini

Novembre 1974: «Una vita da cambiare: la droga». Con il futuro segretario del Pd che respinge la riduzione del fenomeno della tossicodipendenza «ad una presunta americanizzazione del modo di vivere dei giovani e degli studenti delle grandi città». Il punto è ben altro, perché il diffondersi della droga dipende da «una angosciosa situazione dove molti giovani sono stati cacciati dall’immoralità delle classi dominanti».

15 giugno 1975: «Orientare la spesso generica aspirazione al rinnovamento che è presente tra i larghi settori delle nuove generazioni nella direzione dell’adesione all’ideale della società socialista è già un compito dei giorni successivi al 15 giugno».

1975: esaltazione del «fare politica». «Significa - scrive Veltroni - edificare mattone per mattone una società nuova e partecipare al progetto ambizioso della vittoria della rivoluzione proletaria in occidente, di quella rivoluzione che noi portiamo avanti e che tutti i giovani devono vivere». E ancora: «Il socialismo e il comunismo debbono essere il progetto di più alta realizzazione della libertà, di più grande valorizzazione del lavoro come forza motrice della storia».

Giugno 1976: «occorrerebbe che la Dc condannasse se stessa per il suo passato, per l’espulsione dei comunisti dal governo dopo la guerra, per aver venduto agli americani il proprio partito e il nostro Paese». Nel dettaglio: «Penso al viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti e in sostanza all’asservimento della Dc (connivente con la guerra in Vietnam) e dell’Italia stessa al soldo ed al volere degli americani. È la storia recente della concessione delle basi Nato in Italia».

1976: contende a Lotta Continua la leadership del mondo giovanile. «Il nostro ruolo - scrive - è nella capacità del movimento operaio di esercitare a pieno la propria egemonia su quei settori dei giovani delusi dall’esperienza estremista». Conclusione solenne: «Solo così sarà possibile recuperare alla milizia rivoluzionaria i giovani delusi dall’estremismo». Ma il Veltroni della Fgci è anche pronto a denunciare a più riprese «l’acquiescenza all’imperialismo» di quegli Stati Uniti che in età matura amerà follemente. E, dunque, grandi feste per i «compagni vietnamiti» che «hanno sconfitto la grande potenza americana». Con tanto di elogio di Lenin: «No, non ci sono scorciatoie. Lenin diceva che “la via della Rivoluzione non è dritta e selciata come la prospettiva di Newski”. I giovani questa via hanno già cominciato a percorrerla».

Tutto questo, sul Giornale del fratello del già e prossimo Presidente del Consiglio. Destino gramo: a destra, gli rimproverano che diceva quanto sopra riportato; a sinistra, di non dirlo più.

lunedì 18 febbraio 2008

Pandora

di Mark Bernardini

Il pitale di Pandora è crepato? La domanda è lecita, perché, dopo il Kosovo, adesso ne vedremo delle orrende. Fuori i georgiani (mi perdoni Ray Charles) dall’Abchasia e dall’Ossezia del Sud. Fuori i turchi (mamma) da Cipro. Fuori gli iberici ed i galli da Euskadi. I britannici dall'Irlanda. I valloni dalle Fiandre ed i fiamminghi dalla Vallonia. Fuori i romani dalla Transnistria, e poi gli italiani dalla Padania, e gli albanesi albanensi da Ariccia, gli aricciaroli con tutta la porchetta da Genzano, i bergamaschi di sopra da Bergamo di sotto, i bergamaschi di sotto da Brescia, quelli di San Giovanni da Cinecittà e quelli di Porta Romana dal Parco Lambro. E che gli yankees non gioiscano più di tanto: prima o poi, dovranno levarsi dalle balle, a cominciare dal Dakota, dove i Lakota stanno ricreando il libero Stato indipendente degli autoctoni. Non mi risulta che i ceceni abbiano voglia di uscire dalla Federazione Russa, checché se ne dica in Occidente, ma se fosse così, fuori dalle palle anche loro: i russi dall'Ichkeria e i ceceni da Mosca, ché ce n'è più che in Cecenia, come ci sono più calabresi in Argentina che in Calabria...

