Rintronato come Brežnev? Autoritario come Brežnev? Pensieri in libertà, appunti sui polsini, ho tante cose ancora da raccontare per chi vuole ascoltare eccetera.
venerdì 2 agosto 2013
Berlusconi, redde rationem
martedì 2 aprile 2013
Appunti disordinati su Beppe Grillo
giovedì 6 gennaio 2011
FIOM, PD, Camusso...
Questo è un altro dei motivi per cui perdiamo sempre e continueremo a perdere: bisogna per forza essere obiettivi, moderati, morigerati, rilassati, sereni, duttili, friabili, molli, mollacciosi, super partes, bipartisan...
Un cazzo! Io sono incazzato nero! Finché ci sarà un bambino nero a morir di fame che ha l'unica fortuna che Veltroni non è andato a trovarlo, io m'incazzo! Finché ci saranno gli operai che se non accettano di lavorare alle condizioni e alla capacità d'acquisto come mio nonno che faceva il bracciante a cottimo quasi cento anni fa, io m'incazzo!
E' per questo che, quarant'anni fa, eravamo comunisti. Io lo sono tuttora, e dunque sono fieramente ed orgogliosamente di parte, la parte dei diseredati. E quelli che mi dicono che sono un nostalgico, che sono vetero-qualcosa, che sono fuori dalla storia, fuori dall'Italia (vero), fuori dal mondo, ricordo che un tempo lo erano anche loro. Sono la vostra cattiva coscienza, immodestamente.
Fuori dalla storia sono gli anziani che, dopo una vita di lavoro, sono ridotti a raccogliere le verdure marce alla chiusura dei mercati rionali, sono le cassiere dei supermercati che vengono licenziate se stanno al bagno dieci minuti anziché cinque, sono gli operai a cui nessuno ha spiegato che stanno alla catena di montaggio ma non si chiama più così. Fuori dalla storia, soprattutto, sono quei parlamentari, assessori, funzionari d'apparato che in un mese guadagnano quel che io guadagno in un anno e i citati operai in due anni, e che, essendo stati comunisti quarant'anni fa, mi vengono a dire che... "bisogna per forza essere obiettivi, moderati, morigerati, rilassati, sereni, duttili, friabili, molli, mollacciosi, super partes, bipartisan..."...
martedì 6 gennaio 2009
Chi è la crisi e perché parla male di noi
Nello stupidario della fine dell'anno appena trascorso, meritano un posto di rilievo, in ordine cronologico:
Un illustre sconosciuto sull'Unità del 29 dicembre, che, sapendo di mentire, non ha manco avuto il coraggio di firmarsi: Russia, il rublo va giù. E la disoccupazione galoppa
La Stampa del 30 dicembre: Mosca non ha più contanti. E la classe media affonda
Ettore Livini sulla Repubblica del 5 gennaio: Il tramonto degli oligarchi russi. Ora chiedono aiuti allo Stato
La crisi c'è, figuriamoci. Anche qui. Gli oligarchi, in Russia, non possono più comprarsi 47.384 Bentley al mese. Gli oligarchi in Italia, stranamente, tacciono, al punto che vien da pensare che non se la passino tanto male.
La gente normale, in Russia, vive esattamente come sei mesi fa. In Italia, le persone normali non arrivano più alla terza settimana del mese.
Come mai ciò viene taciuto dalla Stampa, dai Livini e dall'Unità? Eppure, sembrerebbe che sia una freccia in più nel loro arco, se fossero, come dichiarano, contro l'attuale coalizione governativa italiana.
La risposta è scontata: sono "organici al sistema" (così si diceva nella mia generazione, trent'anni fa). Non sono affatto contro Berlusconi, erede di Craxi.
Questo però io lo dico da almeno 18 anni (la quantità così precisa non è casuale), e, a memoria, anche da molto prima, da 22.
Ciò di cui, invece, ancora non mi capacito, è che così la pensino, anche senza dichiararlo, anche senza rendersene conto, quelli che, all'epoca, mi davano del socialdemocratico ed ora dell'estremista.
Forse perché così si mettono la coscienza in pace? Le bugie, coscienti o meno, hanno le gambe corte. L'idea del mal comune mezzo gaudio riduce le colpe individuali, Italia rispetto al mondo o pseudo sinistra italiana rispetto all'Italia che sia. Così, la crisi sarebbe collettiva.
No: la crisi è di quanti, indipendentemente dalle idee politiche e/o provenienze etniche, hanno sposato il neoliberismo dell'economia di carta a scapito di quella reale produttiva.
Qui si produce, appunto, mentre in Italia ci si scambiano le azioni di borsa. Non poteva e non finirà bene. I naviganti sono avvisati.
Un tempo, qualunque valuta nazionale era un assegno pagabile al portatore in oro. Il primo Paese ad avere annichilito questa legge furono gli USA. Sorpresa! Fu Nixon, nel 1973. Dunque, è da 36 anni che è un bluff, una sòla, carta straccia. Non ce l'hanno, tutto 'sto oro. E nemmeno lire, euro, marchi, franchi, sterline. Rubli sì, invece, nel senso che l'oro c'è.
Spiego. Nella seconda metà degli anni '80 il petrolio subì una caduta verticale. I fondi dell'URSS erano in dollari, o, meglio, in petrodollari. Nessuno lo dice, ma l'URSS semplicemente fece bancarotta, collassò economicamente ancor prima che politicamente, non viceversa. Putin ha imparato la lezione, ed il fondo della Federazione Russa è parte in dollari, parte in euro, parte in rubli e parte in oro. Più altre bazzecole, tipo platino, argento, palladio, yen, yuan. Si chiama diversificazione.
Ecco perché le turbolenze di oggi di petrolio e gas creano sì un danno alla Russia, ma non possono metterla in ginocchio. Quanto meno, non quanto l'Occidente, che non ha imparato la lezione.
Miei vaneggiamenti? Appena un paio d'anni fa, quando preconizzavo crisi in Occidente e stabilità in Russia, mi davano del russofilo cieco. L'inflazione qui balla attorno al 10%, il triplo di quella euroccidentale, ma meno della metà di quella dell'Italia del '78. In compenso, il PIL cresce annualmente di almeno l'8% dall'inizio del millennio. In Italia comincia ad esserci il segno "meno".
Un conducente di metropolitana prende 1.500 euro. Quanto prende un conducente della metropolitana di Roma o di Milano? Un litro di latte costa tre quarti di euro, una stecca di sigarette costa quanto un pacchetto in Italia, un chilo di carne 6 €, un chilo di pane 40 centesimi. Che dite, com'è la capacità d'acquisto?
domenica 28 dicembre 2008
Il testimone
Avevo voglia di scrivere queste scarne righe un'ora fa. Poi ho pensato che sicuramente mia moglie, la mia amatissima compagna, riuscirà a fare addormentare quella via di mezzo tra Highlander e Terminator che è nostra figlia a breve, e finalmente andremo a dormire, visto che è da circa tre ore che il tentativo va avanti e nel frattempo è l'una di notte, e gli israeliani continuano a bombardare, tanto per cambiare, i bambini palestinesi.
