sabato 5 novembre 2005

Scampoli di memoria 1

Erano i primi giorni di settembre del 1956. All’università Lomonosov di Mosca, la prestigiosa MGU, i corsi erano cominciati come ogni anno puntualmente il 1° settembre. Ero l’unico e il primo studente italiano nella storia della facoltà di filologia. L’insegnamento delle varie discipline era organizzato con lezioni generali dei professori titolari di cattedra nell’Aula Magna, cui assistevano tutti i circa 300 studenti del mio corso, e con seminari di dieci–quindici studenti che formavano qualcosa di molto simile alle classi di un nostro liceo. Nelle lezioni dell’Aula Magna gli studenti ascoltavano soltanto e prendevano appunti, mentre nei seminari si discuteva, si davano i compiti per la volta successiva e si veniva interrogati. Ogni seminario aveva i suoi insegnanti fissi, quasi mai titolari di cattedra. La mia conoscenza del russo era molto limitata e faticavo a seguire ciò che gli insegnanti dicevano. Soprattutto, era umiliante quando un professore diceva qualche battuta di spirito e tutti i miei compagni ridevano mentre io rimanevo in silenzio. In quei giorni avvenne un episodio incredibilmente ridicolo, una specie di gag chapliniana.
Le lezioni erano già cominciate da due o tre settimane quando l’anziana signora che svolgeva le mansioni di tutor del nostro corso per le questioni burocratiche mi chiese perché non fossi mai stato presente alle lezioni di Voennaja podgotovka (letteralmente: “Preparazione militare”), che si svolgevano nelle ultime due ore di ogni sabato. I miei compagni sovietici erano tenuti a frequentarle durante tutti i cinque anni del corso di laurea e anche a trascorrere ogni estate un mese in un campeggio militare. Ma erano ben felici di partecipare a tutto questo perché alla fine del quinto anno ottenevano il grado di sottotenente della riserva e l’esonero dal servizio militare, che a quell’epoca in Russia durava tre anni. In realtà, oltre che alla “Preparazione militare”, non ero mai andato neanche alle lezioni di educazione fisica. Per quest’ultima ebbi con la tutor una discussione diciamo linguistica . Il fatto è che nel tabellone che riportava l’orario di tutte le materie figurava, sì, Educazione fisica, ma accanto, tra parentesi, c’era scritto fakul’tativno, una parola che evidentemente conoscevo meglio della tutor. Le dissi che se la lezione era facoltativa, preferivo non andarci. La risposta fu: fakul’tativno significa che è facoltativa, cioè qui da noi obbligatoria. Ribadii che finché ci fosse stato scritto «fakul’tativno» non ci sarei andato. E così fu per tutti i cinque anni del corso di laurea. Ma non è questa la gag chapliniana cui ho accennato sopra.
Nel rimproverarmi l’assenza alle lezioni di Preparazione militare la tutor mostrò un certo imbarazzo e persino qualcosa di più, che so, un timore che lì per lì, inesperto com’ero della vita nell’URSS, non capii. Con voce più che seria, non minacciosa ma quasi partecipe per i guai cui temeva potessi andare incontro, mi implorò di andare a parlare con l’insegnante il prossimo sabato. Cosa che feci. Insieme con tutti i miei compagni di sesso maschile entrai nell’aula e, in attesa dell’insegnante, partecipai al solito chiasso delle classi scolastiche in quelle circostanze. A un certo punto entrò un colonnello dell’Armata Rossa. Era l’insegnante, un uomo sulla cinquantina quasi calvo. Immediatamente ci fu silenzio. Alzai la mano dal mio banco e cercai di parlargli, ma venni bloccato senza poter dire nulla. Il colonnello srotolò un grafico e lo distese sulla lavagna, poi con un bacchetta cominciò a spiegarne il contenuto. Era il grafico di un aereo sovietico da caccia. Capii che dovevo fare qualcosa e chiesi nuovamente di parlare. Per tutta risposta il colonnello urlò: “Zitto!, e stai seduto!”. Non so come mi venne in mente, ma a mia volta gridai: “Io sono un soldato della NATO!”. Bisognava vedere la faccia del colonnello, che immediatamente si lanciò a coprire con il corpo e con le braccia spalancate il grafico dell’aereo. Spaventato, balbettando, mi chiese che cosa ci facessi lì. Risposi che anch’io avrei voluto saperlo. “Ma lei non può stare qui!” “Sono d’accordo, mi dica se posso uscire”. Fu così che si concluse la mia prima e unica lezione di Preparazione militare e anche la mia carriera nell’Armata Rossa.
Un altro episodio, se ricordo bene, si verificò alla prima lezione generale cui assistetti. Era Antičnaja literatura, vale a dire «Letteratura antica», che comprendeva la storia della letteratura greca e latina. Il professore era Sergej Radcig, un luminare anziano della generazione prerivoluzionaria, cultore della Grecia classica ma anche innamorato di Roma, che non aveva mai potuto visitare. Finita la lezione, scesi nel vestibolo per ritirare il mio soprabito, e qui avvenne qualcosa che mi pose al centro dell’attenzione generale e che non dimenticherò mai. Qualcuno degli studenti che dopo la lezione avevano circondato il buon professor Radcig, doveva averlo informato che nel nostro corso c’era quell’anno uno studente romano. Non l’avesse mai fatto. Sergej Ivanovič Radcig si precipitò sul pianerottolo che si affacciava sul vestibolo e cominciò a gridare: “Ehi, Rimljanin!, ehi Rimljanin!”, cioè “Ehi, Romano”. Il lettore deve sapere che a quell’epoca l’Unione Sovietica cominciava appena ad aprirsi al mondo occidentale dopo la lunga notte staliniana, e che da decenni gli unici “romani” di cui in qualche rara occasione si parlasse erano quelli dell’antica Roma. In ogni caso, fu così che l’invocazione del vecchio professore venne percepita dagli studenti che affollavano il vestibolo, come se avesse gridato: «Ehi, antico romano!». Io ero in mezzo a loro, ma non avevo capito che cosa stesse succedendo. Nessuno lì mi conosceva, tutti erano perplessi, forse pensando che il vecchio Radcig fosse impazzito. Finalmente qualcuno capì che Radcig ce l’aveva con me e mi indicarono il professore in cima alle scale. Quando fui vicino a lui, cominciò a tempestarmi di domande: ero proprio di Roma?, e quanto era lontana la mia casa dal Campidoglio e dal Colosseo? Snocciolò ancora qualche altro luogo della Roma tanto amata, di cui sapeva tutto, ma che non aveva mai visto. Mentre parlava era visibilmente commosso, i suoi occhi si inumidirono. Fu quella la prima manifestazione di affetto verso di me nella facoltà di filologia di Mosca.
Dino Bernardini

