di Dino Bernardini
Coltivo da sempre una passione smodata per le enciclopedie. La nostra biblioteca di casa ne annovera molte, tra cui la Britannica, la Larousse, la Piccola Treccani, la spagnola del País, ecc. Ma, soprattutto, ho raccolto enciclopedie e dizionari in lingua russa. Posso dire di possedere quasi tutte le edizioni sovietiche del genere, che sono state moltissime. E’ noto che ai tempi dell’Unione Sovietica l’editoria in lingua russa si trovava ai primi posti delle classifiche mondiali per quantità di libri pubblicati. Ma attenzione, il dato è relativo alle copie, non al numero dei titoli. Affinché sia chiaro, ricorderò che, per esempio, l’editoria italiana è in situazione opposta: siamo ai primi posti nel mondo per numero di titoli pubblicati e agli ultimi posti per numero di copie. Il che significa che le tirature italiane sono spesso minime, mentre quelle sovietiche erano enormi. In compenso, nella vecchia URSS i prezzi dei libri erano incredibilmente bassi.
Il sistema di vendita delle grandi enciclopedie sovietiche era il seguente. Quando cominciava a uscire una nuova enciclopedia, chi acquistava il primo volume riempiva un modulo con tutti i suoi dati personali e pagava subito anche per l’ultimo volume. Poi, via via che uscivano, i volumi successivi venivano venduti liberamente nelle librerie e chiunque poteva acquistarli senza formalità. Ma l’ultimo lo potevano ritirare soltanto gli acquirenti del primo volume, che firmavano una ricevuta, previa presentazione di un documento di identità. Naturalmente, tra l’uscita del primo volume e quella dell’ultimo trascorrevano a volte degli anni, a seconda del numero dei tomi.
Mi sono dilungato su questi particolari perché altrimenti non si capirebbe come sia stato possibile, tecnicamente, arrivare all’incredibile episodio di censura che ora racconterò, se le case editrici non fossero state in possesso dei dati personali degli abbonati alle enciclopedie.
In epoca brežneviana un mio carissimo amico ora scomparso, il sociologo Eduard (Evik per gli amici) Arab-Ogly, mi regalò con un sorriso beffardo il 5° volume della Bol’šaja, pur sapendo che possedevo già l’intera enciclopedia in 55 volumi. Ma quel 5° volume conteneva qualcosa di cui il mio 5° volume era privo.
Il fatto è che il 5° volume della Bol’šaja Sovetskaja Enciklopedija in 55 volumi (2a edizione), uscito negli ultimi mesi del 1950, conteneva la voce Berija. Secondo la formula in uso per tutti i membri del Politbjuro del partito comunista sovietico, Berija era stato presentato come “uno dei più eminenti dirigenti del Partito e dello Stato sovietico, fedele seguace e tra i più stretti collaboratori di I. V. Stalin, membro del Politbjuro del CC del partito, vice presidente del Consiglio dei ministri dell’URSS”. Seguiva una sfilza di titoli e la biografia del potente capo dei servizi segreti, corredata da una pagina in cartoncino con il ritratto. Sennonché, nel 1953, poco dopo la morte di Stalin, Berija venne arrestato in modo rocambolesco e giustiziato. Come rimediare al fatto che il quinto volume dell’enciclopedia, trecentomila copie di tiratura, era già stato venduto da tre anni? La soluzione sembra quasi uscita dalla penna di Orwell.
Tutti gli abbonati all’enciclopedia ricevettero a domicilio la seguente lettera, di cui posseggo l’originale e che tradurrò integralmente (prego di fare attenzione al verbo “raccomandare”):
«ALL’ABBONATO ALLA GRANDE ENCICLOPEDIA SOVIETICA
La casa editrice scientifica di Stato Bol’šaja Sovetskaja Enciklopedija raccomanda di togliere dal 5° volume della BSE le pagine 21, 22, 23 e 24, nonché il ritratto inserito tra le pagine 22 e 23. In sostituzione, le vengono fornite le pagine con il nuovo testo.
