sabato 24 dicembre 2005

Natale

Per me Natale è sempre stata un'occasione per rivedere un po' di parentame, strafogarmi di leccornie fatte in casa, tirar tardi e fare indigestione di giochi nient'affatto stupidi, tipo tombola, soprattutto da bambino. Solo che, come dire?, non ci vedevo e non ci vedo nulla di male. Crescendo, in età adulta a Milano presi il brutto vizio con i miei amici russi di festeggiare qualunque cosa, Natale cattolico, Capodanno cattolico, Natale ortodosso, Capodanno ortodosso, Capodanno cinese, Capodanno ebraico, Capodanno musulmano.
Grossomodo è così che proseguo anche qui a Mosca, e continuo imperterrito a non sentirmi in colpa. Son proprio stronzo, eh? Però l'alberello è di plastica, lo riciclo per il terzo anno consecutivo ed è lungo poco più del pisello di Giovanni. Le lampadine intermittenti mi tocca risaldarle ogni anno, perché si reggono con lo sputo, e la saliva non va molto d'accordo con la corrente elettrica. Mia madre mi ha regalato dei bicchieri per il vino presi alla fiera rionale, io e mia moglie le abbiamo regalato un libro di aforismi di uno dei suoi registi preferiti. Dite che sia proprio roba da borghesi?

mercoledì 7 dicembre 2005

Basta col buonismo

Ci ha provato il còrso, ci ha provato l'austriaco, andarono per bastonare e furono bastonati. Venite, venite: da occidente, con i servi della piccola Russia ed i cattolici integralisti del cazzo che hanno massacrato tutti i propri ebrei. Venite dal meridione, soggiogando proprio quelle popolazioni dagli occhi a mandorla che in realtà avete sempre temuto. Venite da oriente, attraversando le miniere aurifere esaurite che un tempo erano slave e poi lo stretto ghiacciato scoperto da tale Bering. Avete comunque tante di quelle steppe e tundre innevate da attraversare, che non c'è missile nucleare che tenga: prima o poi il mongolo col volto di Čingiz Chan vi arriva in casa, con la scimitarra divelle il fornello a microonde, due sberle a quei debosciati rompicoglioni viziati dei vostri figli, spaccandogli in testa la barbie e il pokemon.

lunedì 5 dicembre 2005

Lettera all'Unità

Ho seguito ed apprezzato il Vostro resoconto sulle elezioni presidenziali kazache.
Leggo che, secondo l'OSCE, non si sono verificate irregolarità di rilievo e le elezioni si possono ritenere valide. Ma l'OSCE è un covo di eurocrati, non ci si può fidare.
Leggo che anche secondo gli osservatori della CSI - persino quelli ucraini - non si sono verificate irregolarità di rilievo e le elezioni si possono ritenere valide. Ma la CSI sono pur sempre degli ex sovietici, non ci si può fidare.
Leggo che anche secondo il Partito al potere a Mosca, Russia Unita, non si sono verificate irregolarità di rilievo e le elezioni si possono ritenere valide. Ma sono troppo amichevoli con Berlusconi, non ci si può fidare.
Leggo che anche secondo il Partito Comunista della Federazione Russa non si sono verificate irregolarità di rilievo e le elezioni si possono ritenere valide. Ma sono comunisti, cosa che voi dichiarate di non essere più, non ci si può fidare.
Anche secondo la Pravda, che c'entra col PCFR meno di quanto c'entri l'Unità con i DS, non si sono verificate irregolarità di rilievo e le elezioni si possono ritenere valide. Ma sono degli ex comunisti e voi lo sapete per esperienza diretta che non ci si può fidare.
Prima delle elezioni molti "esperti" preconizzavano che l'opposizione, non accettando i risultati delle votazioni, avrebbe tentato di realizzare uno scenario "ucraino", portando i propri fautori nelle strade. Ma gli oppositori di Nazarbaev hanno ritenuto di dover agire diversamente: "non vogliamo in alcun modo influire sulla volontà popolare. In pazza ci possiamo andare giusto per farci una passeggiata", ha dichiarato alla stampa Žarmachan Tujakbaj.
Solo l'Unità titola: "Kazakhstan: nelle finte elezioni il 90% a Nazarbaiev". Volevo quindi complimentarmi con i Vostri informatori, molto meglio introdotti negli ambienti di Astanà dei kazachi stessi.
come avrà avuto modo di leggere, il capo degli osservatori dell'Ocse ha dichiarato in una conferenza stampa che le le elezioni non sono state libere.
Forse questa informazione le mancava
Antonio De Marchi
l'unità On Line
No, non mi mancava affatto: il capo degli osservatori ha aggiunto che i criteri dell'OSCE (che Lei confonde bellamente con l'OCSE, evidentemente parlando di cose che non conosce) vanno rivisti, poiché altrimenti i primi Paesi ad essere dichiarati non liberi dovrebbero essere USA, Inghilterra ed Italia, non accettando questi ultimi gli osservatori internazionali ed avendo essi stessi ammesso svariati brogli.
non so perché le ho risposto, essendo lei chiarament un cafone
Se non sai perché hai risposto è un problema tuo, e se passiamo agli epiteti personali, sei anche uno stronzo che ruba lo stipendio, non avendo un minimo di competenza in materia: l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico non è esattamente l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, tant'è che la prima non invia alcun osservatore elettorale in qualsivoglia parte del mondo. Per il resto, ti informo che queste tue "slabbrate" sono assolutamente pubbliche e stai facendo una figura di merda davanti a centinaia di persone. Fosse una figura solo tua, pazienza, il problema è che la fai fare al quotidiano fondato da Antonio Gramsci.

domenica 4 dicembre 2005

Stalin col Partito fu severo

Stalin col Partito fu ben più che severo. Negli anni '20 ha tolto di mezzo tutti - fisicamente - i compagni di Lenin, la classe dirigente della Rivoluzione: Dzeržinskij, Frunze, Kamenev, Zinov'ev, giusto per fare qualche nome. Poi arriviamo agli anni '30. Togliere Kirov di mezzo non fu facile: era il beniamino del Comitato Regionale di Leningrado. Fu una battaglia memorabile, degna dei migliori western, con Kirov e i suoi che si difendevano armi in pugno dai killer staliniani lungo i corridoi dello Smol'nyj, che meno di vent'anni prima aveva visto i bol'scevichi espropriare, in modo decisamente meno cruento, il potere al governo provvisorio del "socialista rivoluzionario" (eser) Kerenskij, con la sua rivoluzione di febbraio. Beffa: Stalin accusa la "cricca trozkista-buchariniana" dell'omicidio di Kirov. Bucharin, ottimo economista e beniamino del Partito a Mosca, morirà fucilato nel 1938; Trockij, fondatore dell'Armata Rossa, con una picconata in testa di un sicario in Messico nel 1939. Un po' come il socialista Rossetti in Francia negli anni '30 ad opera dei sicari mussoliniani.
In questo contesto, bisogna ripensare anche all'operazione delle purghe, nel quale l'omicidio dei dirigenti amici di Lenin è solo la punta dell'iceberg. Una riflessione che, negli anni, ho riportato qui più volte. Repetita juvant. Le rivoluzioni, da che mondo è mondo, le fanno i giovani. Lenin, il più anziano, nel 1917 aveva 47 anni, Bucharin aveva 29 anni, Trockij 38, Dzeržinskij 40, Frunze 32, Zinov'ev 34, Stalin 38, Čapaev 30, Antonov-Ovseenko 34... Cosa era rimasto del Partito di Lenin dopo le purghe staliniane di metà degli anni '30? All'inizio del 1939 il Partito aveva 1.589.000 membri e 889.000 candidati. Tra i membri, coloro che avevano un'anzianità di tessera antecedente al 1917 erano lo 0,3% (circa 500 compagni); quelli iscritti nel 1917, l'1% (1.600 compagni); iscritti nel 1918-1920, il 7% (12.500 compagni). Nel 1941 nel Partito rimaneva solo un 6% di comunisti entrati nel Partito durante la vita di Lenin.
Un altro dato significativo riguarda i delegati del XVII e XVIII congresso (rispettivamente, 1934 e 1939). L'80% dei delegati del XVII congresso con diritto di voto si era iscritto al Partito negli anni della clandestinità e della guerra civile, cioè prima del 1921. Al XVIII congresso questi delegati erano appena il 19,4%. Quelli della clandestinità erano nel 1934 il 22,6% ed i membri del Partito dal 1917 il 17,7% dei delegati. Nel 1939 la loro percentuale tra i delegati al congresso era rispettivamente del 2,4% e del 2,6%.
Cambiò repentinamente anche la componente anagrafica dei delegati. Metà di questi ultimi al XVIII congresso con diritto di voto era sotto i 35 anni. I delegati dai 36 ai 40 anni rappresentavano il 32%, tra i 40 e i 50 il 15,5%, sopra i 50 il 3%. Altrettanto sostanziali furono i cambiamenti nella composizione sociale del Partito, provocati non solo dalle repressioni di massa, ma anche dalle nuove condizioni di ammissione al Partito (soppressione dei privilegi riservati agli operai), stabilite dallo Statuto del PCP(b) (Partito Comunista Pansovietico bolšceviko), ratificato dal XVIII congresso. Il 28 maggio 1941 la sezione organizzazione ed istruzione del Comitato Centrale ha inviato ai segretari del CC una nota, in cui si comunicava che nel 1939-1940 sono stati ammessi al Partito 1.321.500 persone, tra le quali gli operai erano il 20%, i contadini il 20%, gli "impiegati e gli altri" il 60%. Tra i 3.222.600 membri e candidati del Partito al 1 gennaio 1941 gli operai erano il 18,2%, i contadini il 13%, gli impiegati il 62,4%, gli studenti e gli altri il 6,4%. Tra gli operai, i membri e i candidati del Partito tra il 1933 e il 1940 sono scesi dall'8 al 2,9%, mentre tra gli impiegati sono saliti dal 16,7% al 19,2%. Nonostante la quantità di operai nel Paese fosse cresciuta nello stesso periodo del 25,8%, la quantità di operai comunisti si era ridotta da 1.312.000 a 584.800 persone (questo indirettamente sta a testimoniare che gli operai furono uno degli obiettivi principali delle purghe di Partito del 1933-1936 e delle repressioni di massa del 1937-1938). Nel 1941 c'era un comunista per ogni 35 operai ed ogni 5 impiegati. Tra gli impiegati comunisti era particolarmente alto il peso specifico dei funzionari, dei militari e degli addetti degli organi di repressione.

