sabato 1 agosto 1987

Un colpo casuale

di Anatolij Dneprov

Tutti hanno appreso dai giornali come è morto il dottor Glorian. Pare che poco prima di partire per una battuta di caccia stesse pulendo il fucile, che accidentalmente ha fatto fuoco. Dicono che qualunque arma spari almeno una volta indipendentemente dalla volontà del suo proprietario. Ed è proprio così che i cronisti hanno descritto la fine di Glorian.

Non avrei mai scritto questo documento, se poco dopo la morte di Glorian non fosse apparso sui giornali l'annuncio che il suo avvocato Victor Bomp non avrebbe indagato, su richiesta della moglie e dei parenti stretti, sulle circostanze della fine dello scienziato. “La gente decida da sola, avrebbe detto Victor Bomp, se si sia trattato di suicidio o di disgrazia”.

Io non so cosa sia stato. Ma visto che la gente dovrà optare per una delle due ipotesi, delle quali solamente una è quella giusta per il mio amico Glorian, mi sento in dovere di rendere di dominio pubblico alcuni fatti.

Dunque, Robert Glorian è morto tre ore esatte dopo che ci siamo salutati all'uscita del caffè “Malta”. Ricorderò finché vivrò l'espressione del suo volto. Era pallido, come se fossimo stati di notte ed il suo volto fosse stato illuminato dalla luna. Stringendomi la mano mi disse:

– In trent'anni non mi sono mai sbagliato. In matematica, ovviamente. Gli errori nella vita sono un'altra cosa…

Mi venne in mente sua moglie, Eugene, ed annuii con comprensione. Mi era sempre sembrato che Glorian fosse infelice con lei. Spesso li osservavo da spettatore esterno: vi era una certa ostilità fra loro, ma del resto è una cosa piuttosto diffusa quando un marito ed una moglie sono intelligenti entrambi. Più volte ho sentito Eugene dire:

– Al giorno d'oggi, questi matematici mettono il loro naso in ogni cosa. Hanno rovinato l'esistenza umana.

Nelle sue parole vi era una dose di verità.

Quella sera eravamo seduti a sviluppare il teorema di Von Neuman e Morgenstern relativo ai giochi con le somme nulle. In matematica si può rigorosamente dimostrare come nei cosiddetti giochi da salotto ciascuno perda esattamente tanto quanto un altro vince. Il teorema di Von Neuman è una sorta di legge di conservazione della puntata iniziale nel gioco. Poi io e Robert ci siamo messi ad analizzare situazioni più complesse, ed in ogni caso giungevamo sempre alla stessa conclusione: il gioco delle somme nulle è riscontrabile ovunque. Quando siamo passati alla teoria matematica dei conflitti umani, ci si avvicinò Eugene:

– Sapete che vi dico? Mi ripugna ascoltarvi. Voi scomponete i pensieri ed i sentimenti in coefficienti di una matrice non degenere. Se permettete, Robert, vado al “Malta”.

Robert sorrise penosamente ed annuì. Allora ebbi l'impressione che, lasciando andare la moglie al night club, egli cercasse semplicemente di non pensare a lei. Prese a parlarmi di un libro appena pubblicato, di Louis e Raff, in cui la teoria matematica dei conflitti era elevata al massimo grado di perfezione.

Eugene uscì, e noi restammo nello studio di Robert fino alle tre di notte. Non mi ricordo tutti i particolari della nostra discussione. Ricordo soltanto che, passando in rassegna gli indirizzi fondamentali dei conflitti nella nostra società, dichiarai:

– La nostra economia, come tu stesso mi dimostri, altro non è che un gioco originale tra imprenditori e consumatori. Posso dimostrarti con un semplice esempio come questo gioco sia ormai condannato. Tu, Robert, sai come tutti i nostri industriali tendano all'automazione completa. Essi la attuano con successo nella realtà. Ad ogni nuova linea automatizzata, migliaia, decine di migliaia di persone vengono gettate per la strada. E divengono dei disoccupati. Volendo pagare di meno ed ottenere di più, i padroni delle aziende prima o poi arriveranno all'automazione completa della produzione.