Le suddette pagine vanno tagliate con le forbici o con una lametta da barba, lasciando vicino alla cucitura un margine a cui incollare le nuove pagine.
La Casa editrice scientifica di Stato “Bol’šaja Sovetskaja Enciklopedija”».
Che cosa contenevano le nuove pagine? Fotografie del Mar di Bering e alcune voci di personaggi e località minori che precedentemente erano state scartate. Ogni ulteriore commento mi sembrerebbe superfluo.
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Sempre in tema di enciclopedie sovietiche, forse un giorno troverò il tempo di passare in rassegna l’evoluzione delle voci relative ai dirigenti sovietici caduti in disgrazia, poi riabilitati, poi fucilati, poi di nuovo riabilitati. Nel corso degli anni questi personaggi sono stati presentati di volta in volta, nelle varie enciclopedie, come “grandi dirigenti del movimento operaio”, oppure come “traditori”, o anche come “compagni che hanno sbagliato”. Più spesso però, dopo la condanna, scomparivano del tutto. Ma adesso voglio raccontare la breve storia della pregevole Kratkaja Literaturnaja Enciklopedija, l’enciclopedia letteraria degli anni Trenta che annoverò tra i suoi collaboratori il fior fiore dell’intelligencija sovietica. Credo che oggi valga un patrimonio e che qualsiasi collezionista farebbe pazzie per averla.
L’opera doveva essere in 12 volumi e lentamente, pur tra difficoltà d’ogni genere, la penuria di carta e ostacoli della censura, approdò felicemente al nono volume. Il decimo conteneva la lettera “S”, quindi la voce “Stalin”, anche se non si capisce che c’entrasse Stalin con un’enciclopedia letteraria. Ma tant’è, l’epoca era quella. Ebbene, il volume 10, già pronto per andare in libreria, venne bloccato in attesa di giudizio. La voce “Stalin” non era piaciuta.
Passò un po’ di tempo e intanto il volume 11 fu pronto, dopo aver superato e aggirato chissà quali e quanti ostacoli e ottenuto il visto della censura. Così, venne stampato e messo in vendita. Soltanto allora ci si accorse che non era normale che il volume 11 fosse uscito prima del 10. Se ne accorsero soprattutto in alto loco, dove forse c’era ancora qualche amico della Literaturnaja che sperava di riuscire a salvare la pubblicazione imponendo un rifacimento del volume in questione. Evidentemente nel rigido sistema della censura c’era stata una smagliatura, un disguido, una svista, forse non involontaria. Ma, involontaria o no, questa svista fece precipitare le sorti della Literaturnaja Enciklopedija. I fautori del salvataggio vennero sconfitti, l’intera tiratura del 10° volume venne distrutta e nessuno osò conservarne neanche una copia per sé. Fu anche deciso che la cosa doveva finire lì. Il 10° volume non vide mai la luce neppure in forma rifatta e trascinò nella disgrazia anche il 12°, che era in gestazione, ma non arrivò mai in tipografia.
Quanto a me, sono comunque felice di possedere i dieci (1-9 e 11) volumi usciti di un’opera che fa onore alla cultura russa.
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Negli anni Settanta del secolo scorso mi capitava spesso di soggiornare a Mosca per settimane, a volte più a lungo. Mi reputavo uno che la sapeva lunga, che riusciva a muoversi in Unione Sovietica come un pesce nell’acqua e che sapeva evitare le fregature. Tuttavia mi capitò di farmi “fregare” e voglio raccontare come.
Poco prima che io partissi per l’URSS lo scrittore Anatolij Kuznecov, autore di un romanzo di successo tradotto anche in Italia, Prodolženie legendy, era stato protagonista di un fatto clamoroso, del quale avevano parlato tutti i giornali del mondo. Dopo una lunga attesa, Kuznecov aveva ottenuto dalle autorità sovietiche il permesso di recarsi a Londra, a spese dell’Unione degli scrittori, per scrivere un libro sul soggiorno londinese di Lenin. Però gli era stato affiancato un accompagnatore: evidentemente non ci si fidava del tutto di lui. Un paio di giorni dopo l’arrivo a Londra i due sovietici stavano andando a piedi a una vicina biblioteca frequentata a suo tempo da Lenin quando si trovarono a passare davanti a un commissariato di polizia. Improvvisamente, Kuznecov piantò in asso il suo accompagnatore e si precipitò dentro il commissariato. Aveva, come si diceva allora, “scelto la libertà”.
