venerdì 23 febbraio 2007

E' il '77 che si ripete

di Mario Ferrandi

Mario è mio amico da una dozzina d'anni. Questa qui sotto è l'intervista che gli ha fatto oggi Fabrizio Gatti.

Mark Bernardini

Una democrazia a sovranità limitata. Emarginazione e iniquità sociale in aumento. Così torna la tentazione di impugnare le armi. Parla l'ex di Prima linea. Colloquio con Mario Ferrandi

Trent'anni dopo il '77, altri ragazzi hanno scelto la lotta armata: perché succede ancora? "Perché un pezzo importante della storia nazionale", risponde Mario Ferrandi, 51 anni, ex terrorista ora iscritto nei Verdi, "è stato buttato come un mozzicone acceso sotto il tappeto".

Quale sarebbe questo pezzo importante? "La guerra fredda, gli anni Settanta, la peculiarità italiana di una società che sembra reggersi su un sistema di doppia verità".

La guerra fredda non è finita? "È quello che probabilmente si chiedevano più di centomila persone alla manifestazione di Vicenza. Noi abbiamo un pezzo di storia nazionale segnata da percorsi politici, culturali, collettivi, nazionali e internazionali che sono stati rimossi. Per una convenzione di comodità e di mutuo interesse tra generazioni coinvolte in questi eventi". Un pezzo di quella storia mai chiarita passa da piazza Navona a Roma. Il 12 maggio '77 i radicali organizzano un sit-in per celebrare l'anniversario del referendum sul divorzio. I colpi sparati dalla zona occupata da polizia e carabinieri centrano due studentesse. Giorgiana Masi, 19 anni, muore poco dopo. Il 14 maggio Milano risponde con un giorno di guerra. In via De Amicis un gruppo di manifestanti spara sulla polizia. Muore il vicebrigadiere Antonino Custrà. Le foto della battaglia diventeranno il simbolo degli anni di piombo. In quelle immagini c'è Mario Ferrandi. Nel 1977 ha 21 anni e una 7.65 sotto il giubbotto. Un passato da liceale al Manzoni, in classe con Enrico Mentana. E un futuro in Prima linea. Ferrandi ha scontato la condanna per concorso in omicidio del vicebrigadiere, si è dissociato dal terrorismo. La sua rivolta comincia con gli amici all'oratorio in via Pezzotti a Milano, il gruppo Gente dei giovani di Azione cattolica. Poi l'insurrezione. Dal movimento alla lotta armata. Come i 15 arrestati il 12 febbraio tra Torino Milano e Padova.

Quali sarebbero le similitudini tra la vostra esperienza e gli ultimi arresti? "Il fatto che giovani operai, giovani precari trovino oggi, a trent'anni da quei tempi, realistico o vivibile o preferibile un'esperienza di quel tipo. Un'esperienza che fin dall'inizio è segnata dall'impossibilità di incidere nella trasformazione della società".

Altri punti in comune? "Ce ne sono, sì. Noi abbiamo per convenzione stabilito che iniziamo a datare questa faccenda con le stragi di piazza Fontana, con Feltrinelli, con la paura dei colpi di Stato. La mia generazione politica è vissuta all'ombra degli studenti di Atene asseragliati dentro l'università e presi a mitragliate dai golpisti. Siamo cresciuti con questa idea della fascistizzazione del Mediterraneo. Però nella realtà l'afflusso di massa più grande all'idea che la politica fosse scontro fisico, fosse implicazione di clandestinità, di armi, di morte, io onestamente posso solo datarla dal discorso di Berlinguer dopo il colpo di stato in Cile. Quando disse: 'Noi non possiamo governare in Italia neanche col 51 per cento'. Cioè era l'idea che la democrazia fosse un'impalcatura, una simulazione. E che tutti noi fossimo marionette dentro una cupola di ferro internazionale che stabiliva i nostri destini. Una generazione politica che non ha interiorizzato la democrazia come un valore, l'ha interiorizzata come una farsa. Questo è importante perché se non viene capito, non si capisce neanche la trasmissione negli anni di questa visione".

Lo storico segretario del Pci però è morto da 23 anni. "Sì, ma a me è gelato il sangue, lo dico francamente, sentire Prodi che dice qualcosa di analogo al discorso di Berlinguer con riferimento a Vicenza o all'Afghanistan. Cioè che non esiste una possibilità per intere generazioni politiche di decidere il destino del proprio Paese, di sviluppare la partecipazione, ma nel senso più semplice e banale che descriveva Giorgio Gaber. Se non dentro un immenso gioco di simulazione".

