mercoledì 29 luglio 2009

Saggezza, malattia senile del giovanilismo

La mia nota Giovanilismo, malattia infantile del riformismo ha sortito un insperato interesse. Mi pare tuttavia che i commenti siano permeati da un vizio di fondo: che, all'aumentare della speranza di vita media italiana ed occidentale, corrisponda una spalmatura più graduale della maturità e della saggezza. Questo giustificherebbe la maggiore immaturità dei quarantenni - quelli che Padoa Schioppa chiamava "bamboccioni" - ed il loro conseguente permanere più a lungo in famiglia. In ultima analisi, è questo il fine malcelato, legittimerebbe la canea smodata in favore dei (molto) sedicenti giovani del PD.

E' vero, la speranza di vita è aumentata: quando venne ucciso Giulio Cesare, con i suoi quaranta e qualcosa anni, egli veniva considerato un vecchio. Anche ai tempi di mio nonno, a sessant'anni si era vecchi. Oggi lo si è ad ottanta.

La vecchiaia, da sempre, è considerata sinonimo di saggezza. Saggezza, non intelligenza, non stiamo parlando di quest'ultima. Perciò, chi superava i quaranta ai tempi di Giulio Cesare, i sessanta a quelli di mio nonno, gli ottanta oggi, più che saggio, veniva e viene considerato rincoglionito.

Per spiegare quale secondo me sia l'errore di tale "dottrina", debbo ricorrere alla matematica. Facciamo che la saggezza sia 500. Secondo la logica che ho descritto, a quarant'anni Giulio Cesare era saggio al 100%, mio nonno al 67%, i quarantenni del PD al 50%. Già così, preferirei un D'Alema saggio al 75%.

Il fatto è che la saggezza, a mio modo di vedere, è un parametro incrementabile: 500 non è il massimo. Giulio Cesare a quarant'anni era arrivato a 500, ed è sempre a 500 che oggi a quarant'anni si può e si deve arrivare, per giungere tranquillamente a 1.000, raggiunti gli ottant'anni.

Secondo questo schema, i piombini dovrebbero aver raggiunto un coefficiente pari a 500, cioè al 50%. Invece no: l'ultima generazione politica, con le dovute esecrabili eccezioni, rispetta questa impostazione. I piombini, al contrario, annaspano a raggiungere le 250 unità. E' il 50% del ciclo di vita ai tempi di Giulio Cesare, ma hanno già la sua età, non vent'anni. Di questo passo, a ottant'anni sfioreranno a malapena le 500 unità. Sono fermi al 25% del potenziale.

Il 25% del potenziale ai tempi di Giulio Cesare si raggiungeva a dieci anni. Affidereste le sorti del vostro Partito a dei ragazzini delle medie?

martedì 28 luglio 2009

Lode all'ideologia

Da molti anni, ormai, e sempre più, quasi esponenzialmente, in questi ultimi quindici o vent’anni, insomma, da quando lor signori sono riusciti ad annichilire il PCI, che rappresentava più di un terzo del Paese, assistiamo ad una sorta di gara di tiro al piccione, dove il volatile, che, per definizione, tende ad eclissarsi, è, appunto, l’ideologia. Il bon ton imperante impone di infarcire qualsivoglia nostra espressione oratoria di abiura dell’ideologia e dell’ideologismo, e di palesare l’essere ideologico di chiunque non condivida una qualunque nostra posizione.

Questo perverso – e metodologicamente errato – meccanismo è trasversale, come si usa dire oggi, nel senso che coinvolge ogni pensiero, indipendentemente dal fatto se chi lo sfrutta sia di destra o di sinistra, conservatore o progressista, tradizionalista o modernista, moderato o innovatore, legittimista o rivoluzionario: se si è per la guerra, i pacifisti sono ideologici; se si è per la pace, i guerrafondai sono ideologici. Insomma, una parolaccia, una bestemmia, un’imprecazione.

L’ideologia, lo dice la parola stessa, è lo studio delle idee, cosa che come tale non solo non ha alcun carattere negativo, ma è anzi da perseguire come esercizio mentale. E’ però innegabile che l’obiettivo di chi sta diffondendo questa banalizzazione dello scontro politico, e non certo di quanti, proni ed inconsapevoli, la subiscono e contribuiscono a diffonderla, è quello di denigrare Marx, il marxismo ed i marxisti, coprendoli di vecchiume, polverosità, noia, inadeguatezza. I marxisti, in quanto tali, sarebbero inveterati, come, del resto, l’ideologia e tutto quel che vi è affine.

Indubbiamente, l’ebreo tedesco, filosofo ed economista, Karl Marx ha esso stesso attribuito un significato differente all’ideologia, legittimando, suo malgrado, l’operazione inversa di questo nostro inizio millennio. Cito la Piccola Treccani del 1995: complesso delle rappresentazioni, delle dottrine filosofiche, etiche, politiche, religiose, espressione (e giustificazione) di un determinato modo del porsi dei rapporti di produzione e quindi imposte dalla classe che questi rapporti rendono dominante. Come tale l’ideologia diviene elemento essenziale così dello studio sociologico come della polemica politica.

