di Mark Bernardini
Quando si parla delle repubbliche ex-sovietiche, c’è una tendenza che accomuna la sinistra italiana alla destra occidentale. Il leitmotiv è che in nessuna di esse siano da considerare democratiche qualsivoglia elezioni, a prescindere. Salvo poi trasmutare le medesime repubbliche in campioni di democrazia quando muovono passi felpati da elefante in cristalleria nei loro rapporti col fratello maggiore: la Federazione Russa.
In questi esercizi ginnici eccelle in particolare l’Unità, probabilmente per un malcelato (e male interpretato) senso di peccato originale, protesa spasmodicamente a dover dimostrare di essere più antisovietica dei sovietici. Legittimo. Purtroppo, finisce regolarmente col trascendere in russofobia. E’ quanto si sta verificando per quanto riguarda la Georgia. Il povero Troisi direbbe che, più che un complesso, in testa si ritrovano un’orchestra.
A me piace ragionare di numeri: è su loro che si possono costruire ragionamenti ed opinioni, il resto sono sovrastrutture, o, più banalmente, fuffa.
La popolazione della Georgia è di meno di cinque milioni di persone. Di questi, un quarto vive all’estero. In particolare, il 15% (800.000) vive in modo più o meno clandestino in Russia, dove gestiscono illegalmente il gioco d’azzardo ed i mercati alimentari rionali. Il reddito medio di una famiglia georgiana tipo è composto per il 60% dai trasferimenti bancari provenienti dall’estero. Dalla Russia in Georgia annualmente vengono trasferiti da uno a due miliardi di euro, in buona parte senza che su questi proventi qualcuno abbia pagato le tasse. E’ importante tenere presente, in questo contesto, che il PIL georgiano è di circa 15 miliardi. In altre parole, questi trasferimenti rappresentano quasi il 10% del PIL nazionale. Sempre per un confronto, il PIL della Federazione Russa è di un trilione e mezzo.
Dall’inizio dell’anno, solo attraverso i trasferimenti bancari elettronici, dalla Russia sono giunti in Georgia poco meno di 200 milioni di euro, ovvero il 70% di tutti i trasferimenti bancari provenienti dall’estero: giusto per un paragone, nel medesimo periodo dagli Stati Uniti sono giunti appena 25 milioni, pari al 10%.
Nei trasporti, soprattutto aerei, la Georgia ha un debito nei confronti della Russia pari a tre milioni e mezzo di euro.
Come è noto, il gruppo dirigente georgiano percepisce uno stipendio da un fondo speciale di tre milioni di dollari costituito dalle corporazioni statunitensi in qualità di fondo retribuzione della direzione politica georgiana. In particolare, Saakašvili prende 1.500 dollari, i ministri del suo governo ne prendono 1.200. Per un modesto avvocato americano, quale era, non è andato molto più avanti. A questi però bisogna aggiungere i soldi di Soros, la bellezza di altri due milioni di dollari per gli stipendi dell’apparato statale georgiano.
Le continue provocazioni dei “saakascisti” (come li chiamano in Russia, con allusione nient’affatto velata) hanno portato ad una serie di sanzioni: interrotti tutti i trasporti e le comunicazioni postali; a giorni, interdizione dei trasferimenti bancari verso la Georgia. Con l’arresto dei quattro militari russi per presunto spionaggio, è stata superata una soglia molto pericolosa, che rischia di rivelarsi per la Georgia come catastrofe economica.
In politica non esistono ingenuità. Perché, allora, Saakašvili ha deciso di superarla, questa soglia? E’ chiaro, si dice che le sanzioni russe non sono dovute a ragioni economiche, bensì geopolitiche. Verissimo. Non si capisce per quale arcana ragione un creditore dovrebbe fare sconti ad un debitore che ogni giorno cerca di prenderlo a calci nel sedere.
In politica, non esistono nemmeno le coincidenze. Giusto in questi giorni, il Senato USA ha votato un progetto di legge per l’ingresso a tappe forzate della Georgia nella NATO, bruciando tutte le formalità previste. Ufficialmente, si chiama “atto di consolidamento della libertà nella NATO”. Concretamente, presuppone lo stanziamento dal bilancio federale di dieci milioni di dollari. Il giorno dopo, la Georgia ha arrestato i quattro militari russi, accusandoli di complicità in vari attentati terroristici del 2004 e 2005. Peccato che i militari fossero di stanza in Georgia da appena quattro mesi, ovvero dalla primavera scorsa.
Tra due anni, ci saranno le elezioni presidenziali in Georgia. Per allora, Saakašvili spera di mantenere almeno una delle sue promesse con cui organizzò il golpe di tre anni fa, quella di riunificare il territorio georgiano, facendo i conti una volta per tutte con Abchasia ed Ossezia del Sud. Come sempre, una guerra è il modo migliore per chiudere gli occhi sul fallimento economico in tempo di pace. Solo che l’Abchasia, dove più della metà della popolazione ha il passaporto della Federazione Russa, e che usa come moneta nazionale il rublo russo, è entrata nell’impero zarista russo ben prima della Georgia, e non gradisce affatto di far parte di quest’ultima. Per fare un esempio, quando la Georgia è uscita dall’URSS, nel 1990, l’Abchasia decise di rimanere a farne parte, esattamente come di far parte della CSI contrariamente al rifiuto dell’epoca da parte della Georgia.
