mercoledì 27 aprile 2005

La parabola

Lungi dal parlarvi delle innumerevoli parabole cristiane, a cui sono sinceramente, fieramente indifferente. E non mi riferisco nemmeno a y=ax²+bx+c. Dopo tanti anni, oggi mi sono finalmente deciso a mettere la parabola televisiva qui a Mosca. Sarà utile per praticare il verbo italico a mia moglie, ma soprattutto sarà essenziale affinché mia figlia, nata all'estero e destinata a crescervi grazie all'accanimento berlusconiano, nonché alla pusillanimeria della sinistra, personalmente nei miei confronti, nel 2001, quattro anni fa, non perda il suo 25% italiano.

Francamente, ne avrei fatto volentieri a meno. Non ho bisogno di vedere nuovamente Mediaset e la sua brutta copia RAI, con i soliti spot più meno subliminali di pannolini, assorbenti, detersivi, gazzose yankee, merendine, yogurt dimagranti, acque diuretiche, creme e cremine, supermercati onnifamiliari, polizze, i commenti d'ogni ragazzotto investito di televisionite che ritiene d'essere il miglior commissario tecnico come peraltro ogni avvinazzato del bar sport, le risate costruite di sottofondo ad ogni trasmissione in cui se non si sorride si è dei tristi comunisti, e poi i preti e i baciapile, naturalmente pagati con i soldi dei contribuenti, quanto tornate a casa tate ceffone a fostri pampini, e poi ancora schiume da barba, emollienti da barba, dopobarba, gel per barba, lamette da barba, lozioni da barba (cristo, ma la barba cresce così tanto a tutti, non solo a me?!), dentifrici, dentifroci, gomme americane che sono meglio dei dentifrici, spazzolini che sono meglio delle gomme americane, automobili, automoto, motorola, motoauto, motorette, mototutto, caffè, caffè deccafeinato, sciampo, balsamo, emolliente, e le ficzion, e le previsioni del tempo, ché quando ci sono un paio di gradi soprazero siamo al gelo siberiano e se si superano i trenta è il Sahara che avanza, la mamma che è sempre la mamma e che uccide il bambino, il bambino che uccide la mamma, il padre che va a puttane e la puttana ammazzata dal padre...

Che noia. Tant'è, questa è la lingua, questo è il Paese, questo è il popolino. Però mi sto guardando in diretta le dichiarazioni di voto e le votazioni del Berlusconi ter sul canale della Camera dei Deputati. Direte voi che forse son meglio le merendine. Mica tanto: la Camera, per ora, non trasmette ancora la pubblicità. Va beh, mia figlia non guarderà Follini, Casini, La Russa, Bondi e Mastella. Chissà quali altri fenomenali farabutti ci saranno quando crescerà.

Usando una paragone derivantemi dai miei studi matematici di vent'anni fa, speriamo che la parabola non si trasformi in iperbole.

martedì 29 marzo 2005

Kirgizia 2

L’altro giorno la televisione russa mostrava uno dei leader dell’opposizione kirgiza manifestare la propria amarezza perché la rivoluzione dei tulipani è già morta, speravano di cambiare il Paese ed invece ai vertici sono andati gli stessi uomini del potere riciclati. Tutto il servizio durava poche decine di secondi ed era palesemente preso dai circuiti televisivi internazionali. Non risulta che sia stato trasmesso dalla televisione italiana o da Euronews.

Il signore in questione si chiama Nikolaj Ivanovič Bajlo ed è il capo del Partito dei Comunisti del Kyrgyzstan, da non confondersi col Partito Comunista del Kyrgyzstan (anche in Kirgizia i comunisti sono piuttosto litigiosi). Stupisce che ciò non sia stato specificato.

Bajlo ha ragioni da vendere: Kurmanbek Salievič Bakiev, proclamato capo del governo e facente funzioni del Presidente della Repubblica, è stato capo del governo con Akaev dal 21 dicembre 2000 al 22 maggio 2002. Esattamente come Juščenko con Kučma e Saakašvili con Ševardnadze. Peccato che entrambi i Partiti Comunisti Kirgizi si siano accodati abbondantemente ai fomentatori dei disordini della scorsa settimana.

Chi semina vento, raccoglie tempesta. Bajlo in particolare era portavoce a tutti gli effetti, assieme agli altri Partiti di opposizione, alla assemblea che fu tenuta presso la sede di Biškek dell’OSCE/ODIHR con gli osservatori internazionali il 26 febbraio 2005, ovvero il giorno prima del primo turno delle elezioni parlamentari kirgize.

Traduciamo quindi dal politichese: la partecipazione dei comunisti locali ai disordini era motivata dal malcontento del non essere tenuti in debita considerazione da Akaev e dalla speranza di una maggiore considerazione in caso di vittoria – avvenuta – dell’opposizione (peraltro organizzata a tavolino nello spazio d’un mattino). E siccome Akaev ha perso e l’ex opposizione sta esautorando i comunisti dal novero degli oppositori, per paura di non essere gradita all’Occidente, ecco i comunisti kirgizi prendere in mano la bandiera di oppositori all’ex opposizione.