Cir-convenzioni

Supponiamo che io abbia un'azienda, che so io, di produzione di billette, e che vi lavorino una ventina di persone. Supponiamo anche che attorno ci siano due tre mense. Per prima cosa, chiederei ai diversi proprietari di queste ultime chi di loro accetta la proposta di fare dei prezzi calmierati se i miei dipendenti dovessero mangiare da loro durante la pausa pranzo. Converrebbe ai miei dipendenti, ma converrebbe anche al proprietario della mensa, guadagnare meno sul singolo ma avere venti clienti al giorno assicurati. Questo è ciò che si definisce convenzione.
Adesso invece faccio un esempio reale. Gli alberghi a quattro stelle a Mosca costano dai 400 euro (!!!) in sù al giorno. L'Ambasciata d'Italia ha convenzioni con molti hotel moscoviti, e quando vengono qui delegazioni ufficiali (governo, Parlamento, enti locali, ecc.), se la prenotazione viene fatta dall'Ambasciata, il prezzo scende a 250 euro, con un risparmio per il contribuente italiano. Anche questo si chiama, appunto, convenzione.
Francamente, non vi trovo nulla di male. Voglio dire: torniamo all'esempio iniziale. Decido di partecipare ad una fiera a Mosca per vendere le mie billette. Spendo svariate migliaia di euro per l'affitto dell'area espositiva, l'aereo, il vitto e, ancora, 400 euro al giorno per l'albergo. A fine della fiera torno a casa con un contratto per le mie billette. Secondo voi, dall'utile ipotetico debbo dedurre le spese d'investimento descritte? Non esattamente: le deduco sì, ma dalle tasse, compresa la battona da 200 euro (prezzo standard) che mi sono portato in camera. Soldi che non entrano quindi all'erario, che sarebbero serviti per gli asili nido dei vostri figli, gli ospedali per i vostri genitori e quant'altro.
E' il sistema che ha in sé il peccato originale: quando vivevo a Milano, traducevo per iscritto a 30.000 lire a cartella. Supponiamo che io abbia prodotto traduzioni per un totale di un milione. Dovrei pagare 200.000 di IVA. Dichiaro invece, in piena onestà, di avere acquistato un dizionario a 50.000, più la carta, il nastro della macchina da scrivere (oppure la corrente, il collegamento via modem, ecc., non importa), totale 100.000. Dunque, ho guadagnato 900.000, e pago 180.000 lire di IVA anziché 200.000. Ricapitolando, nella prima ipotesi ho guadagnato 1.000.000 - 200.000 = 800.000, nella seconda 1.000.000 - 100.000 - 180.000 = 720.000. Da questa semplice aritmetica risulta evidente che sono stimolato a non esagerare con le spese. Tuttavia, tornando invece ancora all'esempio iniziale, le spese di fiera non le posso evitare, la battona però sì. La faccio risultare tra le spese di interpretariato in fiera e trombo a spese vostre per un totale di 200 - 160 = 40 euro, con i quali potevate acquistare un medicinale in più per il vetusto genitore. Questa non è una convenzione: è una truffa.

sabato 5 novembre 2005

Scampoli di memoria 1

Erano i primi giorni di settembre del 1956. All’università Lomonosov di Mosca, la prestigiosa MGU, i corsi erano cominciati come ogni anno puntualmente il 1° settembre. Ero l’unico e il primo studente italiano nella storia della facoltà di filologia. L’insegnamento delle varie discipline era organizzato con lezioni generali dei professori titolari di cattedra nell’Aula Magna, cui assistevano tutti i circa 300 studenti del mio corso, e con seminari di dieci–quindici studenti che formavano qualcosa di molto simile alle classi di un nostro liceo. Nelle lezioni dell’Aula Magna gli studenti ascoltavano soltanto e prendevano appunti, mentre nei seminari si discuteva, si davano i compiti per la volta successiva e si veniva interrogati. Ogni seminario aveva i suoi insegnanti fissi, quasi mai titolari di cattedra. La mia conoscenza del russo era molto limitata e faticavo a seguire ciò che gli insegnanti dicevano. Soprattutto, era umiliante quando un professore diceva qualche battuta di spirito e tutti i miei compagni ridevano mentre io rimanevo in silenzio. In quei giorni avvenne un episodio incredibilmente ridicolo, una specie di gag chapliniana.
Le lezioni erano già cominciate da due o tre settimane quando l’anziana signora che svolgeva le mansioni di tutor del nostro corso per le questioni burocratiche mi chiese perché non fossi mai stato presente alle lezioni di Voennaja podgotovka (letteralmente: “Preparazione militare”), che si svolgevano nelle ultime due ore di ogni sabato. I miei compagni sovietici erano tenuti a frequentarle durante tutti i cinque anni del corso di laurea e anche a trascorrere ogni estate un mese in un campeggio militare. Ma erano ben felici di partecipare a tutto questo perché alla fine del quinto anno ottenevano il grado di sottotenente della riserva e l’esonero dal servizio militare, che a quell’epoca in Russia durava tre anni. In realtà, oltre che alla “Preparazione militare”, non ero mai andato neanche alle lezioni di educazione fisica. Per quest’ultima ebbi con la tutor una discussione diciamo linguistica . Il fatto è che nel tabellone che riportava l’orario di tutte le materie figurava, sì, Educazione fisica, ma accanto, tra parentesi, c’era scritto fakul’tativno, una parola che evidentemente conoscevo meglio della tutor. Le dissi che se la lezione era facoltativa, preferivo non andarci. La risposta fu: fakul’tativno significa che è facoltativa, cioè qui da noi obbligatoria. Ribadii che finché ci fosse stato scritto «fakul’tativno» non ci sarei andato. E così fu per tutti i cinque anni del corso di laurea. Ma non è questa la gag chapliniana cui ho accennato sopra.
Nel rimproverarmi l’assenza alle lezioni di Preparazione militare la tutor mostrò un certo imbarazzo e persino qualcosa di più, che so, un timore che lì per lì, inesperto com’ero della vita nell’URSS, non capii. Con voce più che seria, non minacciosa ma quasi partecipe per i guai cui temeva potessi andare incontro, mi implorò di andare a parlare con l’insegnante il prossimo sabato. Cosa che feci. Insieme con tutti i miei compagni di sesso maschile entrai nell’aula e, in attesa dell’insegnante, partecipai al solito chiasso delle classi scolastiche in quelle circostanze. A un certo punto entrò un colonnello dell’Armata Rossa. Era l’insegnante, un uomo sulla cinquantina quasi calvo. Immediatamente ci fu silenzio. Alzai la mano dal mio banco e cercai di parlargli, ma venni bloccato senza poter dire nulla. Il colonnello srotolò un grafico e lo distese sulla lavagna, poi con un bacchetta cominciò a spiegarne il contenuto. Era il grafico di un aereo sovietico da caccia. Capii che dovevo fare qualcosa e chiesi nuovamente di parlare. Per tutta risposta il colonnello urlò: “Zitto!, e stai seduto!”. Non so come mi venne in mente, ma a mia volta gridai: “Io sono un soldato della NATO!”. Bisognava vedere la faccia del colonnello, che immediatamente si lanciò a coprire con il corpo e con le braccia spalancate il grafico dell’aereo. Spaventato, balbettando, mi chiese che cosa ci facessi lì. Risposi che anch’io avrei voluto saperlo. “Ma lei non può stare qui!” “Sono d’accordo, mi dica se posso uscire”. Fu così che si concluse la mia prima e unica lezione di Preparazione militare e anche la mia carriera nell’Armata Rossa.
Un altro episodio, se ricordo bene, si verificò alla prima lezione generale cui assistetti. Era Antičnaja literatura, vale a dire «Letteratura antica», che comprendeva la storia della letteratura greca e latina. Il professore era Sergej Radcig, un luminare anziano della generazione prerivoluzionaria, cultore della Grecia classica ma anche innamorato di Roma, che non aveva mai potuto visitare. Finita la lezione, scesi nel vestibolo per ritirare il mio soprabito, e qui avvenne qualcosa che mi pose al centro dell’attenzione generale e che non dimenticherò mai. Qualcuno degli studenti che dopo la lezione avevano circondato il buon professor Radcig, doveva averlo informato che nel nostro corso c’era quell’anno uno studente romano. Non l’avesse mai fatto. Sergej Ivanovič Radcig si precipitò sul pianerottolo che si affacciava sul vestibolo e cominciò a gridare: “Ehi, Rimljanin!, ehi Rimljanin!”, cioè “Ehi, Romano”. Il lettore deve sapere che a quell’epoca l’Unione Sovietica cominciava appena ad aprirsi al mondo occidentale dopo la lunga notte staliniana, e che da decenni gli unici “romani” di cui in qualche rara occasione si parlasse erano quelli dell’antica Roma. In ogni caso, fu così che l’invocazione del vecchio professore venne percepita dagli studenti che affollavano il vestibolo, come se avesse gridato: «Ehi, antico romano!». Io ero in mezzo a loro, ma non avevo capito che cosa stesse succedendo. Nessuno lì mi conosceva, tutti erano perplessi, forse pensando che il vecchio Radcig fosse impazzito. Finalmente qualcuno capì che Radcig ce l’aveva con me e mi indicarono il professore in cima alle scale. Quando fui vicino a lui, cominciò a tempestarmi di domande: ero proprio di Roma?, e quanto era lontana la mia casa dal Campidoglio e dal Colosseo? Snocciolò ancora qualche altro luogo della Roma tanto amata, di cui sapeva tutto, ma che non aveva mai visto. Mentre parlava era visibilmente commosso, i suoi occhi si inumidirono. Fu quella la prima manifestazione di affetto verso di me nella facoltà di filologia di Mosca.
Dino Bernardini