A Mosca l’ultima volta

Massimo D’Alema, A Mosca l’ultima volta (Enrico Berlinguer e il 1984). Donzelli Editore, Roma 2004, pp. 144, 12,50.

“Non è un saggio su Berlinguer, ma un racconto di sei mesi della sinistra italiana”: così D’Alema ha definito questo suo libro, presentandolo a una manifestazione al Palasport di Genova. In effetti, le pagine del libro sono equamente divise tra il racconto del viaggio a Mosca con Berlinguer e Bufalini per i funerali di Andropov – e devo dire che si tratta di pagine gustosissime, di valore letterario – e le vicende della sinistra italiana.

Parlerò poi del viaggio a Mosca, che resta la parte migliore dell’opera, ma intanto riconosco che l’autore rievoca con grande onestà il contrasto tra Craxi e Berlinguer senza omettere nulla, né le cose che ancora oggi condivide, ovviamente, né quelle che avrebbe preferito non fossero avvenute, che sono di ostacolo alla riconciliazione in atto tra una parte di ex socialisti e una parte di ex comunisti. Per esempio, l’infelice frase pronunciata da Bettino Craxi dopo i fischi della platea socialista all’ospite Berlinguer: “se sapessi fischiare l’avrei fatto anch’io”. Non c’è dubbio che questo non aiuta la riabilitazione e la quasi beatificazione del latitante Craxi da parte dei DS. Intendiamoci, nella parabola di Craxi ci sono stati atti, decisioni, scatti di dignità che nessun capo di governo italiano avrebbe avuto il coraggio di compiere, come la difesa della nostra sovranità nazionale a Sigonella contro la prepotenza dei comandi militari americani. Di questo gli va dato atto, ma senza dimenticare i tanti, illeciti episodi di corruzione addirittura rivendicati da Craxi senza vergogna.