Quanta confusione sotto il cielo della via della seta. Eppure, esiste una definizione tanto elementare quanto antica per definire l’accaduto ed il presente: si chiama spartizione delle poltrone.

giovedì 24 marzo 2005

Kirgizia 1

Conosco la Kirgizia, per averci lavorato svariati mesi in epoca sovietica (1987). Poi due anni fa, col Parlamento Europeo, quando ho visitato anche altri tre Stati che conoscevo in epoca sovietica: il Kazachstan, l'Uzbekistan ed il Tadžikistan. Infine, sono stato in Kirgizia giusto tre settimane fa, sempre col Parlamento Europeo, come interprete con status di osservatore OSCE/ODIHR al primo turno delle elezioni parlamentari.

Tutto questo giusto per la cognizione di causa.

La Kirgizia faceva parte della via della seta di Marco Polo. Non posso garantire per le altre località del Paese, né per la precedente campagna elettorale nell'insieme del Paese, ma posso assicurare, avendo fatto incursioni random in una decina di seggi, che nella capitale Biškek e nella sua provincia pedemontana, checché ne abbia detto l'OSCE, le elezioni sono passate in modo del tutto democratico e senza brogli. Sicuramente, in modo ben più trasparente che in Iraq, in Afghanistan ed in Florida. Di parere diverso, evidentemente, è la Reuters, nota agenzia di burattini imperialisti, che, anziché informare, ritiene di essere dispensatrice di assiomi di democrazia: "Akayev, che sta affrontando violente proteste nel sud del paese per presunti brogli elettorali, ha provocatoriamente sostenuto oggi che il voto è stato legittimo". Provocatoriamente? Non è forse uno schierarsi, questo, da parte della Reuters?

Ha ragione Akaev a non aver rinnovato l'offerta di negoziazioni. Ha ragione da vendere: Oš e Džalal-Abad non sono in mano all'opposizione, come si va affermando in Occidente, ma a bande di criminalità organizzata, che l'opposizione stessa non sa come e non è in grado di fronteggiare. Provate a guardare le cartine di cui pocanzi vi ho riportato i link: il Paese ha la conformazione di un'orma di mulo, nella cui parte interna si va incuneando la parte orientale dell'Uzbekistan. L'insieme si chiama Valle di Ferganà, e dall'ultima cartina noterete che si tratta della più rigogliosa, forse l'unica, regione di questa parte del mondo, stretta da montagne ed aree desertiche. Oš e Džalal-Abad sono esattamente dentro tale cuneo, ed è significativo verificare come le diverse mappe non concordino nel tracciare i confini tra i due Stati. Vi invito anche a fare mente locale sui filmati riportati dalle troupes televisive occidentali: i più attenti avranno notato un copricapo piuttosto alto di colore bianco, molto diffuso. E' il tipico copricapo kirgizo. Quelli ancor più attenti avranno però notato, quando si trattava di Oš e Džalal-Abad, che prevaleva un copricapo basso con base quadrata e punta piramidale. E' la tjubetejka uzbeka. Chi sta innescando tutto questo forse ancora non si è reso conto che rischia di provocare uno scontro interetnico in una regione delicatissima, che dista dall'Afghanistan più o meno quanto Roma da Firenze. Non siamo né in Ucraina, né in Georgia, qui la rivoluzione non sarebbe né degli aranci, né delle rose, ma, al limite, delle pietre e delle piccozze.

Akaev è un intellettuale e continua ad essere il Presidente più democratico di tutti gli Stati asiatici postsovietici. Un presidente particolarmente pragmatico, che, facendo di necessità virtù, ha salvato il proprio Paese dalla variante Far West, quando, nel 1999, per porre fine alle incursioni di bande organizzate di rapinatori, ha invitato in casa russi ed americani. Letteralmente. L'aeroporto di Biškek è suddiviso in una parte militare ed una civile. Quella militare è piena di caccia statunitensi, a ridosso della base, che ho visitato sempre due anni fa: qualche decina di olandesi, altrettanti tedeschi e francesi, e circa trecento yankees. Veniva usata come scalo per i bombardamenti in Afghanistan. Ci sono, però, anche i russi, per la precisione nel lago di Issyk-Kul' (1.600 m sul livello del mare, una superficie di oltre 6.000 kmq - rispetto ai 370 kmq del più grande lago italiano, quello di Garda - ed un perimetro costiero di poco meno di 700 km, quasi un Napoli-Milano) con una base di armamenti sperimentali antisommergibile, e con una base area nella città di Kant, a venti chilometri dalla capitale Biškek.

Qualora il tentativo - manovrato da potenze straniere, ha ragione Akaev! - di giocare la carta ucraina e georgiana andasse in porto, provate un po' ad immaginare quale dei due eserciti rimarrebbe?

giovedì 23 dicembre 2004

Tutti in vacanza

Avete presente MSN, il messenger per chattare di Windows? Capita che vi dia la possibilità di abbonarvi a delle notiziole, tipo ANSA. E' così che mi è appena arrivata questa chicca: per Natale, sono già in autostrada 35 milioni di automobili. Dunque: togliamo chi la macchina non ce l'ha. Togliamo i vecchi e i bambini. Togliamo il fatto che molte famiglie hanno più di un'auto in famiglia. Togliamo quelli che sono rimasti a casa, motorizzati o meno che siano. Tacci vostra, ma su 56 milioni di italiani, 35 milioni di automobili dove cazzo vanno?! Ma non c'era la crisi? Ve lo meritate, Berlusconi! E non ditemi che non ve lo meritate voi! Trentacinque milioni! Sparategli alle gomme!

martedì 23 novembre 2004

Beslan

Ricordate quando, agli inizi di settembre, vi dicevo che qui siamo in guerra, all'indomani dei due aerei esplosi, della fermata della metropolitana Rižskaja e della mattanza dei bambini di Beslan? Sul sito dei servizi di sicurezza russi, sulla prima pagina, c'è un elenco di links, la cui traduzione penso possa rendervi il senso di quanto affermo. E' giusto uno spaccato.