Se proprio si rendesse necessario usare definizioni nuove per esprimere concetti immutabili nel tempo (personalmente, non lo ritengo affatto necessario), possiamo chiamarle strati, ceti, censi, sempre classi rimangono, quella dei detentori dei mezzi di produzione e quella dei lavoratori salariati. E non avverto mutazioni rilevanti, in questo. Addirittura, stante l’involuzione oggettiva dell’Italia berlusconiana, si ritorna agli insiemi chiusi medievali predeterminati dalla nascita, ovviamente con alcune eccezioni, che però peraltro esistevano anche secoli fa. Sentiremo ancora parlare di Pier Silvio, anche dopo che Silvio sarà passato a miglior vita (per quanto, nel suo caso, difficilmente il dio in cui non credo potrà offrirgli qualcosa di meglio).

Insomma, detenere i mezzi di produzione e sfruttare coloro che producono non sarebbe ideologico; affermare l’esistenza di questo stato delle cose, invece, è ideologico e persino “ideologista” (neologismo peggiorativo che sta ad indicare un’esagerazione del valore dei principi astratti di un’ideologia).

Brevissima considerazione finale. Il correttore ortografico italiano di Word considera errato il lemma “Marx” (povero Groucho), mentre accetta il “marxismo” e i “marxisti”. Anche questo, evidentemente, è un segno dei tempi…

martedì 14 luglio 2009

Basta col pietismo piccoloborghese

Il caporalmaggiore Alessandro Di Lisio, ucciso oggi in Afghanistan, aveva un suo profilo Facebook. Sulla pagina del social network sono subito arrivati alcuni messaggi dei suoi amici. «Non sei tu, vero?????? Dimmi che c'è un altro Alessandro Di Lisio in Afghanistan!!!» scrive una ragazza ...

La Stampa, 14 luglio 2009, ore 13:50 italiane.

Chi semina vento... E' il prezzo da pagare: non ci sono mica militari di leva. Talvolta, da sbarbati, ammazzando gente innocente, donne, vecchi, bambini, si guadagnano un mucchio di soldi pagati in tasse da operai in cassa integrazione, disoccupati, precari, immigrati. Talaltra, ci si rimette la buccia. E' come alla roulette: se hai paura di perdere, non giocare...

Io di Napolitano non ne posso più fin dagli anni '70, quando gli gridavamo che fosse socialdemocratico. All'epoca era un'accusa tremenda. Non sapevamo che ora sarebbe un complimento, e francamente non me ne frega un cazzo. Sono stato troppo eufemista?

giovedì 2 luglio 2009

Giovanilismo, malattia infantile del riformismo

Cosa ne faranno, del PD e nel PD, per quanto mi riguarda personalmente, sono affari loro. Ciò non mi esime, tuttavia, dall'esprimere un'opinione, visto che da settimane è uno degli argomenti chiave d'apertura degli organi d'informazione italiani.

Io ho sempre condiviso la massima di Francesco Guccini del 1978, secondo la quale a vent'anni si sia stupidi davvero, persino quando ero io, ad avere vent'anni, figuriamoci adesso che mi avvicino al mezzo secolo.

Quello che (mi) fa arrabbiare, è che oltretutto i cosiddetti giovani del PD non sono affatto giovani: Zingaretti è stato il mio ultimo segretario della FGCI Romana, e siamo all'inizio degli anni '80, un quarto di secolo fa. La Serracchiani va per i quaranta. Scalfarotto, che quando faceva il verde accusò Pecoraro Scanio di essere vecchio (una colpa?), ha 44 anni, appena sei meno del citato Pecoraro Scanio. Eccetera. Ma dell'istrione Scalfarotto, in particolare, avevo già parlato quattro anni fa, nel mio Scalfarotto? Non scherziamo.

Nel 1917, la Rivoluzione d'Ottobre la fecero Trockij, che aveva 38 anni, Dzeržinskij (40), Stalin (38), Kamenev (34), Zinov'ev (34), Bucharin (29), Sverdlov (32), Antonov-Ovseenko (34). Il più vecchio era Lenin, che di anni ne aveva 47, la mia attuale età.

Tra gli italiani, nel 1921, a Livorno, il Partito Comunista d'Italia venne fondato da Gramsci, trentenne, Bordiga (32), Togliatti (28), Grieco (28), Di Vittorio (29), Longo (21), Secchia (18), Misiano (37), Terracini (26), Tasca (29), Pastore (34).

Quello che voglio dire è che, a dar retta ai richiami al nuovo e al giovanilismo, questi giovinotti italici sono già abbondantemente âgés, senza aver combinato alcunché degno di nota. Fra cinquant'anni, difficilmente qualcuno li ricorderà ancora.

Mi è capitato, tempo fa, di discutere, qui a Mosca, con una ex compagna di università di mia moglie, nemmeno trentenne. Parlava per frasi fatte, una di queste era "il passato non esiste, conta solo il presente". Le risposi anch'io con una massima, l'unica che potesse comprendere: chi non ha passato, non ha futuro.