E veniamo a Berlinguer. In tutto il libro si avverte un sentimento sincero di affetto per lo scomparso leader del PCI, del quale D’Alema sintetizza il pensiero, le idee sulla “diversità” dei comunisti italiani, sull’austerità, proclamata in anticipo sui tempi, in contrasto con l’imperante “edonismo reaganiano”. Sullo scontro tra Craxi e Berlinguer l’autore riporta una lunga citazione da Ugo Intini che almeno in parte sembra condividere: “Berlinguer cercava una terza via, non socialdemocratica e non capitalista, che non esisteva. Inseguiva un eurocomunismo che non c’era. Voleva trasformare il PCI in una forza di governo, mantenendone l’unità, la continuità e la tradizione, ma questo era impossibile. Craxi voleva trasformare il PSI (un apparato di potere senza più la spinta ideale di un tempo e senza radici sociali sufficientemente profonde) in un grande partito socialdemocratico di massa, nella guida di una grande sinistra vincente. Ma anche questo era impossibile. Berlinguer e Craxi coltivavano due sogni irrealizzabili”. Berlinguer, dice D’Alema, percepì in modo drammatico la crisi del comunismo. Si deve però sapere che “aveva maturato sull’Unione Sovietica e sul socialismo reale una posizione più netta di quella che si è delineata nella politica ufficiale”. Se non è venuta alla luce, è perché “in lui ha agito la preoccupazione che una rottura definitiva con quel mondo potesse portare una scissione nel PCI”.

Era riformabile il sistema sovietico? L’impressione che emerge dal libro è che per D’Alema non lo fosse. Tuttavia, dice, “non era scritto nel libro del destino che il mondo comunista crollasse”. “Non sono tra quelli – dice ancora D’Alema – che dicono che il comunismo per sua natura non fosse riformabile. Il problema è che quella ipotesi di rinnovamento democratico non era più concretamente in campo già nel momento in cui Berlinguer assunse la direzione del PCI”. Infatti, la speranza del rinnovamento era stata distrutta dai carri armati sovietici mandati a Praga ad abbattere un governo comunista che godeva del favore dell’intero popolo cecoslovacco.

Come ho detto, le pagine migliori del libro sono quelle dedicate al viaggio a Mosca in occasione dei funerali del segretario generale del PCUS Jurij Andropov, “l’ultima tenue speranza di riforma del comunismo sovietico”. Era il febbraio 1984. Ricordiamo che Andropov, uomo intelligente e colto, era diventato leader del PCUS nel novembre 1982. Dopo la lunga stagnazione brežneviana, il nuovo leader aveva suscitato molte speranze pubblicando un lungo saggio sul marxismo nel quale lasciava intuire la sua volontà di cambiamento. Purtroppo, formalmente rimase in carica meno di un anno e mezzo, ma in realtà quasi subito dopo la nomina fu colpito da una grave malattia che lo tenne inchiodato alla macchina della dialisi fino alla morte.

D’Alema racconta con arguzia il suo viaggio a bordo dell’aereo presidenziale italiano, dove Pertini aveva ospitato, oltre al ministro degli esteri Andreotti, anche la delegazione del Vaticano e quella del PCI. Durante il volo, ci fu una partita a scopone tra Pertini e Berlinguer, da un lato, e Andreotti e Maccanico, dall’altro. “Andreotti mi volle dietro a sé. Come disse in modo cortese e sornione, “per farsi consigliare”. In realtà giocava benissimo. Il presidente perdeva e la cosa lo seccava molto. Berlinguer era imbarazzato. Si vedeva che non aveva gran voglia. Si distraeva, ma era dispiaciuto per Pertini. Insomma una mezza tortura”. “Quando, intorno alle 18,00, l’aereo arrivò su Mosca, cominciò a girare senza poter atterrare […]. Per i sovietici non era normale che sullo stesso aereo arrivassero lo Stato, il Governo, il Vaticano e il Partito comunista. Si trattava per loro di delegazioni distinte a cui dovevano corrispondere cerimoniali, comitati d’accoglienza e destinazioni separate. Cominciò così un complesso negoziato con la torre di controllo che alla fine produsse un preciso protocollo di precedenze e tempi da rispettare. Prima doveva scendere il presidente con il suo seguito. Dopo cinque minuti il ministro degli Esteri. Poi il segretario del Partito comunista. Infine i cardinali [...]. Chiarita la procedura, finalmente giunse il permesso di atterraggio [...]. Quando l’aereo fu fermo sul piazzale, Pertini, infischiandosene di accordi, raccomandazioni e preghiere degli addetti al cerimoniale, prese sotto braccio Andreotti e Berlinguer e scese la scaletta. Fu il caos”.