COME COMPORTARSI IN CASO DI RAPIMENTO E SE SI DIVENTA OSTAGGIO DEI TERRORISTI

Consigli dei funzionari del Centro speciale dell'FSB nell'ambito dell'incontro con gli studenti e gli insegnanti della scuola "Retro" della Circoscrizione orientale di Mosca il 15 ottobre 2004.

Se disponete di qualunque informazione su attentati commessi o in preparazione, vi preghiamo di rivolgervi all'FSB chiamando il numero +7/095/9144369 (24 ore su 24) o di spedire un email all'indirizzo fsb@fsb.ru.

Nei giorni della tragedia, all'FSB sono giunte moltissime telefonate ed email da parte di connazionali e stranieri. I messaggi contenevano condoglianze alle famiglie degli agenti morti, proposte di collaborazione nelle indagini ed una serie di informazioni operative importantissime.

L'FSB ringrazia tutti coloro che non sono rimasti indifferenti alla tragedia ed alla disgrazia che ha colpito il nostro popolo e confida che non cessi anche in futuro il sostegno attivo di tutti i connazionali e di tutte le persone di buona volontà per risolvere e prevenire possibili attentati.

08.09.2004

L'FSB PAGHERA' FINO A 300 MILIONI DI RUBLI PER INFORMAZIONI CHE POSSANO NEUTRALIZZARE I CAPI DELLE BANDE

05.11.2004

FERITI QUATTRO POLIZIOTTI DURANTE L'ARRESTO DI ALCUNI TERRORISTI IN INGUSCEZIA

05.11.2004

UCCISI DUE MERCENARI STRANIERI ALLA PERIFERIA DI GROZNYJ

04.11.2004

ARRESTATA SULL'ALTAJ CITTADINA DEL KAZACHSTAN CHE TENTAVA DI TRASPORTARE DROGA IN UN GIOCATTOLO

04.11.2004

NELLA REGIONE DI ČELJABINSK SEQUESTRATA PIU' DI MEZZA TONNELLATA DI MARIJUANA

04.11.2004

ARRESTATI INTRUSI SUL CONFINE TRA DAGESTAN ED AZERBAJDŽAN

04.11.2004

UNO DEI TERRORISTI ARRESTATI IN CECENIA E' RISULTATO ESSERE CITTADINO GEORGIANO

04.11.2004

FERMATI VARI TERRORISTI IN CECENIA NELLE ULTIME 24 ORE

venerdì 1 agosto 2003

Una giornata in ospedale a Mosca

di Mark Bernardini

Come alcuni sanno, ho passato una settimana in ospedale a causa di una macchia nera (fascista?) davanti all'occhio destro (ettepareva). La clinica Fëdorov è famosa fin dagli anni '70 e '80: per primi nel mondo, iniziarono ad operare col laser sulla cataratta e sulla miopia. In quegli anni, erano dislocati all´ultimo piano dell´hôtel Kosmos. Ricordo le folle di anziani stranieri, organizzati in gruppi turistici, che giravano in ascensore con gli occhi bendati: due-tre giorni dopo erano già ad ammirare il Cremlino. Mai avrei immaginato di trovarmici io. No, non al Cremlino.

Dunque, eccomi per la prima volta in vita mia ricoverato in ospedale. Il tempo assume una dimensione ed una durata diverse. 7:30, sveglia. 8:00, gocce. 8:30, colazione. 10:00, iniezione nell'occhio, dolorosissima, e due iniezioni nei glutei. 12:00, flebo. 12:30, pranzo. 16:00, gocce. 17:30, cena. 18:00-22:00, televisione. E così ogni giorno. Dopo due giorni ti sembra di essere qui da due mesi.

Alle 18:00 c'è il notiziario, poi le donne vogliono vedere le soap-opera. Maledette, sono arrivate anche qui. Alle 21:00, altro notiziario, poi sono gli uomini a voler vedere l'hockey su ghiaccio.

L'età media supera i 75, infatti per lo più sono veterani di guerra. Neanche a farlo apposta, nella mia degenza c'era anche il 9 maggio, giorno della bandiera rossa sul Reichstag. Il giorno della vittoria qui è molto più del 25 aprile in Italia. Non è la vittoria su un popolo, quello tedesco, ma su un invasore cacciato; una liberazione, sì, ma non solo di se stessi, bensì del mondo dal cancro nazifascista.

In televisione, l'8 maggio sera (la resa incondizionata venne firmata proprio quel giorno) hanno trasmesso il concerto dedicato a quanti ce l'hanno fatta ed a quanti non sono più tornati. I vecchi, di solito, son chiacchieroni, commentano tutto. Invece, un silenzio irreale, teso, mentre echeggiavano le note della canzone che accompagnò i primi diciottenni dalla Piazza Rossa direttamente alla periferia. Non tornò quasi nessuno. Chi è stato a Mosca, ha visto senz'altro il monumento dove sono arrivati i carri armati nazisti, lungo la strada dall'aeroporto. Insorgi, popolo, per la battaglia mortale. Che la nobile fiamma dell´ira popolare copra tutto come un'onda. E' guerra di popolo, è una guerra sacra.

