lunedì 9 maggio 2016

Fascisti putiniani? Non scherziamo

L'antifascismo non è un valore negoziabile, a seconda della contingenza.

Non è così sentito in Italia?

Lo è però sicuramente in Russia, dove non c'è famiglia che non abbia avuto un morto in casa per mano dei fascisti.

Irina Osipova putiniana?

Putin non perde occasione per ribadire il suo antifascismo.

La Osipova non è inutile: è dannosa.

Anche in Russia c'è il multipartitismo (checché ne dicano i media mainstream italioti), ed è pur sempre valido il vecchio adagio mondiale per il quale "quante teste, tante idee".

Ciò premesso, tuttavia, esistono alcuni valori universalmente recepiti: che so io, "non rubare", "non uccidere", e chi li infrange, quando e se scoperto, è oggetto di pubblico ludibrio (eccezion fatta per le ruberie dei berlusconiani e poi dei politici attuali di ogni sorta in Italia, che quasi se ne fan vanto).

Ecco, tra questi valori c'è quello dell'antifascismo tra la stragrande maggioranza delle persone "normali", intendendo il fascismo come quello originario italiano mussoliniano, quello tedesco hitleriano, quello spagnolo franchista, quello portoghese di Salazar, quello latinoamericano in quasi tutto quel continente e anche, ovviamente, quello ucraino attuale.

Viceversa, i vari neofascisti, le teste rasate et similia, vengono per lo più percepiti in modo più o meno implicito come dei pericolosi e violenti squilibrati mentali.

La sensibilità all'argomento varia da Paese a Paese, a seconda di quanto il Paese in questione ne sia stato fautore e/o ne abbia patito.

Tutto questo per dire che il sentimento antifascista è forse il più forte elemento di coesione esistente in Russia, per ragioni talmente lampanti che non meritano ch'io mi ci soffermi.

Voglio dire che in Russia non esistono le Meloni, i La Russa, i Gasparri, le Mussolini, le Santanchè: da Zjuganov a Žirinovskij, passando per Putin e Mironov, ma anche per personaggi strani come Prochorov o la Chakamada, sono tutti fieramente e sinceramente antifascisti e riconoscono il merito non solo del popolo sovietico, ma dei comunisti in particolare, nell'aver liberato l'Europa e il mondo dalla peste nazifascista.

Ecco perché condivido il risentimento di molti italiani in Russia: non qui, non ora, non il 9 maggio.

lunedì 18 aprile 2016

Democrazie a confronto

Nonostante la guerra, alle elezioni politiche in Siria ha votato oltre il 57%.

In Italia, dove hanno dimenticato a quale prezzo di sangue sia stato conquistato il diritto di voto, al referendum sulle trivelle ha votato appena il 32%, contravvenendo alla Costituzione su invito del capo di governo non eletto ed invalidando il parere dell’86% degli italiani.

Ciascuno ha i governanti che merita.

All'estero, ha votato il 20% degli italiani, 19% in Europa, e persino in Russia, dove la metà è stata privata del voto per non aver ricevuto il plico elettorale (un caso?), il 21% si è scomodato di andare alla posta o, più probabile, di recarsi personalmente al Consolato.

Giusto per la cronaca, nella monarchica Olanda due settimane fa si è svolto un referendum contro l’associazione dell’Ucraina all’Unione Europea.

Ha votato anche lì appena il 32%.

Solo che da loro la soglia di validità è il 30%, quindi prevale il 62% dei votanti che hanno bocciato l’associazione.

La Germania ha già detto che se ne frega…

martedì 2 febbraio 2016

I talebani salutisti proibizionisti antifumo

Ora buttare le cicche in terra è reato. In Russia le urne sono dei secchi di ferro in dei cubi di calcestruzzo. In Italia sono di plastica con dentro un sacchetto di polietilene (alla faccia delle ipocrisie sull'inquinamento). Domanda: se nell'urna rischio di provocare un incendio, e sul marciapiede rischio la multa, dove la devo spegnere la cicca, nel culo del vigile urbano?!