– E allora? – chiese sarcasticamente Robert.

– Allora, caro mio, l'automazione totale consentirà agli imprenditori di liberarsi completamente del lavoro e delle prestazioni dei lavoratori e di produrre qualsiasi quantità di beni di consumo, ma nessuno potrà acquistarli. Le persone private del loro lavoro non possiedono soldi e di conseguenza non possono acquistare ciò che viene prodotto dalle macchine automatiche.

Robert Glorian si morse il labbro inferiore, si passò lentamente la mano sulla testa imbiancata e disse con convinzione:

– Da ciò si deduce solo una cosa: l'automazione non sarà mai completa. Un gioco del genere non è vantaggioso per i nostri imprenditori, così dotati di iniziativa.

– E qual è quello vantaggioso? – chiesi.

– Un'automazione intelligente, che non escluda, ma al contrario proponga una partecipazione sempre maggiore della gente nella produzione…

Secondo me, era la frase più nebulosa che avesse mai pronunciato Robert Glorian. Egli era un acceso sostenitore del “darwinismo sociale”, secondo cui l'evoluzione ed il progresso dell'umanità dipendono completamente dall'iniziativa privata di ciascuno dei suoi componenti, mentre l'iniziativa stessa viene determinata unicamente dalla propensione dell'uomo all'arricchimento.

Di natura sono scettico e non sopporto i dogmi. Anche se Glorian era il mio migliore amico, sopportavo con fatica gli assiomi a cui era inspiegabilmente giunto. “Questo è vero, questo è falso”, amava dire, ma sia il suo vero che il suo falso stentavano ad entrarmi in testa. I suoi assiomi erano in egual misura comprensibili ed indimostrabili. Probabilmente, tre secoli fa, allo stesso modo gli scienziati ritenevano esatto l'assioma galileiano per cui in tutto l'universo il tempo scorre alla stessa velocità.

La teoria matematica dei conflitti, la teoria dei giochi, la programmazione lineare e dinamica, l'economia matematica erano i cavalli di battaglia di Robert. Egli era sempre presente in tutte le commissioni e comitati addetti ad elaborare le linee economiche e militari per il governo. Ormai non è più un segreto che Robert Glorian fu uno degli autori della relazione sulle basi economiche della produzione di armi atomiche nei tempi in cui la possibilità tecnica e scientifica di creare simili armi non era ancora stata dimostrata.

– Perché la tua Eugene se ne va da sola al night club? - chiesi di punto in bianco.

– Siamo due persone molto diverse. Lei non ama la mia tesi secondo cui ogni comportamento sociale della collettività umana e persino di un singolo individuo può essere descritto con delle equazioni matematiche.

– Ha ragione. Per una persona intelligente ed onesta credo che essa sia ripugnante.

– Eugene è innamorata di Seady While e del suo jazz. Non so di chi altro, – mormorò frettolosamente. Dopo aver fatto un lungo respiro, aggiunse: – Le leggi della natura sono impietose. Ad esempio, a me non piace la legge di Bieau e Savarre sull'interazione dei conduttori lungo i quali scorre la corrente elettrica. Non mi è molto chiaro perché il campo magnetico di un conduttore agisca “da dietro l'angolo” su di un altro. Ma cosa ci vuoi fare: è la natura. Eugene cerca di contestarmi in base al cosiddetto buonsenso. Ridicolo, vero?

– Perché, hai tentato di affrontare il problema dell'automazione completa della produzione anche coi lei?

Robert corrugò la fronte.

– Ha detto che se questo dovesse accadere, moriremmo tutti di fame.

Scoppiai a ridere, e Robert di colpo si fermò in mezzo alla strada ed esclamò:

– Se la pensi come Eugene, affrontiamo il problema seriamente. Viviamo in un'epoca in cui l'ultima parola spetta sempre alla scienza…

Eugene era uscita alle otto di sera e tornò alle quattro di notte. Era un po' euforica, ed il rossetto viola sulle sue labbra carnose era semicancellato. I suoi occhi erano ironici e cattivi.

