venerdì 1 agosto 2003

Una giornata in ospedale a Mosca

di Mark Bernardini

Come alcuni sanno, ho passato una settimana in ospedale a causa di una macchia nera (fascista?) davanti all'occhio destro (ettepareva). La clinica Fëdorov è famosa fin dagli anni '70 e '80: per primi nel mondo, iniziarono ad operare col laser sulla cataratta e sulla miopia. In quegli anni, erano dislocati all´ultimo piano dell´hôtel Kosmos. Ricordo le folle di anziani stranieri, organizzati in gruppi turistici, che giravano in ascensore con gli occhi bendati: due-tre giorni dopo erano già ad ammirare il Cremlino. Mai avrei immaginato di trovarmici io. No, non al Cremlino.

Dunque, eccomi per la prima volta in vita mia ricoverato in ospedale. Il tempo assume una dimensione ed una durata diverse. 7:30, sveglia. 8:00, gocce. 8:30, colazione. 10:00, iniezione nell'occhio, dolorosissima, e due iniezioni nei glutei. 12:00, flebo. 12:30, pranzo. 16:00, gocce. 17:30, cena. 18:00-22:00, televisione. E così ogni giorno. Dopo due giorni ti sembra di essere qui da due mesi.

Alle 18:00 c'è il notiziario, poi le donne vogliono vedere le soap-opera. Maledette, sono arrivate anche qui. Alle 21:00, altro notiziario, poi sono gli uomini a voler vedere l'hockey su ghiaccio.

L'età media supera i 75, infatti per lo più sono veterani di guerra. Neanche a farlo apposta, nella mia degenza c'era anche il 9 maggio, giorno della bandiera rossa sul Reichstag. Il giorno della vittoria qui è molto più del 25 aprile in Italia. Non è la vittoria su un popolo, quello tedesco, ma su un invasore cacciato; una liberazione, sì, ma non solo di se stessi, bensì del mondo dal cancro nazifascista.

In televisione, l'8 maggio sera (la resa incondizionata venne firmata proprio quel giorno) hanno trasmesso il concerto dedicato a quanti ce l'hanno fatta ed a quanti non sono più tornati. I vecchi, di solito, son chiacchieroni, commentano tutto. Invece, un silenzio irreale, teso, mentre echeggiavano le note della canzone che accompagnò i primi diciottenni dalla Piazza Rossa direttamente alla periferia. Non tornò quasi nessuno. Chi è stato a Mosca, ha visto senz'altro il monumento dove sono arrivati i carri armati nazisti, lungo la strada dall'aeroporto. Insorgi, popolo, per la battaglia mortale. Che la nobile fiamma dell´ira popolare copra tutto come un'onda. E' guerra di popolo, è una guerra sacra.

Intanto, fin dal risveglio, tutti sorridenti a farsi gli auguri. E, finalmente, non signori, ma compagni. A colazione, in più un panino col caviale rosso. Un veterano, uscito l'altroieri, pregustava i cento grammi di vodka "per il fronte" che avrebbe bevuto al parco Alessandrino, lungo le mura del Cremlino, assieme agli altri scampati ed a Putin, come da tradizione.

E così, eccoci, il 9 maggio mattina, con gli altri cinque uomini della mia camerata, a studiare un piano di guerra per mandare di soppiatto uno di noi, in pantofole, con qualche sotterfugio, a comprare un po' di vodka al baracchino di fronte all'ospedale. Che festa è, altrimenti? Abbiamo mandato un veterano sommergibilista, 81 anni, mentre io distraevo il guardiano con discorsi sul tempo e sulle feste passate in ospedale.

E' incredibile, mentre eravamo seduti di nascosto in camerata a bere e parlare (conditio sine qua non), quanto ben di dio mangereccio sia uscito fuori: pane, salame, mandarini, formaggio, biscotti, persino quarti di pollo. I parenti non si rendono conto che qui siamo malati, ci muoviamo poco e consumiamo ancor meno. Come segno d'attenzione, basterebbero arance e sigarette, ma ricorderebbe altri contesti.

[Pubblicato parzialmente in “Slavia”, N°3, 2003, di Mark Bernardini]