Già mi immagino il prossimo ottobre, giungere come ogni anno al Catullo di Verona dopo non avere fumato per quattro ore, uscire all'aperto, raggiungere la riserva razzista per fumatori delineata dalla striscia azzurra (il fumo ovviamente se ne infischia della demarcazione, ma questa è un'altra storia) e scoprire magari che non c'è manco il portacenere. Obtorto collo, dovrei gettare la cicca in terra. L'anno scorso i portaceneri c'erano. Io però sono un ottimista molto bene informato, ho ragione di sospettare che quest'anno non ci saranno (altrimenti, come fanno a spillarti soldi?). Immagino anche una commistione d'interessi tra aeroporto e forze dell'ordine: i primi tolgono i posacenere, i secondi fanno multe. Poi si trovano in pizzeria a dividere il malloppo. Limoncino offerto, ovviamente.

Io sono quello che in spiaggia va col vasetto di vetro col tappo (tipicamente, contenitore da sugo comprato al supermercato), e ci vado dagli anni '70, non adesso che i rompicoglioni si moltiplicano esponenzialmente. Fondamentalmente, il concetto è: non rompo i coglioni a nessuno, non rompeteli a me. Io non vado da due che si sposano in chiesa e non gli dico: "non lo potete fare perché io sono ateo".

Tutti siamo cresciuti col mito della sigaretta, Humphrey Bogart, Robert Mitchum, significava essere adulti. Sbagliato? Sono d'accordo, ma dopo che ci hanno cresciuti così, va bene che smettano di far crescere in questo modo le successive generazioni, non che scassino la minchia a noi. Altrimenti, perché me le vende proprio quello Stato che mi criminalizza?

Personalmente, nel '69, a sette anni, scappavo con i miei compagni dal doposcuola, andavamo alle tre stazioni ferroviarie di Mosca, facevamo colletta fra noi e per 14 kopejke compravamo le Prima (tipo le Nazionali senza filtro). Più eravamo, meglio era: nessuno poteva portare le sigarette avanzate a casa, e a fumarne venti a quell'età era dura. A comparle mandavano sempre me, avevo la faccia meno da delinquente degli altri: se la commessa (generalmente, un severo donnone) mi chiedeva, inquisitoria, cosa ci dovessi fare, rispondevo "la mamma, vuole di nuovo fumare". Funzionava sempre. Mia madre lo scoprì solo quando di anni ormai ne avevo 16, e si incazzò non poco.

A 12 anni, mia nonna mi trovò le sigarette BT (Bulgar Tabak) in tasca. Non disse nulla, aspettò che mio nonno uscisse e mi chiese se fumassi. Neanche per sogno, risposi. Mi mostrò le sigarette. Spalle al muro. Mi disse: tanto, se te lo proibisco, fumerai di nascosto. Almeno, cerca di non fumare troppo. Finì che andavamo a fumare insieme di nascosto da mio nonno sul balcone. Lei fumava le Belomorkanal, mettendo un batuffolo di ovatta nella parte vuota a mò di filtro, poi mangiava un pezzo di mela, oppure masticava una foglia di acero, per non farsi scoprire dall'odore. Mio nonno, caso più unico che raro da queste parti, non beveva e non fumava. Morì nell'84 a 79 anni. Mia nonna, invece, ogni volta che tornavo a Mosca, dovevo portarle dall'Italia una stecca di sigarette e una bottiglia di Amaretto di Saronno, altrimenti ci restava male. E' morta nel 2002 a 93 anni.

lunedì 25 gennaio 2016

Forein faiters

Per mestiere (di interprete da oltre trent'anni), mi capita di tradurre dall'inglese verso il russo e verso l'italiano, ma non viceversa. Voglio dire che non mi picco di essere un madrelingua albionico. Tuttavia, a proposito del marocchino arrestato a Cosenza per sospetto di essere in odor di fiancheggiamento al terrorismo, è tutto il giorno che lo sento definire nei telegiornali italiani mainstream come "forein faiters". Ora, a parte che il "foreign fighter" o è uno (fighter), o è più di uno (fighters), questo letteralmente sarebbe un "combattente straniero". In italiano c'è un termine ben preciso: mercenario. Perché di questo si tratta: uno che combatte armi in pugno a casa d'altri per soldi. Naturalmente, molto da dire su welfare (stato sociale), step child adoption (adozione di figliastro), spread (differenziale), jobs act (legge sul lavoro) e quant'altro, visto che l'Albione fu colonia di Roma e non viceversa, ma qui la faccenda assume una sfumatura diversa: i mercenari altrui sono mercenari, mentre quelli italiani sarebbero peace keepers (facitori di pace, o meglio custodi di pace). E qui viene da pensare agli alpini in Afghanistan e in svariati altri Paesi del mondo (per esempio, i marò in India), visto che le Alpi finiscono al Carso: ragazzotti mercenari che in un mese guadagnano (a spese del contribuente italiano) più di quel che guadagna un operaio alla catena montaggio a Mirafiori (o quel che è ora) in un anno. Dite che però il mercenario rischia la pelle? A parte che non gliel'ho chiesto io (not in my name), non mi pare che ultimamente gli operai rischino meno, a giudicare dalle statistiche dei morti sul lavoro (le morti bianche)...