Allora sono uscito sul balcone coperto, che peraltro io scopro per poter fumare una sigaretta in santa pace, che poi diventano due, e poi tre.
Ecco perché le scorte di acqua minerale gelano: in casa, un caldo maiale, sui venticinque gradi. Sopra lo zero, ovviamente. Fuori, una decina. Sotto lo zero, anche questo è piuttosto ovvio, viste le latitudini. E così, sul balcone si balla intorno allo zero, e l'acqua non è contenta.
Ha nevicato, e manco me ne sono accorto. Qui Natale e Santo Stefano non era festa, in compenso oggi, 27 dicembre, è sabato, e fuori non c'è un'anima. E nemmeno un'anima in automobile. Ecco perché la neve fa effetto ovattato. Noi però faremo festa fino a lunedì 19 gennaio, di riffe o di raffe, tra Capodanno, Natale ortodosso (che per puro caso coincide con la Befana) e Vecchio Anno Nuovo. Tiè.
I ragazzi tadžiki ancora dormono, cominceranno a spalare verso le cinque del mattino, perché sennò non li pagano. Peccato, io lascerei tutto così com'è, ma non è colpa loro. E' di una bellezza lacrimevole, sconvolgente, a quest'ora. Mi ricorda l'infanzia, quando ancora potevo sentire la neve scricchiolare sotto i piedi avvolti nei valenki di feltro.
Quando nostra figlia crescerà, avrà dei figli, e magari vorrà che assomiglino a sua madre, o a me, suo padre. La madre è bellissima, per me, personalmente non mi ritengo un adone, e spero che, se avrà una figlia, non le cresca la barba a quindici anni come a me.
Sto cincischiando. Non è di tutto questo che volevo parlare, questa sera, questa notte.
Noi, italiani all'estero (che poi, già io, un quarto russo, un quarto ebreo, nato a Praga quando ancora era Cecoslovacchia, come italiano sono piuttosto spurio), dobbiamo per forza organizzarci con la parabola, sennò i figli col cavolo che parleranno italiano madrelingua. Al massimo, lo parleranno come nel doppiaggio di Rocky, "io ti spiezo in due".
Oddio, direte voi, non è che si perdano un granché: tra RAI e Mediaset, sembra di essere davvero su un altro pianeta, altro che all'estero. Le uniche volte che fanno qualcosa di decente, le criptano, per non meglio identificati "diritti di ritrasmissione all'estero". Peccato che non lo facciano né i russi, né quelli dell'Europa Occidentale, dai francesi agli inglesi, passando per i portoghesi, gli spagnoli, i tedeschi. La 7, poi, ha avuto la geniale pensata di cambiare satellite, che in Europa Orientale non si vede proprio, e così ci perdiamo anche quel poco che c'è di buono.
Sto nuovamente divagando. Insomma, ci resta RAI Edu 2, che poi sarebbe Rewind. Ultimamente, spesso ripropongono Paolo Rossi e Cochi Ponzoni in "Su la testa". Ricordate? Occhetto aveva già sciolto il PCI, e i giudici di Milano avevano appena iniziato a smascherare i ladri della Democrazia Cristiana e del PSI Craxiano. Sembrava, da una parte, di essere lì lì da cambiamenti improbabilissimi, e dall'altra al crepuscolo di un minimo di decenza e di intelligenza.
La realtà, come sempre, è stata peggiore dei nostri peggiori incubi. C'erano, ancora non del tutto incanutiti, Jannacci, Capossela ragazzino, Gino e Michele, Antonio Albanese, Aldo Giovanni e Giacomo non ancora svenduti al legittimo erede craxiano Berlusconi, Bisio con i capelli (pochi già allora), Vergassola, persino Salvatores.
Era l'ultima puntata, i saluti promettevano un "a rivederci presto". No. Perché l'epitaffio, a conclusione, l'ha coniato Paolo Rossi stesso. Per i sogni che avete rubato ai nostri padri, e ai padri dei nostri padri, adesso basta. Ce li riprenderemo. Ora. Qui. Subito.
Davvero? In famiglia, ci bastonano da almeno tre generazioni. Chissà, la quarta. Per ora, sempre peggio.
domenica 19 ottobre 2008
Le dichiarazioni di Napolitano
Ciampi è stato decisamente migliore non dico di taluni Presidenti degli anni ’50 e ’60, ma persino dell’epoca recente: 10-100-1000 Ciampi, piuttosto che Kossiga. Per quanto riguarda Napolitano, è da sempre un migliorista, ed un nostro nemico di classe, ma non è assolutamente né un rincoglionito (l’ho conosciuto di persona sia da ragazzo, a Botteghe Oscure, dove lavorava mio padre, sia al Parlamento Europeo, quando Napolitano faceva l’eurodeputato ed io il funzionario, seppure in due gruppi parlamentari diversi), né un disonesto. Semplicemente, non è mai stato nostro, ma non mi pare una gran colpa. Ho visto altri nostri fare attualmente lingua in bocca col nano.
I miglioristi erano la corrente – non dichiarata, perché ufficialmente nel PCI non c’erano correnti – più moderata del Partito Comunista, quella, per intenderci, che faceva l’occhietto al PSI di Craxi.
Detto questo, Napolitano non è mai stato dei “miei”, non ne ho mai condiviso le tesi, ma non mi pare affatto una ragione sufficiente per denigrare “a babbo morto” chicchessia. Io denigro i ladri ed affaristi tra i “loro”, ed i voltagabbana ed affaristi tra gli ex “nostri”. Napolitano non ha mai rubato. E persino Andreotti non ha mai rubato. Ci troviamo ora a rimpiangere gli Andreotti, i La Malfa (Ugo, non Giorgio), i Saragat, i Malagodi, i De Martino ed i Nenni. Addirittura gli Agnelli, Gianni, ovviamente, la nostra bestia nera dell’ottobre 1980.
Flash. Ero segretario di zona della FGCI, a Roma, IX Circoscrizione, la sezione era quella fondata da mio nonno. Una litigata della madonna con Pio La Torre, che per me era il solito burocrate del cazzo, e almeno dentro al Partito non dovevo per forza difendere posizioni indifendibili. E gli oggetti del contendere erano due, entrambi mica cazzatine da poco: la sconfitta operaia con Berlinguer ai cancelli della FIAT, e i missili nucleari Cruise all’aeroporto Magliocco di Comiso, in provincia di Ragusa, dove peraltro io ero già andato a prendere le prime (prime a Comiso, mica in assoluto) mazzate dalla polizia (ed ero stato anche a Mirafiori, se è per questo). In pratica, gli avevo aizzato contro l’intera sezione. Il giorno dopo, incontrando mio padre nei corridoi della sezione esteri di Botteghe Oscure, fece un unico commento: “Certo che tuo figlio è un bel peperino!”.
