mercoledì 27 gennaio 2010

51° Stato USA


D'accordo, le dimissioni di Bertolaso sono rientrate. Ma non è questo che conta. Bertolaso, che non è certo il massimo auspicabile come ministro della Repubblica italiana nata dalla Resistenza al nazifascismo, ha criticato apertamente gli Stati Uniti d'America - e, segnatamente, l'Organizzazione delle Nazioni Unite - per il loro comportamento annessionistico ad Haiti. Gli USA, dal canto loro, ne hanno esatto le dimissioni. Berlusconi e Frattini, facendo i salti mortali, o, meglio, usando la tipica inventiva italica, rinomata nel mondo, nonché le solite ipocrite scuse tese a dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, sono riusciti ad ottenere da Hillary Clinton il rientro di tale sanzione.

Ragioniamoci sopra. Per l'ennesima volta, si dimostra la totale dipendenza supina italiana dagli USA. Dico "ennesima" perché è dal 1944, passando per il "piano Marshall", per gli avvertimenti mafiosi di Jimmy Carter al Partito Comunista Italiano ("Berlinguer stia al suo posto!", tuonava l'allora Presidente statunitense dalla copertina di "Panorama" nel 1978), per la dipendenza incondizionata dall'Organizzazione-Trattato dell'Atlantico del Nord, quella NATO che fu creata contro l'URSS, che fu costretta a rispondere creando il Patto di Varsavia (non viceversa, contrariamente a quanto affermano gli odierni libri di storia), e che continua a bombardare e frazionare qualunque Stato abbia la sventura di finire nei loro elenchi "canaglia" (Corea, Vietnam, Cile, Argentina, Panama, Nicaragua, Jugoslavia, Serbia, Iran, Iraq, Afghanistan, giusto per fare qualche esempio più eclatante), che l'imperialismo statunitense è sotto gli occhi di chiunque voglia tenere spalancati questi ultimi.

In Italia fa molto bon ton, soprattutto nel centrosinistra salottiero, criticare ad ogni dove qualunque comportamento della Russia, ed in particolare di Putin. Ve la immaginate la canea che si scatenerebbe se questi pretendesse le scuse italiane e le dimissioni di qualche ministro, soprattutto se il governo fosse diverso da quello attuale? Come mai i radical chic nostrani non si sono minimamente posti il problema né si sono sbracciati contro l'invio ad Haiti delle truppe yankee anziché dei caschi blu dell'ONU?

sabato 16 gennaio 2010

Obama arancione

Con Obama cambia solo il volto, non le mire di questi mormoni figli dei peggiori delinquenti europei. Le rivoluzioni arancioni erano (sono?) come il pseudosocialismo che qualcuno pensava di esportare in tutto il mondo. Solo che, prima o poi, se si insiste troppo, qualcuno capisce il giochino e s'incazza. Dunque, dopo gli esperimenti infelici in Polonia nell'81 e in Cina nell'89, è una sequela di successi: '89 RDT, Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria, Bulgaria, Romania; '90 Jugoslavia; '91 URSS, Tadžikistan, Cecenia, Tataria; '93 Russia; '94 Kazachstan; '98 Armenia; '99 Serbia, Cecenia; '04 Georgia, Ucraina, Inguscezia; '05 Kirgizia; '09 Inguscezia. Ma più passano gli anni, più spesso il gioco s'inceppa: '94 Tataria; '95 Kazachstan; '97 Tadžikistan; '03 Armenia, Azerbajdžan; '04 Transnistria, Cecenia; '05 Uzbekistan;'06 Bielorussia; '08 Ossezia meridionale, Abchasia; '09 Moldavia. Basta prendere in mano una piantina geografica euroasiatica - meglio se correlata dei vari gasdotti esistenti ed in costruzione - per rendersi conto dell'accerchiamento perpetrato: qualcuno con una materia cerebrale estremamente semplificata, al Pentagono, evidentemente pensava e pensa di giocare a Risiko.

I tanti nostalgici ex filosovietici rimproverano a Gorbačëv di essere stato troppo blando, dimenticando che la guerra fredda l'ha persa chi per primo ha finito i piccioli, altro che politica, torti e ragioni. Obama, come Gorbačëv un quarto di secolo prima, ha ereditato la fine della festa, e deve fare buon viso a cattivo gioco: chi li paga i golpisti, il disoccupato dell'Oklahoma?

giovedì 14 gennaio 2010