di Lilia Skomorochova Venturini (università di Genova)
Julija Abramovna Dobrovol'skaja, autrice di Post Scriptum. Memorie. O quasi (Cafoscarina 2006), nasce a Nižnij Novgorod (sul Volga) nel 1917. Il padre, laureato in silvicoltura, nel 1916 viene inviato nel governatorato di Nižnij Novgorod a occuparsi di foreste. Successivamente lavora, sempre a Nižnij Novgorod, per il Consiglio economico nazionale e negli anni Trenta passa a dirigere il settore programmazione di una grossa cartiera di Leningrado. Muore a 58 anni. La madre, laureata in lingua inglese, aveva lavorato come interprete in una fabbrica di automobili impiantata dagli americani, successivamente aveva insegnato inglese. Muore di cancro nel 1980. Né la famiglia né i parenti prossimi di Julija Dobrovol'skaja subirono repressioni. Julija Dobrovol'skaja termina la scuola media superiore e poi la Facoltà di Lingue e Lettere a Leningrado. Fa l'interprete per i consiglieri sovietici durante la guerra civile in Spagna. Tornata dalla Spagna, lavora alla TASS (Agenzia Telegrafica dell'Unione Sovietica) in qualità di assistente presso la Redazione informazioni, diventa membro del Partito comunista.
Nel settembre del 1944 viene arrestata. Sconta dodici mesi di reclusione (fino all'agosto 1945) perché "si trovava in condizione di compiere un crimine" durante la sua permanenza in Spagna. Verrà riabilitata e reintegrata nel Partito comunista nel 1955). Dal 1946 al 1950 insegna italiano all'Istituto universitario di lingue straniere a Mosca e dal 1956 al 1965 all'Istituto di Relazioni Internazionali del Ministero degli Esteri dell'URSS (il MGIMO). Negli anni successivi traduce dall'italiano per la casa editrice Progress (Umberto Nobile, Giovanni Pirelli, V. Scapin, Marcello Venturi, Marina Sereni, Leonardo Sciascia, Gianni Rodari, Pietro Butitta, Paolo Grassi e altri) e svolge attività di interprete presso il Ministero della Cultura e l'Associazione URSS-Italia. Diventa membro dell'Unione degli scrittori (Sezione traduttori). Sposata due volte (senza figli), in prime nozze con A. Dobrovol'skij, un importante dirigente nel settore dell'industria ottica, da cui divorziò, e, in seconde nozze, con S. Gonionskij, padre della latinoamericanistica russa, morto di tumore nel 1974. Dal 1982 vive e lavora in Italia.
Ho letto il libro di Julija Dobrovol'skaja e parlerò di ciò che mi ha colpito in modo particolare.
L'autrice è consapevole di aver fatto parte dello strato privilegiato della società russa. Lasciamo la parola a lei stessa: "Noi della cosiddetta intelligencija creativa non disdegnavamo, comunque, i privilegi - i centri vacanze, i viaggi a Karlovy Vary, il policlinico efficiente, le pubblicazioni..." (p. 81). Oppure: "... il convegno dei teatranti ebbe fine... me ne andai a Peredelkino, a tirare il fiato al "Centro di creatività", vicino a Lilja Brik e Vasja Katan'jan, vicino agli Ivanov... " (p. 149). L'Autrice racconta anche, con noncuranza, delle sue "conversazioni sull'Italia a Koktebel'" nel 1981 (p. 279). (Per chi non lo sappia, Peredelkino era il villaggio esclusivo composto dalle seconde case che lo Stato sovietico concedeva agli appartenenti all'Unione degli scrittori, mentre Koktebel' era il luogo di vacanze più esclusivo della nomenklatura in Crimea sul Mar Nero). Da ricordare, inoltre, che l'ammissione della Dobrovol'skaja all'università, a differenza dei comuni mortali, avvenne grazie alla raccomandazione del celebre fisiologo A. D. Speranskij, che "aveva telefonato al comitato regionale del partito" (p. 31).
