Ergere muri al confine tra due Paesi non è mai cosa buona. Tuttavia, come suggerisce il titolo, non tutti i muri sono uguali, qualche muro è più uguale degli altri. Per esempio, il muro di Berlino fu costruito per impedire di uscire, non di entrare. Da allora, ogni muro ha dichiarato di essere diverso e perciò più giustificato moralmente. Pensiamo, per esempio, a quello israeliano in Cisgiordania nel 2002. Ce n’è poi un’altra ventina, in giro per il mondo (Pakistan, Corea, Arabia Saudita, Kuwait, Emirati, Uzbekistan, Tailandia, Turchia, India, Egitto, Spagna, Botswana, Grecia, Irlanda del Nord, Bulgaria…), compreso quello iniziato nel 2014 e non terminato per mancanza di finanziamenti europei in Ucraina.
In queste settimane, il muro è tornato d’attualità: come preannunciato, il neopresidente statunitense Trump ha firmato il decreto di costruzione al confine col Messico. Suona piuttosto ingenuo pretendere da quest’ultimo il finanziamento, ma non lo è: in caso contrario, impedirà ai migranti di mandare soldi a casa. Pochi però ricordano – perché i media mainstream occidentali evitano accuratamente di menzionarlo – che in realtà tale muro già esiste fin dalla prima metà degli anni ’90, lungo tutta la California, l’Arizona e il Texas, con Bill Clinton presidente (democratico, giova ricordarlo).
Anche il muro lituano al confine con l’enclave russa di Kaliningrad (a spese dei contribuenti dell’Unione Europea, tre milioni e mezzo di euro) è diverso. E’ diverso intanto perché non ci sono migranti russi desiderosi di emigrare illegalmente in Lituania. E’ anche diverso perché il governatore di Kaliningrad, pur non condividendo l’isteria lituana, per tutta risposta ha offerto i mattoni della locale fabbrica russa di laterizi. Finalmente, è diverso perché i principali media europei e i vari radical chic salottieri sparsi per il vecchio continente preferiscono parlare del muro di Trump e tacere dei due muri (Ucraina, come già detto, e Lituania) in casa propria. Come dire: il mio muro è più bello e democratico del tuo.