Nel frattempo, l’allora segretario del PCI in Sicilia, Gianni Parisi, compagno universitario di mio padre a Mosca, aveva chiesto di essere sollevato dall’incarico, a pienissima ragione: viveva blindato da anni, lui e la sua famiglia, suo figlio veniva spesso da noi a Roma per non essere ostaggio delle minacce mafiose al padre. Venne nominato segretario proprio Pio La Torre. Di lì a poche settimane, tornando da un volantinaggio “problematico” (scazzottata con gli autonomi prima, manganellate della celere dopo), ho visto l’inizio del telegiornale dell’ora di pranzo. Chiamai mio padre gridando, e questi non capiva la mia reazione: sullo schermo, l’ennesimo omicidio di mafia, una macchina blu ministeriale, finestrino vicino al guidatore aperto, una gamba della vittima che si sporge dal finestrino. L’ho riconosciuto dalla scarpa e soprattutto dal calzino. Nulla di particolare, eppure, avevo capito ancor prima che venisse pronunciato il nome. Dopo l’attentato a Togliatti, era la prima volta che veniva assassinato un membro della Direzione nazionale del PCI.
Non l’avevo mai denigrato, ci avevo solo litigato, eppure ancora adesso, ad oltre un quarto di secolo, mi rimane l’amaro in bocca, una sorta di senso di colpa.
Stasera, alla trasmissione di Fabio Fazio, c’era Carlo De Benedetti, attuale editore di “Repubblica – L’Espresso”. All’epoca della Olivetti, ci stava sulle balle un po’ a tutti. Ben diverso dalle minacce delle Brigate Rosse, per le quali fece crescere i tre figli in Svizzera (di cui l’anno prossimo acquisirà la cittadinanza), ma tant’è. Ho scoperto un capitalista nel senso puro del termine. Uno “non dei nostri”, appunto, cosa che però non è sufficiente per la denigrazione. Un capitalista che non vede nulla di male nell’accumulazione di capitale di un Bill Gates, ma che trova immorale (parole sue) che gli eventuali figli godano di ricchezze accumulate da generazioni precedenti, decisamente più versatili. Un capitalista che contraddice l’adagio americano per il quale due Paesi in cui esista il Mac Donalds non si faranno mai la guerra: contro questa tesi, cita Russia e Georgia.
martedì 1 luglio 2008
Non ci saranno più sogni al davanzale
Stufo di vedere il ciuffo scompigliato di Berlusconi nella conferenza stampa da Napoli su Sky, sono passato all’intervista di Veltroni da Roma sempre su Sky. Che palle!
Io ho sempre votato comunista, si sa. Beh, Veltroni, pensando di protestare tra un quadrimestre (tra un Manhattan ed uno Screw Driver) e fagocitare gli antiberlusconiani, sbaglia tempi ed obiettivi. Per i tempi, sarà – ma secondo me è già, da ben un quindicennio – troppo tardi, per gli obiettivi, o beh, l’obiettivo non è ingrassare il suo Partito, e questo proprio non gli entra nella sua borghesissima zucca. “Salari, stipendi, pensioni”, manco fosse un anatema. Il salario è una “remunerazione periodica, spettante al lavoratore dipendente”; lo stipendio è una “retribuzione fissa, corrisposta a chi presta continuativamente un lavoro subordinato”. “Presta”, ma lasciamo stare, questo discorso ci porterebbe troppo lontano. Forse faceva differenza tra operai ed impiegati, ed invece è troppo tardi, alla terza settimana non ci arriva alcun dipendente ordinario. Forse, invece, intendeva la differenza tra chi è fisso, e chi di mese in mese non sa se potrà sfamare la famiglia il mese successivo, ed infatti non si fanno più figli.
Insomma, ad ottobre una manifestazione di protesta che non avrà pari, più bella che prìa. Veltroni! Non sarà tua! Ecco perché, ben venga la manifestazione a cui ha aderito (non “della”) Italia dei Valori di Di Pietro. Mi spiace solo che io arriverò in Italia il giorno dopo, il 9 luglio. Per Veltroni, qualunque cosa non abbia il suo “possumus”, è da combattere, ufficialmente perché fa il gioco del nemico (ops, “dell’avversario di cui non pronuncio il nome”), realmente perché “non siamo stati consultati”. Veltroni ha consultato Di Pietro nell’indire la manifestazione di ottobre? Già, ma il PD è molto più grande. Sicuro che prossimamente sarà ancora così? In altre parole, il patrimonio del PCI, tra gli amerikani di Veltroni, i craxiani di Bertinotti ed i carrieristi del PdCI, è ormai (definitivamente?) disperso.
sabato 12 gennaio 2008
Russia e religione
di Antonio Gramsci e Mark Bernardini
Si tratta di un nostro carteggio, in questi giorni a cavallo tra due anni, sull'argomento in oggetto. E' nato da un articolo di Antonio per l'Unità, a cui avevo risposto, pur sapendo perfettamente che l'Unità non mi avrebbe mai pubblicato, essendo io un appestato proveniente dal PCI che non si è mai iscritto a PDS-DS-PD. Ne è nato un confronto di idee e di valori espressivi molto interessante. Senza false modestie, un'ottima rappresentazione di come a me piace e ritengo si debba discutere.
L'ora di religione obbligatoria
Ecco, è scoppiata la prima tempesta che si aspettava già da un pezzo. La procura di San Pietroburgo ha scoperto una infrazione pesante della legge "sulla libertà di coscienza e sulle organizzazioni religiose" da parte di un ginnasio di medicina dove senza nessuna autorizzazione ufficiale si impartivano lezioni di religione ortodossa. Si è verificato inoltre che gli studenti erano obbligati alle preghiere quotidiane. Si sa che in almeno due regioni della Federazione Russa - in quelle di Belgorod e di Vladimir - la religione ortodossa è diventata già da qualche anno la materia obbligatoria in tutte le scuole. E non si tratta per niente della storia delle religioni mondiali, disciplina ancora nello stadio di elaborazione e sperimentazione, della cui necessità se ne discute già dalla fine degli anni novanta e il carattere laico della quale è sempre sottolineato dal Ministero d'istruzione e da Putin stesso. Invece in queste regioni si tratta proprio di lezioni di religione ortodossa (la materia si chiama "le basi della cultura ortodossa") condotte più o meno secondo lo stesso schema come lo si fa in Italia nell'insegnamento della religione cattolica. Tuttavia questa iniziativa promossa dalle autorità regionali con il tacito consenso del Cremlino non è stata contestata dalla popolazione locale ma anzi, da essa è stata molto gradita. Infatti, trattandosi delle regioni tra le più depresse della Russia centrale (oltre tutto, la città di Belgorod è famosa per il suo alto livello di corruzione) "l'oppio del popolo" rappresenta per il momento forse l'unico svago e il rimedio contro il degrado culturale e sociale con tutto il suo carico di disoccupazione, criminalità e, soprattutto, alcolismo. Invece quello che è accaduto a San Pietroburgo acquista immediatamente un taglio di un precedente molto grave trattandosi della capitale culturale, della città forse più "europea" nel nostro Paese. Questo avvenimento può significare che la lunga battaglia tra i sostenitori e gli avversari dell'introduzione delle ore obbligatorie di religione è entrata nella sua fase finale.