Quindi la manifestazione di Vicenza è stata una simulazione? "La manifestazione a Vicenza no. E ancora prima, la rivolta contro un progetto folle di trapanare la Val di Susa piena di amianto per costruire dei titanici corridoi che portino merci improbabili verso Est, travolgendo le popolazioni locali. Questa è la siderale distanza di una sinistra al governo che sembra non capire, come non capiva il ceto politico che proibiva 'Dio è morto' dei Nomadi, che impediva alla gente di vedere un film negli anni '70 o che considerava il divorzio un'aberrazione. Oggi i nostri figli si trovano incredibilmente a rivivere qualcosa che gli somiglia drammaticamente. A cominciare dalla testimonianza in ultima analisi morale di chi sceglie le armi che, ripeto, non ha alcuna progettualità politica realistica".

Testimonianza morale? In che senso? "Come un bisogno disperato di giustizia. Una sorta di moderno martirio nel senso greco del termine, di testimonianza appunto: io taglio i ponti che mi legano a questa intollerabile ipocrisia, a questa percezione di menzogne universale, a questo sistema di doppia verità che devo respirare perfino in famiglia. Certo, questo non è ciò che la gente di solito vuole sentirsi dire da un ex terrorista. Mi servirebbe una sorta di immunità diplomatica. È ovvio che io sono contro il terrorismo. Ma il problema è interrogarsi su che tipo di civiltà stiamo costruendo. È ciò che io definisco un modello di società di sommersi e di salvati".

Chi sono i sommersi? "Rispondo con le parole di un responsabile della Camera del lavoro di Sesto San Giovanni. Era il 1994. Dico: ho otto anni di contributi, avrò la pensione? Mi ha detto no: noi abbiamo dovuto scegliere, non potevamo garantire a tutti un sistema pensionistico a ripartizione, passeremo a un sistema contributivo. Significa che gli altri sono fottuti. Le case popolari poi. Abbiamo a Milano l'Istituto case popolare più grande d'Europa ma queste case dove vivo io sono del 1905. È un secolo, dalla nascita del partito socialista dopo i fatti di Bava Beccaris che a Milano si è capito che occorreva garantire a tutti un percorso possibile per costruire una vita dignitosa. Ma a partire dalla fine degli anni Ottanta se ti presenti a fare una richiesta di assegnazione di case popolari ti dicono: i bandi sono chiusi".

Lei si sente sommerso o salvato? "Sommerso. Per colpa mia. Ma quello che i primi anni credevo fosse un mio problema dovuto ai miei errori di gioventù, ogni anno che passa lo ritrovo tra miei coetanei che hanno rigato dritto e si trovano espulsi dal mercato del lavoro. Perché se non hai qualifiche, nel mercato del lavoro entri solo per conoscenza. Pensiamo all'ufficio di collocamento. Scomparso. Pilastri di un ordine socioeconomico, civile, moderno, in Italia sono stati cancellati nell'arco di un lustro. Nel passaggio dalla cosiddetta prima Repubblica alla seconda. E per un'area crescente di giovani le prospettive di costruire una traiettoria di vita solo paragonabile a quella dei genitori è zero".

E questo giustifica la scelta delle armi? "No. Questo però crea un'area di emarginazione e una percezione di iniquità talmente feroce. E qui il grilletto che ti può portare a una ribellione selvaggia è quando viene negata l'evidenza da parte di quello stesso ceto politico in cui tu avevi riposto la speranza in un cambiamento. Questo meccanismo di divisione tra sommersi e salvati è aggravato addirittura da una intenzionale emarginazione politica".

Chi emargina i sommersi? "Quando il ceto politico parla della sinistra radicale come di un nemico che rende impossibile l'adeguamento dell'Italia agli standard anglosassoni, essenzialmente dice che a coloro che devono essere già esclusi dalla distribuzione dei diritti sostanziali, deve essere negata anche la rappresentanza politica. Quello che vedo è una riproposizione perfino in peggio di quanto accadeva in quegli anni".

Cosa è peggiorato? "Il peggio è la distruzione della credibilità della democrazia come sistema equo e sostenibile per il cittadino comune. Il lavoro è pagato pro forma. Tu farai lo stagista, lavorerai sei mesi sì sei mesi no. Scordatevi il posto fisso, il discorso drammatico che ha fatto anni fa D'Alema affiancandolo però al fatto che lui la barca la scarica sull'allora modulo 101 perché lui è un dipendente. Questo cinismo a mio avviso provoca delle reazioni comprensibili. Il fatto è se assumono uno sbocco razionale o irrazionale".

Suo figlio è rimasto coinvolto in una lite con un gruppo di fascisti di Forza Nuova e a 20 anni è stato arrestato. "Sul muro di una scuola avevano scritto ebrei al rogo. Mio figlio è antifascista nel Dna. Le risultanze processuali hanno dimostrato che era stato aggredito".

Lei lo sostiene? "Francamente sono diviso. Perché una parte di me vorrebbe che lui non si immischiasse. Un'altra parte però lo capisce perché ci ritroviamo a 60 anni dalla Liberazione, come è successo nell'ultima campagna elettorale, con gruppi neofascisti dentro le liste... La verità è che sono orgoglioso di lui".

(22 febbraio 2007)

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