– Robert, – disse, – ho un'eccezionale dimostrazione del fatto che hai maledettamente ragione! Il jazz di Seady While non suonerà più al “Malta”. Al posto della sua orchestra, in pista hanno installato un organetto elettronico “Époque”, dentro al quale un'orchestra inesistente esegue qualsiasi motivo richiesto esattamente come lo eseguivano Seady While ed i suoi ventisette ragazzi. Immagino quanto maledicano l'ingegnere che ha inventato questa schifezza.

Robert faticò abbastanza per riuscire ad apparire allegro e contento della vita. Sollevò il capo dai fogli sui quali riportavamo con diligenza le nostre equazioni di “bilancio sociale”, e disse:

– Nel nostro Paese non tutti sono così idioti come il proprietario del club “Malta”. Alla fin fine, se non lui, suo figlio o suo nipote comprenderanno che a questo mondo sopravviverà solo chi raggiungerà un equilibrio calcolato con precisione tra l'attività delle macchine e quella dell'uomo. Andrà pur considerato il fatto che se Seady While e la sua orchestra non trovano un lavoro, essi semplicemente rapineranno il padrone del “Malta”!

Robert mordicchiò un po' l'estremità della matita e trascrisse un'altra equazione del “bilancio”.

– Verrà un tempo, – disse Eugene, – in cui saranno proprio quelle scatole elettriche che adesso suonano il jazz al posto di Seady While ad occuparsi della composizione di quei bilanci ed equazioni matematiche.

Robert non l'ascoltava e scriveva rapidamente qualcosa su di un foglio di carta. Eugene sbirciò da dietro la sua spalla le file ordinate di formule matematiche.

– Seady While trova che l'organetto elettronico “Époque” riproduce genialmente le sue esecuzioni. Puoi esserne felice. – L'ultima frase la pronunciò con rabbia palese.

– Era al club? – chiese con indifferenza Robert, proseguendo i calcoli.

– Sì, – rispose Eugene.

– Sarei curioso di sapere cosa ha intenzione di fare per autoconservarsi e lottare. Ha una sola via d'uscita. Superare la macchina ed inventare qualcosa per cui necessiti inventare un'altra macchina. Il progresso della società futura consisterà nella continua competizione degli uomini con le possibilità della macchina. Ciò è facilmente calcolabile con questa equazione…

La moglie di Robert Glorian si calò nella poltrona con un leggero lamento. Mi fece compassione.

– Cosa ne pensate della seguente soluzione: le macchine producono tutto ciò che è necessario per l'uomo, che poi viene distribuito gratuitamente a seconda delle esigenze? – chiesi sottovoce.

Eugene sorrise con sarcasmo, si strinse nelle spalle e fece un cenno verso Robert.

– Allora cesserà il progresso umano. Così almeno afferma mio marito. Affinché la civiltà fiorisca, occorre che gli uomini cerchino sempre di tagliarsi la gola l'un l'altro. Non lo sapeva, forse?

Ora ero sicuro che Eugene odiasse suo marito.

– E' un fatto noto a qualsiasi studente di qualunque college, – borbottò Robert senza distogliersi dai suoi appunti. – Beh, ho finito. Ottantaquattro equazioni lineari.

Si alzò dal tavolo e levò in aria trionfalmente la mano con cinque fogli di carta.

– Domani decideremo chi ha ragione.

– Dimmi un po', sii buono: anche l'amore e l'odio di una persona nei confronti di un'altra persona è possibile esprimerli con l'aiuto di equazioni matematiche? – chiese Eugene guardando Robert dritto negli occhi. Le sue labbra tremavano nervosamente, pronte forse a scoppiare in una risata, o forse in un pianto.

– Sì, è possibile, – rispose categorico Robert. – E' un caso piuttosto limitato e privato. Non riveste importanza sostanziale per l'economia di uno Stato. Anche se…

Ci pensò per un attimo e si rimise alla scrivania.