Secondo la legislazione russa è l'alunno stesso che in ultima istanza può decidere se frequentare o meno le ore di religione (in Italia sono i genitori che firmano una rispettiva autorizzazione). Avendo una lunga esperienza dell'insegnamento nella scuola italiana a Mosca potevo osservare più volte come il fatto di non frequentare le ore di religione creava un contrasto poco sano tra l'alunno e il resto della classe. Nella maggior parte dei casi si trattava degli alunni i cui genitori appartenevano alla elite intellettuale. Di conseguenza, soprattutto quando si trattava di un allievo brillante e con la personalità forte, la materia stessa veniva in un certo senso compromessa come se "la religione spettasse solo al popolino". Succedeva anche dell'altro. Non dimenticherò mai un ragazzino proveniente da una famiglia dei fisici, oltreché di origine ebraica, che cercavo disperatamente di difendere da insulti e maltrattamenti dei compagni di classe ("tu non ci credi, non sei uno dei nostri"). L'altro aspetto riguarda invece la coerenza logica con le altre materie, soprattutto con storia e scienze naturali. Come si può spiegare al bambino ingenuo che le atrocità commesse dai cristiani (incendio della biblioteca ad Alessandria, inquisizione, conversione forzata degli ebrei spagnoli, processi contro Giordano Bruno e Galilei, sterminio dei vecchi credenti russi, ecc.) non ha niente a che fare con i precetti di Gesù, leggendario o reale che sia. È più o meno come tentare a spiegare che i crimini del regime di Stalin non offuschino minimamente profondità e altezza morale del pensiero di Marx ed Engels.
E infatti, neanche nel periodo del disgelo e oltre, dopo il famoso discorso di Chruščëv al XX plenum del PCUS, nelle scuole sovietiche si preferiva di non parlarne. Come può il povero professore di scienze naturali trattare l'origine dell'Universo, la teoria di Darwin (in particolare l'evoluzione dell'uomo) avendo accanto a sé un collega che davanti agli stessi alunni asserisce esattamente il contrario? Proprio quest'anno la Russia ha avuto il suo primo processo "scimmiesco" quando un padre si è rivolto al tribunale accusando l'insegnante di biologia dell'offesa dei sentimenti religiosi di sua figlia. Per il momento questo padre premuroso ha perso la causa però è diventato famoso e ha trovato subito appoggio, soprattutto tra i rappresentanti delle scienze umanistiche, principali fautori dell'idea nazionale in cui il recupero della religiosità dei russi è il punto chiave.
I sostenitori delle ore obbligatorie di religione capeggiati dal patriarca Alessio II affermano che solamente attraverso lo studio di questa disciplina il bambino può concepire i valori umani ed associarsi al processo culturale di cui la religione, appunto, fa la parte integrante. Ma non sarebbe più efficace distribuire questi valori, questa cultura in maniera organica e equilibrata in tutte le materie scolastiche? Come è noto, le vitamine si assimilano meglio non nello stato puro ma in forma degli ingredienti del cibo più rozzo.
Antonio Gramsci, l'Unità, 29 dicembre 2007
* * *
Cara redazione, ho avuto uno scambio di lettere molto suggestivo con il mio amico Mark Bernardini che come me proviene da una famiglia italo-russa. Lui si trovava in Italia quando è uscito il mio articolo sulle ore obbligatorie di religione e mi ha scritto subito una lettera molto interessante che ritengo sia degna dell'attenzione dei lettori. A mia volta ho scritto la risposta che contiene alcuni chiarimenti e aggiunte al mio articolo.
Caro Antonio, vivo a Mosca anch'io e noi ci conosciamo. Mi permetto quindi di rispondere alla tua lettera del 29 dicembre, non già perché io non ne condivida il contenuto, ma piuttosto per contribuire ad arricchirne le argomentazioni.
Sgomberiamo subito il campo da ogni fraintendimento: non sono agnostico, sono ateo e non sono nemmeno battezzato, grazie ai miei genitori, che mi hanno lasciato la possibilità di scegliere, da adulto. Considero comunque la religione come tale un fenomeno degno di studio, che ha influito ed influisce pesantemente sulla storia, sulla filosofia, sulla psicologia, sulla letteratura e sulle scienze esatte. In pratica, non c'è campo dello scibile umano che non ne sia stato coinvolto, nel bene e nel male.
Mi sono riconosciuto pesantemente nella tua descrizione del ragazzino "diverso" perché esonerato dall'ora di religione a Mosca. Da sempre, a scuola, esiste il "ciccione", il "quattrocchi", il "roscio", eccetera. Quando studiavo a Mosca da bambino, all'inizio degli anni '70, ogni estate andavo da mio padre in Italia. Essendo nato di luglio, non potevo quindi festeggiare il compleanno con i miei compagni di classe. Per questo, escogitai la festa del 25 aprile, con la scusa di San Marco, perché però per me era il giorno della Liberazione italiana dal fascismo. Tutto bene, finché non lo scoprì una nostra insegnante, che ci fece una pesantissima reprimenda pubblica, accusandomi di oscurantismo. Sono assolutamente certo che quell'insegnante, se mai fosse ancora viva, è ora tra le più fervide vecchiette frequentatrici della chiesa ortodossa.
Analogamente, quando iniziai le medie inferiori in Italia, ho subìto tutti i pregiudizi legati all'essere l'unico bambino esonerato dall'ora di religione cattolica. E' bene ricordare, infatti, che c'è molto più rispetto per coloro che si professano di "altra" religione, piuttosto che non per quanti ne sono privi del tutto.
Ecco perché quindi, e vengo alla tua lettera, sono per ora molto meno preoccupato di te per la laicità dello Stato russo: non bisogna dimenticare, infatti, che la Russia non a caso è una Federazione. Tant'è che, per quanto riguarda la religione, si dichiara ortodosso il 63% della popolazione, solo il 2% frequenta assiduamente le chiese, e solo il 55% dichiara di credere in dio, quale che sia. In altre parole, anche in Italia non tutti i cattolici credono in dio. Giusto per fare un esempio, a Pasqua 2003 le chiese moscovite sono state frequentate da appena 63 mila persone, circa lo 0,5% degli abitanti della capitale. Ma quando parlo di Federazione, mi riferisco non tanto e non solo all'alta percentuale di atei, quanto alla presenza di altre religioni: a parte mezzo milione di cattolici, un milione e mezzo di armeni gregoriani, un milione di protestanti, un milione e mezzo di ebrei (mezzo milione concentrato proprio a Mosca) ed altrettanti buddisti, ci sono 15 milioni di musulmani. Riassumendo, sarà ben dura che qualcuno possa concedersi il lusso di scatenare le ire non dico di circa 60 milioni di non credenti (e tra questi anche 12 milioni di "ortodossi"), ma di ben oltre venti milioni di religiosi non cristiani ortodossi.
