giovedì 26 maggio 2005

Mitrochin

Il 7 gennaio scorso è deceduto a Mosca Lev Mitrochin (nessuna parentela con il Mitrochin della famosa Commissione voluta da Berlusconi). Era nato il 16 febbraio 1930. Il suo curriculum era ricco di titoli accademici, di decine di libri pubblicati e tradotti, di collaborazioni con importanti riviste. I vecchi lettori di Rassegna Sovietica forse ricorderanno qualche recensione a qualcuno dei suoi libri dedicati agli Stati Uniti o ai "problemi dell'ateismo". Già, perché il suo interesse preminente di studioso era, sì, rivolto da sempre alla religione, al rapporto tra marxisti e credenti, particolarmente alle tematiche della teologia della liberazione. Ma fino all'avvento della perestrojka di Gorbačëv chi in URSS voleva occuparsi di questi argomenti doveva per forza farlo sotto la copertura dell'ateismo. Ricordo la stima che lo circondava tra gli esponenti della filosofia sovietica. Una volta, negli anni Settanta, durante una cena a Roma con importanti filosofi russi della corrente cosiddetta "italianista", parlando di lui rivelai un fatto di carattere personale: eravamo stati sposati, io e Lëva, con due sorelle e in quel momento eravamo entrambi divorziati. Come risposta, venne la proposta allegra e goliardica dei sovietici - in sintonia con l'atmosfera conviviale - di brindare alla mia salute "in quanto ex parente" di Lëva Mitrochin.

Un altro episodio che mi piace ricordare risale ai primi anni della perestrojka. Un gruppo di quelli che in Russia sarebbero poi diventati famosi con il nome di "oligarchi", i nuovi ricchi, organizzò una crociera "culturale" nel Mediterraneo di cui ancora oggi non sono stati chiariti molti aspetti. Il fatto è che vennero invitati a parteciparvi - gratuitamente - alcuni degli intellettuali russi più prestigiosi, tra cui Sergej Averincev e lo stesso Lev Mitrochin. Andai a ricevere Lëva nel porto di Civitavecchia. La nave russa era ancorata vicino alla banchina, c'era un via vai di gente che saliva a bordo e scendeva, nessun controllo da parte delle autorità italiane. Qualcuno portava pacchi di non si sa che cosa. Io e la mia compagna Flora prelevammo un Lëva alquanto smarrito, forse un po' alticcio, e lo portammo a cena a Roma.

Un tratto del suo carattere da non dimenticare era la sua generosità. Quando lui era già un autore di successo - e in epoca sovietica, come si sa , la pubblicazione di un libro comportava onorari considerevoli - mentre io ero un povero studente dell'Università di Mosca, era sempre lui a pagare il conto ogni volta che si andava in compagnia al ristorante.

La sua seconda moglie era una giovane laureata in filosofia, ambiziosa, dominata - si capì poi - da un suo sogno americano. Riuscì a convincere il marito ad accettare il modesto incarico di secondo segretario d'ambasciata a Washington, lui che aveva il titolo accademico di doktor nauk. L'importante per lei era andare negli USA e partorirvi un figlio, la via legale più sicura per ottenere la cittadinanza americana. Un giorno, dopo il lavoro, tornato nella sua casa di Washington, Lëva la trovò piena di agenti della CIA e del KGB. La moglie li aveva convocati dicendo che lei e suo marito avevano "scelto la libertà". Lëva, sorpreso, dichiarò di essere assolutamente estraneo a quella decisione della moglie. I due servizi segreti aprirono un'indagine e il risultato fu che la moglie e la figlia di Lev Mitrochin rimasero a Washington e lui tornò a Mosca. E qui lo aspettava un'altra sorpresa. La sua casa moscovita era totalmente vuota. Il fatto è che poche settimane prima la moglie aveva fatto una scappata a Mosca e aveva venduto tutto, mobili, letto, frigorifero, la bellissima collezione di dischi di Frank Sinatra, Benny Goodman e tutti i classici del jazz americano, che Lëva aveva raccolto in tanti anni. Insomma, l'unica cosa che non era stata venduta era la proprietà dell'appartamento, e solo perché era intestata a Lëva, che dovette ricominciare a mettere su casa facendosi prestare per prima cosa una brandina dagli amici.

Nonostante questa vicenda, nella biografia di Lev Mitrochin il legame con gli Stati Uniti era rimasto forte. Dolorosa era stata per lui la perdita in un incidente automobilistico del giovane rampollo della dinastia Rockefeller, suo caro amico fraterno. Era anche un appassionato estimatore del film Casablanca. Immancabilmente, ogni volta che ci si vedeva a Mosca o a Roma, mi diceva: "Dino, tu che hai orecchio, mi canti la canzone di Sam?".

Addio, Lëva, amico mio. Per noi vecchi atei non c'è consolazione.

Dino Bernardini (da Slavia N°2 del 2005)

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