Ieri i fascisti sono entrati a Slavjansk. Cosa accadrà nelle prossime ore, quanti bambini innocenti moriranno, lo sappiamo tutti. Ma stiamo zitti. Non diciamo una parola! Ho acceso il telegiornale russo. La prima notizia è che è morto il metropolita ucraino della chiesa ortodossa. Poi, ovviamente, si parlava di Ucraina, ed in particolare di Nikita Michalkov, che è contro l’ingerenza della Russia negli affari interni dell’Ucraina. Non una parola su Slavjansk. A tutto c’è un limite. Da qui in avanti non capisco più. Torna alla memoria il 2008, l’Ossezia e l’Abchasia. No, non sto invocando l’occupazione. Anche nel 2008 non c’è stata una guerra: ci hanno sparato, siamo entrati, gli abbiamo dato due ceffoni (da un punto di vista militare, questo è stato, nulla di più), gli abbiamo spiegato a modo che non è il caso, e ce ne siamo andati. Non ci hanno più provato, i fascisti. E anche i loro fautori euroccidentali, che avevano scatenato tanta canea, di punto in bianco, hanno taciuto. Ora è tutto il contrario.
L’altroieri, dopo l’ennesimo viaggio di lavoro (per inciso, in un Caucaso settentrionale assolutamente pacifico), sono tornato in dacia in provincia di Mosca, dalla famiglia, da mia moglie, che amo, dai miei figli, che adoro. Ho fatto la brace, e sono arrivati i bambini di tutti i vicini. Ieri, quando ho saputo di Slavjansk, ho immaginato un bombardamento. Finito, niente più bambini, né i miei, né altrui.
In questi giorni, ho letto un articolo. L’autore ha pienamente ragione: se sarà guerra, a causa di quelli come me, chi spiegherà alle madri dei soldati russi che moriranno che i loro figli non torneranno mai più? Ed io però chiedo all’autore e a tutti i pacifisti tout court: chi spiegherà alle madri dei bambini ucraini sudorientali che i loro figli sono morti per niente? Davvero siete convinti che a star zitti come cenci si arrangia tutto? Possibile che non è chiaro, come ottant’anni fa, che poi ci sarà Belgorod, Rostov sul Don, Stavropol’, Krasnodar? Che attaccheranno la Crimea e Sebastopoli, che poi ci si aggrega pure la Georgia, e non sarà più solo Suchumi e Cchinvali, bensì Vladikavkaz, Nal’čik? Ricordo che vent’anni fa potevamo solo chiedere perdono ai serbi per non averli difesi. Eravamo deboli. Ma ora?
Sì, capisco: se solo ci proviamo, sarà guerra, quella vera, e gli USA non aspettano altro. Se invece non entriamo? La scansiamo? E’ solo una questione di tempo. Dico di più: l’unica speranza è che ci mostriamo decisi e gli statunitensi non si decidono, poiché la guerra l’hanno sempre fatta a casa d’altri, ora dalla parte della ragione (Prima e Seconda guerra mondiale), ora da quella del torto (Corea, Vietnam, l’America Latina in toto – quella centrale e quella del Sud – Medio Oriente, Algeria, Afghanistan, Iraq, Jugoslavia, Egitto, Libia…). E’ ormai un’altra epoca: se entrano in Russia, moriranno decine di milioni di persone. E altrettanti da loro. Lo sanno. Dovranno pensarci per forza.
Insomma, non so che pensare. E’ da un pezzo che non sono più un politico. Eppure, non si può osservare con indifferenza la pulizia etnica in atto letteralmente a poche centinaia di chilometri da noi. Non è giusto, proprio non è possibile. Ovviamente, se ci riteniamo esseri umani. Centinaia di arsi vivi, cantava Muslim Magomaev a proposito di Buchenwald. E a me torna in mente Odessa.
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