Intanto, fin dal risveglio, tutti sorridenti a farsi gli auguri. E, finalmente, non signori, ma compagni. A colazione, in più un panino col caviale rosso. Un veterano, uscito l'altroieri, pregustava i cento grammi di vodka "per il fronte" che avrebbe bevuto al parco Alessandrino, lungo le mura del Cremlino, assieme agli altri scampati ed a Putin, come da tradizione.

E così, eccoci, il 9 maggio mattina, con gli altri cinque uomini della mia camerata, a studiare un piano di guerra per mandare di soppiatto uno di noi, in pantofole, con qualche sotterfugio, a comprare un po' di vodka al baracchino di fronte all'ospedale. Che festa è, altrimenti? Abbiamo mandato un veterano sommergibilista, 81 anni, mentre io distraevo il guardiano con discorsi sul tempo e sulle feste passate in ospedale.

E' incredibile, mentre eravamo seduti di nascosto in camerata a bere e parlare (conditio sine qua non), quanto ben di dio mangereccio sia uscito fuori: pane, salame, mandarini, formaggio, biscotti, persino quarti di pollo. I parenti non si rendono conto che qui siamo malati, ci muoviamo poco e consumiamo ancor meno. Come segno d'attenzione, basterebbero arance e sigarette, ma ricorderebbe altri contesti.

[Pubblicato parzialmente in “Slavia”, N°3, 2003, di Mark Bernardini]

domenica 23 giugno 2002

Nessuno muore sul serio

23 giugno 2002

Sono le dieci di sera passate da un pezzo, il sole infrange le rade nubi pregne ed illumina le cupole dorate della Elochovka, progettata da un architetto mio antenato. E’ il giorno più lungo dell’anno, e la notte più corta è già passata. Sto tornando dal teatro “Ekspromt” (“estemporaneo”).

Lungo il boulevard “Čistye prudy” i ragazzi a grappoli se ne stanno accovacciati sui prati a bere birra, suonare la chitarra e leggere poesie.

Poche ore prima, alla stazione Belorusskij, i veterani cantavano e danzavano i valzer della loro giovinezza. 61 anni fa, senza preavviso, i nazifascisti sfondarono le frontiere sovietiche ed avanzarono di centinaia di chilometri nell’entroterra, seminando morte e terrore. Da questa stazione, il giorno stesso i primi drappelli raffazzonati di volontari armati alla bell’e meglio partirono per il fronte. Non ne tornò quasi nessuno. Alla stessa stazione, invece, tornarono i primi vincitori. Proprio quelli che oggi danzavano, lenti, alle note rivoluzionarie delle orchestre a fiato.

Una decina di giorni fa, mia madre mi chiamò da Mosca a Bruxelles per dirmi che forse non avrei più rivisto mia nonna. Classe 1909, le ha passate tutte, ultima in famiglia della sua generazione.

A Ul’janovsk, negli anni ’70, prendevamo una barchetta a noleggio e sparivamo per tutta la giornata tra gli isolotti della Svijaga, un affluente del Volga. Fu così che imparai a remare. Un giorno mi prese da parte e mi chiese di punto in bianco se fumassi. Al mio diniego, rispose: “non mentire, ti ho trovato le sigarette nella giacca”. Ero in trappola. “Che vuoi che ti dica? Tanto, se te lo proibisco, fumerai di nascosto, giusto? Almeno, cerca di limitarti, altrimenti crescerai meno…”. Finì che prendemmo a rifugiarci assieme sul balcone, a fumare di nascosto da mio nonno.

Nel ’91, durante il golpe, l’ottantaduenne arzilla vecchietta raccolse un volantino appallottolato che invitava a resistere contro i golpisti. Trovò una copisteria e col suo piglio rivoluzionario e la grazia di una moglie russa di ebreo bolscevico, li convinse a fotocopiarlo gratis in qualche centinaio di copie. Poi andò per strada a fare volantinaggio.

Durante tutti questi anni, ad ogni mio viaggio dovevo portarle una stecca di sigarette ed una bottiglia di Amaretto di Saronno, come nipote prediletto. Due anni fa fu l’ultima volta che la vidi come suo solito. Ora non poteva più restare sola, non vedeva quasi più, cadeva, litigava con tutti.

Nel frattempo, avevo aperto il sito contro Berlusconi, scritto il libro, avevo perso quasi tutto il mio lavoro ed ero stato sfrattato dalla polizia.

L’estate successiva non ebbi quindi la possibilità di andare a trovare la mia famiglia, e mi mantenni cantando opera. Fu solo dopo l’emigrazione a Bruxelles che a Capodanno potei permettermelo. Naturalmente, le sigarette erano ormai ridotte ad un pacchetto, e mia madre cercava di non versare troppi bicchierini. Prima di ripartire, abbracciai mia nonna e le dissi che non la salutavo perché presto sarei tornato, per lavoro. Non ho mai amato i commiati. E poi, davvero contavo di tornare, per una fiera italiana.

Invece, ho mancato alla mia promessa. Appena pochi giorni prima, mia madre riuscì a regalarle un televisore nuovo ed un videoregistratore. Fu così che mia nonna vide per la prima volta una mia videocassetta, dove cantavo.

Rimase sorpresa, più che altro per l’effetto che le fece. “E’ come se l’avessi rivisto, ancora per una volta”, disse. Una settimana dopo non ci fu più. Ho cercato di arrivare in tempo, anche non avendo difficoltà burocratiche, grazie alle mie due cittadinanze, ma è morta il 16 giugno. Un altro 16 giugno segna la mia vita: quello del ’79, quando i fascisti gettarono due granate di cui porto qualche grazioso ricordo in corpo per la gioia dei costruttori dei metaldetectors degli aeroporti.