A Mosca l’ultima volta

Massimo D’Alema, A Mosca l’ultima volta (Enrico Berlinguer e il 1984). Donzelli Editore, Roma 2004, pp. 144, 12,50.

“Non è un saggio su Berlinguer, ma un racconto di sei mesi della sinistra italiana”: così D’Alema ha definito questo suo libro, presentandolo a una manifestazione al Palasport di Genova. In effetti, le pagine del libro sono equamente divise tra il racconto del viaggio a Mosca con Berlinguer e Bufalini per i funerali di Andropov – e devo dire che si tratta di pagine gustosissime, di valore letterario – e le vicende della sinistra italiana.

Parlerò poi del viaggio a Mosca, che resta la parte migliore dell’opera, ma intanto riconosco che l’autore rievoca con grande onestà il contrasto tra Craxi e Berlinguer senza omettere nulla, né le cose che ancora oggi condivide, ovviamente, né quelle che avrebbe preferito non fossero avvenute, che sono di ostacolo alla riconciliazione in atto tra una parte di ex socialisti e una parte di ex comunisti. Per esempio, l’infelice frase pronunciata da Bettino Craxi dopo i fischi della platea socialista all’ospite Berlinguer: “se sapessi fischiare l’avrei fatto anch’io”. Non c’è dubbio che questo non aiuta la riabilitazione e la quasi beatificazione del latitante Craxi da parte dei DS. Intendiamoci, nella parabola di Craxi ci sono stati atti, decisioni, scatti di dignità che nessun capo di governo italiano avrebbe avuto il coraggio di compiere, come la difesa della nostra sovranità nazionale a Sigonella contro la prepotenza dei comandi militari americani. Di questo gli va dato atto, ma senza dimenticare i tanti, illeciti episodi di corruzione addirittura rivendicati da Craxi senza vergogna.

E veniamo a Berlinguer. In tutto il libro si avverte un sentimento sincero di affetto per lo scomparso leader del PCI, del quale D’Alema sintetizza il pensiero, le idee sulla “diversità” dei comunisti italiani, sull’austerità, proclamata in anticipo sui tempi, in contrasto con l’imperante “edonismo reaganiano”. Sullo scontro tra Craxi e Berlinguer l’autore riporta una lunga citazione da Ugo Intini che almeno in parte sembra condividere: “Berlinguer cercava una terza via, non socialdemocratica e non capitalista, che non esisteva. Inseguiva un eurocomunismo che non c’era. Voleva trasformare il PCI in una forza di governo, mantenendone l’unità, la continuità e la tradizione, ma questo era impossibile. Craxi voleva trasformare il PSI (un apparato di potere senza più la spinta ideale di un tempo e senza radici sociali sufficientemente profonde) in un grande partito socialdemocratico di massa, nella guida di una grande sinistra vincente. Ma anche questo era impossibile. Berlinguer e Craxi coltivavano due sogni irrealizzabili”. Berlinguer, dice D’Alema, percepì in modo drammatico la crisi del comunismo. Si deve però sapere che “aveva maturato sull’Unione Sovietica e sul socialismo reale una posizione più netta di quella che si è delineata nella politica ufficiale”. Se non è venuta alla luce, è perché “in lui ha agito la preoccupazione che una rottura definitiva con quel mondo potesse portare una scissione nel PCI”.

Era riformabile il sistema sovietico? L’impressione che emerge dal libro è che per D’Alema non lo fosse. Tuttavia, dice, “non era scritto nel libro del destino che il mondo comunista crollasse”. “Non sono tra quelli – dice ancora D’Alema – che dicono che il comunismo per sua natura non fosse riformabile. Il problema è che quella ipotesi di rinnovamento democratico non era più concretamente in campo già nel momento in cui Berlinguer assunse la direzione del PCI”. Infatti, la speranza del rinnovamento era stata distrutta dai carri armati sovietici mandati a Praga ad abbattere un governo comunista che godeva del favore dell’intero popolo cecoslovacco.

Come ho detto, le pagine migliori del libro sono quelle dedicate al viaggio a Mosca in occasione dei funerali del segretario generale del PCUS Jurij Andropov, “l’ultima tenue speranza di riforma del comunismo sovietico”. Era il febbraio 1984. Ricordiamo che Andropov, uomo intelligente e colto, era diventato leader del PCUS nel novembre 1982. Dopo la lunga stagnazione brežneviana, il nuovo leader aveva suscitato molte speranze pubblicando un lungo saggio sul marxismo nel quale lasciava intuire la sua volontà di cambiamento. Purtroppo, formalmente rimase in carica meno di un anno e mezzo, ma in realtà quasi subito dopo la nomina fu colpito da una grave malattia che lo tenne inchiodato alla macchina della dialisi fino alla morte.

D’Alema racconta con arguzia il suo viaggio a bordo dell’aereo presidenziale italiano, dove Pertini aveva ospitato, oltre al ministro degli esteri Andreotti, anche la delegazione del Vaticano e quella del PCI. Durante il volo, ci fu una partita a scopone tra Pertini e Berlinguer, da un lato, e Andreotti e Maccanico, dall’altro. “Andreotti mi volle dietro a sé. Come disse in modo cortese e sornione, “per farsi consigliare”. In realtà giocava benissimo. Il presidente perdeva e la cosa lo seccava molto. Berlinguer era imbarazzato. Si vedeva che non aveva gran voglia. Si distraeva, ma era dispiaciuto per Pertini. Insomma una mezza tortura”. “Quando, intorno alle 18,00, l’aereo arrivò su Mosca, cominciò a girare senza poter atterrare […]. Per i sovietici non era normale che sullo stesso aereo arrivassero lo Stato, il Governo, il Vaticano e il Partito comunista. Si trattava per loro di delegazioni distinte a cui dovevano corrispondere cerimoniali, comitati d’accoglienza e destinazioni separate. Cominciò così un complesso negoziato con la torre di controllo che alla fine produsse un preciso protocollo di precedenze e tempi da rispettare. Prima doveva scendere il presidente con il suo seguito. Dopo cinque minuti il ministro degli Esteri. Poi il segretario del Partito comunista. Infine i cardinali [...]. Chiarita la procedura, finalmente giunse il permesso di atterraggio [...]. Quando l’aereo fu fermo sul piazzale, Pertini, infischiandosene di accordi, raccomandazioni e preghiere degli addetti al cerimoniale, prese sotto braccio Andreotti e Berlinguer e scese la scaletta. Fu il caos”.

Un altro episodio raccontato nei minimi dettagli, a conferma di quello che personalmente considero un difetto di D’Alema, ma che per altri può darsi venga considerato un pregio, è la cena all’ambasciata italiana di Mosca. L’autore dopo aver descritto l’ordine in cui erano seduti tutti i commensali, passa al menu: “La cena fu notevole. Salmone affumicato, caviale Molossol. Verdicchio e vodka. Prosciutto, melanzane in caponata. Tortellini in brodo. Spigola e gamberi portati freschi dall’Italia (sullo stesso aereo?). Dolce di fragole e panna. Spumante Ferrari. Confesso la mia debolezza – scrive D’Alema – per il mangiare bene e non sono stupito di ritrovare, dopo molti anni, annotati in modo così dettagliato i menu”. A mia volta, confesso il mio totale disinteresse per ciò che si è mangiato in quella e in altre cene.

mercoledì 7 settembre 2005

ciao, compagno Sergio

No, non è un gossip. Endrigo era iscritto al PCI. E veniva aggratis ai festival dell'Unità di quartiere. Io, in concreto, l'ultima volta l'ho visto a quello dell'Alberone, a Roma, a villa Lazzaroni, nell'82. Aveva già problemi di otite, io all'epoca ero segretario della zona IX della FGCI di Roma. Due-tre anni dopo ha smesso di cantare. Fino all'anno scorso, a 71 anni suonati. Addio, compagno Sergio. A costo di suonare banale, come sempre sono i migliori che se ne vanno, ed io sono sempre più solo.

martedì 6 settembre 2005

Volate a stelle e strisce

Io volo da quando avevo pochi mesi di età. Da allora, in poco più di quarant'anni, ho accumulato svariate centinaia di ore di volo, prevalentemente per lavoro, quasi come un pilota, ed ho anche volato in assenza di gravità (il cosiddetto "G zero").