Sembra tutta da ridere. Vedremo tra quanto quel ghigno sparirà dalle vostre facce da incoscienti, affogato in un bagno di sangue innocente.

sabato 16 febbraio 2008

Stati Uniti Planetari

di Mark Bernardini

Stamane mia moglie mi raccontava di un altro bambino, un po’ più grande, che a scuola, qui a Mosca, era stato giudicato “ritardato”. I suoi genitori sono due pittori, dipingono anche icone nelle chiese. L’ho visto: un normalissimo ragazzino, con buona propensione per le lingue straniere (ed io ne so qualcosa). Come tutti i ragazzini, per anni i genitori non potevano lasciare in giro una sveglia, l’avrebbe smontata. Solo che lui smontava persino i cardini delle porte.

Qual era il problema? Non aveva mai fatto un puzzle. Personalmente, ritengo che sia un gioco come un altro, non vi è nulla di antipedagogico, né però d’altra parte può essere assunto a parametro di giudizio in questa sorta di anamnesi arbitraria, compilata, evidentemente, da dei dilettanti allo sbaraglio. Dopo quel giudizio, i genitori gli hanno regalato alcuni puzzle, tempo qualche giorno e a scuola li faceva nella metà del tempo degli altri.

Ovviamente, da questo episodio desidero estrarre una morale, un meccanismo, una logica un minimo rappresentativa statisticamente.

Ricordo, nel 1978, al liceo a Roma, avevamo una materia che si chiamava Educazione civica. Naturalmente, non appena in Italia si riesce a combinare qualcosa di buono, bisogna subito abolirlo. Così è stato per questa materia: quale momento migliore, oggi, sarebbe stato per studiare la Costituzione? Ma lasciamo stare, torniamo ad allora. Con malcelata soddisfazione, ma anche con sincero stupore, apprendemmo che, da un sondaggio (già allora, accidenti), il 70% dei nostri coetanei statunitensi erano convinti che, durante la Seconda guerra mondiale, gli statunitensi (ma loro dicono “americani”) ed i sovietici (ma loro dicevano “russi”) avessero combattuto gli uni contro gli altri. Da allora sono passati trent’anni, i ventenni di allora sono i cinquantenni di oggi. Sono, in altri termini, la classe dirigente del Paese più potente del nostro pianeta. E ci stupiamo che il loro Presidente possa confondere non dico Slovenia e Slovacchia, ma Austria ed Australia?

Dalla metà degli anni ’80, dall’inizio della perestrojka, e soprattutto dopo la dissoluzione dell’URSS e la presa armata del potere da parte di El’cin, col cannoneggiamento del Parlamento nel ’93, nello spazio geografico postsovietico si era andato affermando il mito americano, fatto di Coca-Cola, Mac Donalds, marchi, neon, grattacieli, gomme americane.

Il nuovo Millennio ha segnato il riscatto e la disillusione, per fortuna. Ma intanto i ventenni di vent’anni fa oggi fanno gli insegnanti. E giudicano i malcapitati, nati in questo Millennio, a colpi di test. Se non si inverte la tendenza rapidamente, ci troveremo i malcapitati di oggi a testare altri malcapitati domani, ed il gioco sarà fatto: Stati Uniti Planetari.

martedì 12 febbraio 2008

Litizzetto for president

di Mark Bernardini

Sì, ritengo Luciana Litizzetto il politico più lungimirante di cui disponiamo, e non lo dico per tirare al ribasso: ha ragione da vendere, quando dice che per farci governare da questi qui abbiamo due soluzioni, o giriamo con le mutande di latta, oppure dobbiamo lasciare a casa il culo. E’ ora di spogliarci da false ipocrisie e mostrare una volta per tutte chi comanda: dare l’incarico al Papa, che formi un bel monocolore di porporati, con la Binetti alla Sanità.

Io però mi spingo anche un po’ più in là, reduce dal TG2 della RAI (di tutti o di nessuno? Canone? Non scherziamo) di lunedì 11 febbraio sera, in cui si celebra il 150° anniversario non già di quando una ragazzina pastorella ha affermato di aver visto la Madonna a Lourdes, bensì, attenzione, dell’apparizione dell’Immacolata sic et simpliciter. Un dogma che a mettere in discussione si rischia un processo per eresia.

