di Dino Bernardini
L’“Osteria del comunista”
Come ho già raccontato in una precedente puntata di questi miei “Scampoli di memoria” (Slavia, 2009, N°2), il 4 giugno del 1944 i tedeschi si erano appena ritirati da Roma quando vidi il primo carro armato americano arrivare davanti alle Mura Aureliane e fermarsi al centro del piazzale Appio. Forse l’equipaggio stava semplicemente eseguendo un ordine ricevuto, о forse il comandante si era fermato perché la larghezza di Porta San Giovanni non permetteva al suo carro di passare. О forse, chissà, aspettava nuovi ordini.
Nel frattempo, mentre i cittadini romani cominciavano a riversarsi sulle strade e sulle piazze, dapprima timidamente, poi sempre più numerosi, Angelino Bernardini, mio padre, da qualche mese al sicuro dentro il perimetro extra-territoriale della basilica di San Giovanni, dove aveva trovato rifugio dopo le torture subite dalla famigerata banda Koch, notò che il cancello sul lato del Battistero, di fronte all’obelisco egizio di Piazza San Giovanni in Laterano, che consentiva l’uscita dal territorio vaticano, era rimasto incustodito. О meglio, notò che sul lato interno c’era ancora una delle “guardie del Papa” che da mesi vigilavano l’accesso al territorio vaticano, ma che sul lato esterno non c’era più la sentinella tedesca. Capì che le voci sull’arrivo degli anglo-americani dovevano essere vere, uscì dal territorio vaticano e si diresse a piedi verso casa nostra, che distava qualche centinaio di metri.
Il giorno dopo, la nostra trattoria in Largo Brindisi 5A-6, anch’essa situata a poche centinaia di metri dalla basilica di San Giovanni, era di nuovo aperta e funzionante. Da quel momento, fino alla morte di mio padre avvenuta nel gennaio 1960, la trattoria fu conosciuta nel quartiere come l’“Osteria del comunista”. All’interno, sulla parete di sinistra, fino al 1954 troneggiarono due ritratti, quelli di Palmiro Togliatti e di Iosif Stalin. Si può immaginare la sorpresa degli avventori che vi entravano per la prima volta.
Nelle due brevi lettere che seguono, scritte rispettivamente dall’amico Osvaldo Sanguigni, mio compagno di studi negli anni Cinquanta del secolo scorso all’università Lomonosov di Mosca, e da Edoardo D’Onofrio, all’epoca dirigente tra i più amati dai comunisti romani, si parla di una visita di Togliatti alla trattoria di mio padre. A questo proposito, ritengo utile fornire al lettore qualche spiegazione.
In quegli anni frequentavano la nostra trattoria molti dirigenti del PCI. Io ero ancora un ragazzo, ma ricordo di aver conosciuto allora Edoardo D’Onofrio, Paolo Bufalini, Aldo Natoli e quasi tutti i dirigenti e funzionari della Federazione comunista romana e della Direzione di via Botteghe Oscure, oltre a numerosi dirigenti e parlamentari di altre città, che spesso, quando venivano a Roma per qualche riunione di partito, facevano una visita all’“Osteria del comunista” per pranzare о cenare. Dunque, molti dirigenti del PCI frequentavano la nostra trattoria, ma non – con grande cruccio di mio padre, – Palmiro Togliatti, il “Principale” della lettera di D’Onofrio. Come si vede, anche in quell’occasione, D’Onofrio, sia pure in forma ironica, ricorre al linguaggio della segretezza, della vecchia “vigilanza rivoluzionaria” del periodo della clandestinità: riferendosi appunto a Togliatti, non ne fa il nome, ma lo chiama “il Principale”. Come si evince dalla lettera, per ben due volte D’Onofrio riuscì a trascinare Togliatti nella trattoria dell’amico Angelino, senza però avvertirlo, e tutte e due le volte Angelino era assente, occupato in qualche riunione (era il segretario della locale sezione Appio-Latino-Metronio del PCI).
Il lettore però potrebbe chiedersi perché mai Togliatti, nella lettera, parli di un quadro di Gramsci. Ebbene, il messaggio di D’Onofrio a mio padre è datato 27 febbraio 1954. Stalin era morto il 5 marzo del 1953 e Chruščëv avrebbe tenuto il suo esplosivo rapporto al XX congresso del PCUS nel 1956, dando così inizio alla destalinizzazione. Suppongo che anche in quegli anni Togliatti avesse le sue “antenne” all’interno del PCUS (ho avuto occasione di sentirlo parlare in un ottimo russo) e fosse informato di quel che si stava preparando a Mosca. E fosse anche consapevole del disagio, per non dire altro, che una eventuale destalinizzazione nell’URSS avrebbe provocato tra i comunisti italiani, ancora in gran parte legati al mito dell’URSS e di Stalin. A Roma c’era una frase che ricorreva spesso sulla bocca dei militanti del PCI e di chiunque subisse un torto, un’ingiustizia: “Ha da venì Baffone!”. Traducendo dal romanesco, si intendeva dire: “Dovrà pur venire, prima о poi, il Baffone (cioè Stalin)!”. Ed era sottinteso che “allora faremo i conti!”.