Erano quindici anni che non volavo di notte, da quando ero stato a Taškent, ancora sovietica. Fa un effetto strano, vedere l’alba in cielo. Quand’ero bambino, e l’aeroporto Šeremet’evo era uno solo, nell’atterrare e nel vedere già dall’alto la torre Ostankino, mai avrei immaginato che un giorno sarei atterrato con gli occhi umidi.

Persino alle cinque e mezzo del mattino, occorre districarsi tra le decine di tassisti abusivi che ti perseguitano. Uguali nei loro rituali, da Mosca a Roma, da Milano a Istanbul. Molto meglio un “taxi a percorso fisso”, una specie di miniautobus a 20 rubli (circa 70 centesimi di euro), fino al capolinea della metropolitana. Alle sette del mattino, bussavo alla porta di mia madre.

Ho rivisto mia nonna al funerale. La bara scoperta, il coprirla, portarla a spalle, trasportarla al forno crematorio, baciarla per un’ultima volta, coprirla per sempre e vederla scendere in basso. E’ tutto annebbiato, fatto in automatico. Infine, il pranzo di commiato in casa sua, con un bicchierino di vodka per lei, coperto da una fetta di pane nero, che resterà così per 40 giorni.

Due giorni dopo, il valzer della vittoria tra i veterani. Era anche per lei; perché dicono che le persone non muoiono sul serio, finché vive qualcuno che le ricordi.

martedì 1 febbraio 1994

Andropov: il gensek venuto dalla Lubjanka

di Roj Medvedev

Per gentile concessione dell’autore pubblichiamo qui l’introduzione del libro di Roj Medvedev “Gensek s Lubjanki” [Un Segretario Generale venuto dalla Lubjanka], edito nel 1993 a Mosca.

Roj Medvedev, uomo di grande rigore e onestà intellettuale, già comunista dissidente, espulso dal PCUS ai tempi di Brežnev e poi riammesso da Gorbačëv, autore di fondamentali saggi sullo stalinismo, tutti pubblicati in Italia, all'inizio degli anni '90 è stato il leader del “Partito socialista dei lavoratori” e rimane un punto di riferimento in Russia per molti democratici di ispirazione socialista (n.d.r.).

Gli storici ed i sovietologi occidentali hanno ormai quasi dimenticato Ju. V. Andropov, proclamato “uomo dell’anno” nell’ultimo numero della diffusissima rivista americana “Time” del 1983. Non pochi eminenti uomini politici del mondo ne sarebbero stati fieri. Brežnev non ebbe un simile onore dai mezzi occidentali di informazione di massa in tutti i diciotto anni che fu al potere.

Di fatto, fino al 1982 nessuno sapeva nulla di Andropov né come uomo, né come politico. Ciò era dovuto alla chiusura generale della società sovietica, ed in particolare alla riservatezza sulla vita dei suoi vertici, ma anche al fatto che per oltre quindici anni Andropov era stato il capo della polizia segreta sovietica e aveva preferito rimanere nell’ombra. Nella maggior parte dei casi i suoi viaggi, sia nel Paese che all’estero, avvenivano segretamente. Tuttavia, non era un mistero per nessuno che il ruolo e l’influenza del KGB sulla vita dell’Unione Sovietica e sulla sua politica interna ed estera erano cresciuti incessantemente nel corso di quel quindicennio durante il quale tale comitato fu diretto da Andropov. Proprio queste circostanze divennero la causa principale dell’enorme interesse per questo personaggio quando la televisione e la radio informarono il mondo che Ju. V. Andropov era stato eletto nuovo leader del PCUS.

La stampa internazionale commentò in tutti i modi questo avvenimento e captò ogni piccola notizia riguardante il nuovo dirigente sovietico. Se le prime biografie di L. I. Brežnev furono pubblicate nella RFT e negli USA solo nel 1973 e 1974, ovvero quasi dieci anni dopo il suo arrivo al potere, già nel 1983 in Occidente comparvero oltre dieci biografie di Ju. V. Andropov, e nel 1984 vennero pubblicati vari altri libri nei Paesi occidentali. E’ difficile definire vere biografie politiche tutte queste opere, poiché in esse un’esposizione più o meno particolareggiata dei fatti della realtà e della storia sovietica si combinava con informazioni casuali, spesso addirittura imprecise circa il nuovo leader sovietico. Qua e là i fatti venivano sostituiti con gialli deliberatamente inventati. Probabilmente il miglior libro su Andropov è l’opera dei giornalisti inglesi J. Steele ed Eric Abraham (Steele J., Abraham E.: Andropov in Power. Oxford, 1983) “Andropov al potere”. Anche mio fratello Žores è stato autore di una sua biografia, ed anche questo libro risaltava sullo sfondo generale degli “andropovologi” (Medvedev Ž.: Andropov. Oxford, 1983).

