martedì 14 ottobre 2008

Il capitale, un furto

Mi è stato segnalato in rete un interessante scritto, "L'oro di carta", di tal Ugo Bardi, che vi riporto per intero, per poi commentarlo.

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Uscendo l'altro giorno dal ristorante, mia moglie mi ha domandato, "ma non ti è parso un po' caro?" "Direi di no," ho risposto, " ci hanno dato da mangiare e in cambio hanno voluto soltanto dei pezzetti di carta colorata". Avrei potuto aggiungere che in certi posti si contentano di avere in cambio un quadratino di plastica, e dopo te lo rendono anche.

Il fatto che si possano ottenere beni e servizi in cambio di pezzetti di carta o di plastica colorata (che poi ti rendono anche) è uno dei tanti misteri di questo pianeta. Una volta, i pezzetti di carta avevano valore in quanto - teoricamente - erano convertibili in oro. Dal 1971, tutto è cambiato quando gli Stati Uniti dichiararono ufficialmente che abbandonavano la convertibilità del dollaro in oro. Da allora, la non convertibilità si è estesa a tutte le monete mondiali anche se, fino a non molto tempo fa, sulle banconote in lire, c'era scritto "pagabili a vista al portatore". Pagabili con cosa? Presumibilmente, con altri pezzi di carta di colore diverso. Oro di carta, evidentemente.

Sembra che il valore reale di una banconota, ovvero costo di produrla, sia di circa 0.3 eurocent; decisamente l'oro di carta è un buon affare per le banche centrali che lo stampano. Ancora meno costa la moneta virtuale; quella delle carte di credito e dei conti in banca che esiste solo in forma di bit; entità magnetiche situate nella memoria di qualche computer che non si sa nemmeno dove sia. L'oro di plastica è un affare ancora migliore per le banche. In compenso, le monete hanno un certo valore intrinseco. Le micromonetine da 1, 2 e 5 centesimi di euro sembrano di rame, ma sono di acciaio placcato e non valgono quasi niente. Più interessanti sono le monete da 10, 20 e 50 centesimi, sono fatte di "nordic gold", ovvero una lega che contiene circa il 90% di rame. La moneta da 10 centesimi contiene circa 4 grammi di rame, al prezzo attuale di circa 3 euro al kg, vale un po' più di un centesimo. Quelle più grosse, da due euro, contengono circa otto grammi e mezzo di una lega di rame-nickel. Ai prezzi attuali, il metallo vale poco più di un paio di centesimi. In tutti i casi, il valore nominale della moneta è enormemente superiore a quello del metallo.

Allora, come mai possiamo ottenere tante cose con dei pezzetti di metallo sopravvalutati, con dei pezzetti di carta colorati, o addirittura con dei bit, entità puramente virtuali che stanno dentro un computer? Forse vi sembra normale che l'oro sia di carta o di plastica.

Ma pensateci un attimo. Nella storia, la gente si scambiava merci e servizi, ma quasi sempre in cambio di qualcosa di reale, beni o servizi. Ti do un cammello in cambio di tre pecore, oppure potevi assumere dei mercenari in cambio di un sacchetto d'oro. Un tempo, in Giappone, gli Shogun coniavano moneta indicizzata in koku un'unità di misura del volume di riso. Si racconta che in certi posti si usassero conchiglie come moneta, ma ho un po' il dubbio che questa sia una storiella che gli indigeni hanno inventato per prendere in giro l'antropologo. Può anche darsi che fosse vero ma, se è vero, le conchiglie dovevano avere un valore di scambio garantito dal capoccia locale in forma di capre, pelli di pescecane, o che altro.

Certo, governi, zecche e falsari hanno sempre teso a imbrogliare "svalutando" la moneta, ovvero producendo monete che valevano meno del loro valore nominale; per esempio usando leghe che contenevano meno oro. Ma quello si sapeva che era un imbroglio. Non credo che sia mai successo nella storia che si stampasse carta dichiarando esplicitamente che non aveva nessun controvalore reale e che la gente la accettasse per moneta "buona". Certo, la propaganda moderna è potente, ma che riesca a far credere alla gente che l'oro è fatto di carta sembra veramente un po' troppo.