Un altro episodio raccontato nei minimi dettagli, a conferma di quello che personalmente considero un difetto di D’Alema, ma che per altri può darsi venga considerato un pregio, è la cena all’ambasciata italiana di Mosca. L’autore dopo aver descritto l’ordine in cui erano seduti tutti i commensali, passa al menu: “La cena fu notevole. Salmone affumicato, caviale Molossol. Verdicchio e vodka. Prosciutto, melanzane in caponata. Tortellini in brodo. Spigola e gamberi portati freschi dall’Italia (sullo stesso aereo?). Dolce di fragole e panna. Spumante Ferrari. Confesso la mia debolezza – scrive D’Alema – per il mangiare bene e non sono stupito di ritrovare, dopo molti anni, annotati in modo così dettagliato i menu”. A mia volta, confesso il mio totale disinteresse per ciò che si è mangiato in quella e in altre cene.

mercoledì 7 settembre 2005

ciao, compagno Sergio

No, non è un gossip. Endrigo era iscritto al PCI. E veniva aggratis ai festival dell'Unità di quartiere. Io, in concreto, l'ultima volta l'ho visto a quello dell'Alberone, a Roma, a villa Lazzaroni, nell'82. Aveva già problemi di otite, io all'epoca ero segretario della zona IX della FGCI di Roma. Due-tre anni dopo ha smesso di cantare. Fino all'anno scorso, a 71 anni suonati. Addio, compagno Sergio. A costo di suonare banale, come sempre sono i migliori che se ne vanno, ed io sono sempre più solo.

martedì 6 settembre 2005

Volate a stelle e strisce

Io volo da quando avevo pochi mesi di età. Da allora, in poco più di quarant'anni, ho accumulato svariate centinaia di ore di volo, prevalentemente per lavoro, quasi come un pilota, ed ho anche volato in assenza di gravità (il cosiddetto "G zero").

Ricordo, qualche anno fa, quel susseguirsi esasperante di notizie di "aerei russi" che cadevano qua e là in giro per il pianeta. Poi andavi a leggere, e scoprivi che magari era caduto un Antonov venduto all'inizio degli anni Settanta dall'Unione Sovietica a qualche monarca africano. Da allora, in trent'anni, mai una manutenzione.

La prima domanda, quindi, è: quando casca un Boeing indonesiano, è indonesiano, cioè della compagnia aerea, o statunitense, cioè del produttore? A metà agosto 2005 la comunità internazionale ha vietato unilateralmente alla Federazione Russa il transito di aerei IL-96-300 (i famosi Iljušin). Così, sono stati annullati i voli dell'Aeroflot per Hanoi, Toronto e Washington, e quelli per Shanghai, Pechino, Bangkok e Seoul sono stati sostituiti proprio con dei Boeing. Per inciso, l'aereo presidenziale di Putin è proprio un IL-96-300, ed ovviamente continua a volare.

Il 5 settembre 2005 un Boeing 737 della compagnia indonesiana low cost Mandala Airlines è precipitato poco dopo il decollo sulle abitazioni di un'area abitata di Medan, a nord dell'isola di Sumatra. Nello schianto hanno perso la vita 104 delle 117 persone a bordo - 112 passeggeri e cinque dell'equipaggio - più 39 persone a terra.

Quello di Sumatra è il quinto disastro aereo in meno di un mese. Il 6 agosto scorso un Atr 72 della Tuninter con a bordo turisti italiani era finito in mare al largo di Palermo durante un tentativo di ammaraggio: 13 morti, tre dispersi. Il 14 agosto un Boeing della cipriota Helios si era schiantato contro una montagna vicino Atene: 121 morti. Il 16 agosto un Md-80 in volo da Panama alla Martinica era precipitato in Venezuela e tutti i 160 che erano a bordo avevano perso la vita. Il 24 agosto 41 persone avevano perso la vita nello schianto di un Boeing 737 presso la città peruviana di Pucallpa.

Ed ecco la seconda domanda, anch'essa puramente retorica: quand'è che vieteranno il volo agli aerei nordamericani Boeing?

domenica 28 agosto 2005

Diffidate del BancoPosta italiano!