venerdì 4 dicembre 2015

Vorovskij

Nella toponomastica russa esistono molti luoghi intitolati a Vaclav Vaclavovič Vorovskij, o Wacław Worowski, alla polacca, noto agli storici anche con gli pseudonimi in clandestinità di Jurij Adamovič, P. Orlovskij, Schwartz, Šachov, Joséphine, Faunus, Profano e svariati altri, nato a Mosca nel 1871 e assassinato a Losanna nel 1923. Il nostro interesse per questo rivoluzionario, pubblicista e critico letterario è motivato dal fatto che, essendo uno dei primi diplomatici sovietici, fu il primo ambasciatore della Russia sovietica nel Regno d’Italia.
Nel 1890 frequentò la storica facoltà di scienze fisiche e matematiche dell’Università di Mosca, per poi passare, un anno dopo, all’altrettanto storica “Scuola tecnica di Mosca”, ora nota come “Università tecnica statale moscovita”, intitolata dal 1930 allo studente rivoluzionario Bauman, della medesima università, che dopo un anno e mezzo di carcerazione nella tristemente rinomata prigione della Taganka fu ammazzato nel 1905 durante una manifestazione all’angolo fra la allora via dei tedeschi (Nemeckaja ulica, ora Baumanskaja) e il vicolo Denisov (Denisovskij pereulok, prima vicolo degli olandesi, per l’omonima chiesa), da tale Michal’čuk, membro dei “Centoneri” (che annoverava fra i suoi iscritti anche lo zar Nicola II, ora addirittura beatificato), organizzazione di estrema destra, monarchica, antisemita e sciovinista. Ma torniamo a Vorovskij.

Aderì al movimento rivoluzionario nel 1894, per cui in occasione dell’incoronazione di Nicola II fu deportato a Vologda. Arrestato nel 1897, fu nuovamente confinato nel 1899, stavolta nel governatorato di Vjatka. Liberato, emigrò a Ginevra, dove aderì al bolscevismo e divenne un collaboratore del giornale leninista “Iskra” (“La scintilla”). Nel 1903 giunse clandestinamente a Odessa per fare da tramite fra i bolscevichi e i polacchi di sinistra. Rientrato nel 1905 a Pietroburgo, l’anno successivo partecipò al IV congresso del Partito Operaio Socialdemocratico Russo a Stoccolma. Dopo l’ennesimo confino, si trasferisce a Mosca, dove, durante la Grande Guerra, lavora alla Siemens-Schuckertwerke (dopo la Rivoluzione d'Ottobre, si chiamerà "Elektrosila", esiste tuttora).

Breve digressione personale. Durante la perestrojka, lavoravo a Mosca per un’azienda italiana, per la quale spesso mi recavo ad un ente del ministero per le costruzioni meccaniche agricole, la “Traktoroeksport”, con sede in una piccola piazza a ridosso del famoso palazzo della Lubjanka, talmente piccola che non sapevo nemmeno avesse un nome. Solo recentemente, confesso, ho scoperto che, attaccata al palazzo dell’ente, si trovava a lungo la sede del Commissariato Popolare per gli Affari Esteri, poi trasformato nell’attuale ministero degli esteri. In mezzo alla piazza c’era – e c’è tuttora – un piccolo monumento, raffigurante un ometto ingobbito. Il monumento era ridotto male, il metallo era diventato verdastro, il basamento in pietra era ingiallito e corroso dallo smog. Non gli avevo mai dato importanza, Mosca è piena di monumenti meno rappresentativi poco curati. Ebbene, si tratta proprio del nostro Vorovskij, ora restaurato. Il progetto era curato dallo scultore M.I.Kac, che assieme a Vorovskij aveva lavorato in Italia come funzionario della rappresentanza commerciale, e in Italia fu creato, come testimonia una piccola incisione sul retro del basamento, peraltro eseguito in travertino italiano, raccolto dagli operai italiani.

