martedì 23 novembre 2004

Beslan

Ricordate quando, agli inizi di settembre, vi dicevo che qui siamo in guerra, all'indomani dei due aerei esplosi, della fermata della metropolitana Rižskaja e della mattanza dei bambini di Beslan? Sul sito dei servizi di sicurezza russi, sulla prima pagina, c'è un elenco di links, la cui traduzione penso possa rendervi il senso di quanto affermo. E' giusto uno spaccato.

COME COMPORTARSI IN CASO DI RAPIMENTO E SE SI DIVENTA OSTAGGIO DEI TERRORISTI

Consigli dei funzionari del Centro speciale dell'FSB nell'ambito dell'incontro con gli studenti e gli insegnanti della scuola "Retro" della Circoscrizione orientale di Mosca il 15 ottobre 2004.

Se disponete di qualunque informazione su attentati commessi o in preparazione, vi preghiamo di rivolgervi all'FSB chiamando il numero +7/095/9144369 (24 ore su 24) o di spedire un email all'indirizzo fsb@fsb.ru.

Nei giorni della tragedia, all'FSB sono giunte moltissime telefonate ed email da parte di connazionali e stranieri. I messaggi contenevano condoglianze alle famiglie degli agenti morti, proposte di collaborazione nelle indagini ed una serie di informazioni operative importantissime.

L'FSB ringrazia tutti coloro che non sono rimasti indifferenti alla tragedia ed alla disgrazia che ha colpito il nostro popolo e confida che non cessi anche in futuro il sostegno attivo di tutti i connazionali e di tutte le persone di buona volontà per risolvere e prevenire possibili attentati.

08.09.2004

L'FSB PAGHERA' FINO A 300 MILIONI DI RUBLI PER INFORMAZIONI CHE POSSANO NEUTRALIZZARE I CAPI DELLE BANDE

05.11.2004

FERITI QUATTRO POLIZIOTTI DURANTE L'ARRESTO DI ALCUNI TERRORISTI IN INGUSCEZIA

05.11.2004

UCCISI DUE MERCENARI STRANIERI ALLA PERIFERIA DI GROZNYJ

04.11.2004

ARRESTATA SULL'ALTAJ CITTADINA DEL KAZACHSTAN CHE TENTAVA DI TRASPORTARE DROGA IN UN GIOCATTOLO

04.11.2004

NELLA REGIONE DI ČELJABINSK SEQUESTRATA PIU' DI MEZZA TONNELLATA DI MARIJUANA

04.11.2004

ARRESTATI INTRUSI SUL CONFINE TRA DAGESTAN ED AZERBAJDŽAN

04.11.2004

UNO DEI TERRORISTI ARRESTATI IN CECENIA E' RISULTATO ESSERE CITTADINO GEORGIANO

04.11.2004

FERMATI VARI TERRORISTI IN CECENIA NELLE ULTIME 24 ORE

venerdì 1 agosto 2003

Una giornata in ospedale a Mosca

di Mark Bernardini

Come alcuni sanno, ho passato una settimana in ospedale a causa di una macchia nera (fascista?) davanti all'occhio destro (ettepareva). La clinica Fëdorov è famosa fin dagli anni '70 e '80: per primi nel mondo, iniziarono ad operare col laser sulla cataratta e sulla miopia. In quegli anni, erano dislocati all´ultimo piano dell´hôtel Kosmos. Ricordo le folle di anziani stranieri, organizzati in gruppi turistici, che giravano in ascensore con gli occhi bendati: due-tre giorni dopo erano già ad ammirare il Cremlino. Mai avrei immaginato di trovarmici io. No, non al Cremlino.

Dunque, eccomi per la prima volta in vita mia ricoverato in ospedale. Il tempo assume una dimensione ed una durata diverse. 7:30, sveglia. 8:00, gocce. 8:30, colazione. 10:00, iniezione nell'occhio, dolorosissima, e due iniezioni nei glutei. 12:00, flebo. 12:30, pranzo. 16:00, gocce. 17:30, cena. 18:00-22:00, televisione. E così ogni giorno. Dopo due giorni ti sembra di essere qui da due mesi.

Alle 18:00 c'è il notiziario, poi le donne vogliono vedere le soap-opera. Maledette, sono arrivate anche qui. Alle 21:00, altro notiziario, poi sono gli uomini a voler vedere l'hockey su ghiaccio.

L'età media supera i 75, infatti per lo più sono veterani di guerra. Neanche a farlo apposta, nella mia degenza c'era anche il 9 maggio, giorno della bandiera rossa sul Reichstag. Il giorno della vittoria qui è molto più del 25 aprile in Italia. Non è la vittoria su un popolo, quello tedesco, ma su un invasore cacciato; una liberazione, sì, ma non solo di se stessi, bensì del mondo dal cancro nazifascista.

In televisione, l'8 maggio sera (la resa incondizionata venne firmata proprio quel giorno) hanno trasmesso il concerto dedicato a quanti ce l'hanno fatta ed a quanti non sono più tornati. I vecchi, di solito, son chiacchieroni, commentano tutto. Invece, un silenzio irreale, teso, mentre echeggiavano le note della canzone che accompagnò i primi diciottenni dalla Piazza Rossa direttamente alla periferia. Non tornò quasi nessuno. Chi è stato a Mosca, ha visto senz'altro il monumento dove sono arrivati i carri armati nazisti, lungo la strada dall'aeroporto. Insorgi, popolo, per la battaglia mortale. Che la nobile fiamma dell´ira popolare copra tutto come un'onda. E' guerra di popolo, è una guerra sacra.

Intanto, fin dal risveglio, tutti sorridenti a farsi gli auguri. E, finalmente, non signori, ma compagni. A colazione, in più un panino col caviale rosso. Un veterano, uscito l'altroieri, pregustava i cento grammi di vodka "per il fronte" che avrebbe bevuto al parco Alessandrino, lungo le mura del Cremlino, assieme agli altri scampati ed a Putin, come da tradizione.

E così, eccoci, il 9 maggio mattina, con gli altri cinque uomini della mia camerata, a studiare un piano di guerra per mandare di soppiatto uno di noi, in pantofole, con qualche sotterfugio, a comprare un po' di vodka al baracchino di fronte all'ospedale. Che festa è, altrimenti? Abbiamo mandato un veterano sommergibilista, 81 anni, mentre io distraevo il guardiano con discorsi sul tempo e sulle feste passate in ospedale.

E' incredibile, mentre eravamo seduti di nascosto in camerata a bere e parlare (conditio sine qua non), quanto ben di dio mangereccio sia uscito fuori: pane, salame, mandarini, formaggio, biscotti, persino quarti di pollo. I parenti non si rendono conto che qui siamo malati, ci muoviamo poco e consumiamo ancor meno. Come segno d'attenzione, basterebbero arance e sigarette, ma ricorderebbe altri contesti.

[Pubblicato parzialmente in “Slavia”, N°3, 2003, di Mark Bernardini]

domenica 23 giugno 2002

Nessuno muore sul serio

23 giugno 2002

Sono le dieci di sera passate da un pezzo, il sole infrange le rade nubi pregne ed illumina le cupole dorate della Elochovka, progettata da un architetto mio antenato. E’ il giorno più lungo dell’anno, e la notte più corta è già passata. Sto tornando dal teatro “Ekspromt” (“estemporaneo”).

Lungo il boulevard “Čistye prudy” i ragazzi a grappoli se ne stanno accovacciati sui prati a bere birra, suonare la chitarra e leggere poesie.

Poche ore prima, alla stazione Belorusskij, i veterani cantavano e danzavano i valzer della loro giovinezza. 61 anni fa, senza preavviso, i nazifascisti sfondarono le frontiere sovietiche ed avanzarono di centinaia di chilometri nell’entroterra, seminando morte e terrore. Da questa stazione, il giorno stesso i primi drappelli raffazzonati di volontari armati alla bell’e meglio partirono per il fronte. Non ne tornò quasi nessuno. Alla stessa stazione, invece, tornarono i primi vincitori. Proprio quelli che oggi danzavano, lenti, alle note rivoluzionarie delle orchestre a fiato.

Una decina di giorni fa, mia madre mi chiamò da Mosca a Bruxelles per dirmi che forse non avrei più rivisto mia nonna. Classe 1909, le ha passate tutte, ultima in famiglia della sua generazione.

A Ul’janovsk, negli anni ’70, prendevamo una barchetta a noleggio e sparivamo per tutta la giornata tra gli isolotti della Svijaga, un affluente del Volga. Fu così che imparai a remare. Un giorno mi prese da parte e mi chiese di punto in bianco se fumassi. Al mio diniego, rispose: “non mentire, ti ho trovato le sigarette nella giacca”. Ero in trappola. “Che vuoi che ti dica? Tanto, se te lo proibisco, fumerai di nascosto, giusto? Almeno, cerca di limitarti, altrimenti crescerai meno…”. Finì che prendemmo a rifugiarci assieme sul balcone, a fumare di nascosto da mio nonno.

Nel ’91, durante il golpe, l’ottantaduenne arzilla vecchietta raccolse un volantino appallottolato che invitava a resistere contro i golpisti. Trovò una copisteria e col suo piglio rivoluzionario e la grazia di una moglie russa di ebreo bolscevico, li convinse a fotocopiarlo gratis in qualche centinaio di copie. Poi andò per strada a fare volantinaggio.

Durante tutti questi anni, ad ogni mio viaggio dovevo portarle una stecca di sigarette ed una bottiglia di Amaretto di Saronno, come nipote prediletto. Due anni fa fu l’ultima volta che la vidi come suo solito. Ora non poteva più restare sola, non vedeva quasi più, cadeva, litigava con tutti.

Nel frattempo, avevo aperto il sito contro Berlusconi, scritto il libro, avevo perso quasi tutto il mio lavoro ed ero stato sfrattato dalla polizia.

L’estate successiva non ebbi quindi la possibilità di andare a trovare la mia famiglia, e mi mantenni cantando opera. Fu solo dopo l’emigrazione a Bruxelles che a Capodanno potei permettermelo. Naturalmente, le sigarette erano ormai ridotte ad un pacchetto, e mia madre cercava di non versare troppi bicchierini. Prima di ripartire, abbracciai mia nonna e le dissi che non la salutavo perché presto sarei tornato, per lavoro. Non ho mai amato i commiati. E poi, davvero contavo di tornare, per una fiera italiana.

Invece, ho mancato alla mia promessa. Appena pochi giorni prima, mia madre riuscì a regalarle un televisore nuovo ed un videoregistratore. Fu così che mia nonna vide per la prima volta una mia videocassetta, dove cantavo.

Rimase sorpresa, più che altro per l’effetto che le fece. “E’ come se l’avessi rivisto, ancora per una volta”, disse. Una settimana dopo non ci fu più. Ho cercato di arrivare in tempo, anche non avendo difficoltà burocratiche, grazie alle mie due cittadinanze, ma è morta il 16 giugno. Un altro 16 giugno segna la mia vita: quello del ’79, quando i fascisti gettarono due granate di cui porto qualche grazioso ricordo in corpo per la gioia dei costruttori dei metaldetectors degli aeroporti.