– Oggi While mi ha detto che se la produzione degli organetti elettronici “Époque” assumerà un carattere di massa, nel nostro Paese non nascerà mai più un buon compositore.

Robert scoppiò in una risata sonora e innaturale.

– Spero che non sarai molto scontenta del fatto che da noi da tempo non ci sia più bisogno di ciabattini geniali, visto che le scarpe che ti piacciono vengono prodotte con successo dalle macchine.

Robert è sempre stato un lavoratore instancabile. Quando Eugene andò a dormire, mi propose con un'aria da cospiratore di elaborare immediatamente un programma per la soluzione delle ottantaquattro equazioni che aveva creato.

– Per mezzogiorno dovremmo farcela. Tra mezzogiorno e le tre la macchina del centro atomico di calcolo è libera. Ci penserà lei a risolvere il problema.

– Cosa vuoi risolvere? – chiesi.

– Voglio calcolare una politica razionale a lungo termine per il nostro Stato nel campo dell'immissione delle nuove tecniche e dell'automazione. In questo gioco ho previsto tutto. Persino l'amore. Persino il tradimento. In fondo, non possiamo non tenere in considerazione questi elementi. L'amore è una fonte che arricchisce lo Stato di nuovi produttori e nuovi consumatori di risorse naturali ed energetiche.

Non badai al cinismo di Robert e mi buttai con foga nella composizione dell'algoritmo e del programma di soluzione del suo sistema di equazioni. Eugene ci portò il caffè, e quando lo bevemmo era ormai giorno. Poi uscimmo ed attraversammo il parco.

Robert, socchiudendo gli occhi, guardò il sole.

– Parola mia, la temperatura di irradiazione di questo astro oggi è superiore ai seimila gradi.

Cercai di immaginare quanto deve essere noioso e rivoltante vivere con un matematico fin nel midollo come Robert. Desiderai di gettare in mare tutti i nostri calcoli e mandare al diavolo il mio amico.

Eric Hanson, l'operatore del computer, dopo aver visto i nostri appunti ed il programma disse che la soluzione del problema poteva essere pronta dopo due-tre ore.

– Siamo al caffè del club “Malta”. Quando è tutto pronto, ci telefoni, – lo istruì Robert.

Dopo la seconda tazza di caffè Robert disse trasognato:

– Com'è bizzarra la vita. Un tempo si pensava che fosse piena di misteri e di percorsi impraticabili. Mentre ad analizzarla bene la si può trasporre in ottantaquattro equazioni differenziali. Stupendo, vero?

Mi strinsi nelle spalle.

Quando terminammo la terza tazza di caffè, apparve Seady While, il direttore dell'orchestra jazz sostituita dalla macchina “Époque”. Non l'avevo mai visto prima, e lo conoscevo solo dalle foto dei giornali. Era decisamente più anziano di come me lo immaginavo.

– Permettete? – chiese, e si sedette al nostro tavolo senza attendere risposta.

Robert, fissando il portacenere di cristallo, borbottò:

– Prego.

– Vorrei parlarle in privato, disse While.

– Non ho nulla da nascondere al mio amico, – rispose netto Robert.

– Come preferisce… Io amo sua moglie, e lei ama me.

– Lo so.

Non un muscolo tradiva Glorian.

– Sono stato licenziato, e dovremo cambiare città, – disse While.

– Dovrete cambiarne molte. Presto la macchina “Époque” verrà prodotta in serie.

– E' probabile che passino alcuni anni prima che il jazz automatico penetri nei villaggi abbandonati.

La voce di While era un poco tremolante.

– Mi occuperò io stesso della produzione massiccia delle macchine “Époque”, – disse Robert con nonchalance.

– Ho alcune idee concernenti la musica che lei e la sua maledetta matematica non potrete trasformare in macchine. Robert si animò e mi guardò fisso negli occhi.