Il 21 agosto ho ricevuto un msg dal titolo "Misure di sicurezza di cliente di BancoPosta ID2244" e col seguente contenuto:

Caro mark@bernardini.com,

Recentemente abbiamo notato uno o piЫ tentativi di entrare al vostro conto di BancoPostaonline da un IP indirizzo differente.Se recentemente accedeste al vostro conto mentre viaggiavate, i tentativi insoliti di accedere a vostro Conto BancoPosta possono essere iniziati da voi. Tuttavia, visiti prego appena possibile BancoPostaonline per controllare le vostre informazioni di conto: "https://bancopostaonline.poste.it/bpol/bancoposta/formslogin.asp"

Ringraziamenti per vostra pazienza.BancoPostaon.

----------------------------------------------------------

Non risponda prego a questo E-mail. Il E-mail trasmesso a questo indirizzo non puР essere risposto a.

Ovviamente la prima cosa che balza agli occhi è l'italiano zoppicante. Va bene che ormai la lingua è un optional, ma l'impressione è che l'abbia scritto uno straniero. Infatti, se andiamo a vedere in formato ipertestuale il link soprariportato, scopriamo che è collegato con http://www.withwith.or.kr/zboard/data/bbs5/formslogin.php. Non mi risulta che le Poste italiane si siano stabilite nella Corea del Sud. Allora sono andato a vedere l'header del msg:

Return-Path: <httpd@web5.opentransfer.com>

Received: from mail.opentransfer.com (mail3.opentransfer.com [69.49.238.4])

(envelope-from httpd@web5.opentransfer.com)

Received: from unknown (HELO web5.opentransfer.com) (69.49.234.9)

by mail.opentransfer.com with SMTP; 21 Aug 2005 11:09:20 -0000

Received: (from httpd@localhost)

by web5.opentransfer.com (8.11.6/8.11.6) id j7LB98g27097;

Message-Id: <200508211109.j7LB98g27097@web5.opentransfer.com

From: <Bancoposta@poste.it>

Reply-To: Bancoposta@poste.it

L'IP 69.49.238.4 ci porta alle seguenti coordinate:

OrgName: Hosting-Network GmbH

OrgID: HOSTI-3

Address: 247 Mitch Lane

City: Hopkinsville

StateProv: KY

PostalCode: 42240

Country: US

NetRange: 69.49.224.0 - 69.49.255.255

CIDR: 69.49.224.0/19

NetName: HOSTI-3-1

NetHandle: NET-69-49-224-0-1

Parent: NET-69-0-0-0-0

NetType: Direct Allocation

NameServer: NS1.OPENTRANSFER.COM

NameServer: NS2.OPENTRANSFER.COM

Comment:

RegDate: 2003-05-27

Updated: 2003-08-18

TechHandle: IPADM99-ARIN

TechName: IP Admin

TechPhone: +43 699 13266 007

TechEmail: admin@ecommerce.com

OrgAbuseHandle: ABUSE875-ARIN

OrgAbuseName: Abuse Contact

OrgAbusePhone: +(270) 707-2040

OrgAbuseEmail: abuse@ecommerce.com

OrgTechHandle: FSA10-ARIN

OrgTechName: SAID, FATHI

OrgTechPhone: +43 699 13266 000

OrgTechEmail: fathi@ecommerce.com

Come vedete, c'è di tutto: Stati Uniti, Austria ed anche un signore arabo Fathi Said. Il lavoro è ben fatto, se cliccate su quel link iniziale. Solo che (a parte che ai meno distratti non sfuggirà appunto l'url con dominio "kr" nel proprio navigatore), se andate a vedere quella pagina (fatelo, non è pericoloso), se siete clienti di BancoPosta, non inserite assolutamente lo UserID e la password richiesti! Finirebbero appunto a Said Fathi o chi per lui.

Ho segnalato il tutto alle Poste Italiane, sapete cosa mi hanno risposto?

Con riferimento alla Sua e-mail del «26/08/05», Le assicuriamo di aver evidenziato tutti i suoi rilievi ai settori interessati per le eventuali azioni correttive.