Nello spiegare i motivi del suo interesse per la personalità di Andropov, Žores ha scritto nella sua prefazione: “Un cambio della direzione in Unione Sovietica è una tale rarità che sotto un certo aspetto è simile ad una rivoluzione, Brežnev ha occupato il suo posto per 18 anni. In questo periodo ha avuto a che fare con cinque presidenti americani e sei primi ministri britannici. Questi tempi estremamente lunghi di governo fanno sì che l’incarico di capo dell’Unione Sovietica sia importantissimo nel mondo. E’ possibile che gli USA siano più forti come Paese e Stato sotto il profilo economico e militare, ma i presidenti americani possono realizzare determinati programmi solo in casi estremi. E’ inverosimile che rimangano al potere tanto tempo da seguire l’esecuzione di grandi programmi dall’inizio alla fine. In URSS al contrario i dirigenti non sono legati da limitazioni temporali nella loro permanenza in carica, essi non sono contrastati da alcun Congresso, per non parlare dell’opinione pubblica. Si tratta di una tale pienezza del potere in una sola persona che qualunque cambiamento nella direzione sovietica diventa un avvenimento di portata internazionale. L’ultimo cambiamento del genere ha avuto luogo il 12 novembre 1982, quando è morto Leonid Brežnev. La morte di Brežnev in quanto tale non è stata affatto improvvisa. Piuttosto, non ci si aspettava che il successore di Brežnev alla carica di Segretario generale del PCUS diventasse Jurij Vladimirovič Andropov, ex Presidente del KGB e palesemente persona di tempra non brežneviana. Il fatto che non fosse il favorito di Brežnev si era manifestato specialmente negli ultimi cinque anni. In questo libro cercherò di mostrare i motivi per i quali tali mutamenti hanno avuto luogo ugualmente, e di formulare alcune deduzioni relativamente a quel che deve attendersi il mondo dalla nuova direzione sovietica…

“E’ difficile per un ex dissidente e cittadino sovietico scrivere a proposito dell’ex capo del KGB. Ho cercato, per quanto mi era possibile, di mantenere il libro in uno spirito pratico e sfogare solo in minima parte i miei sentimenti personali” (Medvedev Ž.: Andropov. p. 3).

Devo dire che il mio interesse personale verso Andropov come politico e come persona è sorto già all’inizio degli anni ‘60, quando era segretario del CC del PCUS per le questioni internazionali. Alcuni miei buoni conoscenti ed amici degli anni di studio lavoravano nell’apparato delle due sezioni esteri del CC, e mi hanno aiutato molto nel raccogliere i materiali per il libro su Stalin e lo stalinismo. In particolare, ho potuto leggere alcuni libri occidentali su Stalin e la sua epoca, che erano stati tradotti in russo e pubblicati in tirature limitate esclusivamente per i “funzionari responsabili”, nonostante che in Occidente spesso si trattasse di best-sellers politici noti a qualunque sovietologo. I miei amici sovente parlavano con molto rispetto di Andropov, che, a detta loro, per erudizione, intelletto e stile di lavoro non somigliava affatto agli altri segretari del CC, quali ad esempio B. N. Ponomarëv o L. F. Il’ičëv, dei quali peraltro si parlava con manifesta sufficienza, non solo nell’apparato del CC, ma anche in ambienti a me noti dell’intelligencija letteraria.

Personalmente ho incontrato allora Andropov una volta sola, e fu un incontro troppo fugace perché potessi farmene un’opinione chiara, Tuttavia, per me era importante la ragione di tale incontro: Andropov chiese di mostrargli il manoscritto del mio libro “Al giudizio della storia”, allora ben lontano dall’essere terminato. Successivamente, dopo aver espresso soddisfazione attraverso il suo consulente G. Ch. Šachnazarov, Jurij Vladimirovič mi chiese il permesso di lasciare nel suo archivio il manoscritto che aveva letto. Medesima richiesta, ma tramite un intermediario a me sconosciuto della Casa editrice di letteratura politica, mi era stata fatta anche da L. F. Il’ičëv. Ma solo nell’autunno del 1965, quando Il’ičëv ormai lavorava al Ministero degli Esteri, un corriere speciale mi riportò il manoscritto con il bollo “CC del PCUS”, senza alcun giudizio.

Dai racconti dei funzionari della sezione esteri si poteva dedurre che Andropov fosse una persona pienamente assorta nella politica. La politica era la sua passione principale ed Aleksandr Bovin, suo amico di lunga data, lo chiamava per scherzo “homo politicus”. Da tutto quel che avevo sentito già allora su di lui, era evidente che pensava non solo ad una grande carriera politica, e che non era un semplice funzionario politico, bensì una persona di determinate opinioni, e per di più chiaramente insoddisfatta della situazione che si era creata nel Paese negli ultimi anni dell’“epoca Chruščëv” e nei primi anni dopo la destituzione di Chruščëv.

Ma Andropov era allo stesso tempo estremamente prudente, ed esprimeva la propria opinione solo in un ambito ristrettissimo, e probabilmente anche in quel caso non proprio schiettamente. Godeva della reputazione di persona onesta, che non temeva di dire la verità, nonostante che né ai tempi di Chruščëv, né a quelli di Brežnev fossero molte le sue proposte a cui venisse prestato ascolto attentamente.

Andropov non era uno stalinista, ma come politico e come persona non gli riuscì mai di liberarsi da molti suoi tratti e dogmi, caratteristici per gli statisti di quell’epoca severa e terribile. Egli esigeva ordine, ma non era capace di grandi riforme all’interno del Partito e nella società sovietica. Andropov era un sincero fautore del marxismo e del leninismo e non pose mai, né al Partito, né a se stesso, la questione di un profondo ripensamento degli insegnamenti sul socialismo o sul capitalismo.