Julija Dobrovol'skaja sapeva come doveva comportarsi per ottenere e conservare i privilegi: in primo luogo bisognava iscriversi al partito comunista (il che non era un'impresa facile): "All'epoca (...) diventai membro dell'allora Partito comunista bolscevico. Tutti avevano la tessera, e la presi anch'io" (p. 80). In secondo luogo, dopo averla perduta, bisognava riavere quella tessera. Così la Dobrovol'skaja non rinuncia alla reintegrazione nel partito dopo che, nel 1955, la sua condanna del Tribunale speciale era stata cassata "per non aver commesso il fatto". L'Autrice motiva la sua decisione nel seguente modo: "Dopo diciassette anni di carcere e lager anche Lev Razgon, il nostro saggio rabbi, volle che lo riammettessero nel partito" (p. 119). Inoltre, dichiara che all'epoca (aveva 38 anni) la sua "sovieticità non era ancora esaurita" (corsivo di chi scrive) (p. l19). In terzo luogo, non bisognava mai entrare in conflitto diretto con il potere: "La mia strada non ha mai incrociato quella dei dissidenti; del resto non ero giunta al loro grado di disperazione, né avevo il loro coraggio (p. 26).
Ma quanto sono severi ora i suoi giudizi riguardo al proprio paese! Abbiamo niente di meno che "l'impero del male" (p. 151), "la peste del 1917 che ha infettato tutto il pianeta avvelenando la vita di molte generazioni, non solo la mia" (p. 219).
Un'altra contraddizione che noto riguarda gli anni in cui studiava. Bisogna dire che l'Autrice era molto competitiva, sempre ai primi posti, a undici anni "guida" dei pionieri (p. 17), poi, negli anni dell'università, la sua fotografia era nella bacheca dei migliori del corso (p. 28). Aggiungiamo che riuscì persino ad essere prima tra quelli della TASS nella raccolta delle patate, nonostante "i boccoli dorati, il vitino da vespa e la pelle di porcellana... abiti parigini e tacchi alti" (pp. 79-80). Confrontiamo il passaggio che descrive la sua esperienza di bambina undicenne e la sua valutazione da adulta del sistema di educazione in URSS: "D'estate c'era il campeggio dei pionieri. Da soli, senza adulti. A undici anni fui eletta guida. Quanta fiducia!... Magari avevano capito che i ragazzi si divertono di più e stanno molto meglio da soli? E che in questo modo diventano più indipendenti e più responsabili? O forse era per influsso di certe teorie pedagogiche che avevano fatto scalpore in Occidente... (p. 17) (...) Ai campeggi dei pionieri la sera, attorno al fuoco acceso in una radura del bosco, cuocevamo le patate e cantavamo a squarciagola" (p. 18). Ed ecco i suoi giudizi di adesso:
«- triste spettacolo della scuola sovietica, delle scuole-caserme e dei ragazzini-soldati (p. 187).
- La scuola - insieme a tutto ciò che ci circondava - si prefiggeva di fare di noi dei "mancuri" (schiavi perfetti, nota di chi scrive) (p. 18)
- la scuola dell'odio si frequentava fin da piccoli e per tutta la vita (p. 125)».
