venerdì 11 luglio 2008

In quel Paese un po’ così

Come ad ogni mia temporanea permanenza in Italia, continuo a scontrarmi con incongruenze kafkiane. Sarò sfigato io? Mah. Nella mia vita normale, non direi, solo in Italia.

Tutto è iniziato dall'apertura della porta dell'aereo Aeroflot a Fiumicino. Nonostante che la compagnia di bandiera russa faccia parte dello Sky Team come l'Alitalia, ai voli dell'Aeroflot vengono sempre riservati i parcheggi più lontani, per cui si viaggia circa venti minuti in autobus per tutto l'aeroporto, anziché penetrare direttamente nel salsicciotto di collegamento tra aeromobile e terminal. I bagagli vengono riconsegnati sempre sul nastro più distante. Ma di questo avevo già scritto a suo tempo nei miei appunti spuntati di viaggio.

Dopo quaranta minuti di attesa, sul nostro nastro cominciano a consegnare i bagagli del volo da Dublino, arrivato mezzora dopo di noi, ovvero appena dieci minuti dopo il loro arrivo. Nel frattempo, tutti noi, passeggeri provenienti da Mosca, compresa la squadra nazionale femminile di pallacanestro, ci accalchiamo, silenziosi ed increduli, guardando con invidia gli irlandesi. Totale, settanta minuti.

Passati i controlli, si trattava di accedere alla ferrovia. Bisogna scendere con una scala mobile, dove però non si possono trasportare i carrelli. Dulcis in fundo, poi si tratta di risalire su un'altra scala mobile. E' noto che l'80% dei passeggeri non sono uomini d'affari con solo bagaglio a mano, ma famiglie che vengono in vacanza, con valigioni, bambini, carrozzine e quant'altro. La logica non è di queste lande. Pur essendoci alzati alle due di notte ora italiana ed arrivati a Roma alle undici del mattino (comunque in ritardo), rischiamo di arrivare in città quando non sarà possibile pranzare da nessuna parte, perché, a differenza di Mosca, qui dopo le due se ne riparla a cena.

In realtà, c'è una scappatoia, che io già conoscevo, memore delle amare esperienze degli anni precedenti: nascosto da sguardi indiscreti, c'è un ascensore, che porta ad un budello sopraelevato, che permette di superare le due scale mobili, con tanto di carrello. E' però solo uno, venti minuti di fila. Acceduto al quale, ci siamo trovati davanti al budello ridotto ad un terzo: il tapis roulant centrale era chiuso per lavori in corso. Peccato che il telo di copertura avesse addosso uno strato di polvere spesso un dito: in corso da quanto?

Finalmente, siamo giunti al trenino. Fila interminabile per i biglietti, ma, anche qui, io ho la supremazia dell'amara esperienza: accanto alla fila, un paio di apparecchi, miracolosamente funzionanti, dove è possibile fare i biglietti con carta di credito.

Fatti. In treno, l'avviso che lo stesso è munito di aria condizionata. Aggiungo: a condizione che spiri il vento, infatti mai visto che funzioni. Ad onor del vero, era così anche negli anni '70, quando il trenino, costruito per i Mondiali del '90, manco c'era. Morale, un caldo appiccicoso della madonna. Ma questo l'avevo messo in conto.

E' l'una, siamo arrivati a Termini. Termini, mica Milano Quarto Oggiaro. Non c'è un carrello nemmeno a pagarlo oro, pur essendo smontati dalla carrozza di testa. D'improvviso, ne vedo uno, mi precipito (si fa per dire, con 35 kg sul groppone e 35°C all'ombra), ci sbatto sopra le valigie, il computer portatile, la macchina fotografica, lo zainetto di mia moglie, la figliola seduta sulle valigie... Ecco perché era libero: ruote rotte, non si muove nemmeno a piangere in turco.

Ansimante e grondante, con addosso tutto quanto testè descritto (figlia di 19 kg esclusa, naturalmente), arrivo ai tassì, che mi sentono bestemmiare da lontano.

Qui finisce l'avventura del signor Bonaventura. Anzi no.