Un dogma democratico: infatti, noi abbiamo il diritto di adorarla (non abbiamo il diritto di negarne l’esistenza, ma questo è un dettaglio trascurabile), giacché non siamo un regime comunista, a differenza della Cina, uno degli ultimi Paesi dove, testualmente dal TG3 (ma non era Telekabul?), “purtroppo permane una dittatura”, come la preparazione alle Olimpiadi dimostra, mica come nei Paesi finalmente conquistati ai valori occidentali, dove un atleta nero si può permettere di salutare a pugno chiuso per alludere al black power.

Spieghiamo ai più giovani: nel 1968 a Città del Messico, gli atleti Carlos e Smith sollevarono i pugni guantati di nero nel simbolo del Black Power, un gesto che in seguito determinerà la loro espulsione dalla squadra statunitense e la privazione da parte del CIO delle medaglie conquistate. Naturalmente, questo, a distanza di quarant’anni, non ci viene detto, perché siamo oltre, talmente democratici da non doverlo ricordare.

Allora, ecco la mia proposta, l’incarico al Papa di formare il governo italiano, vero Presidente del Consiglio, non lo deve dare il Presidente della Repubblica italiana, il comunista Napolitano: lo deve dare il vero Presidente planetario, quello statunitense, Bush, Hillary Clinton o Obama che sia.

Amen, è proprio il caso di dirlo.

lunedì 11 febbraio 2008

Conta a sinistra

di Mark Bernardini

Fossi per il pensiero unico, affermerei “fuori dai coglioni gli estremisti, ma anche i dorotei, i morotei e tutti i loro lacchè”. Al contrario, non sono per il pensiero punico (no, non è un errore di battitura), faccio mie da vent’anni le parole di Luigi Pintor “una testa un voto”. Però, a diciassette anni dal referendum dell’enfant prodige Mariotto Segni (che a destra c’è sempre stato) e dell’enfant débile Achille Occhetto, è ora davvero di contarsi, non solo tra destra e sinistra (pardon! Centrodestra e centrosinistra, centro illuminato – a spese dei proletari e senza pagare la bolletta, ‘sti gran fiji de ‘na mignotta – e centro rubamazzo), ma soprattutto dal centro e verso sinistra.

Quando dico ciò, mica mi aspetto chissà quali sconvolgimenti, per cui si dovesse improvvisamente scoprire che gli italiani sono tutti comunisti e vorrebbero mandare Berlusconi in un gulag, Fini alle presse e Casini alla catena di montaggio (Gasparri, Bossi, Calderoli e Borghezio in fonderia no, ché combinano casino pure lì, col loro quoziente). No, per carità del dio in cui non credo. Però sono svariati lustri che pratico un principio piuttosto elementare: che ciascuino si assuma le proprie responsabilità, altro che maggioritario. Vi ricordate la storia repubblicana ’46-’91? Avete mai provato a chiedere a qualcuno se votava DC prima, o PSI poi? La risposta perentoria, sdegnata, offesa, era regolarmente: “chi, io? Ma come ti permetti?”. E poi vincevano sempre loro. In altre parole, è dal millennio scorso che dico e scrivo: “ciascuno ha il governo che merita, l’Italia merita Berlusconi”. Non mi pare di disporre di chissà quali elementi ficcanti da farmi cambiare opinione.

Il centrodestra, che non esito a definire “destra” e basta (il centro è già occupato dal PD), per la loro violenta reazionarietà nell’esercizio del potere votato e non votato, non ha mai brillato per intelligenti intuizioni. Ragionano per logica binaria: si regolano con determinati algoritmi compotamentali. “Oggi a me, domani a te”, “occhio per occhio, dente per dente”, “se la montagna non va da Maometto, Maometto va alla montagna”, “divide et impera”, “ognuno per se”... Sono algoritmi esistenziali con una precisa struttura logica, che si possono esprimere con simboli matematici e circuiti elettronici. “Oggi a me, domani a te” è un tipico schema con una correlazione inversa positiva. “Occhio per occhio”, schema negativo. “Chi va piano...”, linea di ritardo. “La montagna da Maometto...”, tipicamente “if... else...”, un elemento logico universale composto da un banalissimo transistor e due diodi. “Divide et impera”, infine, altro non è che il principio della partizione di un’informazione complessa in elementi binari elementari, facilissimi da trattare. Vogliono strafare, e prevedo anche che ce la facciano, è un lusso che possono concedersi, visto il misero spettacolo offerto dai loro “antagonisti” (???) in questo anno e mezzo.

