sabato 16 aprile 2011

Scampoli di memoria 13

di Dino Bernardini

Il comunismo ereditario

A partire dalla seconda metà degli anni quaranta del secolo scorso, ogni estate, in tutta Italia, si svolgevano (e in parte si svolgono ancora) le tradizionali feste, о festival, de l’Unità, organizzate dal PCI finché è esistito (adesso suppongo che vengano organizzate dal PD). In ogni capoluogo di provincia, ma anche in moltissimi comuni minori, il PCI si mobilitava per il successo dell’evento, che durava una decina di giorni ed era, contemporaneamente, gastronomico e culturale. C’erano ristoranti improvvisati, librerie, dibattiti con la partecipazione di esponenti dei vari partiti politici, incontri culturali, rappresentazioni in cui si esibivano i big dello spettacolo. Tutta l’organizzazione si reggeva sull’impegno dei militanti del PCI, che vi prestavano la loro opera gratuitamente. L’ultimo giorno prima della chiusura c’era il comizio conclusivo. Ogni anno, dopo un centinaio di feste locali, si svolgeva la grande Festa nazionale de l’Unità. E ogni anno, alla Festa nazionale, era presente la delegazione, a turno, di uno dei tanti cosiddetti paesi socialisti.

Ho fatto questa breve sintesi delle feste de l’Unità per raccontare un episodio che vide protagonista una delegazione coreana. All’incirca a metà degli anni Settanta capitò che la Festa nazionale si svolgesse a Bologna e che il Paese ospite d’onore fosse quell’anno la Corea del Nord.

Tradizionalmente, il Paese invitato faceva dono di prodotti del proprio artigianato da vendere durante la festa. I coreani fecero arrivare dalla Corea un intero vagone di merci. Quando il vagone arrivò a Bologna, un paio di organizzatori italiani della festa accompagnò i coreani alla stazione per sdoganare la merce. Risultò che nel vagone c’erano prodotti dell’artigianato, un po’ di casse di vodka coreana e un mare di libri. Bisognava attribuire un valore alla merce e pagare la relativa tassa. Le bottiglie di vodka erano di due tipi: dentro alcune c’erano rametti di ginseng, in altre c’erano delle vipere. Morte, naturalmente. Pare che in Corea si usi confezionare la vodka così. Quando la vodka fu messa in vendita negli spacci della Festa, ebbe un successo strepitoso. Soprattutto la vodka con le vipere, che andò esaurita in poche ore.

Ma torniamo alla dogana. Per l’artigianato e per la vodka non ci furono problemi, i doganieri furono gentili e proposero di attribuire alla merce un valore modesto, cosicché anche la tassa di importazione risultò modesta, anzi modestissima. Il problema sorse per i libri. Si trattava delle Opere Complete del Compagno Kim Il Sung, detto il “Grande Leader”, tradotte in lingua francese. Mi pare che ogni raccolta completa fosse composta da una ventina di tomi, in totale erano circa un migliaio di volumi. Visto di che si trattava, i doganieri italiani, sempre gentili, intuendo che difficilmente quella merce avrebbe trovato un compratore, proposero di stabilire un valore di poche lire per ognuno dei volumi, in modo che la loro importazione costasse in totale un paio di migliaia di lire, о poco più.

– E’ una vergogna, – gridò inaspettatamente un dirigente coreano attraverso l’interprete. – Le opere del Compagno Kim Il Sung, Grande Leader, valgono moltissimo, questa è un’offesa per il nostro Paese!

A nulla valsero le dichiarazioni di stima per il “Grande Leader” e gli ammiccamenti per cercare di convincere i coreani che quel valore dichiarato era un modo per aggirare la dogana “borghese”. Bisognò pagare una somma consistente. Naturalmente, la pagò il PCI. Forse, con il senno di poi, penso che sarebbe bastato chiedere ai coreani di pagarla loro per convincerli ad accettare la valutazione iniziale. Già, perché all’estero i coreani del Nord hanno sempre avuto problemi con il denaro. Recentemente ho letto sui giornali che tutte le loro ambasciate hanno ricevuto l’ordine di autofinanziarsi. Sembra che l’ambasciata della Corea del Nord a Berlino trasformerà parte della propria sede in un ostello.