Un mio cliente, per una traduzione fatta in gennaio, ha pensato bene di mandarmi un assegno a Roma, con raccomandata con ricevuta di ritorno, anziché fare un bonifico sul mio conto di Bruxelles (dal 1 luglio 2003 i bonifici intra-UE non sono soggetti a commissioni), e dunque spendendo inutilmente il costo dell'assegno e della raccomandata per un assegno di... 30 euro. Assegno emesso da una banca di provincia, che non dispone di sportelli a Roma, ed io viceversa non dispongo di conto corrente in Italia, sarebbe uno spreco, essendo ufficialmente residente all'estero ed iscritto all'AIRE. Stamane, tento di recarmi alla più vicina agenzia bancaria, Intesa San Paolo, che conosco bene, avendo avuto da loro un libretto di risparmio quando era Banca Commerciale Italiana, all'inizio degli anni '80. Fuori, un paio di persone di fila. La porta è bloccata, uno dei due della fila è proprio un funzionario dell'agenzia, ma non fanno entrare neanche lui. Quando la fila ha raggiunto la quindicina di persone, un funzionario si degna di uscire e spiegarci che hanno tutti i terminali bloccati. Rinuncio, visto che oltretutto sospetto già che non mi cambieranno l'assegno.

Sempre stamane, dovevo andare in stazione a fare i biglietti del treno per andare al mare lunedì prossimo. Doveroso excursus dei miei rapporti con FS ed ATAC (l'azienda romana trasporti).

Per quanto riguarda le Ferrovie dello Stato, sono anni che tento di prenotare i biglietti via internet da Mosca con la mia carta di credito VISA, e sono anni che non ci riesco. Chissenefrega che è una VISA: non è emessa da una banca italiana, quindi devi morì. Ecco perché mi tocca andare in stazione, dove, alle macchinette, faccio i biglietti... con la mia carta di credito VISA moscovita.

In gennaio 1986, venne a casa di mio padre un vigile urbano,consegnandomi una multa per avere viaggiato senza biglietto nel dicembre precedente sull'autobus 4 in piazza Cavour. Con tanto di mio nome (di Mark col kappa ce ne son molti, di Bernardini ce n'è una marea, ma di "Mark Bernardini" ce ne sono pochi nel mondo ed uno solo italiano: il sottoscritto) e numero della mia allora carta d'identità. Io in dicembre 1985 ero militare, avevo quindi il trasporto gratuito, non ero a Roma, bensì in caserma ad Ascoli Piceno (tutto documentato), ma soprattutto, per chi conosce Roma, l'autobus 4 (attualmente sostituito dal 360) non passa in piazza Cavour.

L'anno scorso, sulla falsa riga di quest'anno, dovevo andare in stazione a fare i biglietti. Alla fermata "San Giovanni" della metropolitana, ho messo due euro nella macchinetta per fare subito due biglietti, uno per l'andata ed uno per il ritorno. Attendere prego, biglietti in corso di stampa, grazie ed arrivederci. Cosa manca? I biglietti. E vallo a dimostrare. Certo, mi venne spiegato che potevo presentare una richiesta di rimborso. E dove mi facevo mandare la risposta, a Mosca? Per due euro?

Quest'anno, memore di quest'episodio, i biglietti li ho fatti in tabaccheria prima di scendere. Timbrato, si è aperto lo sbarramento a vetri. Giunto a Termini, all'uscita c'erano i controllori. Ho consegnato loro direttamente entrambi i biglietti, avvisando che uno era timbrato e l'altro mi serviva per il ritorno. Invece, non erano timbrati nessuno dei due. E allora come mai a San Giovanni si è aperto lo sbarramento? Morale: multa. Va bene, dico io, se vogliamo prenderci in giro, facciamolo fino in fondo. Ecco il mio passaporto.Non ha una carta d'identità? Non ho diritto di averla, essendo residente all'estero. Ma non c'è l'indirizzo? No che non c'è, dovrete fidarvi di quel che vi dico. Avrei potuto inventarmene uno, ma sono stato educato al rigore ed all'onestà, gli ho dato quello vero. Salito in stazione, in dieci minuti ho fatto i biglietti e sono risceso. Ho chiamato i controllori e li ho portati alle obliteratrici all'ingresso. Sotto i loro occhi, ho infilato uno dei due biglietti, ed era proprio quello che avevo già infilato a San Giovanni. Non erano passati i 75 minuti, quindi l'obliteratrice, anziché intimare "biglietto scaduto", ha comunicato che il biglietto è valido per una sola corsa. Hanno dovuto annullare il verbale, ma a quel punto, per darsi un tono... mi hanno consigliato, la prossima volta, di controllare, quando si aprono le porte, se il biglietto reca o meno la timbratura. Io??? Non dico a Zurigo, a Bruxelles o a Berlino, ma una roba del genere non mi è mai successa manco a Mosca...

Puntate precedenti

20 marzo 2008: Appunti spuntati di viaggio

6 febbraio 2008: Un Paese così può durare?

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