Ricordo, qualche anno fa, quel susseguirsi esasperante di notizie di "aerei russi" che cadevano qua e là in giro per il pianeta. Poi andavi a leggere, e scoprivi che magari era caduto un Antonov venduto all'inizio degli anni Settanta dall'Unione Sovietica a qualche monarca africano. Da allora, in trent'anni, mai una manutenzione.

La prima domanda, quindi, è: quando casca un Boeing indonesiano, è indonesiano, cioè della compagnia aerea, o statunitense, cioè del produttore? A metà agosto 2005 la comunità internazionale ha vietato unilateralmente alla Federazione Russa il transito di aerei IL-96-300 (i famosi Iljušin). Così, sono stati annullati i voli dell'Aeroflot per Hanoi, Toronto e Washington, e quelli per Shanghai, Pechino, Bangkok e Seoul sono stati sostituiti proprio con dei Boeing. Per inciso, l'aereo presidenziale di Putin è proprio un IL-96-300, ed ovviamente continua a volare.

Il 5 settembre 2005 un Boeing 737 della compagnia indonesiana low cost Mandala Airlines è precipitato poco dopo il decollo sulle abitazioni di un'area abitata di Medan, a nord dell'isola di Sumatra. Nello schianto hanno perso la vita 104 delle 117 persone a bordo - 112 passeggeri e cinque dell'equipaggio - più 39 persone a terra.

Quello di Sumatra è il quinto disastro aereo in meno di un mese. Il 6 agosto scorso un Atr 72 della Tuninter con a bordo turisti italiani era finito in mare al largo di Palermo durante un tentativo di ammaraggio: 13 morti, tre dispersi. Il 14 agosto un Boeing della cipriota Helios si era schiantato contro una montagna vicino Atene: 121 morti. Il 16 agosto un Md-80 in volo da Panama alla Martinica era precipitato in Venezuela e tutti i 160 che erano a bordo avevano perso la vita. Il 24 agosto 41 persone avevano perso la vita nello schianto di un Boeing 737 presso la città peruviana di Pucallpa.

Ed ecco la seconda domanda, anch'essa puramente retorica: quand'è che vieteranno il volo agli aerei nordamericani Boeing?

domenica 28 agosto 2005

Diffidate del BancoPosta italiano!

Il 21 agosto ho ricevuto un msg dal titolo "Misure di sicurezza di cliente di BancoPosta ID2244" e col seguente contenuto:

Caro mark@bernardini.com,

Recentemente abbiamo notato uno o piЫ tentativi di entrare al vostro conto di BancoPostaonline da un IP indirizzo differente.Se recentemente accedeste al vostro conto mentre viaggiavate, i tentativi insoliti di accedere a vostro Conto BancoPosta possono essere iniziati da voi. Tuttavia, visiti prego appena possibile BancoPostaonline per controllare le vostre informazioni di conto: "https://bancopostaonline.poste.it/bpol/bancoposta/formslogin.asp"

Ringraziamenti per vostra pazienza.BancoPostaon.

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Non risponda prego a questo E-mail. Il E-mail trasmesso a questo indirizzo non puР essere risposto a.

Ovviamente la prima cosa che balza agli occhi è l'italiano zoppicante. Va bene che ormai la lingua è un optional, ma l'impressione è che l'abbia scritto uno straniero. Infatti, se andiamo a vedere in formato ipertestuale il link soprariportato, scopriamo che è collegato con http://www.withwith.or.kr/zboard/data/bbs5/formslogin.php. Non mi risulta che le Poste italiane si siano stabilite nella Corea del Sud. Allora sono andato a vedere l'header del msg:

Return-Path: <httpd@web5.opentransfer.com>

Received: from mail.opentransfer.com (mail3.opentransfer.com [69.49.238.4])

(envelope-from httpd@web5.opentransfer.com)

Received: from unknown (HELO web5.opentransfer.com) (69.49.234.9)

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Come vedete, c'è di tutto: Stati Uniti, Austria ed anche un signore arabo Fathi Said. Il lavoro è ben fatto, se cliccate su quel link iniziale. Solo che (a parte che ai meno distratti non sfuggirà appunto l'url con dominio "kr" nel proprio navigatore), se andate a vedere quella pagina (fatelo, non è pericoloso), se siete clienti di BancoPosta, non inserite assolutamente lo UserID e la password richiesti! Finirebbero appunto a Said Fathi o chi per lui.

Ho segnalato il tutto alle Poste Italiane, sapete cosa mi hanno risposto?

Con riferimento alla Sua e-mail del «26/08/05», Le assicuriamo di aver evidenziato tutti i suoi rilievi ai settori interessati per le eventuali azioni correttive.

Capito? Tizio l'ha passato a Caio, che l'ha passato a Sempronio che, al limite, fra qualche settimana, metterà una toppa nel sito. Niente denuncia, niente giornali. Nel frattempo, vai a sapere quanti italiani saranno stati derubati...

martedì 23 agosto 2005

Scalfarotto? Non scherziamo

Il buonismo non fa parte dei miei difetti. Mi sono sorbito un quarto d'ora di filmato di Scalfarotto per ricavarne le seguenti deduzioni:

1)Scalfarotto-Mascia, ovvero dio li fa e poi li accoppia. Perché non li accoppa? Sul carrierista Mascia, candidato trombato del 2001, ne ho da dire a iosa, ne riparlerò prossimamente.

2)Un italiano 100%, per non scontentare nessuno, terrone ma innamorato di Milano, la Milano da bere. E poi c'ha una nonna bergamasca, quindi lo possono votare anche i leghisti. Milano città aperta? Vorrei conoscere il suo pusher.

3)Candidato povero, dietro cui non ci sono i ricchi Partiti. Un candidato talmente povero che faceva il bancario prima in Comit, poi Ambroveneto, Citibank. Di più: da capo del personale a capo delle risorse umane. Insomma, un servo dei padroni.

4)Candidato povero ma moderno, che usa internet. Tenta di intercettarlo, 'sto popolo di internet. E 10.000 firme raccattate in internet sono le uniche genuine. Fosse sufficiente saper scrivere un'email ed aprire un sito, saremmo milioni, in Parlamento. Candidato che condivide, che divide con gli altri, una sorta di messia. Un candidato diverso dai politici. Perché i politici, per definizione, sono il male. Quindi, facciamo fare politica a chi non fa politica. E facciamo fare I bancari a chi non è bancario, ed il cuoco a chi non capisce un cazzo di cucina.

5)Io non volevo candidarmi, ma me l'hanno chiesto ed io ho sentito il senso ed il dovere della responsabilità. Chi la dice, Berlusconi? No: Scalfarotto.

6)La scelta più difficile della mia vita, l'istinto di conservazione mi diceva di non farlo. Capito? Candidarsi alle primarie dell'Unione è stata la... scelta più difficile della sua vita. Non oso pensare alle difficoltà con cui si scontra, che so io, Rita.

7)Sono diverso da Prodi perché vengo dalla società civile. Infatti la società civile è quella delle banche.

8)La dittatura della maggioranza è una cosa spaventosa. Un po' come la dittatura del proletariato. Insomma, se si fa come dice la maggioranza, è dittatura. Se si fa come dice la minoranza, è una democrazia matura.

9)Sono diverso da Mastella perché non sono mai stato democristiano. Più della metà degli italiani non è mai stata democristiana, ma Scalfarotto non è mai stato democristiano più dei non-democristiani e persino dei democristiani stessi.

10)Sono diverso da Di Pietro perché sono uguale a Di Pietro. Solo che non basta l'etica, bisogna riempirla di contenuti. Dunque, Di Pietro è un etico vuoto. Scalfarotto è detentore di contenuti etici?

11)Sono diverso da Bertinotti perché non sono marxista e perciò sono moderno. Incommentabile.

12)Sono diverso da Pecoraro Scanio perché quello è monotematico ed è un politico professionista. Che poi Scalfarotto sia stato consigliere di circoscrizione a Foggia, con i verdi del Sole che ride, a fine anni '80, è del tutto trascurabile, nel teatrino attuale della politica italiota. Di più: Pecoraro Scanio non è giovane, cosa che, si sa, è una grave colpa. Pecoraro Scanio è del 1959, ha 46 anni. Scalfarotto è del 1965, ha 40 anni.

13)Sono diverso perché sono diverso. Sì, nel senso sessuale del termine. Dobbiamo intercettare i voti di internet, quelli dei bancari e quelli degli omosessuali. E le casalinghe di Voghera? Con chi ciascuno di noi vada a letto, purché adulto e consenziente, sono affaracci suoi. Esattamente come è irrilevante che uno sia negro, con gli occhi a mandorla o albino viso pallido. Augh. E la gente è avanti perché in realtà se ne frega, mentre la politica (i politici) sono indietro perché non se ne frega. Ecco perché l'Italia ha bisogno di Scalfarotto.