Erano quindici anni che non volavo di notte, da quando ero stato a Taškent, ancora sovietica. Fa un effetto strano, vedere l’alba in cielo. Quand’ero bambino, e l’aeroporto Šeremet’evo era uno solo, nell’atterrare e nel vedere già dall’alto la torre Ostankino, mai avrei immaginato che un giorno sarei atterrato con gli occhi umidi.

Persino alle cinque e mezzo del mattino, occorre districarsi tra le decine di tassisti abusivi che ti perseguitano. Uguali nei loro rituali, da Mosca a Roma, da Milano a Istanbul. Molto meglio un “taxi a percorso fisso”, una specie di miniautobus a 20 rubli (circa 70 centesimi di euro), fino al capolinea della metropolitana. Alle sette del mattino, bussavo alla porta di mia madre.

Ho rivisto mia nonna al funerale. La bara scoperta, il coprirla, portarla a spalle, trasportarla al forno crematorio, baciarla per un’ultima volta, coprirla per sempre e vederla scendere in basso. E’ tutto annebbiato, fatto in automatico. Infine, il pranzo di commiato in casa sua, con un bicchierino di vodka per lei, coperto da una fetta di pane nero, che resterà così per 40 giorni.

Due giorni dopo, il valzer della vittoria tra i veterani. Era anche per lei; perché dicono che le persone non muoiono sul serio, finché vive qualcuno che le ricordi.

martedì 1 febbraio 1994

Andropov: il gensek venuto dalla Lubjanka

di Roj Medvedev

Per gentile concessione dell’autore pubblichiamo qui l’introduzione del libro di Roj Medvedev “Gensek s Lubjanki” [Un Segretario Generale venuto dalla Lubjanka], edito nel 1993 a Mosca.

Roj Medvedev, uomo di grande rigore e onestà intellettuale, già comunista dissidente, espulso dal PCUS ai tempi di Brežnev e poi riammesso da Gorbačëv, autore di fondamentali saggi sullo stalinismo, tutti pubblicati in Italia, all'inizio degli anni '90 è stato il leader del “Partito socialista dei lavoratori” e rimane un punto di riferimento in Russia per molti democratici di ispirazione socialista (n.d.r.).

Gli storici ed i sovietologi occidentali hanno ormai quasi dimenticato Ju. V. Andropov, proclamato “uomo dell’anno” nell’ultimo numero della diffusissima rivista americana “Time” del 1983. Non pochi eminenti uomini politici del mondo ne sarebbero stati fieri. Brežnev non ebbe un simile onore dai mezzi occidentali di informazione di massa in tutti i diciotto anni che fu al potere.

Di fatto, fino al 1982 nessuno sapeva nulla di Andropov né come uomo, né come politico. Ciò era dovuto alla chiusura generale della società sovietica, ed in particolare alla riservatezza sulla vita dei suoi vertici, ma anche al fatto che per oltre quindici anni Andropov era stato il capo della polizia segreta sovietica e aveva preferito rimanere nell’ombra. Nella maggior parte dei casi i suoi viaggi, sia nel Paese che all’estero, avvenivano segretamente. Tuttavia, non era un mistero per nessuno che il ruolo e l’influenza del KGB sulla vita dell’Unione Sovietica e sulla sua politica interna ed estera erano cresciuti incessantemente nel corso di quel quindicennio durante il quale tale comitato fu diretto da Andropov. Proprio queste circostanze divennero la causa principale dell’enorme interesse per questo personaggio quando la televisione e la radio informarono il mondo che Ju. V. Andropov era stato eletto nuovo leader del PCUS.

La stampa internazionale commentò in tutti i modi questo avvenimento e captò ogni piccola notizia riguardante il nuovo dirigente sovietico. Se le prime biografie di L. I. Brežnev furono pubblicate nella RFT e negli USA solo nel 1973 e 1974, ovvero quasi dieci anni dopo il suo arrivo al potere, già nel 1983 in Occidente comparvero oltre dieci biografie di Ju. V. Andropov, e nel 1984 vennero pubblicati vari altri libri nei Paesi occidentali. E’ difficile definire vere biografie politiche tutte queste opere, poiché in esse un’esposizione più o meno particolareggiata dei fatti della realtà e della storia sovietica si combinava con informazioni casuali, spesso addirittura imprecise circa il nuovo leader sovietico. Qua e là i fatti venivano sostituiti con gialli deliberatamente inventati. Probabilmente il miglior libro su Andropov è l’opera dei giornalisti inglesi J. Steele ed Eric Abraham (Steele J., Abraham E.: Andropov in Power. Oxford, 1983) “Andropov al potere”. Anche mio fratello Žores è stato autore di una sua biografia, ed anche questo libro risaltava sullo sfondo generale degli “andropovologi” (Medvedev Ž.: Andropov. Oxford, 1983).

Nello spiegare i motivi del suo interesse per la personalità di Andropov, Žores ha scritto nella sua prefazione: “Un cambio della direzione in Unione Sovietica è una tale rarità che sotto un certo aspetto è simile ad una rivoluzione, Brežnev ha occupato il suo posto per 18 anni. In questo periodo ha avuto a che fare con cinque presidenti americani e sei primi ministri britannici. Questi tempi estremamente lunghi di governo fanno sì che l’incarico di capo dell’Unione Sovietica sia importantissimo nel mondo. E’ possibile che gli USA siano più forti come Paese e Stato sotto il profilo economico e militare, ma i presidenti americani possono realizzare determinati programmi solo in casi estremi. E’ inverosimile che rimangano al potere tanto tempo da seguire l’esecuzione di grandi programmi dall’inizio alla fine. In URSS al contrario i dirigenti non sono legati da limitazioni temporali nella loro permanenza in carica, essi non sono contrastati da alcun Congresso, per non parlare dell’opinione pubblica. Si tratta di una tale pienezza del potere in una sola persona che qualunque cambiamento nella direzione sovietica diventa un avvenimento di portata internazionale. L’ultimo cambiamento del genere ha avuto luogo il 12 novembre 1982, quando è morto Leonid Brežnev. La morte di Brežnev in quanto tale non è stata affatto improvvisa. Piuttosto, non ci si aspettava che il successore di Brežnev alla carica di Segretario generale del PCUS diventasse Jurij Vladimirovič Andropov, ex Presidente del KGB e palesemente persona di tempra non brežneviana. Il fatto che non fosse il favorito di Brežnev si era manifestato specialmente negli ultimi cinque anni. In questo libro cercherò di mostrare i motivi per i quali tali mutamenti hanno avuto luogo ugualmente, e di formulare alcune deduzioni relativamente a quel che deve attendersi il mondo dalla nuova direzione sovietica…

“E’ difficile per un ex dissidente e cittadino sovietico scrivere a proposito dell’ex capo del KGB. Ho cercato, per quanto mi era possibile, di mantenere il libro in uno spirito pratico e sfogare solo in minima parte i miei sentimenti personali” (Medvedev Ž.: Andropov. p. 3).

Devo dire che il mio interesse personale verso Andropov come politico e come persona è sorto già all’inizio degli anni ‘60, quando era segretario del CC del PCUS per le questioni internazionali. Alcuni miei buoni conoscenti ed amici degli anni di studio lavoravano nell’apparato delle due sezioni esteri del CC, e mi hanno aiutato molto nel raccogliere i materiali per il libro su Stalin e lo stalinismo. In particolare, ho potuto leggere alcuni libri occidentali su Stalin e la sua epoca, che erano stati tradotti in russo e pubblicati in tirature limitate esclusivamente per i “funzionari responsabili”, nonostante che in Occidente spesso si trattasse di best-sellers politici noti a qualunque sovietologo. I miei amici sovente parlavano con molto rispetto di Andropov, che, a detta loro, per erudizione, intelletto e stile di lavoro non somigliava affatto agli altri segretari del CC, quali ad esempio B. N. Ponomarëv o L. F. Il’ičëv, dei quali peraltro si parlava con manifesta sufficienza, non solo nell’apparato del CC, ma anche in ambienti a me noti dell’intelligencija letteraria.

Personalmente ho incontrato allora Andropov una volta sola, e fu un incontro troppo fugace perché potessi farmene un’opinione chiara, Tuttavia, per me era importante la ragione di tale incontro: Andropov chiese di mostrargli il manoscritto del mio libro “Al giudizio della storia”, allora ben lontano dall’essere terminato. Successivamente, dopo aver espresso soddisfazione attraverso il suo consulente G. Ch. Šachnazarov, Jurij Vladimirovič mi chiese il permesso di lasciare nel suo archivio il manoscritto che aveva letto. Medesima richiesta, ma tramite un intermediario a me sconosciuto della Casa editrice di letteratura politica, mi era stata fatta anche da L. F. Il’ičëv. Ma solo nell’autunno del 1965, quando Il’ičëv ormai lavorava al Ministero degli Esteri, un corriere speciale mi riportò il manoscritto con il bollo “CC del PCUS”, senza alcun giudizio.

Dai racconti dei funzionari della sezione esteri si poteva dedurre che Andropov fosse una persona pienamente assorta nella politica. La politica era la sua passione principale ed Aleksandr Bovin, suo amico di lunga data, lo chiamava per scherzo “homo politicus”. Da tutto quel che avevo sentito già allora su di lui, era evidente che pensava non solo ad una grande carriera politica, e che non era un semplice funzionario politico, bensì una persona di determinate opinioni, e per di più chiaramente insoddisfatta della situazione che si era creata nel Paese negli ultimi anni dell’“epoca Chruščëv” e nei primi anni dopo la destituzione di Chruščëv.

Ma Andropov era allo stesso tempo estremamente prudente, ed esprimeva la propria opinione solo in un ambito ristrettissimo, e probabilmente anche in quel caso non proprio schiettamente. Godeva della reputazione di persona onesta, che non temeva di dire la verità, nonostante che né ai tempi di Chruščëv, né a quelli di Brežnev fossero molte le sue proposte a cui venisse prestato ascolto attentamente.

Andropov non era uno stalinista, ma come politico e come persona non gli riuscì mai di liberarsi da molti suoi tratti e dogmi, caratteristici per gli statisti di quell’epoca severa e terribile. Egli esigeva ordine, ma non era capace di grandi riforme all’interno del Partito e nella società sovietica. Andropov era un sincero fautore del marxismo e del leninismo e non pose mai, né al Partito, né a se stesso, la questione di un profondo ripensamento degli insegnamenti sul socialismo o sul capitalismo.

Dopo che a metà degli anni ‘70 Brežnev subì la prima emorragia cerebrale ed il primo infarto, riuscendo ad uscire dallo stato di morte clinica, non senza danni per la sua salute e per il suo intelletto di per sé non troppo lucido, il tema della successione al potere in URSS era divenuto una costante negli organi di stampa occidentali e nelle previsioni dei sovietologi. In quegli anni tutti vedevano una crescente concentrazione del potere nelle mani della “squadra di Brežnev”, tutti vedevano le forme di culto sempre più mostruose ed importune, ma anche l’avvicinarsi della fine di quell’uomo. Non stupisce che nei colloqui e nelle interviste i diplomatici ed i corrispondenti occidentali mi chiedessero sempre più spesso: “Chi potrà mettersi alla testa del PCUS e dello Stato sovietico dopo la morte di Brežnev?”.