(Nella stampa russa odierna non sono rare le voci di coloro che, di fronte alla dilagante delinquenza minorile, rimpiangono la smantellata organizzazione capillare dei pionieri con le loro numerosissime iniziative sia per quanto riguarda il doposcuola, sia per quanto concerne il tempo libero - comprese le vacanze - che tenevano i ragazzi lontano dalla strada). Ma come ho fatto io (non la Dobrovol'skaja) a non accorgermi di tutto questo orrore scolastico, pur essendo nata in URSS nel 1942, cresciuta dall'età di 13 anni in poi in un orfanotrofio di provincia, laureata all'MGU, l'università statale di Mosca, sposata con un italiano (anche lui studente dell'MGU) e venuta a vivere in Italia una volta terminati gli studi nel 1966? Conosco già la risposta dell'Autrice del libro, sarò relegata tra coloro che: "Per istinto di conservazione o per ottusità, (...) si tennero i paraocchi vita natural durante" (p. 48). Quanto a giudizi sferzanti, nel libro ce n'è per tutti i gusti: "uno zoticone del ministero della Cultura" (p. 160), "delirio millantatorio di Evtušenko" (p. 212), "testo scialbo come quello de La Madre di Gor'kij" (p. 200), gli "ottusi manuali sovietici" (p. 12). Ma soprattutto la Dobrovol'skaja è poco tenera con gli italiani, colpevoli di non averle offerto qualcosa di analogo a ciò che lei aveva in patria: una casa degna di lei, un lavoro ben pagato, magari nella stessa città in cui viveva, un equivalente di Peredelkino e di Koktebel' e così via. L'Autrice scrive che, dopo il suo trasferimento in Italia, ovvero dopo che lei aveva "scelto la libertà" (p. 280), "...i miei comunisti dal volto umano si volatilizzarono. Per loro ero scomoda, un rimprovero vivente. E non ero nemmeno più la loro traduttrice e interprete" (p. 280). Ecco come tratta lo storico Giuseppe Boffa: "Bisogna essere davvero sordi di cuore per inventarsi un radioso passato da sostituire alle speranze infrante di un futuro radioso" (p. 151). E Renato Guttuso: "...e se la sua fede politica indefessa... fosse solo un paravento? Allora sì che i conti tornerebbero!" (p. 299). E Marina Sereni (che scrive all'amatissima madre: "per il Partito sono pronta a sacrificare anche mia madre: non ti scriverò, non mi scriverai". "Una scelta che non solo ha un che di fanatico, ma anche di inumano" (p. 180). Carlo Benedetti, corrispondente de l'Unità: "Devo ammettere che non mi sarei mai aspettata tanta audacia, da parte sua (...). Tanto più che in seguito si sarebbe comportato come un coniglio di fronte a un boa" (p. 192). Giorgio Bassani: "Sentiva sterilità alle porte? Che tristezza!" (p. 282). Bruno Pontecorvo: "...le sue opinioni erano prive di logica e assomigliavano piuttosto a una religione, a una vera e propria fede" (p. 266). Gianni Rodari: "Sapevi delle porcherie che accadevano intorno a te, e cos'hai fatto?" (p. 188). I docenti universitari che non adottavano il suo manuale Il Russo per Italiani, uscito nel 1987: "la loro preparazione non li metteva in grado di utilizzarlo" (p. 231). L'Italia nel suo insieme è un paese in cui l'esistenza di GULag e di cose simili "si passa sotto silenzio" (p. 27), un paese che "ha quasi sempre ignorato i dissidenti sovietici" (p. 26), in cui i brigatisti rossi e i comunisti hanno un unico "album di famiglia" (p. 151), le università e le case editrici sono di sinistra e cocciutamente filosovietiche (p. 295). E' un paese in cui i sindacati sobillano i lavoratori, come è successo con l'orchestra della Scala (p. 277).
Ma più curioso ancora è che i giudizi sull'Italia e sugli italiani possono non coincidere nell'edizione italiana con quella russa del libro. Per esempio: "...nessuno dei postcomunisti che si erano tanto profusi in buoni sentimenti nei miei riguardi..." (p. 152), "... nikto iz postkommunistov, rasšarkivajuščichsja peredo mnoj kogda-to..." (p. 142). All'espressione "tanto profusi in buoni sentimenti nei miei riguardi" nel testo russo corrisponde "rasšarkivajuščichsja peredo mnoj kogda-to". Il verbo (rasšarkivat'sja), da cui è formato il participio, stando al dizionario Ožegov, ha due soli significati: 1. inchinarsi come atto di omaggio, di rispettoso saluto strascicando il piede; 2. (traslato) mostrarsi servizievole. Ovviamente, nella frase italiana il participio è usato nel secondo significato.