Capito? Tizio l'ha passato a Caio, che l'ha passato a Sempronio che, al limite, fra qualche settimana, metterà una toppa nel sito. Niente denuncia, niente giornali. Nel frattempo, vai a sapere quanti italiani saranno stati derubati...

martedì 23 agosto 2005

Scalfarotto? Non scherziamo

Il buonismo non fa parte dei miei difetti. Mi sono sorbito un quarto d'ora di filmato di Scalfarotto per ricavarne le seguenti deduzioni:

1)Scalfarotto-Mascia, ovvero dio li fa e poi li accoppia. Perché non li accoppa? Sul carrierista Mascia, candidato trombato del 2001, ne ho da dire a iosa, ne riparlerò prossimamente.

2)Un italiano 100%, per non scontentare nessuno, terrone ma innamorato di Milano, la Milano da bere. E poi c'ha una nonna bergamasca, quindi lo possono votare anche i leghisti. Milano città aperta? Vorrei conoscere il suo pusher.

3)Candidato povero, dietro cui non ci sono i ricchi Partiti. Un candidato talmente povero che faceva il bancario prima in Comit, poi Ambroveneto, Citibank. Di più: da capo del personale a capo delle risorse umane. Insomma, un servo dei padroni.

4)Candidato povero ma moderno, che usa internet. Tenta di intercettarlo, 'sto popolo di internet. E 10.000 firme raccattate in internet sono le uniche genuine. Fosse sufficiente saper scrivere un'email ed aprire un sito, saremmo milioni, in Parlamento. Candidato che condivide, che divide con gli altri, una sorta di messia. Un candidato diverso dai politici. Perché i politici, per definizione, sono il male. Quindi, facciamo fare politica a chi non fa politica. E facciamo fare I bancari a chi non è bancario, ed il cuoco a chi non capisce un cazzo di cucina.

5)Io non volevo candidarmi, ma me l'hanno chiesto ed io ho sentito il senso ed il dovere della responsabilità. Chi la dice, Berlusconi? No: Scalfarotto.

6)La scelta più difficile della mia vita, l'istinto di conservazione mi diceva di non farlo. Capito? Candidarsi alle primarie dell'Unione è stata la... scelta più difficile della sua vita. Non oso pensare alle difficoltà con cui si scontra, che so io, Rita.

7)Sono diverso da Prodi perché vengo dalla società civile. Infatti la società civile è quella delle banche.

8)La dittatura della maggioranza è una cosa spaventosa. Un po' come la dittatura del proletariato. Insomma, se si fa come dice la maggioranza, è dittatura. Se si fa come dice la minoranza, è una democrazia matura.

9)Sono diverso da Mastella perché non sono mai stato democristiano. Più della metà degli italiani non è mai stata democristiana, ma Scalfarotto non è mai stato democristiano più dei non-democristiani e persino dei democristiani stessi.

10)Sono diverso da Di Pietro perché sono uguale a Di Pietro. Solo che non basta l'etica, bisogna riempirla di contenuti. Dunque, Di Pietro è un etico vuoto. Scalfarotto è detentore di contenuti etici?

11)Sono diverso da Bertinotti perché non sono marxista e perciò sono moderno. Incommentabile.

12)Sono diverso da Pecoraro Scanio perché quello è monotematico ed è un politico professionista. Che poi Scalfarotto sia stato consigliere di circoscrizione a Foggia, con i verdi del Sole che ride, a fine anni '80, è del tutto trascurabile, nel teatrino attuale della politica italiota. Di più: Pecoraro Scanio non è giovane, cosa che, si sa, è una grave colpa. Pecoraro Scanio è del 1959, ha 46 anni. Scalfarotto è del 1965, ha 40 anni.

13)Sono diverso perché sono diverso. Sì, nel senso sessuale del termine. Dobbiamo intercettare i voti di internet, quelli dei bancari e quelli degli omosessuali. E le casalinghe di Voghera? Con chi ciascuno di noi vada a letto, purché adulto e consenziente, sono affaracci suoi. Esattamente come è irrilevante che uno sia negro, con gli occhi a mandorla o albino viso pallido. Augh. E la gente è avanti perché in realtà se ne frega, mentre la politica (i politici) sono indietro perché non se ne frega. Ecco perché l'Italia ha bisogno di Scalfarotto.

14)Non sono un malandrino perché non ho rubato la scena ai politici. Da una parte loro che ancora non mi si filano, dall'altra io. Davide e Golia.