All’epoca, A. P. Kirilenko veniva considerato quasi successore ufficiale, ma erano in pochi a credere che potesse conservare il potere nelle sue mani, tenendo conto della lotta complessa e spesso spietata che nella nostra storia ha accompagnato di solito il cambio di leader del Partito e del Paese. Dalla fine degli anni ‘70 Brežnev iniziò a promuovere sempre più vicino ai vertici del potere K. U. Černenko, che divenne membro effettivo del Politbjuro e capo dell’enorme apparato di potere personale di Brežnev. Tuttavia, a me sembrava più probabile che successore di Brežnev potesse diventare proprio Ju. V. Andropov, che nascondeva scrupolosamente le proprie ambizioni politiche ed era estremamente leale nei confronti di Brežnev, ma ancor più scrupolosamente ed insistentemente si preparava alla lotta inevitabile per la direzione. Nelle mie previsioni mi basavo su alcuni semplici presupposti.

Sullo sfondo della direzione inetta, ignorante, debole politicamente e fisicamente, che abbiamo avuto a cavallo degli anni ‘70 ed ‘80, Andropov risaltava, o quantomeno appariva un politico eminente e capace. Mentre sotto gli occhi di tutto il Paese aveva luogo non solo un invecchiamento, ma una degenerazione morale dei vertici statali e di Partito, corrotti ed inerti, Andropov continuava ad essere a capo e a potenziare il Comitato per la Sicurezza di Stato [KGB], che diventò non solo uno strumento di potere sempre più forte, ma l’organizzazione meno contaminata dal virus della corruzione. Andropov non poteva non sapere del peggioramento della situazione nel Paese, per lui non erano un segreto neanche i difetti delle persone al potere. L’esercito era un’altra istituzione di potere la cui influenza continuò a crescere negli anni ‘70 e che era poco coinvolta nello sfacelo politico e morale. Il prestigio della direzione militare era molto alto, ma è proprio con Andropov che venne superato il conflitto esistente già ai tempi di Stalin, ovvero l’ostilità tra l’esercito ed il KGB. Sembrava poco probabile che l’esercito, nella persona del ministro della difesa D. F. Ustinov e della élite dei generali, nel caso di una crisi al potere potesse sostenere Černenko o Kirilenko. Alla fine degli anni ‘70 giunse alle medesime conclusioni anche mio fratello Žores, che dal 1973 viveva e lavorava a Londra ed analizzava attentamente gli avvenimenti che si succedevano in URSS. Egli illustrò ripetutamente nelle sue interviste le proprie supposizioni, ma pochi vi prestarono attenzione. La figura di Andropov come probabile leader dell’URSS non suscitava molto interesse presso i maggiori sovietologi occidentali, che ritenevano impossibile che in Unione Sovietica giungesse al potere il capo del KGB, al quale all’epoca essi riservavano appena il settimo o l’ottavo posto nella gerarchia sovietica del potere.

Tuttavia, nessuno in Occidente, e persino noi stessi non supponevamo che la permanenza di Brežnev al potere e l’agonia del suo regime sarebbero durate così a lungo, accompagnate da un approfondimento della crisi politica ed economica del Paese. Come che sia, l’epilogo arrivò nel novembre del 1982, ed improvvisamente, per la maggioranza degli osservatori e dei politologi, venne eletto quale successore di Brežnev proprio Ju. V. Andropov. Poco più di un anno prima, negli USA era giunto al potere il nuovo presidente Ronald Reagan. Cosi, molti supposero che appunto Andropov e Reagan, in quanto leaders delle due superpotenze, avrebbero esercitato un’influenza decisiva sui processi politici mondiali degli anni ‘80. Naturalmente, tutti si erano subito preoccupati per la seguente questione: quali nuovi accenti porrà nella sua attività il nuovo leader sovietico? Sarebbe diventato un dirigente di tipo transitorio, o da lui sarebbe iniziata una nuova era di politica interna ed estera dell’URSS? Quali persone nuove avrebbe promosso ai vertici del potere? Quali caratteristiche avrebbero assunto le relazioni con il clan di Brežnev, ancora potente sotto tutti i punti di vista?

Ju. V. Andropov rimase al potere appena quindici mesi, e non abbiamo potuto avere riposta a molti quesiti, anche se le tendenze principali della sua politica si delinearono in maniera piuttosto chiara. Contrariamente alle previsioni, colui che fino a poco tempo prima era stato il capo del KGB, riuscì non solo a consolidare il proprio potere in poco tempo, ma a conquistarsi l’indubbio rispetto di una buona parte, se non della maggioranza, della popolazione del Paese. Né la stampa, né la propaganda cercarono di creare in quei quindici mesi il culto di Andropov. E ciò nonostante, la leggenda di Andropov, o leggenda su Andropov, si diffuse in tutti gli strati della popolazione, compresa l’intelligencija, crebbe molto rapidamente e continua ad esistere tuttora. Per questo la direzione di Andropov, a differenza per esempio dell’“anno di Černenko”, ha lasciato una solida traccia nella coscienza della maggioranza della gente sovietica.

E’ noto che la maggioranza dei cittadini dell’URSS accolse l’annuncio della morte di Brežnev con un’indifferenza che suscito sorpresa nei corrispondenti occidentali. Molti addirittura non tentarono nemmeno di nascondere un senso di sollievo. Non furono invece in molti a rallegrarsi della morte di Andropov, la maggioranza se ne dispiacque e provò persino inquietudine.

“Aveva appena iniziato a mettere un po’ d’ordine…”, “Voleva equità”. Simili parole le sentii nel febbraio 1984 in molti luoghi. Eppure, durante la permanenza di Andropov al potere di fatto sapevamo poco su di lui come uomo politico e come persona. Ancor meno se ne sapeva come presidente del KGB: i dirigenti della polizia segreta di qualsiasi Paese non tendono alla pubblicità e non possono contare su una particolare popolarità, tanto meno da noi. Ciò nonostante Andropov riuscì a conquistarsi in un periodo molto breve una certa popolarità ed a suscitare interesse nei confronti della sua persona; un interesse in crescita si registrò dal novembre 1982 al febbraio 1984. La fonte di tale popolarità fu indubbiamente quel netto contrasto tra la disgregazione e la dissoluzione degli ultimi anni dell’epoca brežneviana, la degradazione della persona stessa di Brežnev, e la personalità di Andropov, che riuscì in breve tempo ad iniziare a stabilire un ordine elementare nel Paese.

La gestione Andropov ha mostrato in maniera lampante che all’inizio degli anni ‘80 nella nostra società esistevano (ed ovviamente non sono scomparsi all’inizio degli anni ‘90) non solamente il desiderio e l’aspirazione alla democrazia, alla difesa dei diritti dell’uomo e della libertà, cosa che trovo riflesso nel movimento dei dissidenti, contro il quale sia Brežnev che Andropov condussero una lotta incessante.

Nella società, all’interno di una imponente parte della popolazione, esisteva una nostalgia altrettanto forte e sincera per la “mano forte”, un “leader forte”, un “padrone” che si fosse preoccupato del bene del popolo, e non del proprio benessere e dei privilegi del suo entourage, come invece faceva la direzione mafiosa brežneviana.

Proprio per questo una parte non indifferente dei cittadini salutò con sincerità ed interesse l’arrivo al potere di Andropov e le sue prime iniziative.

Oggi questa nostalgia di molte persone per l’ordine rigido e la “mano forte” è addirittura in parte cresciuta. Certo, gli anni impetuosi della perestrojka, la moltitudine di eventi contraddittori degli ultimi anni, le svolte ed i capovolgimenti che hanno decisamente cambiato il volto del nostro Paese e della nostra società, nonché la situazione in Europa ed in tutto il mondo, hanno attirato l’attenzione su altri leaders politici e su un’altra politica. Tuttavia, i successi non troppo evidenti della perestrojka ed i suoi insuccessi e fallimenti evidenti, il continuo peggioramento delle condizioni materiali della gente, la crescita della tensione e dell’instabilità nella società, l’insicurezza sia del proprio futuro che delle prospettive di sviluppo del Paese, i numerosi conflitti per motivi specifici ed etnici che spesso si trasformano in scontri armati, la crescita vertiginosa di tutte le forme ed i tipi di criminalità, tutto quel che la nostra gente ritiene non senza fondamento “disordine” in politica ed in economia, tutto ciò ha portato ad una crescita d’attenzione verso la persona e l’attività di Ju. V. Andropov.

Lo scopo del nostro libro consiste nel soddisfare almeno parzialmente questo interesse. Nel mio lavoro mi sono basato non solo su fonti letterarie, archivi, consigli e critiche di amici e colleghi. Sono riuscito ad utilizzare i consigli e le testimonianze di molte persone che conoscevano bene Andropov ed hanno lavorato per lunghi anni assieme a lui.

Ricorderò qui in tal senso gli ex collaboratori ed amici di Ju. V. Andropov: G. A. Arbatov, A. E. Bovin, G. Ch. Šachnazarov, F. M. Burlackij, A. I. Vol’skij, nonché gli ex membri del Politbjuro e della Segreteria del CC del PCUS: V. I. Vorotnikov, E. K. Ligačëv, V. M. Čebrikov, N. I. Ryžkov. Tra i militari citerò S. F. Achromeev. Un’opinione su Andropov mi è stata esposta dettagliatamente da persone così diverse come A. N. Jakovlev, il politico ungherese A. Hegedüs, l’ex Presidente del Soviet Supremo dell’URSS A. I. Luk’janov, il regista Ju. P. Ljubimov, l’ex presidente del KGB V. A. Krjučkov. Tuttavia mi rendo perfettamente conto che le mie opinioni non sono affatto inconfutabili, e le informazioni di cui dispongo non sono affatto sufficienti. Per questo sarò riconoscente per qualunque aggiunta ed osservazione.

[Da Roj Medvedev, Gensek s Lubjanki, Moskva, Leta, 1993, pp. 4-10. Traduzione di Mark Bernardini, "Slavia" N°1 1994, pp. 95-101]

lunedì 1 aprile 1991

Bulgakov da un'enciclopedia all'altra

di Mark Bernardini

Ad un secolo dalla nascita ed a 50 anni dalla morte, ben poco di nuovo si può dire di Michail Afanas’evič Bulgakov, pur tenendo conto che le opere e le informazioni fondamentali sono giunte al pubblico (quello sovietico in particolare, ma non esclusivamente) solo dopo la ventata innovatrice gorbačëviana, vale a dire nell’ultimo quinquennio.