Dopo che a metà degli anni ‘70 Brežnev subì la prima emorragia cerebrale ed il primo infarto, riuscendo ad uscire dallo stato di morte clinica, non senza danni per la sua salute e per il suo intelletto di per sé non troppo lucido, il tema della successione al potere in URSS era divenuto una costante negli organi di stampa occidentali e nelle previsioni dei sovietologi. In quegli anni tutti vedevano una crescente concentrazione del potere nelle mani della “squadra di Brežnev”, tutti vedevano le forme di culto sempre più mostruose ed importune, ma anche l’avvicinarsi della fine di quell’uomo. Non stupisce che nei colloqui e nelle interviste i diplomatici ed i corrispondenti occidentali mi chiedessero sempre più spesso: “Chi potrà mettersi alla testa del PCUS e dello Stato sovietico dopo la morte di Brežnev?”.

All’epoca, A. P. Kirilenko veniva considerato quasi successore ufficiale, ma erano in pochi a credere che potesse conservare il potere nelle sue mani, tenendo conto della lotta complessa e spesso spietata che nella nostra storia ha accompagnato di solito il cambio di leader del Partito e del Paese. Dalla fine degli anni ‘70 Brežnev iniziò a promuovere sempre più vicino ai vertici del potere K. U. Černenko, che divenne membro effettivo del Politbjuro e capo dell’enorme apparato di potere personale di Brežnev. Tuttavia, a me sembrava più probabile che successore di Brežnev potesse diventare proprio Ju. V. Andropov, che nascondeva scrupolosamente le proprie ambizioni politiche ed era estremamente leale nei confronti di Brežnev, ma ancor più scrupolosamente ed insistentemente si preparava alla lotta inevitabile per la direzione. Nelle mie previsioni mi basavo su alcuni semplici presupposti.

Sullo sfondo della direzione inetta, ignorante, debole politicamente e fisicamente, che abbiamo avuto a cavallo degli anni ‘70 ed ‘80, Andropov risaltava, o quantomeno appariva un politico eminente e capace. Mentre sotto gli occhi di tutto il Paese aveva luogo non solo un invecchiamento, ma una degenerazione morale dei vertici statali e di Partito, corrotti ed inerti, Andropov continuava ad essere a capo e a potenziare il Comitato per la Sicurezza di Stato [KGB], che diventò non solo uno strumento di potere sempre più forte, ma l’organizzazione meno contaminata dal virus della corruzione. Andropov non poteva non sapere del peggioramento della situazione nel Paese, per lui non erano un segreto neanche i difetti delle persone al potere. L’esercito era un’altra istituzione di potere la cui influenza continuò a crescere negli anni ‘70 e che era poco coinvolta nello sfacelo politico e morale. Il prestigio della direzione militare era molto alto, ma è proprio con Andropov che venne superato il conflitto esistente già ai tempi di Stalin, ovvero l’ostilità tra l’esercito ed il KGB. Sembrava poco probabile che l’esercito, nella persona del ministro della difesa D. F. Ustinov e della élite dei generali, nel caso di una crisi al potere potesse sostenere Černenko o Kirilenko. Alla fine degli anni ‘70 giunse alle medesime conclusioni anche mio fratello Žores, che dal 1973 viveva e lavorava a Londra ed analizzava attentamente gli avvenimenti che si succedevano in URSS. Egli illustrò ripetutamente nelle sue interviste le proprie supposizioni, ma pochi vi prestarono attenzione. La figura di Andropov come probabile leader dell’URSS non suscitava molto interesse presso i maggiori sovietologi occidentali, che ritenevano impossibile che in Unione Sovietica giungesse al potere il capo del KGB, al quale all’epoca essi riservavano appena il settimo o l’ottavo posto nella gerarchia sovietica del potere.

Tuttavia, nessuno in Occidente, e persino noi stessi non supponevamo che la permanenza di Brežnev al potere e l’agonia del suo regime sarebbero durate così a lungo, accompagnate da un approfondimento della crisi politica ed economica del Paese. Come che sia, l’epilogo arrivò nel novembre del 1982, ed improvvisamente, per la maggioranza degli osservatori e dei politologi, venne eletto quale successore di Brežnev proprio Ju. V. Andropov. Poco più di un anno prima, negli USA era giunto al potere il nuovo presidente Ronald Reagan. Cosi, molti supposero che appunto Andropov e Reagan, in quanto leaders delle due superpotenze, avrebbero esercitato un’influenza decisiva sui processi politici mondiali degli anni ‘80. Naturalmente, tutti si erano subito preoccupati per la seguente questione: quali nuovi accenti porrà nella sua attività il nuovo leader sovietico? Sarebbe diventato un dirigente di tipo transitorio, o da lui sarebbe iniziata una nuova era di politica interna ed estera dell’URSS? Quali persone nuove avrebbe promosso ai vertici del potere? Quali caratteristiche avrebbero assunto le relazioni con il clan di Brežnev, ancora potente sotto tutti i punti di vista?

Ju. V. Andropov rimase al potere appena quindici mesi, e non abbiamo potuto avere riposta a molti quesiti, anche se le tendenze principali della sua politica si delinearono in maniera piuttosto chiara. Contrariamente alle previsioni, colui che fino a poco tempo prima era stato il capo del KGB, riuscì non solo a consolidare il proprio potere in poco tempo, ma a conquistarsi l’indubbio rispetto di una buona parte, se non della maggioranza, della popolazione del Paese. Né la stampa, né la propaganda cercarono di creare in quei quindici mesi il culto di Andropov. E ciò nonostante, la leggenda di Andropov, o leggenda su Andropov, si diffuse in tutti gli strati della popolazione, compresa l’intelligencija, crebbe molto rapidamente e continua ad esistere tuttora. Per questo la direzione di Andropov, a differenza per esempio dell’“anno di Černenko”, ha lasciato una solida traccia nella coscienza della maggioranza della gente sovietica.