14)Non sono un malandrino perché non ho rubato la scena ai politici. Da una parte loro che ancora non mi si filano, dall'altra io. Davide e Golia.

Ho già avuto modo di dire che ultimamente voto contro, non per. Questo non vuol dire non essere c-attivi. Io voglio c-attivamente arrecare dànno alla candidatura di tutti quelli come Scalfarotto, poiché è anche per colpa loro che abbiamo perso e, forse, perderemo. I padroni sanno far bene il loro mestiere, noi invece, nel nostro, continuiamo ad essere degli incompetenti, degli apprendisti stregoni.

http://r-esistenza-settimanale.blogspot.com/2005_08_07_r-esistenza-settimanale_archive.html

http://r-esistenza-settimanale.blogspot.com/2005_08_14_r-esistenza-settimanale_archive.html

sabato 20 agosto 2005

Questione di paletti

Ho ricevuto una richiesta di commento:
Mark non ero un simpatizzante del cavaliere e tanto meno vorrei esserlo oggi però una domanda semplice mi sorge spontanea e la faccio a tutti quelli che "odiano" il cavaliere: chi metteresti al suo posto? ....mi auguro di ricevere una risposta intelligente ( ....premetto però che rispondere Prodi o D'Alema o Fassino e via discorrendo le ritengo risposte da deficienti !) ....avanti, oltre a Mark da cui mi aspetto una risposta un po` articolata, gli altri possono tranquillamente rispondere con il semplice nome.
Da anni sono ridotto a votare non già per qualcuno, ma contro qualcun altro. Sarà che ho troppe pretese, ma voterei Prodi, D'Alema, Fassino, voterei pure Mastella contro Berlusconi. Essere PER qualcuno è ben altra cosa. Molti anni fa la chiamai la mia personale teoria dei paletti, ultimamente ho letto che qualcuno la spaccia per farina del suo sacco. Non importa. Per teoria dei paletti intendo che ciascuno, di paletti, ha i suoi. Come le corna. In base ai propri personalissimi paletti, ciascuno di noi può dire: "ecco, fin qui mi spingo, oltre non vado". Nel mio caso specifico, vuol dire che, il giorno che dovessi scegliere tra Berlusconi e Mastella, voterei per quest'ultimo; ma il giorno che dovessi scegliere tra Berlusconi e Fini, non voterei Berlusconi in quanto non-fascista, in quanto "meno peggio": semplicemente, non voterei. I miei paletti arrivano lì. Quelli tuoi magari da un'altra parte, e quelli di Alessio da una terza parte ancora. Non importa: l'importante è che ciascuno li abbia, 'sti paletti, e li rispetti.
Dicevo che la domanda è mal posta. Opinione personale, s'intende. Opino appunto che a destra Berlusconi abbia puntualmente azzerato ogni tentativo di concorrenza, un po' come nelle televisioni private, nella stampa, nelle assicurazioni, nell'edilizia ed il dio in cui non credo solo sa in quant'altro. Questi però sono affaracci loro. A sinistra, invece, pure. E questo già mi riguarda di più. Puntualmente, cfr. post- ultime Regionali, la sinistra fa di tutto per perdere, quasi come se la partita fosse truccata (odio i paragoni calcistici, ma per una volta mi sia concesso). Il tanto vituperato Gaber disse, una decina d'anni fa: "Tutto è cominciato nel 1948. Se si fanno bene i conti tra la destra (DC, liberali, monarchici, missini, ecc.) e la sinistra (comunisti, socialisti, socialdemocratici, ecc.)... viene fuori un bel pareggio. Da allora è sempre stato così. Oggi invece è diverso. Per forza, è successo di tutto. Sono spariti alcuni partiti, c'è stata quasi una rivoluzione, le formazioni politiche hanno leaders e anche nomi diversi. Infatti, oggi non c'è più il 50% alla destra e il 50% alla sinistra. Ma c'è il 50% al centro-destra e il 50% al centro-sinistra. Oppure un 50... virgola talmente poco che basta che uno abbia la diarrea che salta il governo. Non c’è niente da fare. Sembra proprio che il popolo italiano non voglia essere governato. E ha ragione... Ha paura che se vincono troppo quelli di là viene fuori un regime di sinistra. Se vincono troppo quegli altri viene fuori un regime di destra. Il regime di centro invece... quello gli va bene. Auguri!". Chi metterei al suo posto, mi chiedevi. Chiunque più onesto e più democratico, persino la sora Mariuccia che pulisce le scale nel condominio accanto (figura inventata cumulativa). Ma non è questa la risposta, giacché, come già rilevato, non è questa la domanda.

martedì 16 agosto 2005

Il pudore alla Berlinguer

Non mi piace la politica italiana in generale, a destra come a sinistra, basata sull'americanismo e sul personalismo. La mia generazione era stata educata ad un maggior pudore, indipendentemente dagli schieramenti. Facevi campagna elettorale per il tuo Partito, ed il Partito presentava i suoi candidati, fra cui magari anche te. Mai il contrario. Il contrario sul serio: adesso è il Partito che fa campagna elettorale per te, e tu presenti il tuo Partito quando va bene, se non addirittura i TUOI Partiti. Provo una tristezza angosciante, e preferisco non pensarci. Così, me ne sto buono buono all'estero...

martedì 21 giugno 2005

Venimmo dall'est

Un tempo si diceva che ciascuno ha un proprio sud (De Crescenzo in "FFSS ovvero che mi ci hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?"). Parafrasandolo, pare che ora ciascuno abbia un proprio est.

Solo che non si capisce dove sia, 'sto est, e dove termini l'Europa, oltre la quale ci si possa considerare orientali: al confine crucco-catto-polacco, ovvero il vecchio confine UE? Al confine russo-polacco, ovvero il nuovo confine UE? Lungo gli Urali, come dicono gli studiosi di geografia? A Vladivostok, come dice chi vorrebbe una Russia membro dell'UE? Soprattutto, ovunque passi 'sto confine, dove sono gli operai? Alla ricerca dell'operaio perduto. La classe operaia va in purgatorio. In Polonia ce n'è ancora abbastanza, ma fin da Walesa passano più tempo a genuflettersi e baciar pile che a lavorare, 'sti scansafatiche reazionari. In Russia già ce n'è meno, anche se più che in Italia, ma comunque meno in proporzione rispetto alla popolazione. Ancora più a est? Boh, c'è la Mongolia, lì però vanno a cavallo, sono nomadi e pastori. Poi c'è la grande Cina che come sempre è vicina, Paese prettamente agricolo di produzione artigianale di borsette Gucci. Ancora più a est? Ma ragazzi, allora si risale a nord nella mia Russia, si fa una bella nuotata corroborante nello stretto di Bering, si oltrepassa il Klondike, che tanto ormai non c'è rimasta una sega, si saluta la tomba dell'ultimo dei Mohicani, ciao-còmprati-Arrapaho... Devo continuare?

giovedì 2 giugno 2005

No Europa?

Me ne duole, ma il voto francese ed olandese non è stato contro QUESTA Costituzione Europea: è stato contro l'Unione Europea, contro l'internazionalismo, contro l'ingresso affrettato dell'Europa Orientale ex-Comecon, contro la Turchia. A parte l'internazionalismo, su tutte le altre ragioni sono perfettamente d'accordo. Qui però non si votava per questo, bensì per una Costituzione che a me non piaceva, ma che nessuno conosce. Nessuno l'ha letta, poche palle. Un po' come se al referendum italiano sulla procreazione assistita del 12 giugno la gente votasse pensando alla 194 sull'aborto. Le parole hanno un senso. Si badi bene, a me non dispiacerebbe affatto un'umiliazione degli slavi neomembri, magari si renderanno conto che, volenti o nolenti, si debbono creare due Europe, per ragioni oggettive, che piaccia o meno: quella occidentale e quella slava.

Siamo diversi, facciamocene una ragione. Anche perché la Kamčatka, ad 11 (!!!) fusi orari da voi e che voi conoscete giusto perché giocate a Risiko, confina con gli Stati Uniti attraverso lo Stretto di Bering, oltre il quale c'è l'Alaska (russa anche quella, se quel coglione dello zar non l'avesse simbolicamente venduta per 1 - un!!! - dollaro). Se quella è Europa, io sono azteco. E la Russia non è il Lussemburgo.

Questi non sono né gatti né topi: sono dèi. Nel senso che faranno morire centinaia di milioni di innocenti, da Mosca a Falluja, dalle torri gemelle (incazzatevi pure, tanto è così lo stesso) a Kabul, e camperanno alle vostre, alle mie ed alle spalle di tutti noi poveri cristi che il pane dobbiamo guadagnarcelo solo perché ce lo rubano proprio loro. E voi religiosi del cazzo, pensando di adorare chissà quali divinità in cielo, state adorando queste emerite teste di cazzo che stanno perfettamente in terra.

venerdì 27 maggio 2005

Un Paese normale

Io sono per la Prima Repubblica con correzione alla grappa, dove ci sia una destra che non metta le bombe pagata dai servizi segreti dello Stato (cioè pagata con i nostri soldi); dove ci sia un centro, con o senza riferimenti alla cristianità, che non c'entra un tubo ed alla quale il riferimento politico serve come serve ad un pesce una bicicletta; una forza socialista moderata, senza decisionisti che concedono favori ai loro amici palazzinari in odor di televisione; infine una grande forza comunista, dove vengano banditi i giochetti democristiani di cui stanno diventando maestri gli attuali PRC e PdCI, ed ovviamente in cui il marxismo sia un valore ed un mezzo a cui restituire concretezza storica, senza paure che i palazzinari di cui sopra l'accusino di parentele embrionali col georgiano baffuto. Ritengo che tale sistema aderisca verosimilmente agli umori italici senza i lacciuoli della contingenza.