Infatti, per avere un’idea di quale fosse la posizione ufficiale della nomenklatura nei confronti di quest’uomo, occorre ripercorrere una serie di dizionari ed enciclopedie dell’epoca difficili da reperire. E’ esattamente quello che ci si propone di realizzare nel presente articolo. La Malaja Sovetskaja Enciklopedija (MSE) del 1929 così recita: “[...] Scrittore contemporaneo, medico di formazione. Ha iniziato a scrivere nel 1919. Ha collaborato con il giornale smenovechovskij “Nakanune”¹ (Berlino). Uno degli esponenti di punta dell’ideologia neoborghese, ha acquisito notorietà con un pamphlet contro l’edificazione sovietica (Le uova fatali) ed il romanzo La guardia bianca, nel quale è racchiusa tendenziosamente la sostanza di classe e controrivoluzionaria del movimento delle guardie bianche, al fine di mostrarne i protagonisti come gente eroica ed onesta. Il romanzo e stato trasformato dall’autore nell’opera teatrale I giorni dei Turbin. Nel libro di racconti Diavoleide e nell’opera teatrale L’appartamento di Zojka Bulgakov rappresenta invece tendenziosamente gli aspetti negativi della nostra quotidianità”.

Nella pratica un simile trattamento ha comportato un ostracismo che Bulgakov stesso, in una lettera dello stesso anno a Gor’kij, cosi riassume: “Tutte le mie opere teatrali sono proibite; non viene pubblicata da alcuna parte nemmeno una mia riga; non ho un solo lavoro pronto, non ricevo da nessuno neanche una kopejka dei diritti d’autore; né un ente né una persona risponde ad alcuna mia richiesta; in sintesi tutto quello che ho scritto in URSS in 10 anni di lavoro e stato distrutto. Rimane un’ultima cosa da distruggere: me stesso”.

I. Nusinov, nella Literaturnaja Enciklopedija (LE) del 1930, cercò di restituire onore alla verità, pur dovendo concludere negli ultimi capoversi nello stesso stile di prima: “[…] Prosatore e drammaturgo. E’ nato a Kiev. Nel 1916 ha terminato la facoltà di medicina dell’Università di Kiev. […] E’ stato pubblicato nella stampa di provincia con articoli, corsivi, ha realizzato in provincia tre opere teatrali, mai pubblicate, ed i manoscritti delle quali successivamente sono stati da lui distrutti. Dal 1921 vive a Mosca, ove i primi tempi lavorava come reporter e corsivista presso vari giornali, […]. Dal 1923 si dedica completamente alla letteratura. Bulgakov è divenuto popolare grazie al suo dramma I giorni dei Turbin, alla commedia L’appartamento di Zojka ed alla raccolta di racconti umoristici Diavoleide. Precedentemente ha pubblicato il suo unico romanzo, La guardia bianca. Il romanzo descrive la vita delle guardie bianche, la famiglia Turbin, a Kiev nel periodo dall’estate del 1918 all’inverno del 1919 (l’occupazione tedesca, gli hetman, il direttorio di Petljura) fino al consolidamento a Kiev dell’Armata rossa all’inizio del 1919. L’esperienza ha convinto l’autore del fatto che la rovina della sua classe è inevitabile e del tutto meritata. Bulgakov esprime questa sua determinazione di pensiero nell’epigrafe del romanzo: “e vennero giudicati i defunti, come scritto nei libri, conformemente ai propri atti”. Le classi soccombenti odiano il proprio popolo insorto, si nascondono vigliaccamente dietro la schiena dell’aggressore tedesco imperialista e godono malignamente alla vista del crudele massacro perpetrato dagli junker tedeschi contro la campagna ukraina. Contro gli aggressori di casa e stranieri combattono eroicamente, con grande spirito di sacrificio, solo il contadino ukraino, l’operaio russo, quel popolo che i “bianchi” odiano e disprezzano. “Quando i tedeschi furono sconfitti”, – racconta Bulgakov, – i “proprietari delle terre e delle fabbriche compresero che il loro destino era legato ai vinti. I tedeschi hanno perso, dissero i rettili. Noi abbiamo perso, dissero i rettili intelligenti”. Il riconoscimento del potere sovietico è inevitabile. Bulgakov è entrato nella letteratura con la consapevolezza della rovina della sua classe e della necessità di adattarsi alla nuova vita. Bulgakov giunge alla conclusione: “Qualunque cosa accada, accade sempre come deve accadere, ed in direzione del meglio”. Questo fatalismo è una giustificazione per coloro che hanno realizzato la smena vech. La loro rinuncia al passato non è né vigliaccheria né tradimento. Questa rinuncia è dettata dalle inesorabili lezioni della storia. La conciliazione con la rivoluzione era un tradimento nei confronti del passato della classe soccombente. La pacificazione dell’intelligencija con il bolscevismo, quell’intelligencija che nel passato era legata non solo per estrazione, ma anche idealmente con le classi sconfitte, le dichiarazioni di quest’intelligencija in merito non solo alla propria realtà, ma anche alla propria disponibilità ad edificare assieme ai bolscevichi, potevano essere interpretate come adulazione. Con il romanzo La guardia bianca Bulgakov ha respinto quest’accusa degli emigranti bianchi ed ha dichiarato: attuare la smena vech non vuol dire capitolare di fronte ad un vincitore fisico, bensì ammettere la giustezza morale dei vincitori. Il romanzo La guardia bianca per Bulgakov non è solo una pacificazione con la realtà, ma un’autogiustificazione. La pacificazione è obbligatoriamente forzata. Bulgakov vi è giunto attraverso una crudele sconfitta della sua classe.

Per questo non v’è gioia dalla consapevolezza che i rettili sono vinti, non v’è fede nell’opera del popolo vittorioso. La nuova realtà è la Diavoleide, titolo del suo libro di racconti. La macchina statale sovietica dell’epoca del comunismo di guerra è una Diavoleide, la nuova quotidianità è “una sporcizia ed una porcheria tali, che Gogol’ non ne aveva nemmeno il sentore” (Le avventure di Čičikov), il popolo sono le “streghe” che distruggono i beni creati dalla borghesia (La casa di El’pit, Comune operaia), il nuovo guerriero è un cinese la cui caratteristica è di avere imparato le parolacce russe (Una storia cinese), tutta la creatività della rivoluzione sono le “uova fatali” da cui fuoriescono dei rettili di dimensioni enormi che minacciano di rovinare tutto il Paese. Bulgakov ha accettato la vittoria del popolo non con gioia, ma con grande dolore e rassegnazione. Bulgakov agogna di compensare la propria classe per la sua sconfitta sociale con una vittoria morale, “diavolizzando” la novità rivoluzionaria. L’ultimo periodo di attività di Bulgakov è determinato proprio da tale compensazione morale. Ora non occorre più giustificarsi per il proprio smenovechovstvo, per l’adattarsi alla nuova vita: è una fase già attuata. E’ così già passato anche il momento della riflessione e del pentimento per i peccati della classe. Bulgakov, al contrario, sfruttando le difficoltà della rivoluzione, cerca di approfondire l’attacco ideologico contro il vincitore. Ancora una volta egli sopravvaluta la crisi e la rovina della sua classe e cerca di riabilitarla. Bulgakov rielabora il suo romanzo La guardia bianca nel dramma I giorni dei Turbin. Le due figure del romanzo – il colonnello Malyšev ed il medico Turbin – sono unite, nell’immagine del colonnello Aleksej Turbin. Nel romanzo il colonnello tradisce il collettivo e salva se stesso, mentre il medico soccombe non come eroe, ma come vittima. Nel dramma il medico ed il colonnello sono uniti in Aleksej Turbin, la morte del quale è l’apoteosi dell’eroismo “bianco”. Nel romanzo i contadini e gli operai insegnano ai tedeschi a rispettare il loro Paese. Bulgakov valuta la vendetta dei contadini e degli operai contro gli oppressori tedeschi e lo hetman come giusta condanna del destino contro i “rettili”. Nel dramma il popolo è solamente un’unica banda selvaggia, quella di Petljura. Nel romanzo la cultura dei bianchi è la vita da ristorante delle “prostitute imbottite di cocaina”, un mare di sporcizia in cui affogano i fiori dei Turbin. Nel dramma la bellezza dei fiori dei Turbin è l’essenza del passato ed il simbolo della vita soccombente.

Il compito dell’autore, la riabilitazione morale del passato nel dramma, viene sottolineato nella commedia L’appartamento di Zojka, scritta da lui contemporaneamente. Il dramma è costituito dagli ultimi Giorni dei Turbin, soccombenti tragicamente ai suoni dell’“eterno Faust”. La commedia descrive il covo ove le personalità sovietiche passano le loro notti ebbre.

Bulgakov non è riuscito né ad apprezzare la morte del passato, né a comprendere l’edificazione del nuovo. E’ per questo che le sue sopravvalutazioni di pensiero private non sono divenute fonte di grande creatività artistica. Il romanzo La guardia bianca è in buona parte pubblicistica, prosa di un giornalista di talento. Fondamentalmente le pagine artistiche del romanzo sono scritte alla maniera dei vecchi romanzi di corte, cosa che tradisce l’epigonismo di Bulgakov. L’immagine della realtà sovietica è resa con i metodi del racconto umoristico, e si tratta non già dello humour tormentato degli “umiliati ed offesi”, bensì dello humour di un giornalista piuttosto a buon mercato.

L’ultimo dramma di Bulgakov, La corsa, che descrive artisticamente l’emigrazione, prosegue le tendenze de I giorni dei Turbin. Tutto il percorso artistico di Bulgakov è il percorso di una persona ostile per appartenenza di classe alla realtà sovietica, Bulgakov è il tipico esponente delle tendenze dell’”emigrazione interna””.

Non per niente lo scrittore, nella sua lettera al governo del 28 marzo 1930, rilevava che in dieci anni, su 301 volte, era stato menzionato 298 volte ingiuriosamente: “Aleksej Turbin, l’eroe della mia opera teatrale I giorni dei Turbin, è stato definito in poesia figlio di cagna, mentre l’autore dell’opera è stato presentato come “posseduto da vecchiaia cagnesca”. E’ stato scritto di me che sono “uno spazzino letterario che raccoglie gli avanzi dopo che una dozzina di ospiti ha vomitato”. Hanno scritto: “…Miška Bulgakov, compare mio, scrittore (scusate l’espressione), fruga nell’immondizia stantia… Chiedo, fratellino, che razza di grugno hai… Io sono una persona delicata, prendilo e sbatacchialo con un catino sulla nuca… Noi stiamo al borghesuccio senza i Turbin come un reggipetto ad una cagna senza necessità… Si è trovato il figlio di puttana, si è trovato Turbin…” (Žizn’ iskusstva, N°44, 1927). Hanno scritto che Bulgakov resterà ciò che è, una progenie neoborghese schizzante saliva avvelenata ma impotente contro la classe operaia ed i suoi ideali comunisti (Komsomol’skaja pravda, 14 ottobre 1926). Si è detto che mi piace l’atmosfera di un matrimonio infimo con qualche moglie dai capelli rossi di un amico (A. Lunačarskij, Izvestija, 8 dicembre 1926); che la mia opera teatrale I giorni dei Turbin puzza (stenogramma della riunione presso l’Agitprop de1 maggio 1927), e via discorrendo…”.

A detta di Elena Sergeevna Šilovskaja (nata Nürnberg), divenuta due anni dopo la sua terza ed ultima moglie, il 18 aprile 1930 a seguito di quella lettera Bulgakov ricevette una telefonata dal Comitato Centrale:

– Michail Afanas’evič Bulgakov?

– Sì, sì.