Altro è che condivido pienamente le tue preoccupazioni. In altra epoca ed altro contesto avrei invitato alla "vigilanza". E faccio mio l'appello firmato nel 2006 da dieci luminari dell'Accademia russa delle Scienze, tra cui i premi Nobel Alfërov e Ginzburg. Proprio a quest'ultimo, che ha superato i 90 anni ed ha una lucidità che farebbe invidia a molti giovanotti, in un'intervista televisiva l'anno scorso chiesero del suo rapporto con dio. L'arzillo vecchietto, fino a quel momento piuttosto tranquillo, ha strabuzzato gli occhi: sono un fisico, come potete pensare che io possa credere in qualcosa?
Mark Bernardini, 30 dicembre 2007
* * *
Caro Mark, la tua lettera è molto suggestiva, soprattutto nella parte dedicata ai ricordi dell'infanzia difficile. Pero non posso condividere del tutto le tue argomentazioni che mirano a ridimensionare il fenomeno della catechizzazione nel nostro Paese. E' vero che la Russia è una Federazione, ma il fenomeno riguarda soprattutto la Chiesa ortodossa che comunque annovera il maggior numero di credenti nel nostro Paese ed è considerata quasi la religione di Stato. Si puo convincersene durante le festività ortodosse, quando tutti i canali televisivi trasmettono contemporaneamente tutte le funzioni svolte nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca.
Invece i musulmani, il grosso dei quali vive in Caucaso e nella Repubblica di Tatarstan, non persero mai le loro tradizioni religiose. Tuttavia certi cambiamenti li hanno avuti anche loro e riguardano soprattutto lo studio delle fonti, che non era un'impresa facile nell'Unione Sovietica. Molti giovani tartari, per esempio, hanno intrapreso gli studi religiosi in Arabia Saudita e nella repubblica del Tatarstan sono state aperte numerose madrasse. In Caucaso, dove nell'epoca sovietica era diffuso il sufismo moderato con il suo culto dei santi, adesso si ritorna all'islam più rigido e tradizionale. Invece il risveglio della religione buddista, quasi completamente dimenticata nella repubblica dei Calmucchi è stata promossa negli anni Novanta dal presidente Kirsan Iljumzinov. In altre repubbliche, come in Buriatia e Tuva, permane da secoli un miscuglio bizzarro tra le credenze sciamanistiche locali e il lamaismo tibetano.
Non voglio parlare di altre confessioni che hanno pochissima importanza nella composizione religiosa del Paese (per esempio, dopo l'emigrazione massiccia degli ebrei negli anni 70-80 il giudaismo ha perso le sue posizioni, lo stesso si può dire dei protestanti tedeschi). Concentriamoci quindi sul recupero dell'Ortodossia russa promosso energicamente dal Cremlino e di conseguenza da tutte le autorità locali. Uno degli obiettivi, magari indiretto, di questa iniziativa secondo il mio punto di vista, forse troppo marxista, è di togliere alla popolazione la capacità del ragionamento critico. Non per caso nel mio articolo ho menzionato la regione di Belgorod la cui amministrazione e tra le più corrotte in Russia (il governatore Evgenij Savčenko è coinvolto nei numerosi scandali sull'edilizia illegale, sulla trasformazione dei terreni arabili in quelli per il trasporto, ecc.), ma lo studio obbligatorio della religione ortodossa fiorisce in tutte le scuole. E non voglio parlare delle banalità che tu conosci bene: la collaborazione di quasi tutti i gerarchi della Chiesa ortodossa, incluso il patriarca Alessio II, con il KGB nell'epoca sovietica e i loro stretti legami con il mondo degli affari. In questo settore alla fine degli anni Novanta si è distinto in modo particolare il metropolita di Smolensk e Kaliningrad Kirill con il commercio quasi illegale (usava agevolazioni fiscali trattandosi di aiuti umanitari) di sigarette, diamanti e perfino petrolio ricavandone milioni di dollari. Molte carte della sua documentazione commerciale portavano la firma del Patriarca. Non per caso molte iniziative sulla "promozione" dell'Ortodossia provengono proprio da lui. Kirill è diventato anche "famoso" con le sue proposte sulla limitazione dei diritti degli omossessuali.
Caro Marco, la battaglia in realtà è dura. Il nemico non è molto intelligente ma astuto. Non importa quante persone hanno frequentato le chiese durante la Pasqua. Importante è che cosa c'è scritto nei libri scolastici che leggono i nostri figli, che cosa fanno vedere alla Tv, cosa scrivono nelle riviste e giornali più in voga. Pochissimi sanno chi è Alfërov (solo perché è stato nella lista elettorale del Partito comunista), quasi nessuno ormai conosce Ginzburg (che era invece un mito per la mia generazione e per quelle precedenti, nell'epoca d'oro in cui i fisici erano divinità), però tutti sono subito informati delle "rivelazioni" religiose dei nostri cantanti e attori famosi fatte nelle innumerevoli interviste. L'immagine di Putin stesso, amatissimo "padre della nazione", con la candela accesa sullo sfondo dell'icona della Madonna che appare sugli schermi televisivi viene imposto con ostinazione più volte all'anno.
Forse non è modesto fare riferimento a mio nonno, però voglio ricordare la sua teoria del cambiamento "molecolare" dell'opinione pubblica in favore della classe dominante, i cui promotori principali sono gli intellettuali.
Nel nostro caso specifico questa classe è composta da coloro che hanno favorito il depredamento del nostro Paese. Sono diventati persone rispettabili, per bene. Cercano perfino di arricchire il loro bagaglio culturale, mandano i figli a studiare nei migliori collegi dell'Inghilterra, sono diventati patrioti e sognano la "Magna Russia". Vogliono diventare insomma una nuova nobiltà russa, non dimenticando anche noi, il popolino, facendoci ogni tanto qualche regalino. Vogliono che noi dimentichiamo il loro passato ignobile di truffatori. L'ha detto molto chiaramente il "capro espiatorio" di tutti i mali della Russia, il "padre" della privatizzazione Anatolij Čubajs in una intervista: "Cari amici, ormai la privatizzazione è una roba da passato. Per andare avanti non dovremo mai ritornare a discuterne". Purtroppo la religione, che da tempo si è trasformata da protesta sociale in conformismo sociale, e il migliore strumento per tale operazione.
Auguri per l'Anno Nuovo.
Ti abbraccio
Antonio, 31 dicembre 2007
* * *
Carissimo,
mi pare che involontariamente e casualmente stiamo creando un dibattito molto interessante, per ora a due, ma spero a breve di vedervi partecipare anche altri.
Il bello è che siamo perfettamente d'accordo, è solo una questione di sfumature, di accenti: tu sei sinceramente preoccupato per una eccessiva catechizzazione (ed anzi una catechizzazione sic et simpliciter) della Russia, io rifuggo ogni confusione e commistione tra Stato e Chiesa, ma non la vedo così imponente, al momento, forse influenzato dall'aver vissuto 27 anni (tre quinti della mia vita) in un Paese dove la Chiesa – cattolica – la fa tuttora da padrona in tutto, dalle preferenze sessuali all'ordinamento civile: l'Italia.