Questa organizzazione comunista l'avevamo già, fino a vent'anni fa. C'erano però anche i figli di papà, che per contestare i genitori si buttavano più a sinistra della sinistra. Molti ora, bastonato il PCI, si son messi proni sotto i palazzinari. Lenin li aveva scoperchiati molto bene, a suo tempo (la famosa "malattia infantile"). Noi, invece, abbiamo scambiato i mestieri: la destra che fa centro, la sinistra che fa centro, il centro... No, loro restano coerenti e fanno centro. Insomma, un Paese di centro globale, altro che bipolarismo.

Diciamola più semplice, nello schema che preconizzavo all'inizio: i DS non sono di destra, che facciano pure i socialisti. La Margherita non è di destra, che faccia pure il centro, e lo chiami DC o come diavolo gli pare. I fascisti facciano pure la destra: se è quella alla Fini la smetteranno di picchiare, sparare e bombare. I comunisti, per la miseria, facciano i comunisti! E che non ci sia compressione alcuna, ma espansione, di PRC e PdCI: in un PCI vero, sarebbero comunque due infime minoranze.

giovedì 26 maggio 2005

Mitrochin

Il 7 gennaio scorso è deceduto a Mosca Lev Mitrochin (nessuna parentela con il Mitrochin della famosa Commissione voluta da Berlusconi). Era nato il 16 febbraio 1930. Il suo curriculum era ricco di titoli accademici, di decine di libri pubblicati e tradotti, di collaborazioni con importanti riviste. I vecchi lettori di Rassegna Sovietica forse ricorderanno qualche recensione a qualcuno dei suoi libri dedicati agli Stati Uniti o ai "problemi dell'ateismo". Già, perché il suo interesse preminente di studioso era, sì, rivolto da sempre alla religione, al rapporto tra marxisti e credenti, particolarmente alle tematiche della teologia della liberazione. Ma fino all'avvento della perestrojka di Gorbačëv chi in URSS voleva occuparsi di questi argomenti doveva per forza farlo sotto la copertura dell'ateismo. Ricordo la stima che lo circondava tra gli esponenti della filosofia sovietica. Una volta, negli anni Settanta, durante una cena a Roma con importanti filosofi russi della corrente cosiddetta "italianista", parlando di lui rivelai un fatto di carattere personale: eravamo stati sposati, io e Lëva, con due sorelle e in quel momento eravamo entrambi divorziati. Come risposta, venne la proposta allegra e goliardica dei sovietici - in sintonia con l'atmosfera conviviale - di brindare alla mia salute "in quanto ex parente" di Lëva Mitrochin.

Un altro episodio che mi piace ricordare risale ai primi anni della perestrojka. Un gruppo di quelli che in Russia sarebbero poi diventati famosi con il nome di "oligarchi", i nuovi ricchi, organizzò una crociera "culturale" nel Mediterraneo di cui ancora oggi non sono stati chiariti molti aspetti. Il fatto è che vennero invitati a parteciparvi - gratuitamente - alcuni degli intellettuali russi più prestigiosi, tra cui Sergej Averincev e lo stesso Lev Mitrochin. Andai a ricevere Lëva nel porto di Civitavecchia. La nave russa era ancorata vicino alla banchina, c'era un via vai di gente che saliva a bordo e scendeva, nessun controllo da parte delle autorità italiane. Qualcuno portava pacchi di non si sa che cosa. Io e la mia compagna Flora prelevammo un Lëva alquanto smarrito, forse un po' alticcio, e lo portammo a cena a Roma.

Un tratto del suo carattere da non dimenticare era la sua generosità. Quando lui era già un autore di successo - e in epoca sovietica, come si sa , la pubblicazione di un libro comportava onorari considerevoli - mentre io ero un povero studente dell'Università di Mosca, era sempre lui a pagare il conto ogni volta che si andava in compagnia al ristorante.

La sua seconda moglie era una giovane laureata in filosofia, ambiziosa, dominata - si capì poi - da un suo sogno americano. Riuscì a convincere il marito ad accettare il modesto incarico di secondo segretario d'ambasciata a Washington, lui che aveva il titolo accademico di doktor nauk. L'importante per lei era andare negli USA e partorirvi un figlio, la via legale più sicura per ottenere la cittadinanza americana. Un giorno, dopo il lavoro, tornato nella sua casa di Washington, Lëva la trovò piena di agenti della CIA e del KGB. La moglie li aveva convocati dicendo che lei e suo marito avevano "scelto la libertà". Lëva, sorpreso, dichiarò di essere assolutamente estraneo a quella decisione della moglie. I due servizi segreti aprirono un'indagine e il risultato fu che la moglie e la figlia di Lev Mitrochin rimasero a Washington e lui tornò a Mosca. E qui lo aspettava un'altra sorpresa. La sua casa moscovita era totalmente vuota. Il fatto è che poche settimane prima la moglie aveva fatto una scappata a Mosca e aveva venduto tutto, mobili, letto, frigorifero, la bellissima collezione di dischi di Frank Sinatra, Benny Goodman e tutti i classici del jazz americano, che Lëva aveva raccolto in tanti anni. Insomma, l'unica cosa che non era stata venduta era la proprietà dell'appartamento, e solo perché era intestata a Lëva, che dovette ricominciare a mettere su casa facendosi prestare per prima cosa una brandina dagli amici.

Nonostante questa vicenda, nella biografia di Lev Mitrochin il legame con gli Stati Uniti era rimasto forte. Dolorosa era stata per lui la perdita in un incidente automobilistico del giovane rampollo della dinastia Rockefeller, suo caro amico fraterno. Era anche un appassionato estimatore del film Casablanca. Immancabilmente, ogni volta che ci si vedeva a Mosca o a Roma, mi diceva: "Dino, tu che hai orecchio, mi canti la canzone di Sam?".

Addio, Lëva, amico mio. Per noi vecchi atei non c'è consolazione.

Dino Bernardini (da Slavia N°2 del 2005)

sabato 21 maggio 2005

Tamerlano a Taškent

Gli Stati Uniti e il loro dittatore "speciale"

di Pepe Escobar

L'appoggio politico ed economico dell'amministrazione Bush al dittatore uzbeko Islam Karimov

"Sono felicissimo di essere tornato in Uzbekistan. Ho avuto un'interessante e proficua discussione con il presidente … l'Uzbekistan è un paese chiave della coalizione globale impegnata nella guerra al terrorismo. Ho portato al presidente i saluti del presidente Bush e il nostro apprezzamento per il coraggioso sostegno che questo paese dà alla lotta al terrore … I nostri rapporti sono eccellenti e lo saranno sempre di più".

Donald Rumsfeld a Taškent, capitale dell'Uzbekistan, febbraio 2004

Anch'io sono felice di essere tornato in Uzbekistan, nel 2003. Ho trovato un Paese tranquillo, dove i ragazzi, biondi, bruni, bianchi, olivastri, con gli occhi a palla, con gli occhi a mandorla, come i loro coetanei europei, all'uscita di scuola vanno nei bar coi tavolini all'aperto e si siedono a grappoli in venti su otto sedie.

Vedo che continua a prevalere la logica per la quale "l'amico del mio nemico è mio nemico". Così per Milosević, così per Ševardnadze, così per Kučma e Janukovič, così per Akaev, adesso così per Karimov (le parole di Rumsfield e di Bush sono assolutamente di circostanza, se non lo capite, o capite di politica quanto io di aramaico, o siete al soldo degli yankees), così sarà per Lukašenko, così sarà per Nazarbaev (Kazachstan), così sarà per Rachmonov (Tadžikistan), e poi Aliev (Azerbajdžan), Kočarjan (Armenia, giusto per fare un favore alla Turchia), per poi proseguire con Putin, fino ad arrivare a quelli indifendibili, tipo il turcomanno Nijazov, il nordcoreano Kim Čen Ir, e finalmente il cinese Hu Zen Tao.

Fantapolitica, la mia? Il 63% degli americani intervistati dal Time e dalla CNN ritengono che la Russia costituisca una minaccia per gli USA.

Nel novero dei Paesi che rappresentano una minaccia per gli Stati Uniti troviamo: l'Iraq (92%), la Corea del Nord (91%), l'Iran (87%), la Cina (85%) e Cuba (57%).

Fin qui, è la logica imperialista. Non capisco invece la sinistra euroccidentale. Passi per quella italiana: Berlusconi si spaccia per amico di Putin? Sillogismo ovvio: Putin è uguale a Berlusconi, se do addosso a Berlusconi do addosso anche a Putin. Che poi Putin, da buon pragmatico, intrattenga buone relazioni con ogni capo di Stato, alla sinistra europea non interessa affatto (Andreotti scrisse la prefazione alla traduzione italiana dell'autobiografia di Ceausescu). Passi anche per il complesso di inferiorità di polacchi, ungheresi e baltici. Ma i tedeschi, i francesi, gli inglesi, i belgi, gli olandesi? Tutti che devono passare dal via del portatore sano di democrazia?