Ho già avuto modo di dire che ultimamente voto contro, non per. Questo non vuol dire non essere c-attivi. Io voglio c-attivamente arrecare dànno alla candidatura di tutti quelli come Scalfarotto, poiché è anche per colpa loro che abbiamo perso e, forse, perderemo. I padroni sanno far bene il loro mestiere, noi invece, nel nostro, continuiamo ad essere degli incompetenti, degli apprendisti stregoni.

http://r-esistenza-settimanale.blogspot.com/2005_08_07_r-esistenza-settimanale_archive.html

http://r-esistenza-settimanale.blogspot.com/2005_08_14_r-esistenza-settimanale_archive.html

sabato 20 agosto 2005

Questione di paletti

Ho ricevuto una richiesta di commento:
Mark non ero un simpatizzante del cavaliere e tanto meno vorrei esserlo oggi però una domanda semplice mi sorge spontanea e la faccio a tutti quelli che "odiano" il cavaliere: chi metteresti al suo posto? ....mi auguro di ricevere una risposta intelligente ( ....premetto però che rispondere Prodi o D'Alema o Fassino e via discorrendo le ritengo risposte da deficienti !) ....avanti, oltre a Mark da cui mi aspetto una risposta un po` articolata, gli altri possono tranquillamente rispondere con il semplice nome.
Da anni sono ridotto a votare non già per qualcuno, ma contro qualcun altro. Sarà che ho troppe pretese, ma voterei Prodi, D'Alema, Fassino, voterei pure Mastella contro Berlusconi. Essere PER qualcuno è ben altra cosa. Molti anni fa la chiamai la mia personale teoria dei paletti, ultimamente ho letto che qualcuno la spaccia per farina del suo sacco. Non importa. Per teoria dei paletti intendo che ciascuno, di paletti, ha i suoi. Come le corna. In base ai propri personalissimi paletti, ciascuno di noi può dire: "ecco, fin qui mi spingo, oltre non vado". Nel mio caso specifico, vuol dire che, il giorno che dovessi scegliere tra Berlusconi e Mastella, voterei per quest'ultimo; ma il giorno che dovessi scegliere tra Berlusconi e Fini, non voterei Berlusconi in quanto non-fascista, in quanto "meno peggio": semplicemente, non voterei. I miei paletti arrivano lì. Quelli tuoi magari da un'altra parte, e quelli di Alessio da una terza parte ancora. Non importa: l'importante è che ciascuno li abbia, 'sti paletti, e li rispetti.
Dicevo che la domanda è mal posta. Opinione personale, s'intende. Opino appunto che a destra Berlusconi abbia puntualmente azzerato ogni tentativo di concorrenza, un po' come nelle televisioni private, nella stampa, nelle assicurazioni, nell'edilizia ed il dio in cui non credo solo sa in quant'altro. Questi però sono affaracci loro. A sinistra, invece, pure. E questo già mi riguarda di più. Puntualmente, cfr. post- ultime Regionali, la sinistra fa di tutto per perdere, quasi come se la partita fosse truccata (odio i paragoni calcistici, ma per una volta mi sia concesso). Il tanto vituperato Gaber disse, una decina d'anni fa: "Tutto è cominciato nel 1948. Se si fanno bene i conti tra la destra (DC, liberali, monarchici, missini, ecc.) e la sinistra (comunisti, socialisti, socialdemocratici, ecc.)... viene fuori un bel pareggio. Da allora è sempre stato così. Oggi invece è diverso. Per forza, è successo di tutto. Sono spariti alcuni partiti, c'è stata quasi una rivoluzione, le formazioni politiche hanno leaders e anche nomi diversi. Infatti, oggi non c'è più il 50% alla destra e il 50% alla sinistra. Ma c'è il 50% al centro-destra e il 50% al centro-sinistra. Oppure un 50... virgola talmente poco che basta che uno abbia la diarrea che salta il governo. Non c’è niente da fare. Sembra proprio che il popolo italiano non voglia essere governato. E ha ragione... Ha paura che se vincono troppo quelli di là viene fuori un regime di sinistra. Se vincono troppo quegli altri viene fuori un regime di destra. Il regime di centro invece... quello gli va bene. Auguri!". Chi metterei al suo posto, mi chiedevi. Chiunque più onesto e più democratico, persino la sora Mariuccia che pulisce le scale nel condominio accanto (figura inventata cumulativa). Ma non è questa la risposta, giacché, come già rilevato, non è questa la domanda.