Io un'ideuzza ce l'avrei per spiegare l'esistenza dell'oro di carta. Ovvero che i foglietti di carta colorata, in realtà, un controvalore reale ce l'hanno, anche se non viene dichiarato esplicitamente. Pensate un attimo a cosa è successo nell'agosto del 1971, quando Richard Nixon dichiarò ufficialmente la non convertibilità del dollaro in oro. Beh, pochi mesi prima, nel Dicembre del 1970, c'era stato un evento epocale. Talmente epocale che nessuno, o quasi, se ne era accorto: il picco del petrolio degli Stati Uniti. Era epocale perché da allora gli Stati Uniti cessavano di essere energeticamente indipendenti e diventavano importatori di petrolio. Per gestire questa nuova situazione, fu necessario costruire nuove strutture economiche. Fu a quel tempo che nacque quel regime economico che noi chiamiamo "globalizzazione". Bene, io credo che quello che Nixon non disse, ma che era sottinteso, era che da allora il dollaro era convertibile in petrolio e che questa conversione era garantita militarmente dagli Stati Uniti che assicuravano a tutti l'accesso al mercato globale del petrolio; purché lo si pagasse in dollari. E' per questo che mettiamo tanta attenzione su quanti dollari vale un barile. Sembrerebbe che sulle banconote da un dollaro ci dovrebbe essere scritto, più o meno, "pagabile a vista al portatore in petrolio". C'è una ragione per la quale si parla tanto di "oro nero". Legare la moneta all'oro nero, al petrolio, si presta allo stesso imbroglio che tutti quelli che hanno stampato o coniato moneta hanno fatto, ovvero svalutarla. In questo caso, svalutare la moneta vuol dire aumentare la massa monetaria; cosa che si sta facendo da molti anni. Fino ad oggi, questo non ha avuto effetti particolarmente drammatici dato che l'aumento della massa monetaria in circolazione è avvenuto in corrispondenza con aumenti paralleli della produzione petrolifera. Il petrolio ci ha arricchiti, e a questo arricchimento reale ha corrisposto un arricchimento virtuale in termini di una maggior disponibilità monetaria. Ma qui sta cominciando a nascere un problema: il fatto che la base monetaria è esauribile. Negli ultimi anni abbiamo visto una la stasi produttiva mentre la massa monetaria ha continuato a crescere. Di conseguenza, stiamo vedendo una tremenda impennata dell'inflazione che neanche gli imbrogli contabili dei vari istituti di statistica riescono più a mascherare. Con l'imminente declino della produzione petrolifera, vedremo anche il declino rapido e irreversibile del nostro curioso oro di carta.

La moneta virtuale in forma di bit è destinata a scomparire senza lasciare traccia, cancellata dalla memoria dei computer. Le banconote si potranno sempre usare per accendere il camino o la stufa, come si faceva con i marchi tedeschi negli ultimi anni della repubblica di Weimar. Per le carte di credito, non vedo molti usi a parte come sottobicchieri o per pareggiare qualche tavolo traballante. Quelle più pacchiane, quelle dorate o platinate, le si potrebbero forse usare per farne paillettes per i vestiti delle signore. Per le monete, il destino potrebbe essere diverso. Le monetine in acciaio potrebbero essere ottimi bottoni, mentre quelle che contengono rame e nichel potrebbero essere fuse per recuperarne il metallo. Oppure, le monete potrebbero rinascere in una loro vita post-petrolifera circolando con il loro valore reale, in peso di metallo, ben diverso da quello nominale.

Comunque vada, non c'è troppo da prendersela. Il denaro, alla fine dei conti è fatto "della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni". E i sogni, si sa, non durano a lungo.

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Ed ecco il mio commento. Il valore dell’oro è dovuto alla sua disponibilità ed alla difficoltà di estrarlo, alla stregua dell’argento, del nichel, del platino, dell’alluminio, ma, secoli fa, anche del bronzo, del rame, del ferro, del palladio, come giustamente è stato notato, e persino del sale, non solo metalli, quindi. Resta però il problema del perché: in effetti, a parte il sale, tutto il resto non si mangia. Però col bronzo si facevano e col ferro si fanno le armi (quest’ultimo, opportunamente temperato, diventa acciaio). E con le armi ci si fanno le guerre. E le guerre servono per prendere con la forza agli altri le capre, le pelli, la carne, il latte, le case, o più modernamente, ogni prodotto generato dalla forza lavoro altrui; e, in epoca recente (dalla rivoluzione industriale in poi), per costringere la forza lavoro altrui ad acquistare i tuoi prodotti ai prezzi ed alle condizioni favorevoli a te anziché alla forza lavoro degli sconfitti.