sabato 9 febbraio 2008

Scampoli di memoria 7

di Dino Bernardini

Nel 1960 ero all’ultimo anno del corso di laurea in lingua e letteratura russa all’Università Lomonosov di Mosca quando Ettore Lo Gatto, il decano degli slavisti italiani, venne nella capitale sovietica invitato dalla nostra facoltà di lettere, la Filologičeskij fakul’tet. Di lui avevo letto la Storia della letteratura russa e i saggi su Puškin, ma non lo conoscevo di persona. L’occasione che mi si presentò per conoscerlo fu ghiotta. Ero allora in ottimi, affettuosi rapporti con Sergej Michajlovič Bondi, puškinista di fama internazionale e relatore della mia tesi di laurea, il quale mi pregò di andare a prelevare il professore italiano in albergo e accompagnarlo in Čistye prudy, dove Bondi viveva. Fu un incontro indimenticabile. Nonostante i suoi titoli accademici e il suo prestigio, l’anziano professor Bondi viveva in una kommunal’naja kvartira, cioè in un appartamento in coabitazione. La famiglia Bondi occupava due stanze, le altre due o tre stanze dell’appartamento erano occupate da altre famiglie. L’unico bagno (separato dalla toletta, come in tutte le case russe), il corridoio e la cucina erano in comune. Nonostante che all’epoca questa fosse la condizione in cui viveva la maggior parte dei moscoviti, Bondi non poté ugualmente non provare un certo disagio di fronte al suo collega occidentale, sicuramente più agiato di lui. Ma riuscì a nasconderlo abbastanza bene, aiutato in questo da Lo Gatto, che si comportò con grande semplicità, come se quella fosse una situazione normale anche per lui.

Si cominciò a parlare della conoscenza di Puškin all’estero e in particolare in Italia, delle traduzioni italiane dell’Evgenij Onegin, che era l’argomento della mia tesi di laurea. A un certo punto notai che troppo spesso i due anziani professori avevano qualche difficoltà a capirsi, costringendosi reciprocamente a ripetere le frasi. Parlavano in russo, ovviamente, e Lo Gatto parlava un buon russo: qual era dunque il problema? Allora mi ricordai che Bondi, notoriamente, ci sentiva poco da un orecchio. Adesso non ricordo bene se il destro o il sinistro, è trascorso quasi mezzo secolo, ma mi pare che fosse il destro. Così chiesi discretamente a Lo Gatto se per caso anche lui avesse difficoltà di udito. Mi confidò che ci sentiva poco da un orecchio. Anche per lui non so dire quale fosse, ma di certo era il contrario di quello di Bondi. Erano seduti in poltrona, i due puškinisti, l’uno accanto all’altro, ciascuno con l’orecchio difettoso rivolto al proprio interlocutore. Mi alzai in piedi e feci loro invertire le posizioni. Da quel momento la conversazione proseguì senza intoppi con reciproca soddisfazione.

Dopo quell’incontro, Lo Gatto volle che lo accompagnassi ad altre visite e a un paio di spettacoli teatrali, durante i quali mi chiedeva sottovoce di chiarire il significato di qualche battuta in slang dei giovani moscoviti. Quando partì mi diede il suo telefono e mi disse di farmi vivo con lui appena fossi tornato a Roma. Mi promise che mi avrebbe aiutato nella carriera universitaria.