Nel testo italiano, il passo sull'università e sulle case editrici termina con "qualcosa nel piatto": "... non sapevo ancora fino a che punto fossero di sinistra e cocciutamente filosovietiche le università e le case editrici per cui avrei dovuto lavorare se volevo mettere qualcosa nel piatto" (p. 295). Il testo russo, invece, continua: "nel caso migliore ignoravano Solženicyn e Sacharov in quanto traditori della grande causa del comunismo" (Solženicyna i Sacharova v lučšem slučae ignorirovali kak izmennikov velikogo dela kommunizma", p. 276). Riguardo alla morte di Pasolini nel testo italiano si ha soltanto la seguente citazione: «:"... è un omicidio di matrice fascista", mi scrisse (Guttuso) contro ogni evidenza» (p. 212). Il testo russo, invece, continua ammaestrando il lettore nel seguente modo: «perché il "povero" Pasolini fu ucciso da un ragazzo della periferia romana, un ragazzo di cui Pasolini cercava senza successo di ottenere favori omosessuali" («potomu, čto ubil "bednogo" Pazolini paren' iz rimskogo predmest'ja, gomoseksual'nych uslug kotorogo Pazolini bezuspešno dobivalsja», pp. 200-201).
Sempre in merito alla delusione provocata dall'Italia si legge: "Resistette e resiste a tutt'oggi l'amicizia con Marcello e Camilla Venturi, con i Gandolfo, con la famiglia Cevese e con Piero e Marisa Ostellino. Che però la pensano come me (p. 280). Il testo russo abbrevia l'elenco di chi la pensa come lei: "pročno deržitsja družba s Vizmarami i s P'ero i Marizoj Ostellino" (p. 263) (si mantiene salda l'amicizia con i Vismara e con Piero e Marisa Ostellino). In compenso, si dilunga su Piero Ostellino, ex corrispondente da Mosca de "Il Corriere della Sera" e sulla politica del quotidiano in questione: "Non per nulla l'allora direttore prettamente di sinistra del principale quotidiano italiano, "Il Corriere della Sera", cestinava sistematicamente le veritiere corrispondenze di Ostellino da Mosca. Per fortuna, i direttori vanno e vengono, mentre un ottimo giornalista come Ostellino rimane. Anzi, anche lui è stato direttore per qualche tempo (e in questa veste mi aveva piacevolmente sorpreso perché teneva sempre aperta la porta del suo ufficio), ma durò poco, un paio di anni: non era piaciuto a qualcuno. Sotto i suoi articoli nel Corriere della Sera avrei messo la mia firma con entrambe le mani (Nedarom glavnyj redaktor glavnoj ital'janskoj gazety "Korr'ere della sera", togda sugubo levyj, sistematičeski brosal v korzinu pravdivye korrespondencii Ostellino iz Moskvy. K sčast'ju, glavnye redaktory prichodjat i uchodjat, a otmennyj žurnalist Ostellino ostalsja. Bolee togo, on tože byl kakoe-to vremja glavnym redaktorom (i v ètom kačestve prijatno udivil menja tem, čto dver' kabineta vsegda deržal otkrytoj), no nedolgo, goda dva, ne ugodil komu nado. Pod ego stat'jami v "Korr'ere della sera", podpisyvalsja obeimi rukami, pp. 263 - 264).
Infine, abbiamo la comparazione tra comunismo e fascismo, nel testo russo, che diventa tra comunismo e nazismo nel testo italiano: "meždu fašizmom i kommunizmom - znak ravenstva" (p. 183): "tra fascismo e comunismo c'è il segno di uguaglianza". L'edizione italiana dice: "nazismo e comunismo hanno molto in comune" (p. 201), "fascismo è uguale al comunismo" (p. 185).
Viviamo in tempi curiosi. Se una presentatrice televisiva, diventata onorevole, può senza il minimo pudore pronunciarsi nel merito sulla fisica delle particelle e dei suoi studiosi, perché la traduttrice Julija A. Dobrovolskaja non può giudicare a suo modo un'epoca che, oggi chiusa, secondo Giuseppe Boffa, in Memorie dal comunismo. Storia confidenziale del quarantennio che ha cambiato il volto dell'Europa, pag. 22-23, "tuttavia non merita di essere dimenticata"? Se non altro, perché lei è coetanea della Rivoluzione d'Ottobre. Peccato solo che l'Autrice usi due pesi e due misure: una per sé e una per gli altri. Non è che sa che si deve avere "il rispetto delle opinioni altrui senza abiurare le proprie" (p. 257), ma proprio non riesce a metterlo in pratica?
Lilia Skomorochova Venturini, "Slavia" N°2 2008
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