martedì 16 agosto 2005

Il pudore alla Berlinguer

Non mi piace la politica italiana in generale, a destra come a sinistra, basata sull'americanismo e sul personalismo. La mia generazione era stata educata ad un maggior pudore, indipendentemente dagli schieramenti. Facevi campagna elettorale per il tuo Partito, ed il Partito presentava i suoi candidati, fra cui magari anche te. Mai il contrario. Il contrario sul serio: adesso è il Partito che fa campagna elettorale per te, e tu presenti il tuo Partito quando va bene, se non addirittura i TUOI Partiti. Provo una tristezza angosciante, e preferisco non pensarci. Così, me ne sto buono buono all'estero...

martedì 21 giugno 2005

Venimmo dall'est

Un tempo si diceva che ciascuno ha un proprio sud (De Crescenzo in "FFSS ovvero che mi ci hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?"). Parafrasandolo, pare che ora ciascuno abbia un proprio est.

Solo che non si capisce dove sia, 'sto est, e dove termini l'Europa, oltre la quale ci si possa considerare orientali: al confine crucco-catto-polacco, ovvero il vecchio confine UE? Al confine russo-polacco, ovvero il nuovo confine UE? Lungo gli Urali, come dicono gli studiosi di geografia? A Vladivostok, come dice chi vorrebbe una Russia membro dell'UE? Soprattutto, ovunque passi 'sto confine, dove sono gli operai? Alla ricerca dell'operaio perduto. La classe operaia va in purgatorio. In Polonia ce n'è ancora abbastanza, ma fin da Walesa passano più tempo a genuflettersi e baciar pile che a lavorare, 'sti scansafatiche reazionari. In Russia già ce n'è meno, anche se più che in Italia, ma comunque meno in proporzione rispetto alla popolazione. Ancora più a est? Boh, c'è la Mongolia, lì però vanno a cavallo, sono nomadi e pastori. Poi c'è la grande Cina che come sempre è vicina, Paese prettamente agricolo di produzione artigianale di borsette Gucci. Ancora più a est? Ma ragazzi, allora si risale a nord nella mia Russia, si fa una bella nuotata corroborante nello stretto di Bering, si oltrepassa il Klondike, che tanto ormai non c'è rimasta una sega, si saluta la tomba dell'ultimo dei Mohicani, ciao-còmprati-Arrapaho... Devo continuare?

giovedì 2 giugno 2005

No Europa?

Me ne duole, ma il voto francese ed olandese non è stato contro QUESTA Costituzione Europea: è stato contro l'Unione Europea, contro l'internazionalismo, contro l'ingresso affrettato dell'Europa Orientale ex-Comecon, contro la Turchia. A parte l'internazionalismo, su tutte le altre ragioni sono perfettamente d'accordo. Qui però non si votava per questo, bensì per una Costituzione che a me non piaceva, ma che nessuno conosce. Nessuno l'ha letta, poche palle. Un po' come se al referendum italiano sulla procreazione assistita del 12 giugno la gente votasse pensando alla 194 sull'aborto. Le parole hanno un senso. Si badi bene, a me non dispiacerebbe affatto un'umiliazione degli slavi neomembri, magari si renderanno conto che, volenti o nolenti, si debbono creare due Europe, per ragioni oggettive, che piaccia o meno: quella occidentale e quella slava.

Siamo diversi, facciamocene una ragione. Anche perché la Kamčatka, ad 11 (!!!) fusi orari da voi e che voi conoscete giusto perché giocate a Risiko, confina con gli Stati Uniti attraverso lo Stretto di Bering, oltre il quale c'è l'Alaska (russa anche quella, se quel coglione dello zar non l'avesse simbolicamente venduta per 1 - un!!! - dollaro). Se quella è Europa, io sono azteco. E la Russia non è il Lussemburgo.

Questi non sono né gatti né topi: sono dèi. Nel senso che faranno morire centinaia di milioni di innocenti, da Mosca a Falluja, dalle torri gemelle (incazzatevi pure, tanto è così lo stesso) a Kabul, e camperanno alle vostre, alle mie ed alle spalle di tutti noi poveri cristi che il pane dobbiamo guadagnarcelo solo perché ce lo rubano proprio loro. E voi religiosi del cazzo, pensando di adorare chissà quali divinità in cielo, state adorando queste emerite teste di cazzo che stanno perfettamente in terra.