– Adesso le parlerà il compagno Stalin.

– Cosa? Stalin? Stalin?

– Sì, le parla Stalin. Salve, compagno Bulgakov.

– Salve, Iosif Vissarionovič.

– Abbiamo ricevuto la Sua lettera. L’abbiamo letta con i compagni. A tal proposito riceverà una risposta positiva… Ma è proprio vero che Lei chiede di andarsene all’estero? L’abbiamo seccata molto?

– Ho pensato molto negli ultimi tempi se uno scrittore russo possa vivere fuori dalla sua patria. E mi sembra di no.

– Ha ragione. Anch’io la penso così. Dov’è che vuole lavorare? Al Teatro d’Arte?

– Sì, volevo. Ne avevo parlato, ma ho ricevuto un rifiuto.

– E lei invii loro una richiesta. Mi pare che accetteranno. Noi dovremmo incontrarla, parlare con Lei.

– Sì, sì! Iosif Vissarionovič, ho molto bisogno di parlare con Lei.

– Sì, bisogna trovare il tempo ed incontrarci, necessariamente. Ed ora, Le auguro ogni bene.

Dopo questa conversazione Bulgakov ricevette i mezzi di sostentamento e la possibilità di creare, ma non di rendere di dominio pubblico le sue creazioni.

“…La stanza divenne ripugnante, come ogni stanza ove regni il caos di quando si fanno i bagagli e peggio ancora quando il paralume è strappato dalla lampada. Mai. Mai strappare il paralume dalla lampada! Il paralume è sacro. Mai fuggire con passo di ratto dal pericolo verso l’ignoto. Sonnecchiate presso il paralume, leggete, che ululi la tormenta! Attendete che vengano a prendervi…” (La guardia bianca).

Sono state molteplici le ipotesi costruite sulle ragioni che hanno spinto Stalin ad un comportamento tanto fuori dall’usuale. Una di queste appare sufficientemente logica da meritare considerazione. Nel 1925 si era suicidato il poeta Sergej Esenin; nel 1926 lo scrittore Andrej Sobol’; nell’aprile 1930, quando cioè la lettera in questione era presumibilmente nelle mani di Stalin, si era sparato Vladimir Majakovskij. Un ulteriore suicidio nel mondo letterario sarebbe stato quantomeno sconveniente.

“…In particolar modo mi sono invisi gli urli umani, che siano urli di sofferenza, d’ira, o d’altro genere” (Il maestro e Margherita).

Bulgakov muore un anno prima dell’invasione tedesca. Dieci anni dopo la Grande Enciclopedia Sovietica (Bol’šaja Sovetskaja Enciklopedija, BSE) del 1951 è ancora implacabile nei suoi confronti: “[…] Prosatore, drammaturgo russo². Nato nella famiglia di un professore dell’Accademia religiosa di Kiev. Di formazione era medico. Iniziò ad essere pubblicato nel 19³. Visse a Kiev, a Vladikavkaz, dal 1921 a Mosca. Bulgakov non comprese i nuovi rapporti sociali creatisi nel Paese dopo la vittoria del Potere sovietico. Nel ciclo di racconti Diavoleide (1924) ed altri Bulgakov ha rappresentato calunniosamente la realtà sovietica, nel romanzo La guardia bianca (1924) tentò di idealizzare le guardie bianche. L’aspirazione a discolpare le guardie bianche segnò altresì l’opera teatrale La corsa, scritta da lui successivamente, che I. V. Stalin ha caratterizzato come “fatto antisovietico”.

Come drammaturgo Bulgakov acquisì notorietà dopo la rappresentazione sulle scene del Teatro d’Arte di Mosca dell’opera teatrale I giorni dei Turbin (1926), che consiste in un rifacimento del suo romanzo “La guardia bianca”. Nell’opera teatrale si è conservata la tendenza alla nota idealizzazione dell’immagine delle guardie bianche, ma sotto l’influenza dei fatti della realtà l’autore ed innanzitutto il teatro hanno accentuato nello spettacolo il tema dell’ineluttabilità della disfatta del movimento delle guardie bianche, della sua sconfitta storica. Nella lettera a Bill’-Belocerkovskij del 1929 I. V. Stalin scriveva: “Non dimentichi che l’impressione principale che rimane nello spettatore di quest’opera teatrale è un’impressione favorevole ai bolscevichi: “se persino persone come i Turbin sono costrette a deporre le armi ed a sottomettersi al volere del popolo, riconoscendo definitivamente persa la propria causa, vuol dire che i bolscevichi sono invincibili, contro di loro, contro i bolscevichi, non c’è niente da fare”. I giorni dei Turbin sono la dimostrazione della forza travolgente del bolscevismo. Ovviamente l’autore non è colpevole in alcuna misura di tale dimostrazione” (Opere, vol. 11, p. 328).

I punti di vista errati ed in buona parte avversi, come pensiero, non diedero a Bulgakov la possibilità di cogliere in profondità e correttamente anche gli eventi del passato storico [le opere teatrali Molière, 1936, e gli Ultimi giorni (Puškin)]. La storia della morte di Puškin nell’opera teatrale Ultimi giorni (rappresentata nel 1943 presso il MChAT) è ricreata unilateralmente. In essa è delineato dettagliatamente e chiaramente il campo degli avversari di Puškin, ed è descritto molto debolmente il popolo, nonché le sfere sociali progressiste dell’epoca di Puškin”.

Si potrebbe contestare che Bulgakov è sempre rimasto un assertore di valori umani universali, convinto che solo partendo da questi ultimi si possa creare una società che elimini lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Ma vale più la sintetica e liquidatoria risposta dell’autore stesso a chi lo accusava di simpatie monarchiche: “non tutti coloro che si spalmano in testa la brillantina sono per forza monarchici…”.

Due anni dopo muore Stalin, tre anni dopo ancora si svolge lo storico XX congresso del PCUS e così, nel 1958, la MSE non è più costretta a parlar male di un autore che tutti hanno letto, ma in versione samizdat: “[…] drammaturgo russo sovietico. […] Nel ciclo di racconti Diavoleide Bulgakov ha rappresentato falsamente la realtà sovietica. Nel romanzo La guardia bianca, nell’opera teatrale I giorni dei Turbin, creata sulla sua base e nell’opera teatrale La corsa (rappresentata nel 1957) è mostrata realisticamente la sconfitta storica del movimento delle guardie bianche. Bulgakov è anche l’autore delle opere teatrali Molière ed Ultimi giorni. (Puškin)”.

Non è necessario parlar male, ma chi si azzarda per primo a parlarne bene? Nel dubbio, si è preferito mantenersi sul generico, con lo scarno risultato sopra menzionato. Un po’ più ampia, ma sempre senza entrare nel merito, è l’informazione fornita dalla Teatral’naja Enciklopedija (TE) del 1961: “[…] fino al 1919 è stato medico statale, poi giornalista. […] La prima opera teatrale di Bulgakov, I giorni dei Turbin (MChAT), regia di Stanislavskij e Sudakov, scritta sulla base del suo romanzo La guardia bianca, sanzionava l’ammissione della giustezza e della inevitabilità storica della Rivoluzione d’ottobre da parte dell’intelligencija russa. Nell’opera teatrale La corsa (scritta nel 1928, Teatro di Stalingrado, 1957) Bulgakov scopre la crisi interna del campo della controrivoluzione; usando l’arma del grottesco tragico ha dato una caratterizzazione satirica delle guardie e degli emigrati bianchi. Meno indovinata è stata l’opera teatrale L’appartamento di Zojka (1926, Teatro Vachtangov), nella quale le truffe e le orge della NEP venivano rappresentate con uno humour bonario ed indulgente. L’opera teatrale L’isola purpurea (1928, Teatro Kamernyj) venne sottoposta a feroce critica dalla stampa. Dal 1930 al 1936 Bulgakov ha lavorato come aiuto-regista al MChAT. Bulgakov è stato autore degli adattamenti: Le anime morte di Gogol’ (1932, MChAT), Don Chisciotte di Cervantes (1941, Teatro Vachtangov). Le opere teatrali Molière ed Ultimi giorni (Puškin) sono dedicate al tema del tragico conflitto tra il grande artista e la tirannia. La drammaturgia di Bulgakov e caratterizzata dalla dinamicità di sviluppo dei conflitti, dall’agilità del dialogo, dalla finezza e dalla chiarezza dell’elaborazione psicologica dei caratteri, dall’utilizzazione dei metodi del contrasto”.

Speculare in tal senso anche Ju. A. Osnos nella Kratkaja Literaturnaja Enciklopedija (KLE) del 1962: “[…] Scrittore russo sovietico. Nato nella famiglia di un professore […]. Nei racconti satirici altamente grotteschi di Bulgakov (le raccolte Diavoleide, Le uova fatali, 1925) si è riflessa l’ostilità nei confronti della realtà da parte dello scrittore, che non è riuscito a scorgere dietro alle “smorfie della NEP” il vero volto dei tempi. Sulla base del romanzo La guardia bianca egli ha creato l’opera teatrale I giorni dei Turbin; in essa è denunciata la psicologia dei partecipanti al movimento delle guardie bianche, sono mostrati la sua sconfitta, il passaggio del meglio della vecchia intelligencija dalla parte del popolo rivoluzionario. […] Le opere teatrali L’appartamento di Zojka, nella quale sono rappresentati satiricamente i costumi del periodo della NEP, e la parodistica L’isola purpurea, dedicata ai temi teatrali, suscitarono una valutazione fortemente negativa da parte della critica. Al centro dell’opera teatrale Molière, della novella biografica su Molière e dell’opera teatrale Ultimi giorni (Puškin) (1940, rappresentazione MChAT, 1943) vi è l’immagine del tragico conflitto tra gli artisti umanisti e l’ordine dispotico”.

L’impressione è che sempre più Bulgakov venga menzionato come autore degli anni ‘20, di fatto dunque avallando quella “morte artistica” tanto temuta dallo scrittore. Lo sancisce il Dizionario Enciclopedico (Enciklopedičeskij Slovar’, ES) del 1963: “[…] Nel romanzo La guardia bianca e nell’opera teatrale I giorni dei Turbin, creata sulla sua base, è mostrata la sconfitta storica delle guardie bianche. Allo stesso tema e dedicata l’opera teatrale La corsa. Bulgakov è autore del libro storico-biografico e dell’opera teatrale Molière, di Ultimi giorni (Puškin) ed altre opere.

Nel suo corsivo La capitale nel taccuino Bulgakov rimarcava: “Dopo la rivoluzione è nata una nuova intelligencija di ferro. Essa è capace di scaricare mobili, spaccare legna, occuparsi di raggi X. Io ho fede che essa non scomparirà! Sopravviverà!”. Bulgakov si riferisce ad un’intelligencija che è passata attraverso le prove della guerra civile, della cruda fatica fisica per un pezzo di pane.