Io arrivai a Mosca qualche giorno dopo. Appena mi sistemai in albergo, andai al banco di vendita dei giornali e delle riviste che, come in tutti gli alberghi sovietici, si trovava nella hall. Per curiosità, presi in mano l’ultimo numero, appena uscito, della rivista letteraria Junost’ e andai a controllare sul retro della copertina, nell’elenco della Redakcionnaja kollegija, il nome di Anatolij Kuznecov, che ne era membro. Vidi che il suo nome c’era ancora. Avrei potuto comprare quel numero della rivista, ma non lo feci perché, essendo abbonato a Junost’, ogni mese la ricevevo regolarmente a Roma. Pensai che sicuramente nel numero successivo Kuznecov sarebbe scomparso dall’elenco, ma che per quel numero le autorità non potessero fare più nulla. Errore.
Tornato a Roma, aspettai tranquillamente l’arrivo della rivista. Ero abbonato a diverse altre riviste letterarie in lingua russa, che una dopo l’altra arrivarono regolarmente. Ma non Junost’. Dopo due o tre mesi, finalmente la rivista arrivò. Nella Redakcionnaja kollegija il nome di Anatolij Kuznecov era scomparso. Avevano rifatto la copertina, non so se dell’intera tiratura, o delle sole copie inviate agli abbonati, o soltanto di quelle degli abbonati all’estero. Ma resta il fatto che di quel numero di Junost’ non ho la doppia copia, come mi è capitato invece per il 5° volume della Bol’šaja Sovetskaja Enciklopedija.
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Sempre in tema di censura, questa volta antistalinista, voglio raccontare infine un episodio nel quale venni coinvolto mio malgrado. Avevo tradotto in italiano il romanzo Zvezda di Emmanuil Kazakevič per la casa editrice Progress di Mosca. Era un romanzo di guerra e c’era un episodio bellico ambientato nella tenda di un generale sovietico. Il generale stava parlando con alcuni ufficiali, dietro di lui era appeso un ritratto di Stalin. Così era scritto nell’originale russo e così io avevo tradotto. Ma grazie a Chruščëv, dopo il famoso XX congresso del PCUS c’era stata la destalinizzazione. Quando ebbi in mano le bozze della mia traduzione mi accorsi che il ritratto di Stalin dietro al generale era scomparso. Lo feci notare al direttore della sezione italiana della Progress e cercai di convincerlo che per quanto sia lui che io fossimo degli antistalinisti, l’operazione non era lecita. L’unica persona che avrebbe potuto modificare legittimamente il testo sarebbe stato l’autore, Kazakevič, il quale però si dava il caso che fosse morto da una decina di anni. Ma non ci fu niente da fare. Il romanzo uscì censurato. D’altra parte, in epoca zarista era stato censurato in modo alquanto ingegnoso anche Gogol’. Nelle Anime Morte c’è un episodio in cui si parla di un arciprete che praticamente “compra” una ragazza. Che cosa fece la censura di allora per tutelare il buon nome della Chiesa ortodossa? Trasformò la parola protopop, arciprete, in Protopopov, che è un cognome abbastanza diffuso in Russia. In questo modo risultava che a comprare la ragazza non era stato un sacerdote, ma un qualsiasi signor Protopopov. Va detto che in epoca sovietica venne ristabilito nelle edizioni di Gogol’ il testo originale, protopop, arciprete. Ignoro come si comportino oggi le case editrici russe, se abbiano ripristinato o no la variante zarista. Ma, come scrisse Seneca, Nulla più mi stupisce.
Dino Bernardini, "Slavia" N°1 2007
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