– Non è forse una dimostrazione convincente delle mie opinioni? Il progresso quale risultato della lotta per la sopravvivenza, per l'autoconservazione, per la continuazione della specie, quale competizione tra l'uomo e la macchina. Bravo, While, è degno di Eugene!

Dopo queste parole avrei voluto colpire Glorian con un pugno in faccia, ma in quel momento giunse il cameriere per avvisare Robert che era desiderato al telefono.

– Ecco la soluzione! Sentiremo ora il responso inesorabile della logica!

Si alzò e fece per andare. Poi d'improvviso si sedette di nuovo, si appoggiò allo schienale della poltrona e ridendo si rivolse a me:

– Senti, vai tu, mentre io chiarisco una serie di piccolezze di carattere pratico con il signor While.

Sollevai la cornetta nello studio del direttore del club, e a lungo non mi rispose nessuno. Si sentivano rumori, urla, imprecazioni, qualcuno accusava qualcun altro di qualcosa, qualcuno cercava di dimostrare qualcosa con decisione e fermezza. Sentii più volte il nome “Robert Glorian”. Poi sentii la voce arrabbiata di Eric Hanson, l'operatore del computer.

– Pronto, Glorian, è lei? Vada al diavolo!

– Non sono Glorian. Mi ha incaricato di sapere cosa ha risposto la macchina.

– Che sia maledetto quel vostro problema! Per colpa sua dovremo stare fermi nuovamente per ventiquattr'ore!

– Perché? – chiesi stupito.

– La macchina si è rotta.

– Non capisco. Cosa c'entra il problema?

– La macchina si rompe ogni qualvolta il problema non presenta soluzione. Lei mastica un po' di matematica? Esistono problemi insolubili… Rompere le macchine calcolatrici ed elettroniche usando questi problemi è la cosa più semplice. Glorian avrebbe dovuto saperlo…

– Eugene mi lascia oggi, – dichiarò impassibile Robert al mio ritorno al tavolino. – E' persino un bene che tutto sia finito così rapidamente e con semplicità. Non ci siamo mai capiti, noi due.

Beveva il cognac a piccoli sorsi e pasteggiava col caffè.

– Robert, non ti pare che a volte anche tu non capisca tutto?

Mi sedetti.

– Ti hanno comunicato la soluzione del problema dell'automazione ottimale? – chiese. La sua voce suonava fredda ed ufficiale.

– La soluzione non esiste.

Robert si fece scuro in viso. Io ripetei:

- La soluzione non esiste, per cui la macchina si è rotta.

– Non stai scherzando?

– Nient'affatto… Voglio del cognac.

Rimanemmo a lungo seduti in silenzio. Dietro le finestre imbruniva. Qualcuno accese il giradischi “Époque” e questo, esattamente come l'orchestra jazz di Seady While, iniziò ad eseguire varie danze e melodie popolari. L'orchestra non c'era. La musica fluiva dai recessi dell'anima di fibre di vetro di una lucida scatola nera collocata su uno zerbino rosso in mezzo alla pista deserta. Robert fissò la scatola e poi disse:

– In trent'anni non mi sono mai sbagliato. In matematica, ovviamente. Gli errori nella vita sono un'altra cosa… Vado a prendere una boccata di aria fresca.

Non ricordo quanto tempo rimasi ad ascoltare quella musica morta. Quel giorno non avevo mangiato nulla ed avevo bevuto molto. Quando il caffè si vuotò, mi si avvicinò il cameriere e mi sfiorò la spalla.

– Oggi anticipiamo la chiusura. Siamo in lutto…

– Chi è morto? – chiesi con indifferenza.

– Due ore fa è capitata una disgrazia al famoso scienziato Robert Glorian, nostro cliente abituale.

Il mattino seguente lessi nei giornali ciò di cui vi ho parlato all'inizio di questo racconto.

[Da “Fantastika, 1964 god”, Moskva, Molodaja gvardija, 1964, pp. 179-189. Traduzione di Mark Bernardini, pubblicata in “Rassegna Sovietica”, 1987]