* * *

Nel gennaio del 1961 potei finalmente partire per Roma dopo cinque anni durante i quali non mi era stato permesso di tornare a casa neppure in occasione della morte di mio padre. Ma questo fa parte di un’altra storia, che racconterò in un altro "Scampolo". Torniamo invece alla carriera universitaria. La situazione in quel momento all’università di Roma, per ciò che riguardava la cattedra di letteratura russa, era in una fase di transizione. Ettore Lo Gatto stava andando in pensione e al suo posto subentrava Angelo Maria Ripellino. La presentazione che l’anziano professore doveva aver fatto di me al suo già prestigioso allievo doveva essere stata più che benevola, giacché Ripellino mi accolse come meglio non sarebbe stato possibile. Mi disse che dal 1 ottobre avrei lavorato in facoltà come suo assistente e che nel frattempo sarebbe stato bene che cominciassi a frequentare le sue lezioni. Chi ha avuto la fortuna di essere allievo di Angelo Maria Ripellino sa che cosa significasse non tanto assistere alle sue lezioni – che pure suscitavano un interesse generale – quanto partecipare ai “dopolezione”. Ripellino incantava, affascinava l’uditorio, al quale trasmetteva la sua passione per la letteratura e in particolare per la poesia. Ogni tanto, durante questi “dopolezione”, si rivolgeva a me chiedendomi di esprimere un mio giudizio su questo o quel poeta russo contemporaneo. Forse Lo Gatto aveva esagerato nel parlargli bene di me, ma è più probabile che Ripellino volesse conoscere meglio il mio livello di preparazione.

In quei giorni cercavo anche di fare qualche collaborazione con le riviste italiane. Tradussi la poesia Io sono Goya di Voznesenskij che venne pubblicata sull’Europa Letteraria (in anni più recenti l’ho ripubblicata più volte, ogni volta limandola e modificandola, senza rimanerne mai completamente soddisfatto). Ma ciò che mi occupava e preoccupava maggiormente era allora il ritardo del visto sovietico di uscita dall’URSS per mia moglie Ženja, cittadina sovietica, che avevo sposato quando eravamo ancora tutti e due studenti. Così andavo almeno una volta alla settimana alla Direzione del PCI per chiedere aiuto. Una volta venni ricevuto cordialmente da Mario Alicata, responsabile della sezione culturale, che aveva fama di uomo burbero, ma che con me fu gentile e mi scrisse un paio di lettere di raccomandazione. Ma i giorni passavano e il visto non arrivava. Finché un giorno alla sezione Esteri di Botteghe Oscure mi fecero questa proposta: abbiamo bisogno di mandare qualcuno a Praga a lavorare presso la redazione italiana di Problemi della pace e del socialismo, la rivista del movimento comunista internazionale. Ci vuole qualcuno che conosca bene il russo e tu sei la persona adatta. Se accetti, puoi partire subito, vedrai che i sovietici non faranno storie per far venire tua moglie a Praga. Era estate, Ripellino era in vacanza e non potevo consultarmi con lui. Dovevo prendere una decisione rapida e, come dire?, l’amore prevalse sull’università. Qualche mese dopo, Ripellino venne a Praga, ospite dell’Università Carlo, e lo invitai a cena in un ristorante per scusarmi. Ma ormai la mia vita aveva preso un’altra strada.Slavia, rivista trimestrale di cultura

Dino Bernardini, "Slavia" N°1 2008

mercoledì 6 febbraio 2008

Un Paese così può durare?

di Mark Bernardini

A fine gennaio sono stato in Italia per lavoro. Prima di partire da Mosca, avevo tentato di fare i biglietti del treno Roma-Firenze e ritorno sul sito delle Ferrovie dello Stato italiane con la mia carta di credito. E’ una VISA, ma l’operazione non andava a buon fine. Pazienza, mi ero detto, aveva fatto lo stesso scherzo anche durante il mio viaggio precedente, mesi prima. Come l’altra volta, farò il biglietto direttamente alle macchinette in stazione, sempre con carta di credito.

Giunto alla stazione Termini (che il sindaco Veltroni, ex segretario della Federazione Giovanile Comunista Romana, si ostina a chiamare “stazione Giovanni Paolo II”), ho digitato la lunga trafila di percorso, orario, tariffa. Arrivato alla modalità di pagamento, ho scelto “carta di credito”. “Inserire carta di credito”, mi dice. Fatto. “Avete inserito una carta bancomat, si prega di inserire una carta di credito”.

Breve spiegazione. Io ho due conti. Uno a Mosca, sul quale ho una carta di credito VISA, che è anche bancomat; un altro a Bruxelles, sul quale ho solo una tessera bancomat.