A Mosca, dove da anni tutte le case da gioco dell’epoca El’cin erano state chiuse, nel mese di aprile 2011 è scoppiato lo scandalo dei casinò clandestini che, si è scoperto, funzionavano all’interno di due ambasciate, quella della Bielorussia e, appunto, quella della Corea del Nord.

Ricordo anche che negli anni Settanta a Roma girava la voce che l’ambasciata presso la FAO (non esisteva allora un’ambasciata della Corea del Nord presso la Repubblica Italiana, adesso non so) si autofinanziasse con la droga, ma non ho mai letto che la polizia italiana abbia appurato la consistenza di questa voce. L’ambasciata si trovava allora all’EUR e in quegli anni ebbi occasione più volte di esservi ospite a cena insieme con il mio capo della sezione esteri del PCI, Antonio Rubbi. Devo dire che i coreani furono sempre estremamente gentili con noi.

Ma torniamo alla realtà inquietante della Corea di oggi. Le notizie più recenti parlano del pericolo di scontri e di una guerra con l’uso della bomba atomica con la Corea del Sud. I giornali hanno anche raccontato la vicenda triste dell’allenatore della nazionale di calcio nordcoreana che dopo la sconfitta all’ultimo campionato del mondo in Sud–Africa sembra sia stato licenziato e mandato a lavorare in un cantiere edile in qualità di aiutante carpentiere. Tuttavia ciò che resta più imbarazzante è il sistema ereditario di successione al potere. L’attuale capo, Kim Jong Il, “Leader bien–aimé” nella versione francese fornita dai coreani, è subentrato a suo padre Kim Il Sung, Grande Leader, e adesso ha già designato il suo terzogenito a succedergli. Insomma, essendo ancora la Corea del Nord un paese ufficialmente comunista, forse si potrebbe coniare una nuova definizione per il regime nordcoreano: quello di “comunismo ereditario”.

II boss della mafia russa

Erano gli anni confusi e travagliati della Russia di El’cin, l’epoca in cui, come funghi dopo un acquazzone, quasi ogni settimana nascevano in Russia effimere banche che dichiaravano fallimento dopo poche settimane о addirittura pochi giorni, il tempo necessario per organizzare qualche truffa ai danni di russi e soprattutto di società straniere. Anche diversi piccoli e medi imprenditori italiani rimasero truffati da qualche banca russa risultata poi insolvente. Il sistema era semplice. Si acquistava all’estero un certo quantitativo di merce e si forniva la garanzia bancaria che i dollari (si comprava e si vendeva soltanto in dollari) erano stati depositati e sarebbero stati trasferiti all’arrivo della merce. Ma, una volta arrivata in territorio russo, la merce scompariva e la banca che aveva garantito il pagamento dichiarava la bancarotta. Oppure si vendeva merce e, prima di spedirla, si incassava subito almeno un anticipo, ma poi il venditore scompariva e con lui la banca che l’aveva garantito. Era anche l’epoca in cui nacque il fenomeno degli oligarchi, gente spregiudicata che nel volgere di pochi mesi, in un Paese dove prima tutto apparteneva allo Stato, si impadronì di enormi ricchezze e creò grandi imperi finanziari.

In quei giorni, un amico italiano che aveva lavorato all’Associazione Italia–URSS venne a casa mia in compagnia di un russo, un certo Volodja, che era, come appresi qualche tempo dopo dai giornali, un esponente della nuova malavita russa, ma io allora non lo sapevo. Volodja disse che pochi giorni prima aveva avuto una trattativa con una società italiana alla quale voleva vendere una grossa partita di diamanti per centinaia di milioni di dollari, ma la trattativa non era andata in porto perché gli italiani non si erano fidati di lui e la ragazza che aveva fatto da interprete non era stata capace di spiegare loro la bontà del sistema di garanzie che lui aveva escogitato. Era convinto che l’interprete avesse tradotto male e che con un buon interprete sarebbe riuscito a convincere la controparte.

– Adesso io spiegherò a te la mia proposta, che secondo me offre ogni garanzia, e, se riesco a convincerti, poi tu devi dare il meglio di te come interprete e riuscire a convincere la controparte italiana. Se ci riesci, ti darò una percentuale sull’affare, bada che si tratta di centinaia di milioni di dollari. Ma di questo parleremo tra un po’, prima ti devo spiegare come si svolgerà la transazione.