Per l’Ossezia, le cose stanno anche peggio: l’Ossezia del nord fa parte della Russia zarista dalla fine del XVIII secolo, mentre quella del sud è stata costituita nel 1922 come parte della Georgia sovietica.
Esiste un principio universalmente riconosciuto, quello del diritto all’integrità territoriale di uno Stato. Esiste però un altro principio, non meno riconosciuto, quello del diritto all’autodeterminazione dei popoli. Abbiamo visto come, negli ultimi quindici anni, la comunità internazionale (che forse sarebbe più corretto definire “comunità occidentale”) utilizzi ora uno ora l’altro principio a seconda delle proprie convenienze geopolitiche contingenti. E’ quella che viene chiamata “politica dei doppi standard”, o “dei binari paralleli”.
L’Ossezia del sud si è proclamata Stato indipendente fin dal 1989, ed è da allora che periodicamente la Georgia vi invia truppe, senza però ottenere altro risultato che la morte di migliaia di civili e l’emigrazione di altrettante migliaia di famiglie ossete verso l’Ossezia del nord, ossia verso la Federazione Russa. Da tempo l’Ossezia del sud vuole unirsi a quella del nord, costituendo in futuro un’unica Ossezia in seno alla Federazione Russa come soggetto autonomo.
E’ poco probabile che la Russia si faccia coinvolgere in uno scontro militare diretto con la Georgia, ma è evidente che la Russia non manterrebbe una neutralità totale in caso di conflitti armati a ridosso dei propri confini e troverebbe forme più meno velate per sostenere le eventuali vittime di un’aggressione georgiana. Dunque, Tbilisi non ha alcuna possibilità di conseguire una vittoria militare, salvo un appoggio diretto di USA e NATO; ma, per quanto Saakašvili risulti gradito agli americani, è difficile immaginare che questi decidano di litigare con Mosca per salvare la faccia del presidente georgiano, pena nuovi inimmaginabili conflitti militari. Fino alla dissoluzione della Georgia stessa. Nonostante che la strada dall’aeroporto di Tbilisi alla città porti ora il nome di George Bush. La pratica di intitolare strade e piazze a personaggi ancora viventi richiama alla memoria ben altre esperienze storiche.
Insomma, gli Stati Uniti che obiettivi perseguono?
Circa un mese fa un ex ambasciatore sovietico in Germania occidentale ed un ex generale del KGB, ormai entrambi in pensione, hanno presentato un rapporto al parlamento russo. Il rapporto in questione è impressionante, nella parte che descrive i rapporti russo-statunitensi a breve termine. Gli USA potrebbero concorrere a formare un “politico di sinistra” in Russia che isoli il governo del dopo elezioni presidenziali russe del 2008. Subito dopo, Washington avrebbe mano libera nel tentare una “rivoluzione arancione” in Russia.
Il passo successivo sarebbe quello di disfare la supremazia energetica russa attraverso una serie di processi di disgregazione interna, di implosione della Federazione Russa attraverso un rimescolamento dei vertici governativi ed economico-industriali. Una “rivoluzione arancione” soft.
Come? Materiali compromettenti per attuare un discredito su scala internazionale, incremento della pressione politica sull’attuale leadership attraverso la protesta sociale, per introdurre in finale varie sanzioni, tipo il congelamento dei fondi monetari di Stato su conti in banche estere.
Non finisce qui. Si delinea la strategia di attacco alla sovranità energetica russa: accesso di fornitori internazionali alternativi al sistema di conduttura d’esportazione. Gli USA prima pretenderanno di privatizzare le compagnie del gas e del petrolio, attraverso una annessione attiva alle compagnie occidentali, e finalmente progetti alternativi di rifornimento in Europa direttamente dal Caucaso e dall’Asia centrale.
Nel frattempo verrà inscenata una protesta giudiziaria su scala internazionale in merito allo schema impiegato dalle aziende russe fornitrici di gas e petrolio. Parliamo ancora una volta di materiale compromettente per mandare a monte i progetti di cooperazione russi in questi settori con la Repubblica Popolare Cinese.
Da ultimo, gli Stati Uniti cercheranno di compromettere l’autorevolezza politica russa per ridurne al lumicino i rapporti con l’Unione Europea. Il G 8 tornerebbe allo schema “G 7”.
Il rapporto citato teoricamente sarebbe segreto, ma i giornali russi ne parlano. Come già detto, in politica nessuno è fesso e nulla è lasciato al caso. La ragione per cui dunque si parla pubblicamente di un rapporto segreto è la stessa per cui più modestamente ne parlo io: la speranza che con ciò gli Stati Uniti rinuncino. Non so se ciò accadrà, anzi ci credo poco e niente, ma faccio e scrivo di quel poco che può dipendere da me come singolo individuo coerentemente ai miei aneliti. Quali sono gli obiettivi della sinistra italiana e dell’Unità?
bel post, almeno un'idea di cosa sta succedendo, peccato che sui telegiornali italiani non passi niente e sembri che il conflitto Georgia-Russia sia Russia cattiva e risorta dalle ceneri sovietiche che vuole rompere le scatole...
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