Hai ragione: il problema non è tanto e non è solo quello della Chiesa ortodossa quanto quello della religione come tale, che storicamente è prontissima a sostituirsi ad ogni valore morale in periodi di assenza di questi ultimi. Dirò una cosa scontata e marxiana che a molti suonerà da bestemmia, ma, brechtianamente, sono abituato a stare dalla parte del torto perché gli altri posti erano tutti occupati: la religione continua ad essere un oppio micidiale per il popolino, seconda solo alla fede nella propria squadra del cuore.
Per quanto riguarda Alessio II, sfondi una porta girevole, anche se comunque preferisco un patriarca ortodosso estone che abbia combattuto contro i nazisti, ad un patriarca cattolico tedesco che abbia fatto parte delle SS. Sul KGB e sui serivizi di sicurezza di Stato, di qualsiasi Stato, invece, ho ben altra opinione. Ogni Stato, di ogni epoca, deve disporre di tali servizi, persino la Repubblica delle Bahamas: se c'è qualcosa da depredare, stai tranquillo che gli Stati confinanti cercheranno sempre di impossessarsene, facendo la guerra o fomentando la rivolta interna. Certo, non bisogna farsi prendere dalla mania dell'accerchiamento, ma trovo del tutto normale e giustificato che in Italia ci sia il SISMI, in Russia l'FSB, in Inghilterra il MI6, eccetera: tutto sta a vedere se si comportino in modo lecito, previsto dall'ordinamento legislativo del proprio Paese. Come ricorderai, nei giorni del golpe dell'agosto 1991 tutti se la presero con Dzeržinskij, abbattendone la statua, colpevole di tutte le bestialità possibili ed immaginabili perpetrate dal KGB. Dzeržinskij è morto nel 1926, in circostanze mai del tutto chiarite, il KGB era di là da venire. Di più: ebbe l'intelligenza di comprendere che non si costruisce un servizio di sicurezza interno, con tedeschi, inglesi, francesi che premevano alle porte, partendo da zero. E la lungimiranza di ammettere che una parte degli agenti dell'epoca zarista non si erano macchiati di crimini, ma erano come i carabinieri italiani: nei secoli fedeli, e non già ad un governo, ma allo Stato. E' sulla loro base che costituì la ČK.
Hai ragione, Antonio: la battaglia è durissima, ed il nemico non è esattamente una cima, in compenso è furbo. Un po' come Berlusconi, ma questo è un altro discorso. Mio padre, che non ritengo costituisca un'eccezione, è stato sì tamburino dei Balilla, come quasi tutti quelli della sua generazione. Ma suo padre, confinato da Mussolini (Ustica, Ponza, Favignana) e torturato dalla Banda Koch, ha svolto la funzione di traino, per cui mio padre ancora oggi si dichiara ateo e comunista. Come vedi, a nulla sono serviti i libri e le ore obbligatorie di religione a scuola. Ciò premesso, sposo in pieno le tue preoccupazioni: come dicevo all'inizio, è solo una questione di accenti, o di priorità.
La teoria di tuo nonno mi pare molto azzeccata, e sorprendentemente attuale, soprattutto riferita al bombardamento mediatico italiano e alla menzogna elevata a sistema da parte della cosiddetta opposizione russa, quella che, al potere dopo la dissoluzione dell'URSS, ha depredato il depredabile. Non so, forse le mie posizioni sono eccessivamente snobistiche, ma non mi sento pronto a muovere un dito per chi osanna certi personaggi, e non è questione di democrazia: gli italiani che votano Berlusconi, ma anche il suo amico Craxi prima e la Democrazia Cristiana per mezzo secolo. Dico che la democrazia non c'entra perché con Mussolini piazza Venezia era piena dello stesso popolino che pochi anni dopo ne prendeva a calci il cadavere in piazzale Loreto. Idem dicasi di El'cin, e dovremo ancora prima o poi fare i conti con la mattanza del Parlamento russo del 1993.
Mark Bernardini, 1 gennaio 2008
lunedì 22 ottobre 2007
De bello mastellico
di Mark Bernardini
Come è noto, essendo emigrato dall'Italia da ormai sei anni, io di quest'ultima non so più un cazzo. Questo a detta dei miei detrattori, ovviamente, ma non ha importanza quanto ciò sia vero: l'importante è ripeterlo finché non diventi vero. Che poi, via internet, mi legga tre-quattro quotidiani italiani al giorno, o che abbia la parabola apposta per far vedere il demendelirio che si vede sui canali raiberlusconiani in famiglia, o almeno i cartoni animati in italiano a mia figlia di tre anni, ciò poco conta.
Poco conta, poiché altre sono le ragioni per le quali ho voluto prendere la penna d'oca (o imbracciare la tastiera a mo' di Kalašnikov, fate vobis).
Leggo, vedo, sento che Mastella, forte del suo zero virgola zero qualcosa (roba da prefisso telefonico), se i giudici comunisti non la smettono di importunarlo e di accusarlo di essere massone e ladro, non voterà un determinato articolo della Finanziaria (o una legge comunque legata ad essa, o qualcosa del genere, insomma qualcosa che fa cascare il governo e tornare Berlusconi).
Ho un problema di causazione, ovvero di consecutio temporum. Siccome i ragazzini del cortile mi hanno tolto il pallone, io tiro con la fionda al lampione più vicino.
Soprattutto, ci sono un paio di cose sulle quali voglio porre una domanda cadauna al vento, ed alle quali conosco già le risposte (dunque, ovviamente, la domanda è retorica).
La sinistra, sulla quale ho 47.384 riserve, viene accusata di "remare contro" e voler far cadere Prodi. Però intanto, forte di un milione di manifestanti (ai funerali di Berlinguer ed al referendum – perso – contro Craxi e l'abolizione della contingenza, ce n'erano un milione e mezzo), ha tenuto a specificare che non ce l'hanno col governo.
C'è il tiro al piccione. Io non mi schiero con i piccioni – che, per inciso, sono considerati imbecilli provenienti in massa dall'IRI, salvo poi riabilitarli come simbolo del movimento per la pace, ma nemmeno con i cacciatori, che generalmente (mi perdoni l'ARCI Caccia per il paragone, ma qui parliamo figurativamente) sono, chissà perché, proprietari di svariate immobiliari, televisioni, squadre sportive, case editrici e quant'altro.
Ecco quindi la prima domanda: è prospettico inseguire il centro anziché la sinistra? Davvero sicuri, il giorno che diverrà chiaro che i due concetti siano poco compatibili, che il centro, ex democristosinistro, sia in Italia più numeroso della paleosinistra, che, come si è visto, è ben più coriacea di quanto qualcuno sperasse?
Conseguenziale la seconda domanda: proprio sicurissimi che Mastella, e soprattutto i suoi dell'Udeur (anche lì ci sarà pure una maggioranza molecolare ed una minoranza di micron), se la sentano di far cadere il governo sulla Finanziaria perché un giudice ha indagato il loro segretario su una mera questione di mazzette? Non sottovalutiamo il popolo bue (che pure E' bue!): passerebbe alla storia recente che il centrosinistra è caduto perché la componente centrista ha voluto fare quadrato attorno ad un arraffone, mica perché la Finanziaria era comunista... Lo sanno anche loro, in politica, a certi livelli, ci sono arraffoni, mica minus habentes. Di Pietro avrà mille difetti, ma dargli dell'analfabeta giuridico, al giudice di Mani Pulite, è da dementi.