Non finisce qui: oggi, col rame ci si fanno i cavi, che servono per ogni sorta di trasmissione, soprattutto (ma non solo) comunicativa. Con l’oro in quantità singole irrisorie ci si fanno i circuiti stampati, ma moltiplicatelo per tutti i circuiti stampati esistenti, ed ovviamente non stiamo parlando solo di computer, ovvero di macchine calcolatrici (“computatrici”, a voler fare i puristi).

Insomma, è vero che non siamo più al baratto, anche perché le merci (pelli, cibo, animali) deperiscono e sono scomode da trasportare, ma in effetti ha del grottesco che ci si metta d’accordo per dei pezzetti di carta colorati, più o meno elaborati (filigrana e quant’altro).

Ricordo due cose di quando ero bambino. La prima. Una volta mio padre, per lavoro, doveva passare una settimana al Club Méditerranée di Terrasini, e mi portò con se. Lì con i soldi si compravano delle palline colorate che si incastravano l’una con l’altra, e ci si facevano collanine e braccialetti. A seconda del colore, variava il loro valore nominale, e ogni pagamento (sdraio, bibite, pasti) veniva effettuato con queste perline da selvaggi.

La seconda. A Mosca, a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, vicino casa mia la sera di ogni festa comandata i militari facevano i fuochi d’artificio. Anche questi constano in una specie di ordigni, e, come ogni ordigno che si rispetti, una volta “sparati”, lasciavano sul terreno i bossoli e dei cerchietti di ottone, di colore diverso a seconda del colore del fuoco d’artificio. Noi ragazzi, coi militari che cercavano di cacciarci (era pericoloso), raccoglievamo questi cerchietti. A seconda del loro colore, per gioco, gli assegnavamo un diverso valore, e li usavamo come nostra “divisa valutaria”, all’interno del nostro gruppetto, tipo “I ragazzi della via Pal”.

Ecco, penso di poter rispondere in questo modo alla domanda su come dei cerchietti qualcuno abbia deciso che assumano un valore nominale superiore alla loro difficoltà di estrazione e “formattazione”.

Personalmente, sono un cultore dei soldi trasformati in bit. Io non produco materiali tangibili: io parlo. Grazie al mio parlare, altre persone che parlano in modi (lingue) diversi riescono a capirsi. Per questo servizio, periodicamente mi viene comunicato che sul mio conto bancario sono stati bonificati, accreditati dei numeri, rubli, euro o quant’altro. Io, via computer (nei cui circuiti stampati c’è dell’oro) ordino cose del tutto tangibili, quali pappine per bambini, acqua, pane, latte, carne, vino, cibo insomma. Il cibo viene portato direttamente a casa, e per questo una parte di quei numeri viene detratta dal mio conto. In altre parole, la cartamoneta non la vedo proprio.

Il giochino funziona e funzionerà solo finché siamo tutti d’accordo ad assegnare un valore convenzionale ai bit. Francamente, non mi dispiace: i traduttori esistono da quando l’uomo ha iniziato a viaggiare ed a guerreggiare, ma venivano pagati in pelle, talvolta in terreni, sui quali dedicarsi alla pastorizia ed alla coltivazione. In nuce, la disgrazia umana è sempre stata insita nei pochi che non producono nulla e che ciò nonostante accumulavano valori convenzionali: monarchi, cesari, signorotti vari. Per questo mi ritengo marxista: l’accumulazione, dunque la giacenza inutilizzata, è un furto, perché il proprietario non ne fruisce, ma non consente di trarne giovamento a chi non ne ha. Ricominciamo da qui, e forse troviamo il bandolo della matassa di questa crisi attuale, che giustamente in Russia viene chiamata “crisi finanziaria di carta”, in contrapposizione all’economia della produzione reale.

2 commenti:

  1. ogni volta che cerco di connettermi al tuo sito mi arrivano virus, capita solo con il tuo, ho provato ad andare anche in altri siti della stessa piattaforma...

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  2. Viceversa, sei anche l'unico che ha questo problema. Non sarà che il tuo antivirus confonde i virus con le richieste di informazioni dei miei due contatori di accessi?

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