Prima ancora della trattativa commerciale vera e propria sul prezzo della partita di diamanti, disse Volodja, le due parti devono concordare un meccanismo che renda impossibile a ciascuna delle parti di truffare l’altra. Con la seguente procedura: 1. Le due parti scelgono di comune accordo una grande banca italiana che funga da garante. 2. La parte russa consegna alla grande banca italiana un campione significativo dei diamanti. 3. Gli esperti delle due parti, insieme con quelli della banca, esaminano e stabiliscono la qualità dei diamanti. 4. Le due parti aprono la trattativa sul prezzo che la parte italiana pagherà a quella russa per l’acquisto dei diamanti. 5. Se non si raggiunge un accordo sul prezzo, la banca riconsegna alla parte russa i diamanti depositati e la trattativa finisce lì. 6. Se si raggiunge un accordo sul prezzo, la parte russa consegna alla banca italiana il resto dei diamanti, che gli esperti provvederanno a esaminare. 7. Se l’intera partita di diamanti risulterà della qualità dichiarata, la parte italiana deposita su un conto speciale presso la banca la somma concordata e soltanto a quel punto la banca consegnerà i diamanti alla parte italiana e i dollari alla parte russa.

Devo dire che a me il meccanismo sembrò convincente, nessuna delle due parti avrebbe potuto truffare l’altra. Tecnicamente, l’unica che fosse in grado di truffare una parte о l’altra, о tutte e due, sarebbe stata la grande banca, cosa naturalmente impensabile. Lo dissi a Volodja e aggiunsi che, per quanto riguardava la procedura della compravendita, l’affare mi sembrava fattibile. Restava da raggiungere l’accordo sul prezzo dei diamanti.

– Bene, – disse Volodja, adesso parliamo della tua percentuale.

– No, – gli risposi, – io faccio l’interprete e voglio essere pagato secondo le tariffe degli interpreti, che sono abbastanza buone.

– Ma così guadagni molto di meno.

– Non importa, preferisco così, non mi ci vedo nelle vesti di commerciante.

– D’accordo. Allora domani mattina ti passo a prendere e andiamo nella hall dell’albergo dove stanno i miei interlocutori, ci sediamo nel bar a bere qualcosa e aspettiamo. Prima о poi dovranno scendere, e quando escono dall’ascensore li intercettiamo e tu spieghi a loro la procedura che propongo.

Questa non me l’aspettavo. Avevo supposto che lui avesse già un appuntamento con la controparte italiana e che ci saremmo seduti tutti intorno a un tavolo a discutere. Invece dovevamo abbordare nella hall dell’albergo persone che non si aspettavano di vederci e che forse erano persino prevenute contro di noi.

– Caro Volodja, – gli dissi, – io sono pronto a tradurre la tua trattativa commerciale, ma intorno a un tavolo e con gente che è d’accordo a sedersi intorno al tavolo. Però bisogna prima telefonare e fissare un appuntamento. Se accettano andiamo, altrimenti puoi andarci lo stesso, ma con un altro interprete perché io non me la sento.

Fu così che la mia carriera nel commercio ebbe fine prima ancora di cominciare.

Qualche tempo dopo il mio amico dell’Italia–URSS mi disse che Volodja cercava una donna italiana per sposarla e subito dopo divorziare da lei appena la legge lo avesse consentito: era disposto a pagare 20 milioni di lire subito e altri 20 milioni dopo il divorzio. Il matrimonio non doveva essere consumato, a lui serviva soltanto per ottenere la cittadinanza italiana. Ma pare che la donna che in un primo tempo aveva accettato, ci avesse poi ripensato e non se ne sia fatto più nulla.

Infine, due о tre anni dopo, lessi su un giornale che Volodja, proprio lui, era stato assassinato a raffiche di mitra nella hall di un grande albergo di Mosca.

[Le puntate precedenti sono state pubblicate in Slavia 2005, N°3; 2006, N°N°2, 3 e 4; 2007, N°N°1 e 3; 2008, N°N°1, 2 e 4; 2009, N°1]; 2010, N°N°2 e 3]