Se poi lo dovessero fare egualmente, pazienza: questo governo ha promesso di ritirare le truppe dall'Iraq il giorno dopo che avesse smesso di essere opposizione, ed invece ci ha messo mezzo anno, a differenza di Zapatero in Spagna o (vedremo) di Tusk in Polonia. E continua a sguazzare in Afghanistan, ex-Jugoslavia ed il dio in cui non credo solo sa dove ancora, in giro per un mondo straziato e straziante.
Ciascuno ha il governo che merita. L'Italia ha meritato Prodi, spero che non meriti nuovamente (ma qualche dubbio ce l'ho) l'imbonitore venditore di tappeti di Arcore.
giovedì 22 febbraio 2007
Ingovernabili
di Mark Bernardini
Immaginate che il vostro aereo si sia fracassato nel 2001 su un'isola deserta, o voi siate entrati in coma a seguito di un incidente stradale sempre nel 2001. Vi hanno risvegliati (o recuperati) il 20 febbraio 2007. Non avevate televisione, radio, giornali, internet.
Vi dicono, e voi rispondete:
- Nel frattempo, non c'è più Berlusconi, c'è Prodi.
- Non più l'amico di Craxi, bensì di Andreotti, Moro, Fanfani, Donat Cattin (a proposito di AIDS: "la festa è finita"; a proposito di BR: "sono figlie del PCI", il giorno dopo beccarono suo figlio con Prima Linea), Sindona, Bernabei (RAI 61-74), Zaccagnini, Scelba, Tambroni, Leone, Rumor, Segni (padre: il figlio è pure scemo), Colombo, Cossiga, Forlani, De Mita (mi consenda), Casini (mi conshenta), Formigoni, Goria, Marcora, Mattei (sì: il partigiano), Cefis (il suo successore), Granelli, Galloni, Pastore (il figlio Mario ci ha deliziati con l'allora nuovo ed avveniristico TG2), Storti (prima di Marini), Bodrato, Marini (l'attuale presidente del Senato), Evangelisti (a Fra', che te serve? Copyright: Andreotti), Sbardella, Lima, Ciancimino (su questi ultimi due spero di non dover spiegare nulla), Malfatti (famoso "mal fatti i cazzi tuoi"), Scalfaro (quelle con le minigonne son tutte battone. Poi ha fatto il presidente della Repubblica. "Io non ci sto", puah...), Restivo (Agnelli, Pirelli, Restivo, Colombo, non più parole, ma pioggia di piombo), Anselmi, Merlino (la legge sui bordelli), Gronchi, Gui, Taviani, Gaspari (da non confondere col postfascista Gasparri, per la serie al peggio non c'è mai fine), Gava, Scotti, Piccoli, Mastella, Orlando, Buttiglione, Caltagirone... Fatemi capire: sono mancato una settimana?
lunedì 22 gennaio 2007
Rovine sinistre
di Mark Bernardini
Scalfari, sulla Repubblica del 21 gennaio, ha l’usuale pregio di una mirabile ed efficace sintesi nel descrivere le ripercussioni del caso vicentino.
L’ampliamento della base militare Usa a Vicenza sembrava una piccola cosa, una bega di cortile. Invece, con una reazione a catena, sta provocando un parapiglia. Rifondazione, Verdi, Comunisti e pacifisti sciolti e a pacchetti pretendono, quasi come ritorsione, che l’Italia si ritiri dall’Afghanistan dove il nostro contingente sta da cinque anni sotto le bandiere della Nato in quanto Paese membro della Nato e sta sotto le bandiere dell’Onu in quanto Paese membro dell’Onu.
Il rischio d’una crisi di governo si profila. Il rifinanziamento della missione si farà con decreto, ma poi, entro marzo, il decreto dev’essere convertito in legge. Il rischio che almeno al Senato la conversione sia respinta esiste ed è decisamente elevato. Sono sei o sette i dissidenti dell’estrema sinistra decisi a votare contro anche a dispetto dei rispettivi partiti e non pare, allo stato dei fatti, che valga a recuperarli qualche solenne promessa di ridiscutere con gli alleati gli obiettivi e la natura della missione e neppure la blindatura del voto di fiducia.
La verità è che la loro dissidenza non è controllabile dai partiti di appartenenza. Di provocare la caduta del governo se ne infischiano. Si direbbe anzi che la auspichino. L’errore fu d’averli portati in Parlamento pur conoscendone il carattere e l’ideologia del tanto peggio tanto meglio che alligna in quelle teste pseudo-rivoluzionarie.
Parlo di mirabile sintesi mica perché io concordi con le posizioni di questo vecchio socialista, proprio nel senso di membro del Partito Socialista Italiano, quello di Nenni, De Martino e Craxi: mi riferisco invece a quanto dicevo giusto pochi giorni fa
http://brezhnardini.blogspot.com/2007/01/john-wayne-vicenza.html
In sintesi, Zapatero aveva detto che, qualora eletto, gli spagnoli avrebbero ritirato le loro truppe dall’Iraq. Nessuno pensò di guadagnarci, ad accusarlo di non essere affidabile in quanto non aveva rispettato gli accordi del governo Aznar. Questo governo italiano, invece, decide di rispettare gli accordi di Berlusconi circa l’ampliamento della presenza militare statunitense a Vicenza. Per me sarebbe ragione sufficiente affinché PRC, PdCI e Verdi (e magari parte dei DS) escano dal governo e perciò facciano tornare al potere Berlusconi: tanto è uguale. Hai voglia poi a dire che è colpa della cosiddetta “sinistra radicale”: non siamo nel 1998.
Nel 1998 attendevamo l’alternativa. Bertinotti non ce ne diede il tempo, così ci fu la scissione che diede vita al PdCI, alla caduta del centro-sinistra e all’arrembaggio dei pirati delinquenti berluscones, spalleggiati da fascisti in doppiopetto e da provincialoidi in camicia verde, che è difficile non vedere come bruna.
Nove mesi fa, dopo anni di battaglie e vittime (compreso il sottoscritto, immolato non s’è ancora ben capito per cosa), sembrava essere arrivata la famosa alternativa. Invece, aveva – come spesso, troppo spesso – ragione un altro campione di ragionamento logico quale era l’avvocato Gianni Agnelli: se vuoi far passare una legge impopolare, affidala ad un governo di sinistra.
Insomma, se alternativa non c’è, non per ora, non ancora, se non si arriva a delle distinzioni fondanti, morali, etiche, tra destra e sinistra, se infine gli italiani gradiscono una destra in una qualche sua forma al potere, lasciamolo fare a dei professionisti, non a dei dilettanti allo sbaraglio: il mestiere della destra lo fa meglio la destra, non la sinistra.
sabato 5 novembre 2005
A Mosca l’ultima volta
Massimo D’Alema, A Mosca l’ultima volta (Enrico Berlinguer e il 1984). Donzelli Editore, Roma 2004, pp. 144, 12,50.