Più anni passano dalla morte di un personaggio scomodo, meno pericoloso diviene riavvicinarsi (per approssimazione?) all’obiettività. In piena stagnazione brežneviana V. Ja. Lakšin nella BSE del 1971 recita: “[…] è stato medico statale nel governatorato di Smolensk. Nel 1919 ha iniziato ad occuparsi professionalmente di letteratura. Dal 1922 al 1926 ha collaborato con il giornale Gudok. La prima raccolta di racconti satirici di Bulgakov, Diavoleide, ha suscitato dispute nella stampa. La pubblicazione del romanzo La guardia bianca (1925-27) è rimasta incompiuta. […] In queste opere, come nell’opera teatrale La corsa, è stigmatizzata la rottura negli umori della vecchia intelligencija russa, è sfatata l’idea del movimento “bianco”, è mostrata l’infruttuosità della via verso l’emigrazione. Nelle commedie L’appartamento di Zojka e L’isola purpurea Bulgakov deride la quotidianità e gli umori degli ambienti della NEP, fa la parodia delle usanze del chiuso microcosmo teatrale.

La critica letteraria della fine degli anni ‘20 valutava molto negativamente l’attività di Bulgakov, le sue opere non venivano pubblicate, le opere teatrali tolte di scena. Nei drammi storici La cabala dei santoni (Molière, 1930-36, rappresentazione del 1943) e Gli ultimi giorni (Puškin, 1934-35, rappresentazione del 1943), nella novella biografica Vita del signor de Molière (1932-33, pubblicata nel 1962) Bulgakov mostra l’incompatibilità della vera arte con il dispotismo della monarchia. L’incompiuto Romanzo teatrale (Appunti di un defunto, 1936-37, pubblicato nel 1965) unisce in sé i tratti della satira e della confessione. Dall’inizio degli anni ‘30 e sino alla morte Bulgakov ha lavorato al romanzo Il maestro e Margherita (pubblicato in volume nel 1966-67). Sovrapponendo tre livelli di azione: storico-leggendario (l’antica Giudea), contemporaneo-quotidiano (la Mosca degli anni ‘30) e mistico-fantastico, ha creato un’originale forma di romanzo filosofico, dove sono poste le “eterne” questioni del bene e del male, della moralità falsa e vera. Drammaturgo e narratore, possedeva una maestria raffinata nel campo della satira, della tecnica realistica, del linguaggio flessibile, vivo, e del soggetto impetuoso […]”.

La sua opera più grandiosa giunge al pubblico un quarto di secolo dopo la sua morte, quando l’autore aveva ormai raggiunto quella tranquillità tanto desiderata:

– Ascolta l’assenza di suoni, – diceva Margherita al Maestro, e la sabbia frusciava sotto i suoi piedi nudi. – Ascolta e godi di ciò che non ti diedero in vita: il silenzio. Guarda, ecco davanti la tua casa eterna che ti è stata donata quale ricompensa. Già vedo la finestra veneziana e la vite rampicante salire fino al tetto. Ecco la tua casa, ecco la tua casa eterna. Io so che la sera verranno da te coloro che ami, a cui sei interessato e che non ti inquieteranno. Loro suoneranno per te, per te canteranno, tu vedrai che luce c’è nella stanza quando sono accese le candele. Tu ti addormenterai con indosso il tuo bisunto ed eterno berretto, e ti addormenterai con il sorriso sulle labbra. Il sonno ti rafforzerà, e prenderai a ragionare con saggezza. E non riuscirai più a scacciarmi. Il tuo sonno lo proteggerò io.

Così diceva Margherita, andando con il Maestro in direzione della loro casa eterna, e sembrava al Maestro che le parole di Margherita fluissero come fluiva e sussurrava il ruscello che si erano lasciati dietro, e la memoria del maestro, inquieta, martirizzata dagli aghi, prese ad acquietarsi. Qualcuno stava lasciando libero il Maestro, cosi come lui aveva appena liberato l’eroe che aveva creato. Quell’eroe era scomparso nel baratro, scomparso irrevocabilmente il figlio del re astrologo perdonato nella notte di domenica, i1 crudele quinto procuratore della Giudea, il cavaliere Ponzio Pilato.

A cura di Mark Bernardini

Bibliografia

  • 1930 La guardia bianca, nella rivista “Rossija”, 1925, libri 4 e 5; Diavoleide, Racconti, ed. “Nedra”, Mosca, 1925.

  • 1961 I giorni dei Turbin. Gli ultimi giorni, Mosca, 1955.

  • 1962 La vita del signor de Molière, Mosca, 1962.

  • 1971 Prosa scelta (introduzione di V. Lakšin), Mosca, 1966; Drammi e commedie (introduzione di V. Kaverin), Mosca, 1965; Il maestro e Margherita, nella rivista “Moskva”, 1966, N°11; 1967, N°1; Autobiografia nel libro: Sovetskie pisateli. Avtobiografii, vol. 3, Mosca, 1966.

Letteratura

  • 1929 Lirov M., articolo nel giornale “Pečat’ i Revoljucija”, libri 5-6, 1925; Kototkov N., nel giornale “Rabočaja Žizn’”, libro 3, 1925.

  • 1930 Pereverzev V., Novità della prosa, “Pečat’ i Revoljucija”, libro 5, Mosca, 1921; Osinskij N., Appunti letterari, “Pravda”, N°170, Mosca, 1925; Gli scrittori dell’epoca moderna, vol. I, Mosca, 1928; Vladislavlev I. V., Letteratura del grande decennio, vol. I, Mosca, 1928.

  • 1951 Stalin I. V., Opere, vol. 11 (“Risposta a Bill’-Belocerkovskij”).

  • 1961 Askol’dov A., Otto sogni, “Teatr”, 1957, N°8; Kaverin V., Appunti sulla drammaturgia di Bulgakov, “Teatr”, 1956, N°10.

  • 1971 Smirnova V., Michail Bulgakov drammaturgo, nel suo libro: Sovremennyj portret, Mosca, 1964; Lur’e Ja. e Serman I., Da “La guardia bianca” a “I giorni dei Turbin”, “Russkaja literatura”, 1965, N°2; Ermolinskij S., A proposito di Michail Bulgakov. Capitolo dal libro di memorie, “Teatr”, 1966, N°9; Lakšin V., Il romanzo di M. Bulgakov “Il maestro e Margherita”, “Novyj mir”, 1968; N°6; Skorino L., Volti senza maschere di carnevale, “Voprosy literatury”, 1968, N°6; Vinogradov I., Il testamento del maestro, ibidem; Skorino L., Risposta all’oppositore, ibidem; Palievskij P., L’ultimo libro di M. Bulgakov, “Naš sovremennik”, 1969, N°3.

Note

  1. Il giornale "Nakanune" era pubblicato da un gruppo di emigrati russi appartenenti alla corrente che aveva preso il nome dalla raccolta di articoli "Smena vech" pubblicata a Praga nel 1921. Gli smenovechovcy invitavano gli emigrati a riconoscere il potere sovietico ed a collaborare con esso per la creazione di una nuova Russia sviluppata economicamente e culturalmente. I fautori dello smenovechovstvo, appartenenti in passato prevalentemente all'ala destra del partito cadetto, prevedevano che in conseguenza della NEP (la Nuova Politica Economica voluta da Lenin) avrebbe avuto luogo una rigenerazione del potere sovietico e la Russia si sarebbe trasformata in una repubblica parlamentare democratico-borghese sul modello occidentale. La via da seguire a tal fine doveva essere quella del capitalismo di Stato.

  2. Fino a qualche anno fa la distinzione tra "russo" e "sovietico", limitatamente a persone di nazionalità russa, veniva sottolineata per distinguere il prima e il dopo la creazione dello Stato sovietico.

  3. Da rimarcare la sfumatura relativa alla differenza tra l'aver iniziato a "scrivere" (1929) e ad "essere pubblicato" (1951).

[Da “Rassegna Sovietica”, N°1-2, 1991, Roma, Montecatini, Abano, Milano, di Mark Bernardini]

martedì 1 dicembre 1987

Il ritorno di Sucharev

di Vladimir Ščerbakov

A guardarlo, sembrava dormisse beatamente, semicoricato in poltrona, tanto era sereno il suo volto, regolare il respiro e naturale la posizione. Ma dopo un paio di minuti risuonò il segnale d'allarme. L'uomo si risvegliò lentamente, si allungò verso lo schermo e fissò con palese sforzo i puntini che vi apparivano e sparivano: l'astronave stava attraversando una nube di meteoriti. I suoi occhi arrossati, irritati, rivelavano meglio di qualsiasi parola quanto fosse stata fallace la prima impressione. Poi si accasciò pesantemente in poltrona e fece in tempo a rientrare nel suo dormiveglia da incubo prima che risuonasse nuovamente l'impietoso segnale.

Erano tre o quattro giorni, non rammentava con precisione, che quasi non chiudeva occhio, dato che il segnale suonava in continuazione. Ma sì, probabilmente era da cinque giorni che il pilota automatico si era rotto. Se solo fosse riuscito a resistere fino alla fine… a sostituire gli elementi danneggiati. O forse era meglio farsi prima un sonno?…

Non poté determinare neanche approssimativamente quanto altro tempo fosse passato, quando l'impulso elettrico lo risvegliò per l'ultima volta. Senza aprire gli occhi, alzò con fatica il braccio e strappò svogliatamente il filo dell'allarme.

Nelle fantasticherie del suo sonno entrarono solo per un istante la nave, un guscio d'uovo indifeso nell'oceano del tempo e dello spazio, ed il puntino vertiginoso del meteorite che gli aveva attraversato la strada nel suo volo mortale.

Accordo in maggiore

C'era una strana sensazione che non abbandonava Sucharev: i quadrati verdi dei campi, i fiumi e gli edifici, bianchi come la neve del cosmodromo, spuntavano d'improvviso dalle nuvole, e vedeva tutto questo come dipinto sulla tela da un maestro che gli abbia dato vita. Non credeva che tutto sarebbe finito propria ora, in quell'istante.

L'ammortizzatore ricevette un colpo, ed egli sentì una leggera nausea in gola.

Un'automobile si avvicinò alla scaletta. Vol'd vide una donna. Capelli castani ondulati, volto aperto, felice, gambe slanciate: era Anna. L'aria azzurra primaverile era piena di suoni: si udivano in lontananza i clacson delle macchine, voci umane, i1 canto degli uccelli; da qualche parte qualcosa ronzava e rombava metallicamente. In dieci anni si era disabituato a tutto ciò.

Lei gli corse incontro. Lui era rimasto fermo, un po' vacillante, sul primo gradino della scaletta: il venticello primaverile e l'odore dell'erba gli avevano dato alla testa come se fosse stato un po' brillo.

I tacchetti di lei risuonarono svelti sulla scaletta. “Caro… Vol'd…” – pronunciò a fatica. Solo allora lui si accorse che i suoi occhi erano pieni di lacrime. Voleva dirle qualcosa, ma continuo a guardare, a guardare…

E c'era anche un'altra cosa che avrebbe voluto dirle… Le sue labbra si torsero in una smorfia e, come un bimbo, cacciò la testa nell'impermeabile di lei, un po' più giù del collo.

La strana ipotesi del professor Nevadago

Il professor Nevadago lo salutò senza sentimento, lo fece entrare nello studio ed affrontò la questione senza parole superflue.