Nel 1917, su proposta di Lenin (di passaggio nel suo viaggio alla volta della Russia), assieme al russo-polacco Jakub Ganeckij (Jakub Hanecki, in realtà Fürstenberg) e Karol Radek (al secolo Sobelsohn, nato a Leopoli quando era Lemberg nell’impero austroungarico, ma formatosi a Cracovia), divenne membro del comitato centrale del POSDR (bolscevico) a Stoccolma. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre fu rappresentante plenipotenziario (in altre parole, ambasciatore) in Scandinavia, ma nel 1919, a seguito della dichiarazione della “Triplice” per il blocco della Russia sovietica, rientrò in patria. Al momento della sua partenza dalla Svezia, nei conti della rappresentanza sovietica presso le banche locali c’erano circa dieci milioni di corone, e quasi due milioni sul suo conto personale, oltre a svariati altri conti presso banche europee con nomi di fantasia, il tutto destinato a sostenere il movimento operaio internazionale.

Nel 1921 venne nominato rappresentante commerciale e plenipotenziario in Italia, dove riuscì, ad esempio, a concludere il primo accordo commerciale quadro con la Russia sovietica, il 24 maggio 1922, ed anche un grosso contratto di fornitura di materie prime all’Italia dalla regione agricola di Kuban’. Anche allora, in Italia, sotto dettatura d’Oltralpe, vi fu chi bollò i commercianti italiani coinvolti come “traditori”, il parallelismo con l’attualità sarebbe fin troppo facile. Sempre nel 1922 partecipò alla Conferenza di Genova (a cui partecipò anche il presidente del Consiglio dei ministri italiano Luigi Facta, ultimo prima dell’avvento del fascismo), chiamata a individuare delle “misure di risanamento dell’Europa centrale ed orientale”. Di fatto, la questione principale riguardava il desiderio dei Paesi europei di trovare un accordo con la Mosca comunista.

Un’apposita commissione di esperti preparò a Londra un progetto di risoluzione che stabiliva il riconoscimento da parte della Russia sovietica di tutti i debiti e gli impegni finanziari di ogni regime russo precedente. Essa doveva assumersi la responsabilità per tutti i danni derivanti dall’attività sia del governo sovietico che dei governi precedenti e delle autorità locali. La delegazione russa si dichiarò pronta a discutere una forma di compensazione agli ex proprietari stranieri in Russia, a condizione che i Soviet fossero riconosciuti de jure, e che ad essa fossero concessi dei crediti. La delegazione russa propose anche un disarmo generale. Non essendo state appianate tutte le controversie sollevate durante la conferenza, una parte di queste fu demandata alla conferenza dell’Aja del 1922.

Durante la conferenza di Genova, il governo sovietico riuscì a concludere con la Germania il Trattato di Rapallo del 1922. La partecipazione dei bolscevichi alla conferenza suscitò indignazione negli ambienti dell’emigrazione russa: il Consesso delle Chiese russe all’estero del novembre 1921 (noto in letteratura come Primo concilio pan-estero della Chiesa ortodossa russa all’estero) adottò, in dicembre, un apposito appello alla conferenza stilato dal metropolita Antonij Chrapovickij, in cui si contestava la legittimità del potere sovietico a rappresentare il popolo della Russia.

Nel 1923 Vorovskij fece parte della delegazione sovietica alla conferenza di Losanna (20 novembre 1922 – 24 luglio 1923, ma con un’interruzione significativa dal 4 febbraio al 22 aprile 1923), convocata su iniziativa di Gran Bretagna, Francia e Italia, per preparare un trattato di pace con la Turchia e regolamentare gli stretti del Mar Nero.

Oltre ai tre Paesi promotori, vi parteciparono la Grecia, la Romania, il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, il Giappone, la Turchia e gli Stati Uniti: questi ultimi, avendo rifiutato un coinvolgimento diretto, avevano lo status di osservatore ed erano rappresentati dall’ambasciatore in Italia Richard Washburn Child. Le potenze della “Triplice intesa” (Inghilterra, Francia e Russia zarista, in contrapposizione alla “Triplice alleanza” di Germania, Impero Austro-Ungarico e Italia) limitarono la partecipazione della delegazione sovietica e di quella bulgara alla discussione sulla regolamentazione degli stretti del Mar Nero. Il governo sovietico contestò questa discriminazione, ma ritenne comunque possibile partecipare alla conferenza ed inviò una delegazione con a capo Čičerin, commissario del popolo per gli affari esteri, che aveva sostituito Trockij.