Ventitre uomini d'affari della città, tuttora in sciopero della fame, sono da febbraio in carcere, accusati di "terrorismo islamico".

Uomini d'affari? O beh, certo, lo sono anche Chodorkovskij e, da Londra, Berezovskij, che finanzia il terrorismo ceceno in chiave antiputiniana. Infatti anche loro sono difesi dalla sinistra europea...

Fanno parte di Akromia, un piccolo movimento islamico il cui programma politico privilegia il successo economico oltre l'ideologia e il fondamentalismo religioso.

Ah, ecco.

Secondo Alison Gill di Human Rights Watch dell'Uzbekistan, Akromia sarà il prossimo obiettivo delle forze di sicurezza di Karimov.

Secondo me, invece, l'Uzbekistan sarà il prossimo obiettivo delle rivoluzioni di velluto pilotate dagli Stati Uniti, e Bush da un giorno all'altro saluterà il nuovo presidente "democratico" uzbeko, negando di avere mai appoggiato Karimov.

L'esercito del dittatore uzbeko Islam Karimov venerdì scorso ha aperto il fuoco ad Andijan - Ferghana Valley - contro migliaia di manifestanti disarmati [...] Martedì scorso, un gruppo di furibondi dimostranti vicini ai 23 imprenditori ha organizzato una rivolta armata con l'obiettivo di liberarli e ha preso il controllo del palazzo sede dell'amministrazione locale, dove, fra l'altro, in molti hanno richesto l'arrivo di Karimov.

Manifestanti disarmati che organizzano una rivolta armata. Bel colpo.

L'unica religione di stato è la vodka, capace di alleviare persino le difficili condizioni economiche in cui versa il paese.

Certo. E gli italiani son tutti mafiosi, suonano il mandolino, mangiano gli spaghetti e preparano la pizza. Ragazzi, avete mai provato a bere un qualsiasi superalcolico dai 40° in su quando la temperatura raggiunge i 40°C?

La Casa Bianca non fiaterà. Il Cremino non fiaterà, come accaduto per i fatti di Andjian.

Ho già detto, per quel che riguarda la Casa Bianca. Per il Cremlino, invece, faccio notare che non è intervenuto nemmeno in situazioni ben più importanti per il proprio assetto geopolitico, come nei Paesi confinanti Ucraina e Georgia. La ragione? Semplice: perché, a differenza degli Stati Uniti, la Russia non esporta la democrazia né con i carriarmati, né con i moderni cacciabombardieri americani. Dunque, il Cremlino può esprimere "viva preoccupazione", talvolta "esecrazione", ma niente più.

lunedì 9 maggio 2005

Un cielo di pace per la vittoria

Poi qualcuno dice che sbaglio a sentirmi a casa, in Russia. E' da un anno, dal 9 maggio 2004, che la televisione scandisce quotidianamente, impietosa: "mancano 364 giorni alla vittoria", "mancano 363 giorni alla vittoria", ecc. E' stato un crescendo di importanza. Sì, dite pure che è una macchinazione mediatica. Per strada, sempre meno cure dimagranti e yogurt, e sempre più appelli ai veterani ad indossare le proprie medaglie, "perché il Paese è orgoglioso" di loro. Gli annunci sui mezzi pubblici vengono frammezzati dagli auguri ad avere un cielo di pace. Chissenefrega della Presidente della Lettonia (manco mi ricordo come si chiama, sai che tragedia), nata e cresciuta negli Stati Uniti, che non viene a Mosca e pretende le scuse della Russia per la presunta "occupazione sovietica". Chissenefrega di Saakašvili, Presidente georgiano, anch'esso formato all'Università negli Stati Uniti, che non viene manco lui. Chissenefrega di Tony Blair, che aveva promesso di venire in caso di vittoria ed ha ora dichiarato di avere altro da fare. Chissenefrega di Juščenko, la cui moglie, di origine ucraina, è nata e cresciuta negli Stati Uniti e lavorava al Dipartimento di Stato degli USA (insomma, con Condoleeza Rice ed affini) ed ha avuto la cittadinanza ucraina non appena il marito ne è diventato Presidente con un colpo di Stato. In realtà, chissenefrega d'ogni pusillanime opportunista e d'ogni sciovinista in odor di fascismo. Almeno questo giorno, è nostro.

Ne ho sentite, viste e lette di tutti i colori, in questi giorni, sugli organi di informazione di massa occidentali. La più puerile è quella di Oświęcim (Auschwitz) liberata dagli americani.

Bush dice che "la fine della Seconda Guerra Mondiale ha significato per l'Europa Occidentale la liberazione. Per i Paesi dell'Europa Orientale e del Baltico, invece ha significato occupazione ed imposizione del comunismo". Capita, l'antifona? Gli USA hanno portato liberazione, l'URSS - schiavitù.

Il Los Angeles Times dice che, "mentre la Germania si scusa periodicamente di fronte ai popoli d'Europa per i crimini di Hitler e sborsa miliardi alle vittime del nazismo, la Russia caparbiamente si rifiuta la propria responsabilità per 10, forse 20, milioni di persone vittime di Stalin".

E' poi un crescendo. Su Q&A Wiki trovate che "il vincitore principale sono gli USA". Di più: "l'Unione Sovietica è responsabile del 70% dei morti civili della Germania". In realtà, "la guerra è stata vinta dagli Stati Uniti. Senza di essi Hitler avrebbe conquistato rapidamente la Gran Bretagna, e solo dopo avrebbe spostato buona parte delle truppe sul fronte orientale, la Russia non avrebbe resistito ad un attacco così possente. Hitler è stato sconfitto dagli americani"...

Sono anni che si va avanti così. Due anni fa avevo già scoperto che "senza gli USA il mondo parlerebbe tedesco" e che "la Russia non deve essere prevenuta nei confronti di coloro che l'hanno salvata dal fascismo".

Prima o poi faremo i conti con tutti, non ho altro da aggiungere.

domenica 1 maggio 2005

1° Maggio rosso e proletario

Sì, lo so, mo' co' 'sta parabola vi sto tediando. Mi sto guardando il Primo Maggio. Che tristezza.

Non mi riferisco al concerto, ma a Scampia, Napoli. Vedete, la mia generazione è cresciuta sulle lezioni di storia, Trade Unions e compagnia danzante. Bella ciao. Fa impressione vedere Pezzotta che dice che i lavoratori non hanno libertà di manifestare in Russia Bianca. Fa impressione perché non è vero. Fa impressione perché è un Paese intero ad essere povero, non c'è un padrone contro cui lottare come organizzazione dei lavoratori. Ed è povero perché in Italia c'è un sindacato debole incapace di dire le cose pane al pane e vino al vino, e cioè che se non si lotta contro il padrone in uno dei sette Paesi più ricchi del mondo, a risentirne sono il 90% della popolazione del mondo. Invece, lo si scarica su Lukašenko. Complimenti. Il sindacato democristiano CISL. Non me ne frega niente che molti compagni preferiscono stare nella CISL anziché nella CGIL. Ciascuno risponda di fronte alla propria coscienza.

E intanto c'è il papabile locale che, ad ogni parola del capo, sul palco, applaudiva ed annuiva, cercando approvazione da parte dei circostanti, papabili come lui. Che infatti gli davano ragione. Scommettiamo che sarà il prossimo segretario locale? Non andremo avanti così. Sì, magari alle prossime elezioni ci leviamo di torno il Merda, ma giusto per beccarci Fini di lì ad un lustro. Perché rammollirsi negli agi non salva dalla globalizzazione. E la globalizzazione, checché ne dica la sinistra (definita tale) italica, vuol dire che lo sfruttamento del XIX secolo e ancora lì. Anzi: è qui. Qualcuno, che "tiene famiglia", è capace e disposto a condannare se stesso e la famiglia di cui prima alla fame in nome di quanti lo circondano? Perché solo così, facendo massa, non ci sarà bisogno di fare la fame individualmente. E' pronto a rinunciare agli agi il papabile che poggiava il gomito sul podio di Pezzotta? E' pronto a farlo il corrispondente di RAI 3 Maurizio Mannoni, ex figgicciotto e mio coetaneo o giù di lì, ex Video Uno (TV locale di Roma) di Paese Sera, che citava sul lavoro l'attuale Papa, ex esseesse? Caro Maurizio, che tristezza vedere la tua testa canuta, tu che eri il morettino fulminante idolo delle ragazzine. Capisco: anche tu hai da perderci qualcosa. Non c'è nulla di male ad incanutire. Però io, la mattina, quando mi faccio la barba, non mi vergogno a guardare me stesso negli occhi.

mercoledì 27 aprile 2005

La parabola

Lungi dal parlarvi delle innumerevoli parabole cristiane, a cui sono sinceramente, fieramente indifferente. E non mi riferisco nemmeno a y=ax²+bx+c. Dopo tanti anni, oggi mi sono finalmente deciso a mettere la parabola televisiva qui a Mosca. Sarà utile per praticare il verbo italico a mia moglie, ma soprattutto sarà essenziale affinché mia figlia, nata all'estero e destinata a crescervi grazie all'accanimento berlusconiano, nonché alla pusillanimeria della sinistra, personalmente nei miei confronti, nel 2001, quattro anni fa, non perda il suo 25% italiano.

