martedì 15 luglio 2008

Amarcordless

Fa troppo caldo per rimanere seri a lungo. Mi concedo anch'io qualche frivolezza, manco fossi un giornalista. Ho lo stimolo, infatti, di parlare di un argomento così frivolo e balneare quale è quello della capacità di acquisto dei salari dei lavoratori italiani.

Posso sbagliare di qualche anno, ma insomma ho dei ricordi piuttosto precisi delle cose che mi interessavano da ragazzino, all'inizio degli anni '70, anche perché venivo in Italia solo d'estate, e quindi, dopo nove mesi di interruzione, gli aumenti dei prezzi balzavano agli occhi. Erano gli anni in cui l'inflazione, pur se come un brocco suonato, galoppava che dio la benedica, fino ad arrivare al 22% nel 1978 (proprio per questo, non capisco cosa ci sia di scandaloso nell'inflazione al 10% in Russia di questi anni d'inizio Millennio, ma questo sarebbe altro argomento, che peraltro ho trattato e tratto di frequente, nel mio blog).

Dunque, 30 lire un ghiacciolo, 5 lire l'ascensore, 10 lire tre palline di gomme americane alle macchinette, 45 lire il giornale, idem il biglietto dell'autobus, 50 lire il gettone del telefono ed una partita a flipper (a cinque palline, mica a tre), 100 lire una scatolina di soldatini della italiana Atlantic (da pronunciare rigorosamente "Atlànticce"), 150 quelli della Airfix.

Se mio padre, nel '63, prendeva 90.000 di stipendio, nel '77 ne prendeva 700.000: è proprio negli anni '70 che egli ha iniziato a lavorare come funzionario alla Sezione Esteri della Direzione del PCI a Botteghe Oscure. Prendeva lo stipendio di un operaio specializzato in base al Contratto Nazionale dei Metalmeccanici, il ché, per un Partito che si richiama alla classe operaia, mi pare tuttora la conditio sine qua non.

Insomma, con le mie 100 lire al giorno della prima metà degli anni '70, e le 1.000 lire a settimana della seconda metà, mi sentivo un signore. Poi sono cresciuto, e persino le Nazionali senza filtro – che io, appunto, fumavo – costavano 180 lire. Andare a mangiare una pizza con i compagni persino a San Lorenzo (quello bombardato dagli americani il 19 luglio 1943, per intenderci) costava 1.500 lire. Un paio di Clark rigorosamente finte (oggi si direbbe "taroccate"), 4.000 lire.

Molte cose sono cambiate da allora, non solo oggettivamente, ché questo non avevate bisogno di me per saperlo, ma anche nella mia vita. Guadagno bene, soprattutto perché sono emigrato da Roma da 22 anni e dall'Italia da 7 anni. Ma, proprio per questo, io non faccio testo.

Non ricordo quanto costassero all'epoca le sigarette "da ricchi", tipo Marlboro, Camel, Lucky Strike (chi se le è mai potute permettere?), ma immagino almeno 500 lire. Adesso siamo sui 4 euro, ovvero 8.000 lire. Il rapporto è 1 a 16. L'autobus ed il giornale costano 1 euro, rapporto 1 a 40. La pizza con gli amici (compagni ne vedo sempre meno), 20 euro, rapporto 1 a 25. Un par de scarpe nòve, 100 euro, rapporto 1 a 50.

Purtroppo, non ricordo quanto costasse all'epoca la benzina, la carne, il latte, il pane, non avevo ancora di questi problemi.

Ma veniamo ai salari. Mediamente, checché ne dica Berlusconi, i lavoratori superano a malapena i 1.000 euro, ma abbondiamo pure, diciamo che ne pigliano 1.400. A fronte dei 350 di mio padre di allora, il rapporto è di 1 a 4.

Capito il giochetto? Certo, ci dicono che viviamo meglio: abbiamo la televisione a colori, il telecomando, il telefonino, il dvd, il computer, internet. Ma non è che prima non li avevamo perché non potevamo permetterceli: semplicemente, non erano stati ancora inventati. Si chiama progresso tecnico-scientifico, mentre ce lo spacciano per capitalismo dal volto umano, contrapposto al comunismo feroce e sanguinario.

Mi sono lasciato prendere la mano e sto ricominciando perciò a sudare, fermiamoci pure qui: per oggi, vi ho intristiti abbastanza.

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