– Sono importanti i particolari. Di fatto abbiamo già un'ipotesi su cui lavorare, per quanto possa sembrarle assurda. Ma i dettagli sono sempre convincenti, specialmente in questo caso… Sì… Lei ha detto che al momento del risveglio è corso allo schermo, che era vuoto. Beh, è possibile che questo sia stato reale… realistico… Possibile che non vi sia stato nulla che lei abbia reputato degno di nota, eccetto questa piastrina? Allora? – Nevadago prese a fissare con aria di attesa il suo interlocutore.

– No, nulla. Intendo, ovviamente, nulla di notevole, glielo avrei detto prima. Oltre ad una sensazione di leggera debolezza e ai giramenti di testa, di cui le ho già parlato. No, era tutto come sempre. Mi sono svegliato ed ho proseguito il volo. Poi ho trovato in tasca questo, – Vol'd toccò la piastrina sul tavolo, – e mi ha interessato al punto da informarvene…

– Va bene, – Nevadago si accostò al tavolo, nascose la piastrina e guardo con attenzione Vol'd da dietro gli occhiali. – Bene. Adesso mi ascolti con attenzione, tanto deve comunque venirne a conoscenza. La nave è stata perforata dalle meteoriti in vari punti. – Il professore fece una pausa, accentuando involontariamente l'ultima frase. I suoi occhi studiavano attentamente l'interlocutore, mentre la mano si protendeva verso il portasigarette. – La nave è stata crivellata, ed è tornata nuova di zecca. Come spiega questo piccolo paradosso? Tra poco mi crederà, Vol'd. Abbiamo trovato i segni delle riparazioni. E' stato molto difficile, quasi impossibile… Quelli che ci hanno lavorato sono stati dei cesellatori: nove squarci, pensi… No, tranquillo, Vol'd, mi ascolti, le spiego tutto con ordine. Tanto, deve saperlo comunque. Naturalmente, otto dei nove squarci sono stati la diretta conseguenza del primo. Il primo meteorite ha messo fuori uso una serie di apparecchiature, e poi è cominciato… un colpo dopo l'altro. Immagino lo spettacolo… Ma lei, Vol'd, a quel punto, in base alla mia ipotesi, non esisteva più. Era morto.

Nevadago avvicinò premurosamente all'interlocutore il portasigarette, prevenendo con uno sguardo freddo ed intelligente le inutili domande dell'altro.

– Lei non esisteva più, – ripeté pensoso. – Certo, ammetto che sia solo una mia ipotesi, ma non poteva essere altrimenti. Assolutamente, Vol'd, – ripeté con tranquillità. – Dopo, quando il pilota si è risvegliato e l'astronave, tutta bella e sana, ha ripreso il suo percorso, si è trattato già di un altro pilota. E di un'altra nave. L'astronave era stata riparata, come le ho già detto, ed il pilota… Calmo, Vol'd, non sono vaneggiamenti, deve saperlo… il pilota era stato sostituito con una copia identica. Lei non è Vol'd, e colui che fa più fatica a crederlo è proprio lei. Ma allo stesso tempo lei è quel Vol'd che in quella nube maledetta voleva tanto dormire, e questo facciamo fatica noi a crederlo…

Terminato di parlare, Nevadago prese una sigaretta, ed a Vol'd parve di vedere qualcosa di nuovo nella sua espressione, che prima non aveva notato. Egli reputava un malinteso tutto quello che il professore gli aveva detto sino ad allora, anche se era lontano dal pensare che uno dei due potesse aver perso il senno.– Queste sono le copie dei protocolli di analisi della nave dopo il suo ritorno, – Nevadago fece cigolare il cassetto di una scrivania fuori moda e gli porse alcuni fogli dattiloscritti. – Non abbia fretta, se li studi con attenzione, in particolare le conclusioni. Non la disturberò.

Il professore andò verso la libreria. Vol'd prese a sfogliare i protocolli. L'analisi chimica, l'analisi strutturale, tutto in regola. Snervamento del metallo… diagrammi… il contorno dell'astronave e le macchie su di essa… Vol'd contò nove macchie, tutte zone di composizione identica, ma con piccole differenze nei parametri fisici. Sì, erano delle otturazioni, roba da matti. Poi guardò i pannelli delle apparecchiature e di nuovo nei diagrammi vide le macchie, i segni delle riparazioni.

– Senta, – Vol'd chiamò debolmente il professore, che faceva finta di cercare un libro nella libreria, – è riuscito a sapere cosa sia quell'oggetto che mi sono trovato in tasca? Perché, se ho capito bene, e cominciato tutto con la piastrina, vero?

– Non sia ingenuo, Vol'd. Non sappiamo assolutamente di cosa si tratti. Vol'd, l'ho chiamata qui proprio per questo, anche se ammetto che senza di me non si sarebbe certo annoiato. Vede, è molto difficile comprendere la destinazione di quest'oggetto. Certo, era evidente sin dall'inizio che la cosa più probabile era che le fosse rimasta in tasca casualmente: non potevano mica avergliela lasciata di proposito. Sarebbe in contrasto con tutto il resto. Non legherebbe con il loro compito fondamentale. Nove squarci ed il pilota… Gli autori hanno voluto rimanere sconosciuti. Hanno fatto di tutto per celare l'accaduto. Ed hanno quasi raggiunto l'obiettivo. La piastrina è stata dimenticata nella sua tasca. Ma per noi, Vol'd, ciò è stato sufficiente.

Conosciamo benissimo i nostri limiti. Sappiamo di cosa sono capaci le nostre mani ed i nostri cervelli, abbiamo costruito l'edificio armonioso della scienza, abbiamo generato nel dolore macchine ed automi perfetti. Ma mai mano umana ha potuto tenere un oggettino simile. Nessuna mano. Mai. Perché vede, Vol'd, siamo riusciti ad analizzare solo un picco1issimo settore della superficie esterna della piastrina, micron per micron. I suoi atomi sono allineati come mattoni. Gli atomi più differenti. Non posso esemplificare con alcuna analogia adatta, Vol'd. E' una costruzione architettonica elaborata, composta di elementi uniti in base alla legge di un qualche codice complesso. Un bizzarro mosaico di molecole ed atomi. Mi scusi, mi sono infervorato, avrei dovuto tacere, tanto per ora è impossibile descriverlo con parole. Abbiamo trovato una traccia, Vol'd, e lei deve aiutarci, visto che ha avuto tanta fortuna.

– E incredibile, professore… Lei disporrà pure di fatti… di prove… O in questo caso non sono necessari?

– Nessuna. Nulla, oltre quello che le ho già detto, – si corresse il professore, dopo una pausa di riflessione. Tacque e giro a lungo tra le dita la sigaretta spenta.

– Che nube era, Vol'd? – chiese di punto in bianco il professore. – Voglio dire, cos'erano quelle meteoriti? La configurazione, il peso, anche se molto approssimativamente?

– Non saprei. Ma è cosi importante, professore?

– Chi lo sa… – borbottò piano Nevadago. – Semplicemente non possiamo metterci al loro posto, mentre loro… beh, inutile fantasticare.

… Il buio creava l'illusione della solitudine. La sera era così silenziosa e le stelle luminose splendevano così pacatamente che se Vol'd si fosse concentrato non avrebbe sentito altro che il rumore dei propri passi.

Continuava mentalmente la discussione. Ad un tratto, si convinse improvvisamente che nel ragionamento del professore c'era una lacuna. Ma quale? La sgradevole voce metallica del professore continuava a disputare con lui, cercava di convincerlo, di tranquillizzarlo… Certo, aveva ragione lui. Ci volevano fatti. Una logica. Conclusioni inconfutabili. Allora, era andata proprio così? La lacuna non si trovava. Ma da dove gli veniva allora quell'inspiegabile convinzione che ci fosse?… Da dove?

“Sono Vol'd. Ricordo perfettamente tutto quello che è successo, – tentò per l'ennesima volta di confutare mentalmente le ipotesi del professore. – Mi sono addormentato e poi mi sono svegliato. Era tutto a posto. Mi sentivo benissimo. Mi ricordo tutto perché sono Vol'd Sucharev, e nessun altro. Sono io che a scuola marinai la lezione di biologia per andare al cinema con Kol'ka Utrilov. E mi regalarono per il compleanno l'orologio con la bussola, ed io lo mostravo alle ragazzine. Una mi chiese di provarselo e lo ruppe, mentre la bussola rimase intatta. Lei quella volta si spaventò terribilmente. Mi fece pena. "Basta piangere, – le dissi, – tanto l'orologio non mi piaceva, e un bene che tu lo abbia rotto". In seguito diventammo amici…”.

Un epilogo realistico

Camminavano lungo un viale che sembrava un corridoio: a destra e a sinistra vi erano dei cespugli curati, un po' più in là file di alberi con delle stelle luccicanti che erano rimaste impigliate nelle loro chiome. Gli occhi vivaci del professore che lo guardavano fissi da dietro i grossi occhiali marrone emersero nuovamente nella sua memoria. Il “Metallo snervato” faceva parte del protocollo. Diagrammi, tabelle, fotografie… La sua nave: i due occhi neri degli oblò, le curve dell'astronave che riflettevano irregolarmente la luce con i resti dello strato protettivo, su un lato c'era la macchina bassa del servizio tecnico, la scaletta era appoggiata all'uscita di sicurezza, le cabine foderate... Era difficile credere che una costruzione cosi ridicola avesse potuto volare fino a poco tempo prima… Strinse più forte il braccio di Anna. Sembrava che il sogno continuasse. Prima di farla finita con tutta quella storia, disse:

– Anna, sembra proprio che la parola “ipotesi” vada sostituita con la parola “realtà”. Credo che Nevadago…

– Non dirlo, – lo interruppe lei dolcemente, – non posso più udire quel cognome terribile. E' tutto a posto, credimi.

– Bada, Anna, che sembra sia vero.

Lei si fermò d'improvviso, si voltò verso di lui e gli sfiorò il volto con la mano.

– Stupido, stupido, – prese a ripetere velocemente, – i tuoi ragionamenti sono privi di logica. Pensi forse che ci crederei, anche se fosse vero? Dimmelo, pensi davvero che potrei crederci?

[Da “Fantastika 1964”, Moskva, Molodaja gvardija, 1964, pp. 277-283. Traduzione di Mark Bernardini, pubblicata in “Rassegna Sovietica”, N°6 1987]

L'operazione "Cunami" è rinviata

di Il'ja Varšavskij

Gli intermediari stavano terminando gli ultimi preparativi al quartier generale. L'Aiutante entrò nella stanza ed avvisò che la ridislocazione delle truppe era terminata.

Il Generale diede un'occhiata ai presenti.

– Signori, vi ricordo le condizioni delle manovre per l'operazione “Cunami”. Le manovre avranno luogo a livello di divisioni, le squadre dei fucilieri verranno appoggiate dai carri armati, dai plotoni paracadutisti e dall'artiglieria. Inoltre, ciascuna parte avrà a disposizione batterie di missili atomici. La peculiarità di queste manovre consiste nel fatto che i “Giaguari” verranno comandati da un calcolatore elettronico. Scopo delle manovre è conquistare le postazioni detenute dagli “Orsi”. Prego, Sir, può immettere nel suo calcolatore i dati sulle posizioni di partenza.