L’atto di accusa di Chruščëv contro Stalin sarebbe arrivato soltanto nel 1956, ma Togliatti aveva probabilmente intuito sin dal marzo 1953 che il mito di Stalin aveva i giorni contati. Bisognava quindi cominciare a preparare il PCI, nel modo più soft possibile, al terremoto della destalinizzazione. Così, pensando alla situazione imbarazzante in cui si sarebbe potuto ritrovare di lì a poco il suo amico Angelino a causa del ritratto di Stalin, D’Onofrio lo aveva convinto, non senza fatica, dell’opportunità “politica” di togliere il ritratto di Stalin. Fu commissionato un grande ritratto ad olio di Antonio Gramsci, che mio padre aveva conosciuto personalmente negli anni del confino, e lo si sostituì ai due quadri con le fotografie di Togliatti e di Stalin. Il ritratto, come si può leggere nella lettera, non era piaciuto né a D’Onofrio né a Togliatti. E, aggiungo io, a nessuno. Con l’eccezione di Angelino. Il quale, in occasione dell’inaugurazione del quadro, offrì una grande cena a tutti i presenti, tra i quali molti dirigenti del PCI.
Infine, una spiegazione sui nomi di cui parla D’Onofrio nel suo messaggio. Nadia era sua moglie e Gino il suo autista. Nadia era stata una dirigente della gioventù bulgara e ricordo che il suo rapporto con la mia famiglia era di grande e affettuosa amicizia. Nazzarena era mia madre.
Ed ecco le due lettere, la prima di Osvaldo Sanguigni, la seconda di Edoardo D’Onofrio.
* * *
Caro Direttore,
rovistando nel mio modesto archivio personale ho trovato, in una cartella, la fotocopia di una lettera scritta da mio zio, Edoardo D’Onofrio, col tono confidenziale e al tempo stesso leggermente ironico che gli era proprio. La lettera, di cui l’originale о si è perso о si trova nell’archivio storico della Fondazione Gramsci, alla quale fu a suo tempo consegnato l’archivio di “Edo”, è indirizzata ad Angelino Bernardini, tuo padre, e si riferisce a un episodio curioso. Per ben due volte “Edo” e Togliatti andarono a pranzare nella trattoria che tuo padre conduceva a Roma nel quartiere San Giovanni, senza trovarlo in sede, con loro grande “delusione”. Nella lettera, la persona indicata come “il Principale” è Palmiro Togliatti, col quale “Edo”, allora, manteneva stretti rapporti di amicizia, nati durante la lotta al fascismo in Italia e in Spagna e consolidatisi a Mosca nel periodo 1939-1945, quando entrambi erano rifugiati politici, e negli anni successivi in Italia. Sarebbe bello che la lettera comparisse su Slavia, dopo la nota pubblicata nel numero 4-2013, che ricordava il 40° anniversario della scomparsa di Edoardo D’Onofrio, il quale evidentemente intratteneva con tuo padre rapporti di amicizia autentica, temprata dal comune destino di perseguitati antifascisti e di comunisti italiani.
Ti ringrazio.
Osvaldo Sanguigni
Roma, agosto 2013.
* * *
Lettera di Edoardo D’Onofrio
Caro Angelino,
siamo venuti per la seconda volta e per la seconda volta non ti abbiamo trovato. E’ proprio vero che non vuoi più fare l’oste e scarichi tutto il peso dell’osteria sulla sòra Nazzarena. Sei un bel tipo! Come si fa ad essere assenti quando viene nella tua osteria il nostro Principale dopo mesi e mesi di attesa? Si vede che non hai più la pazienza certosina del bolscevico genzanese e che perciò annaffi il vino con l’acqua e lasci tua moglie a sostenere il peso dell’osteria e le proteste degli avventori.
Nadia, Gino, io e il Principale abbiamo deciso di non venire più alla tua osteria perché è ormai certo che tu non ci sei più, per abbandono di posto.
Il Principale dice che il vino tuo (quello rosso) è buono, ma che l’artista che ha voluto ritrarre Gramsci non l’ha azzeccata. Proprio quello che ti ho sempre detto io. Sei, quindi, mezzo salvato per il vino. Nazzarena non ci ha voluto fare il conto. Ragion per cui lasciamo ... er bollo!
27-2-54
Edo
[Le puntate precedenti sono state pubblicate in Slavia 2005, N°3; 2006, N°N°2, 3 e 4; 2007, N°N°1 e 3; 2008, N°N°1, 2 e 4; 2009, N°1]; 2010, N°N°2 e 3]; 2011, N°2]
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