Francamente, ne avrei fatto volentieri a meno. Non ho bisogno di vedere nuovamente Mediaset e la sua brutta copia RAI, con i soliti spot più meno subliminali di pannolini, assorbenti, detersivi, gazzose yankee, merendine, yogurt dimagranti, acque diuretiche, creme e cremine, supermercati onnifamiliari, polizze, i commenti d'ogni ragazzotto investito di televisionite che ritiene d'essere il miglior commissario tecnico come peraltro ogni avvinazzato del bar sport, le risate costruite di sottofondo ad ogni trasmissione in cui se non si sorride si è dei tristi comunisti, e poi i preti e i baciapile, naturalmente pagati con i soldi dei contribuenti, quanto tornate a casa tate ceffone a fostri pampini, e poi ancora schiume da barba, emollienti da barba, dopobarba, gel per barba, lamette da barba, lozioni da barba (cristo, ma la barba cresce così tanto a tutti, non solo a me?!), dentifrici, dentifroci, gomme americane che sono meglio dei dentifrici, spazzolini che sono meglio delle gomme americane, automobili, automoto, motorola, motoauto, motorette, mototutto, caffè, caffè deccafeinato, sciampo, balsamo, emolliente, e le ficzion, e le previsioni del tempo, ché quando ci sono un paio di gradi soprazero siamo al gelo siberiano e se si superano i trenta è il Sahara che avanza, la mamma che è sempre la mamma e che uccide il bambino, il bambino che uccide la mamma, il padre che va a puttane e la puttana ammazzata dal padre...

Che noia. Tant'è, questa è la lingua, questo è il Paese, questo è il popolino. Però mi sto guardando in diretta le dichiarazioni di voto e le votazioni del Berlusconi ter sul canale della Camera dei Deputati. Direte voi che forse son meglio le merendine. Mica tanto: la Camera, per ora, non trasmette ancora la pubblicità. Va beh, mia figlia non guarderà Follini, Casini, La Russa, Bondi e Mastella. Chissà quali altri fenomenali farabutti ci saranno quando crescerà.

Usando una paragone derivantemi dai miei studi matematici di vent'anni fa, speriamo che la parabola non si trasformi in iperbole.

martedì 29 marzo 2005

Kirgizia 2

L’altro giorno la televisione russa mostrava uno dei leader dell’opposizione kirgiza manifestare la propria amarezza perché la rivoluzione dei tulipani è già morta, speravano di cambiare il Paese ed invece ai vertici sono andati gli stessi uomini del potere riciclati. Tutto il servizio durava poche decine di secondi ed era palesemente preso dai circuiti televisivi internazionali. Non risulta che sia stato trasmesso dalla televisione italiana o da Euronews.

Il signore in questione si chiama Nikolaj Ivanovič Bajlo ed è il capo del Partito dei Comunisti del Kyrgyzstan, da non confondersi col Partito Comunista del Kyrgyzstan (anche in Kirgizia i comunisti sono piuttosto litigiosi). Stupisce che ciò non sia stato specificato.

Bajlo ha ragioni da vendere: Kurmanbek Salievič Bakiev, proclamato capo del governo e facente funzioni del Presidente della Repubblica, è stato capo del governo con Akaev dal 21 dicembre 2000 al 22 maggio 2002. Esattamente come Juščenko con Kučma e Saakašvili con Ševardnadze. Peccato che entrambi i Partiti Comunisti Kirgizi si siano accodati abbondantemente ai fomentatori dei disordini della scorsa settimana.

Chi semina vento, raccoglie tempesta. Bajlo in particolare era portavoce a tutti gli effetti, assieme agli altri Partiti di opposizione, alla assemblea che fu tenuta presso la sede di Biškek dell’OSCE/ODIHR con gli osservatori internazionali il 26 febbraio 2005, ovvero il giorno prima del primo turno delle elezioni parlamentari kirgize.

Traduciamo quindi dal politichese: la partecipazione dei comunisti locali ai disordini era motivata dal malcontento del non essere tenuti in debita considerazione da Akaev e dalla speranza di una maggiore considerazione in caso di vittoria – avvenuta – dell’opposizione (peraltro organizzata a tavolino nello spazio d’un mattino). E siccome Akaev ha perso e l’ex opposizione sta esautorando i comunisti dal novero degli oppositori, per paura di non essere gradita all’Occidente, ecco i comunisti kirgizi prendere in mano la bandiera di oppositori all’ex opposizione.

Quanta confusione sotto il cielo della via della seta. Eppure, esiste una definizione tanto elementare quanto antica per definire l’accaduto ed il presente: si chiama spartizione delle poltrone.

giovedì 24 marzo 2005

Kirgizia 1

Conosco la Kirgizia, per averci lavorato svariati mesi in epoca sovietica (1987). Poi due anni fa, col Parlamento Europeo, quando ho visitato anche altri tre Stati che conoscevo in epoca sovietica: il Kazachstan, l'Uzbekistan ed il Tadžikistan. Infine, sono stato in Kirgizia giusto tre settimane fa, sempre col Parlamento Europeo, come interprete con status di osservatore OSCE/ODIHR al primo turno delle elezioni parlamentari.

Tutto questo giusto per la cognizione di causa.

La Kirgizia faceva parte della via della seta di Marco Polo. Non posso garantire per le altre località del Paese, né per la precedente campagna elettorale nell'insieme del Paese, ma posso assicurare, avendo fatto incursioni random in una decina di seggi, che nella capitale Biškek e nella sua provincia pedemontana, checché ne abbia detto l'OSCE, le elezioni sono passate in modo del tutto democratico e senza brogli. Sicuramente, in modo ben più trasparente che in Iraq, in Afghanistan ed in Florida. Di parere diverso, evidentemente, è la Reuters, nota agenzia di burattini imperialisti, che, anziché informare, ritiene di essere dispensatrice di assiomi di democrazia: "Akayev, che sta affrontando violente proteste nel sud del paese per presunti brogli elettorali, ha provocatoriamente sostenuto oggi che il voto è stato legittimo". Provocatoriamente? Non è forse uno schierarsi, questo, da parte della Reuters?

Ha ragione Akaev a non aver rinnovato l'offerta di negoziazioni. Ha ragione da vendere: Oš e Džalal-Abad non sono in mano all'opposizione, come si va affermando in Occidente, ma a bande di criminalità organizzata, che l'opposizione stessa non sa come e non è in grado di fronteggiare. Provate a guardare le cartine di cui pocanzi vi ho riportato i link: il Paese ha la conformazione di un'orma di mulo, nella cui parte interna si va incuneando la parte orientale dell'Uzbekistan. L'insieme si chiama Valle di Ferganà, e dall'ultima cartina noterete che si tratta della più rigogliosa, forse l'unica, regione di questa parte del mondo, stretta da montagne ed aree desertiche. Oš e Džalal-Abad sono esattamente dentro tale cuneo, ed è significativo verificare come le diverse mappe non concordino nel tracciare i confini tra i due Stati. Vi invito anche a fare mente locale sui filmati riportati dalle troupes televisive occidentali: i più attenti avranno notato un copricapo piuttosto alto di colore bianco, molto diffuso. E' il tipico copricapo kirgizo. Quelli ancor più attenti avranno però notato, quando si trattava di Oš e Džalal-Abad, che prevaleva un copricapo basso con base quadrata e punta piramidale. E' la tjubetejka uzbeka. Chi sta innescando tutto questo forse ancora non si è reso conto che rischia di provocare uno scontro interetnico in una regione delicatissima, che dista dall'Afghanistan più o meno quanto Roma da Firenze. Non siamo né in Ucraina, né in Georgia, qui la rivoluzione non sarebbe né degli aranci, né delle rose, ma, al limite, delle pietre e delle piccozze.

Akaev è un intellettuale e continua ad essere il Presidente più democratico di tutti gli Stati asiatici postsovietici. Un presidente particolarmente pragmatico, che, facendo di necessità virtù, ha salvato il proprio Paese dalla variante Far West, quando, nel 1999, per porre fine alle incursioni di bande organizzate di rapinatori, ha invitato in casa russi ed americani. Letteralmente. L'aeroporto di Biškek è suddiviso in una parte militare ed una civile. Quella militare è piena di caccia statunitensi, a ridosso della base, che ho visitato sempre due anni fa: qualche decina di olandesi, altrettanti tedeschi e francesi, e circa trecento yankees. Veniva usata come scalo per i bombardamenti in Afghanistan. Ci sono, però, anche i russi, per la precisione nel lago di Issyk-Kul' (1.600 m sul livello del mare, una superficie di oltre 6.000 kmq - rispetto ai 370 kmq del più grande lago italiano, quello di Garda - ed un perimetro costiero di poco meno di 700 km, quasi un Napoli-Milano) con una base di armamenti sperimentali antisommergibile, e con una base area nella città di Kant, a venti chilometri dalla capitale Biškek.

Qualora il tentativo - manovrato da potenze straniere, ha ragione Akaev! - di giocare la carta ucraina e georgiana andasse in porto, provate un po' ad immaginare quale dei due eserciti rimarrebbe?