– Okay! – gridò il Professore.

Fece un cenno all'Assistente e questi si mise a praticare sulla scheda i fori in una bizzarra successione.

Per un po', a partire dal momento in cui vennero immessi i dati necessari nel calcolatore, il quadro di questo si illuminò di varie lampadine colorate. Poi, sul quadro principale comparve una croce rossa luminosa.

– E' pronto? – chiese il Generale.

– Il calcolatore non è d'accordo sulla dislocazione proposta e chiede la redistribuzione, – rispose il Professore.

– E cosa vuole?

– Adesso vediamo.

Il Professore schiacciò un bottone verde sul quadro principale e dal calcolatore uscì un nastro di carta pieno di zeri ed unità.

– Curioso, – disse il Colonnello che fungeva da intermediario dei “Giaguari”.

L'Assistente contò i segni sul nastro e prese appunti sul suo taccuino.

– Chiede l'eliminazione delle riserve sui fianchi. Otto squadre fucilieri debbono occupare le postazioni lungo la linea del fronte.

– L'inizio lascia a desiderare, – disse il Generale. – Vuole lasciare i “Giaguari” senza nessuna copertura sui fianchi?

– Insiste perché due gruppi di carri armati da sfondamento si portino sui fianchi ed occupino le postazioni retrostanti i fucilieri.

– Geniale! – disse il Colonnello.

– C'è altro? – chiese il Generale.

– La bandiera della divisione deve essere collocata al centro, accanto alla batteria missili atomici, dietro i fucilieri.

– Stupendo! – esclamò il Colonnello. – Ha tenuto conto persino della bandiera!

Il Generale corrugò la fronte, ma non disse nulla.

– Sulla loro destra e sulla loro sinistra si debbono dislocare due batterie leggere, – continuò l'Assistente. – Accanto alle batterie vuole che si collochino i paracadutisti d'assalto.

– Spero che sia tutto?

– No: vuole che l'ospedale da campo sia tolto di mezzo.

– Per metterlo dove?

– Non deve partecipare affatto alle manovre.

Il Professore portò la mano al cuore ed emise un gemito.

– Cos'ha? – chiese il Generale.

– Una crisi cardiaca, – mormorò il Professore, accasciandosi sulla sedia. – Per favore, rimandiamo le manovre a domani. Vi prego!

***

Le luci della città erano ormai visibili quando il Professore, in ottima forma, ma con voce piuttosto scontenta, chiese all'Assistente:

– Ieri ha giocato di nuovo con lui a scacchi?

– Sì, Sir, perché?

– E il programma non l'ha più sostituito?

– N-n-non ricordo, – rispose imbarazzato l'Assistente.

– Me ne sono accorto! “N-n-non ricordo”! Non ha notato forse che stava dislocando i reparti militari come i pezzi sulla scacchiera?!

Il primo ad interrompere il silenzio che seguì fu l'Assistente:

– Comunque, peccato che non l'abbia fatto proseguire. Ieri funzionava a meraviglia. C'è mancato poco che non perdessi.

[Da “Fantastika 1964”, Moskva, Molodaja gvardija, 1964, pp. 226-228. Traduzione di Mark Bernardini, pubblicata in “Rassegna Sovietica”, N°6 1987]

Nuove notizie su Sherlock Holmes

di Il'ja Varšavskij

La domenica londinese è sempre piena di noia, ma se a questa si aggiunge la pioggia, diventa insopportabile.

Io ed Holmes stavamo trascorrendo la giornata domenicale nel nostro appartamento in Backer street. Il grande segugio guardava dalla finestra, tamburellando con le dita lunghe ed esili sul vetro. Nonostante tutti i miei sforzi, il pollice gli si piegava più lentamente delle altre dita.

Finalmente interruppe il silenzio che si protraeva da troppo tempo.

– Non ha mai pensato, Watson, alla non equipollenza delle perdite umane?

– Non la capisco del tutto, Holmes.

– Ora mi spiego. Quando una persona perde i capelli, li perde e basta. Quando perde un cappello, perde l'equivalente di due cappelli, poiché uno l'ha perso, e l'altro deve acquistarlo. Quando perde un occhio, non si sa se ha perso qualcosa: in fondo, con un occhio vede due occhi in tutte le altre persone, mentre queste ultime, pur avendone due, gliene vedono uno solo. Quando perde la ragione, il più delle volte perde ciò che non possedeva. Quando perde fiducia in se stesso… Ma se non erro, ora vedremo una persona che ha perso tutto quel che ho elencato. Sta suonando alla porta!

Poco dopo nella stanza entrò un uomo obeso e calvo, senza cappello, che si asciugava le gocce di pioggia sulla testa tonda con un fazzoletto. L'occhio sinistro era coperto da una benda nera. Tutto il suo aspetto esprimeva smarrimento totale.

Holmes fece un inchino di circostanza.

– Se non vado errato, ho l'onore di vedere in casa mia il duca di Montmorency? – chiese con raffinatezza incantevole.

– Mi conosce, mister Holmes?! – chiese il grassone stupito.

Holmes allungò una mano verso la libreria e prese un libro rilegato in percalle nero.

– Qui, eccellenza, sono raccolti i miei umili lavori di censimento di tutti gli anelli gentilizi. E non sarei un detective se non avessi riconosciuto a prima vista il famoso anello dei Montmorency. Allora, in cosa posso esserle utile? Non si faccia problemi per il mio amico e parli di tutto esplicitamente.

Il duca tentennò un po', evidentemente non sapendo da dove iniziare.

– E' in ballo il mio onore, mister Holmes, – disse, cercando a fatica le parole adatte. – E' una questione molto delicata. Mia moglie è fuggita. Per una serie di ragioni non posso rivolgermi alla polizia. La scongiuro, mi aiuti! Mi creda, sono mosso da qualcosa di più nobile che non la gelosia o l'amor proprio ferito. La questione potrebbe prendere una piega molto sgradevole da un punto di vista politico.

Dal luccicare degli occhi semichiusi di Holmes compresi che tutto questo lo interessava alquanto.

– Vuole essere così gentile da narrarci le circostanze in cui ha avuto luogo la fuga? – chiese.

– E' accaduto ieri. Eravamo nella cabina del “Mauritania”, in procinto di salpare per la Francia. Sono uscito un minuto per andare al bar, mentre mia moglie rimaneva in cabina. Dopo aver bevuto un bicchierino di whisky, sono tornato, ma la porta era chiusa. Dopo averla aperta con la mia chiave, ho scoperto che mia moglie era scomparsa con tutta la sua roba. Mi sono rivolto al capitano, la nave è stata rovistata da poppa a prua, ma purtroppo senza esito.

– Milady aveva una cameriera?

Il nostro ospite esitò.

– Vede, mister Holmes, eravamo in viaggio di nozze, dunque difficilmente degli estranei potevano esserci d'aiuto…

Conoscevo bene il tatto del mio amico in queste cose e non mi stupii del fatto che chiedesse con un gesto al duca di non proseguire oltre il suo racconto.

– Spero di poterla aiutare, eccellenza, – disse Holmes, alzandosi per porgere il cappotto all'ospite. – L'attendo domattina alle dieci.

Holmes tolse con garbo un capello dal bavero del duca e lo accompagnò alla porta.

Tacemmo per alcuni minuti. Holmes, seduto al tavolo, guardava attentamente qualcosa con la lente d'ingrandimento.

Alla fine non resistetti.

– Sarebbe interessante, Holmes, sapere cosa lei pensa di questa storia.

– Penso che la duchessa di Montmorency sia uno sporco animale! – rispose con un'asprezza inusuale per lui. Del resto, era sempre stato molto severo per ciò che riguarda la morale.– Ed ora, Watson, a letto! Domani sarà una giornata dura. A proposito, spero abbia con sé la sua pistola. Potrebbe servire.

Capii che non gli avrei cavato nulla di più, e gli augurai la buonanotte. Il mattino seguente il duca non si fece attendere. Alle dieci in punto suonò alla nostra porta.

Holmes aveva già prenotato un cab, e partimmo per l'indirizzo che indicò.

Il viaggio fu lungo, tanto che il nostro cliente iniziò a spazientirsi. Improvvisamente Holmes ordinò al cabman di fermarsi nei pressi dei Docks. Fece un fischio, e da dietro l'angolo spuntò un omaccione con un canguro rosso al guinzaglio.

– Eccellenza, – si rivolse Holmes al duca, – la prego di consegnarmi quindici sterline, tre scellini e quattro pence in presenza del mio amico dottor Watson. Di questa somma, devo dieci sterline al padrone del serraglio per la duchessa di Montmorency, mentre il resto lo verserò come multa alle autorità doganali per il tentativo di trasportare illegalmente animali dall'Inghilterra.

Il duca rise con allegria.

– La prego di perdonarmi, mister Holmes, per il piccolo inganno, – disse, estraendo il portafoglio. – Non potevo dirle che sulla nave si nascondeva un canguro sotto le sembianze di una lady. Non avrebbe mai intrapreso le ricerche. Sono stato costretto ad infrangere la legge ed a portare quest'animale in Francia per una stupida scommessa. Spero non mi serbi rancore.

– Assolutamente no! – rispose Holmes, tendendogli la mano.

Un attimo dopo nelle mani di Holmes luccicarono le manette, che scattarono con precisione ai polsi del duca.

– Ispettore Letard! – disse Holmes rivolgendosi al nostro cabman. – Può arrestare il professor Moriarty con l'accusa di omicidio del duca e della duchessa di Montmorency. Ha commesso questo crimine per rubare un carbonchio azzurro che si trova attualmente nel marsupio di questo canguro. Non si disturbi, professore, il mio amico Watson sparerebbe per primo!

***

– Mi dica, Holmes, – chiesi la sera al mio amico, – come ha indovinato che era un canguro anziché una lady?

– Al nostro primo incontro tolsi di dosso dal nostro cliente un capello rosso. Dalle informazioni che ho preso, milady era bruna, di conseguenza il capello poteva appartenere o alla cameriera o all'animale. Come lei sa, la cameriera si esclude. Il fatto che il marsupiale fosse femmina l'ho stabilito con la lente d'ingrandimento. Ed ora, Watson, – concluse, – ho intenzione di abbandonare tutti gli affari per ampliare la mia monografia sui merli neri.

– Un'ultima domanda! – lo supplicai. – Come è riuscito a sapere che sotto le sembianze del duca si nascondesse Moriarty?

– Non saprei, – disse con disappunto. – Può darsi… E se lo avessi tenuto d'occhio durante tutti questi anni?

Sospirai, misi una mano sulla spalla di Holmes e premetti l'interruttore nascosto sotto la giacca. Poi, asportato da Holmes il pannello posteriore, cominciai a rifare le saldature dei circuiti di programmazione. In quelle condizioni, era inutile persino tentare di venderlo a Scotland Yard.

[Da “Fantastika, 1964 god”, Moskva, Molodaja gvardija, 1964, pp. 222-225. Traduzione di Mark Bernardini, pubblicata in “Rassegna Sovietica”, N°6 1987]