Il progetto della delegazione sovietica in merito agli stretti, le cui linee guida erano state elaborate da Lenin stesso, prevedeva di ristabilire i diritti del popolo turco “ai suoi territori e superfici acquatiche”, di chiudere l’accesso agli stretti sia in tempi di pace che di guerra “alle navi armate e militari, nonché all’aviazione militare di tutti i Paesi, ad eccezione della Turchia”, e di consentire invece la totale libera navigazione commerciale.

La posizione della “Triplice intesa”, al contrario, prevedeva la libera circolazione delle navi militari di tutti i Paesi in tempi di pace, ed anche di guerra in caso di neutralità della Turchia; se invece quest’ultima fosse coinvolta in una guerra, doveva essere comunque garantita la circolazione delle navi militari dei Paesi neutrali. La delegazione inglese pretendeva anche la smilitarizzazione degli stretti ed il controllo internazionale su di essi.

La Turchia accettò il progetto inglese, confidando in concessioni su altri punti del trattato di pace in fase di elaborazione. Gli inglesi, invece, pretesero perentoriamente dalla delegazione turca di accettare tutta una serie di condizioni svantaggiose per la Turchia (sul confine fra Turchia e Iraq, sulle condizioni della resa, ecc.). Questo fece sì che le trattative si interruppero il 4 febbraio 1923 fino al 23 aprile dello stesso anno. Alla ripresa della conferenza, le potenze della Triplice discriminarono apertamente la delegazione sovietica (la cui partecipazione, come già detto, era di per se limitata alla questione degli stretti): addirittura, al rappresentante sovietico, il nostro Vorovskij appunto, non fu nemmeno notificata ufficialmente la ripresa della conferenza, e quando egli giunse a Losanna non fu ammesso a partecipare alle trattative. Il 10 maggio 1923 Vorovskij fu assassinato da un ufficiale in esilio della Guardia Bianca di origine svizzera, Moris Konradi (Maurice Conradi in francese, Moritz Conradi in tedesco). Su questo torneremo più in là.

A seguito di vari cedimenti sia da parte dei Paesi della Triplice, sia da quella turca, la conferenza di Losanna si concluse con la firma di diciassette documenti, tra i quali i più importanti furono quelli sulla pace del 1923 e sugli stretti.

Riassumendo, la Convenzione fu firmata il 24 luglio 1923 da Gran Bretagna, Francia, Italia, Giappone, Grecia, Romania, Bulgaria, Regno dei Serbi, croati e sloveni e Turchia; l’URSS non la ratificò per assenza delle necessarie condizioni di sicurezza. Essa, pur prevedendo la smilitarizzazione delle zone degli stretti, consentiva però il passaggio libero attraverso il Bosforo e i Dardanelli non solo delle navi commerciali, ma anche di quelle militari (con limitazioni trascurabili) di qualunque Paese del mondo, e questo creava condizioni anormali per i Paesi del mar Nero. La mancata ratifica da parte dell’URSS era motivata dall’infrazione dei suoi legittimi diritti.

Dunque, Vorovskij fu ammazzato a pistolettate nel ristorante dell’hôtel Cecil di Losanna. Bisogna dire che il Consiglio federale svizzero non aveva assicurato alla delegazione sovietica alcuna protezione, e non aveva concesso ai suoi membri i visti diplomatici. In pratica, i sovietici si ritrovano bloccati all’hôtel Savoy, dove sono fatti oggetto di intimidazioni da parte di gruppuscoli in odor di fascismo, come la “Lega Nazionale” del posto. Un sentimento di odio nei confronti dei bolscevichi, accompagnato dall’antisemitismo, domina a Losanna come in tutta la Svizzera e in tutta Europa, eppure le minacce di morte sono ignorate dalle autorità, che non intraprendono alcuna precauzione particolare per proteggerli.