E’ noto che la maggioranza dei cittadini dell’URSS accolse l’annuncio della morte di Brežnev con un’indifferenza che suscito sorpresa nei corrispondenti occidentali. Molti addirittura non tentarono nemmeno di nascondere un senso di sollievo. Non furono invece in molti a rallegrarsi della morte di Andropov, la maggioranza se ne dispiacque e provò persino inquietudine.

“Aveva appena iniziato a mettere un po’ d’ordine…”, “Voleva equità”. Simili parole le sentii nel febbraio 1984 in molti luoghi. Eppure, durante la permanenza di Andropov al potere di fatto sapevamo poco su di lui come uomo politico e come persona. Ancor meno se ne sapeva come presidente del KGB: i dirigenti della polizia segreta di qualsiasi Paese non tendono alla pubblicità e non possono contare su una particolare popolarità, tanto meno da noi. Ciò nonostante Andropov riuscì a conquistarsi in un periodo molto breve una certa popolarità ed a suscitare interesse nei confronti della sua persona; un interesse in crescita si registrò dal novembre 1982 al febbraio 1984. La fonte di tale popolarità fu indubbiamente quel netto contrasto tra la disgregazione e la dissoluzione degli ultimi anni dell’epoca brežneviana, la degradazione della persona stessa di Brežnev, e la personalità di Andropov, che riuscì in breve tempo ad iniziare a stabilire un ordine elementare nel Paese.

La gestione Andropov ha mostrato in maniera lampante che all’inizio degli anni ‘80 nella nostra società esistevano (ed ovviamente non sono scomparsi all’inizio degli anni ‘90) non solamente il desiderio e l’aspirazione alla democrazia, alla difesa dei diritti dell’uomo e della libertà, cosa che trovo riflesso nel movimento dei dissidenti, contro il quale sia Brežnev che Andropov condussero una lotta incessante.

Nella società, all’interno di una imponente parte della popolazione, esisteva una nostalgia altrettanto forte e sincera per la “mano forte”, un “leader forte”, un “padrone” che si fosse preoccupato del bene del popolo, e non del proprio benessere e dei privilegi del suo entourage, come invece faceva la direzione mafiosa brežneviana.

Proprio per questo una parte non indifferente dei cittadini salutò con sincerità ed interesse l’arrivo al potere di Andropov e le sue prime iniziative.

Oggi questa nostalgia di molte persone per l’ordine rigido e la “mano forte” è addirittura in parte cresciuta. Certo, gli anni impetuosi della perestrojka, la moltitudine di eventi contraddittori degli ultimi anni, le svolte ed i capovolgimenti che hanno decisamente cambiato il volto del nostro Paese e della nostra società, nonché la situazione in Europa ed in tutto il mondo, hanno attirato l’attenzione su altri leaders politici e su un’altra politica. Tuttavia, i successi non troppo evidenti della perestrojka ed i suoi insuccessi e fallimenti evidenti, il continuo peggioramento delle condizioni materiali della gente, la crescita della tensione e dell’instabilità nella società, l’insicurezza sia del proprio futuro che delle prospettive di sviluppo del Paese, i numerosi conflitti per motivi specifici ed etnici che spesso si trasformano in scontri armati, la crescita vertiginosa di tutte le forme ed i tipi di criminalità, tutto quel che la nostra gente ritiene non senza fondamento “disordine” in politica ed in economia, tutto ciò ha portato ad una crescita d’attenzione verso la persona e l’attività di Ju. V. Andropov.

Lo scopo del nostro libro consiste nel soddisfare almeno parzialmente questo interesse. Nel mio lavoro mi sono basato non solo su fonti letterarie, archivi, consigli e critiche di amici e colleghi. Sono riuscito ad utilizzare i consigli e le testimonianze di molte persone che conoscevano bene Andropov ed hanno lavorato per lunghi anni assieme a lui.

Ricorderò qui in tal senso gli ex collaboratori ed amici di Ju. V. Andropov: G. A. Arbatov, A. E. Bovin, G. Ch. Šachnazarov, F. M. Burlackij, A. I. Vol’skij, nonché gli ex membri del Politbjuro e della Segreteria del CC del PCUS: V. I. Vorotnikov, E. K. Ligačëv, V. M. Čebrikov, N. I. Ryžkov. Tra i militari citerò S. F. Achromeev. Un’opinione su Andropov mi è stata esposta dettagliatamente da persone così diverse come A. N. Jakovlev, il politico ungherese A. Hegedüs, l’ex Presidente del Soviet Supremo dell’URSS A. I. Luk’janov, il regista Ju. P. Ljubimov, l’ex presidente del KGB V. A. Krjučkov. Tuttavia mi rendo perfettamente conto che le mie opinioni non sono affatto inconfutabili, e le informazioni di cui dispongo non sono affatto sufficienti. Per questo sarò riconoscente per qualunque aggiunta ed osservazione.

[Da Roj Medvedev, Gensek s Lubjanki, Moskva, Leta, 1993, pp. 4-10. Traduzione di Mark Bernardini, "Slavia" N°1 1994, pp. 95-101]