Dunque, a parte che avrebbe dovuto comunque accettare la mia tessera, di credito o bancomat che fosse, essendo essa entrambe le cose, a questo punto provo ad inserire la tessera bancomat di Bruxelles. Stavolta, ha ragione la macchinetta a dirmi “Avete inserito una carta bancomat, si prega di inserire una carta di credito”. Beh, ci ho provato.

Il guaio è che non c’è modo di tornare alla schermata precedente, si può solamente annullare l’operazione. Pazienza. Annullo, ricomincio tutto daccapo. “Modalità di pagamento”, scelgo “bancomat”. “Inserire carta bancomat”. Inserisco il bancomat brussellese. “Avete inserito una carta di credito, si prega di inserire una carta bancomat”. Lo spirito di Kafka aleggia tra i riferimenti papalini ferroviari: il mio bancomat belga è solo tale, non è carta di credito. Però la carta di credito moscovita, come detto, è anche bancomat. Inserisco quest’ultima. “Avete inserito una carta di credito, si prega di inserire una carta bancomat”. E’ entrambe le cose, ma so da tempo che insultare un ammasso di circuiti stampati non produce alcun risultato soddisfacente. Annullo e vado all’agenzia di stazione, dove faccio tutto e pago con carta di credito.

Il giorno dopo mi reco in stazione per partire, e noto una gradevolissima sorpresa: lungo il binario, con cadenza ogni circa dieci metri, campeggia un monitor che indica il numero di carrozza del treno in arrivo che si fermerà in quel punto.

Mi sono sentito, per pochi minuti, in un Paese civile. Per pochi minuti, perché, percorsa tutta la banchina (la mia carrozza era in fondo al treno, e Termini è una stazione terminale, non passante), ed arrivato il treno, ho scoperto che le carrozze erano numerate esattamente al contrario di quanto indicato dai monitor, ed essendo un treno originato a Napoli, ripartiva quasi subito. Per fortuna non avevo granché di bagaglio e dispongo ancora di buone capacità motorie.

Penso che a questo punto si possa eliminare il punto interrogativo del titolo: un Paese così non può durare.

martedì 5 febbraio 2008

Dichiarazioni in ordine sparso

Bersani: "Una legge elettorale che dà il compito al partito di nominare i suoi deputati, senza nessuna procedura democratica interna, è un'aberrazione totale".

Bersani era della Federazione di Bologna del PCI. Come decidevamo i candidati, nel PCI?

Chiti: "Gli alleati del Pd? La prova del nove verrà dal voto sulle missioni militari. Chi non approva il rifinanziamento potrà dirsi escluso da future alleanze".

Chiti (detto “il bambino”) era della Federazione di Pistoia del PCI. L’Unione ci ha fatto votare un programma di 262 pagine, che tra l’altro diceva: “Per affrontare i problemi che derivano dall’assetto unipolare del mondo dobbiamo puntare ad una difesa europea autonoma, pur se sempre in rapporto con l’Alleanza Atlantica, che sta profondamente cambiando”. Poi un anno fa hanno fatto una minicrisi che li ha ricompattati su un programma di 12 punti, che a noi NON hanno fatto votare, e che diceva tra l’altro: “Sostegno costante alle iniziative di politica estera e di difesa stabilite in ambito Onu ed ai nostri impegni internazionali, derivanti dall'appartenenza all'Unione Europea e all'Alleanza Atlantica, con riferimento anche al nostro attuale impegno nella missione in Afghanistan”. Siamo già ben oltre il mandato popolare che avevamo loro dato. E adesso siamo alla dichiarazione programmatica: “La prova del nove verrà dal voto sulle missioni militari. Chi non approva il rifinanziamento potrà dirsi escluso da future alleanze”. Sono curioso di vedere non tanto “quanti”, quanto “chi” voterà PD.

Grillo: "Non ho nessuna voglia di entrare in quella bolgia che è il Parlamento. Il mio obiettivo è mandare a governare dei giovani che possiedano determinati requisiti”.

Abbiamo già dato: Pannella per anni mandava avanti i suoi, però è sempre lì. Possibile che qualcuno ci caschi ancora, dopo trent’anni? Pare proprio di sì. E allora scommettiamo che prima o poi lo vedremo sugli stessi scranni, a giurarci che stavolta è diverso, che lui è lì proprio per cambiare?