“Non è un saggio su Berlinguer, ma un racconto di sei mesi della sinistra italiana”: così D’Alema ha definito questo suo libro, presentandolo a una manifestazione al Palasport di Genova. In effetti, le pagine del libro sono equamente divise tra il racconto del viaggio a Mosca con Berlinguer e Bufalini per i funerali di Andropov – e devo dire che si tratta di pagine gustosissime, di valore letterario – e le vicende della sinistra italiana.
Parlerò poi del viaggio a Mosca, che resta la parte migliore dell’opera, ma intanto riconosco che l’autore rievoca con grande onestà il contrasto tra Craxi e Berlinguer senza omettere nulla, né le cose che ancora oggi condivide, ovviamente, né quelle che avrebbe preferito non fossero avvenute, che sono di ostacolo alla riconciliazione in atto tra una parte di ex socialisti e una parte di ex comunisti. Per esempio, l’infelice frase pronunciata da Bettino Craxi dopo i fischi della platea socialista all’ospite Berlinguer: “se sapessi fischiare l’avrei fatto anch’io”. Non c’è dubbio che questo non aiuta la riabilitazione e la quasi beatificazione del latitante Craxi da parte dei DS. Intendiamoci, nella parabola di Craxi ci sono stati atti, decisioni, scatti di dignità che nessun capo di governo italiano avrebbe avuto il coraggio di compiere, come la difesa della nostra sovranità nazionale a Sigonella contro la prepotenza dei comandi militari americani. Di questo gli va dato atto, ma senza dimenticare i tanti, illeciti episodi di corruzione addirittura rivendicati da Craxi senza vergogna.
E veniamo a Berlinguer. In tutto il libro si avverte un sentimento sincero di affetto per lo scomparso leader del PCI, del quale D’Alema sintetizza il pensiero, le idee sulla “diversità” dei comunisti italiani, sull’austerità, proclamata in anticipo sui tempi, in contrasto con l’imperante “edonismo reaganiano”. Sullo scontro tra Craxi e Berlinguer l’autore riporta una lunga citazione da Ugo Intini che almeno in parte sembra condividere: “Berlinguer cercava una terza via, non socialdemocratica e non capitalista, che non esisteva. Inseguiva un eurocomunismo che non c’era. Voleva trasformare il PCI in una forza di governo, mantenendone l’unità, la continuità e la tradizione, ma questo era impossibile. Craxi voleva trasformare il PSI (un apparato di potere senza più la spinta ideale di un tempo e senza radici sociali sufficientemente profonde) in un grande partito socialdemocratico di massa, nella guida di una grande sinistra vincente. Ma anche questo era impossibile. Berlinguer e Craxi coltivavano due sogni irrealizzabili”. Berlinguer, dice D’Alema, percepì in modo drammatico la crisi del comunismo. Si deve però sapere che “aveva maturato sull’Unione Sovietica e sul socialismo reale una posizione più netta di quella che si è delineata nella politica ufficiale”. Se non è venuta alla luce, è perché “in lui ha agito la preoccupazione che una rottura definitiva con quel mondo potesse portare una scissione nel PCI”.
Era riformabile il sistema sovietico? L’impressione che emerge dal libro è che per D’Alema non lo fosse. Tuttavia, dice, “non era scritto nel libro del destino che il mondo comunista crollasse”. “Non sono tra quelli – dice ancora D’Alema – che dicono che il comunismo per sua natura non fosse riformabile. Il problema è che quella ipotesi di rinnovamento democratico non era più concretamente in campo già nel momento in cui Berlinguer assunse la direzione del PCI”. Infatti, la speranza del rinnovamento era stata distrutta dai carri armati sovietici mandati a Praga ad abbattere un governo comunista che godeva del favore dell’intero popolo cecoslovacco.
Come ho detto, le pagine migliori del libro sono quelle dedicate al viaggio a Mosca in occasione dei funerali del segretario generale del PCUS Jurij Andropov, “l’ultima tenue speranza di riforma del comunismo sovietico”. Era il febbraio 1984. Ricordiamo che Andropov, uomo intelligente e colto, era diventato leader del PCUS nel novembre 1982. Dopo la lunga stagnazione brežneviana, il nuovo leader aveva suscitato molte speranze pubblicando un lungo saggio sul marxismo nel quale lasciava intuire la sua volontà di cambiamento. Purtroppo, formalmente rimase in carica meno di un anno e mezzo, ma in realtà quasi subito dopo la nomina fu colpito da una grave malattia che lo tenne inchiodato alla macchina della dialisi fino alla morte.
D’Alema racconta con arguzia il suo viaggio a bordo dell’aereo presidenziale italiano, dove Pertini aveva ospitato, oltre al ministro degli esteri Andreotti, anche la delegazione del Vaticano e quella del PCI. Durante il volo, ci fu una partita a scopone tra Pertini e Berlinguer, da un lato, e Andreotti e Maccanico, dall’altro. “Andreotti mi volle dietro a sé. Come disse in modo cortese e sornione, “per farsi consigliare”. In realtà giocava benissimo. Il presidente perdeva e la cosa lo seccava molto. Berlinguer era imbarazzato. Si vedeva che non aveva gran voglia. Si distraeva, ma era dispiaciuto per Pertini. Insomma una mezza tortura”. “Quando, intorno alle 18,00, l’aereo arrivò su Mosca, cominciò a girare senza poter atterrare […]. Per i sovietici non era normale che sullo stesso aereo arrivassero lo Stato, il Governo, il Vaticano e il Partito comunista. Si trattava per loro di delegazioni distinte a cui dovevano corrispondere cerimoniali, comitati d’accoglienza e destinazioni separate. Cominciò così un complesso negoziato con la torre di controllo che alla fine produsse un preciso protocollo di precedenze e tempi da rispettare. Prima doveva scendere il presidente con il suo seguito. Dopo cinque minuti il ministro degli Esteri. Poi il segretario del Partito comunista. Infine i cardinali [...]. Chiarita la procedura, finalmente giunse il permesso di atterraggio [...]. Quando l’aereo fu fermo sul piazzale, Pertini, infischiandosene di accordi, raccomandazioni e preghiere degli addetti al cerimoniale, prese sotto braccio Andreotti e Berlinguer e scese la scaletta. Fu il caos”.
Un altro episodio raccontato nei minimi dettagli, a conferma di quello che personalmente considero un difetto di D’Alema, ma che per altri può darsi venga considerato un pregio, è la cena all’ambasciata italiana di Mosca. L’autore dopo aver descritto l’ordine in cui erano seduti tutti i commensali, passa al menu: “La cena fu notevole. Salmone affumicato, caviale Molossol. Verdicchio e vodka. Prosciutto, melanzane in caponata. Tortellini in brodo. Spigola e gamberi portati freschi dall’Italia (sullo stesso aereo?). Dolce di fragole e panna. Spumante Ferrari. Confesso la mia debolezza – scrive D’Alema – per il mangiare bene e non sono stupito di ritrovare, dopo molti anni, annotati in modo così dettagliato i menu”. A mia volta, confesso il mio totale disinteresse per ciò che si è mangiato in quella e in altre cene.