Vorovskij aveva perciò traslocato al Cecil, e lì trovò la morte. Dopo avere anche ferito i due aiutanti di quest’ultimo, Arens (successivamente, inviato plenipotenziario in Francia, in Canada e poi console a Nuova York) e Divilkovskij, il suo assassino, Conradi, consegnò spontaneamente la rivoltella al maître d'hôtel. Solo la sera dopo l’attentato Conradi viene arrestato e condotto alla prigione dell’Ancien-Evêché. La direzione dell’hôtel Cecil ha l’ardire di inviare una fattura alla delegazione russa per “i danni procurati da Conradi, concretamente la rottura dei piatti”. Un dettaglio forse trascurabile, ma sintomatico dell’antibolscevismo che regnava in Svizzera, e che contribuirà a fare di Conradi una “vittima del comunismo”, un eroe autoproclamatosi Guglielmo Tell, assolto dai giurati (nove contro cinque) del tribunale penale di Losanna il 15 novembre 1923, assieme al suo complice e mandante, Arkadij Polunin, dopo che più di settanta testimoni raccontarono alla corte dei crimini bolscevichi: l’omicidio di Vorovskij fu considerato un atto di giustizia. Nel frattempo, l’immagine di Conradi veniva bruciata in piazza nelle maggiori città russe: rottura totale fra i due Paesi, interruzione dei rapporti diplomatici. Vent’anni dopo, nel 1944, il Consiglio federale ritenne opportuno normalizzare le proprie relazioni con i vincitori di Stalingrado. I sovietici rifiutarono sdegnati. Solo nel 1946, lo scambio dei prigionieri e la dissoluzione della “Lega contro la III Internazionale” (fondata dall’avvocato difensore di Polunin, Théodore Aubert) contribuirono a ristabilire le relazioni diplomatiche.

Lo scrittore ucraino di origine polacca, emigrato ovviamente a Varsavia, Michail Arcybašev (le cui opere grondavano di contenuto pessimistico, violento ed erotico), scriveva a proposito del processo: “Vorovskij non è stato ucciso in quanto comunista ideologico, ma come boia […] come agente dei fomentatori e degli avvelenatori mondiali che stanno riservando a tutto il mondo il destino dell’infelice Russia”.

Dopo essere stato liberato, Conradi entrò nella Legione Straniera francese e combatté nell’Africa coloniale. Secondo alcune versioni, ivi morì nel 1931, secondo altre nel 1947 in Svizzera di alcolismo.

Vorovskij fu sepolto in piazza Rossa, in una fossa comune lungo le mura del Cremlino. Come detto all’inizio, numerosissimi luoghi portarono o portano il suo nome (anche qualche francobollo). Tra questi, dal 1923 al 1937, degna di nota è la oggi tristemente nota via principale di Kiev, Kreščatik.

A parte un film sull’omicidio del 1977, pochi sanno che addirittura Brežnev stesso in gioventù si dilettava di poesia. Ventenne, nel 1926, scrisse [ABAB]:

Accadde a Losanna, dove fioriscono gli eliotropi,
dove si sognano meraviglie da fiaba,
al centro dell’Europa culturalmente spocchiosa,
al centro di un Paese da favola
[…]
Inutili e stupidi i lunghi discorsi,
le frasi altisonanti sulle buone azioni,
i volti inutilmente ottusi per droga,
l’insolenza nello sguardo e la menzogna sulle labbra
[…]
Il mattino seguente nell’hôtel firmato “Astoria”,
il nostro ambasciatore fu ucciso per mano assassina
e nel libro della grande storia russa
si aggiunse un’ennesima vittima…

Sempre nel 1923, Majakovskij dedicò a Vorovskij una poesia [ABBA, ABAB]:

O proletariato, oggi libera le voci tuonanti,
dimentica il perdono onnipresente come cera.
Fatto fuori da una cricca fascista di ladroni,
per l’ultima volta per Mosca passerà Vorovskij.
Quanti non ce ne saranno… Quanti non ce n’è più…
Quanti a brandelli… Quanti in fumo…
Ovunque fossero traditi. Chiunque abbia tradito
Noi non abbiamo tradito, noi non tradiremo.
Oggi comprimi l’ira in un’enorme palla di bomba.
Oggi libera le voci come saette splendenti di baionette.
Appari negli occhi dei capitalisti.
Compari sui sipari regali.
Rispondi con milioni di passi all’insolenza delle note.
Mostra una folla di milioni alle mura del Cremlino.
Che oggi la morte del nostro compagno sottolinei
l’immortalità della causa del comunismo.

Ironia della sorte. Quando nel 1930 il poeta si suicidò, la camera ardente venne allestita alla Casa degli scrittori di bulgakoviana memoria (nel “Maestro e Margherita”), al civico 52 della storica via Povarskaja (ed esattamente lì, nel 1940, venne allestita la camera ardente anche per Bulgakov). Ebbene, dal 1923 e fino al 1994 quella era… la via Vorovskij.

[Pubblicato in "Slavia" N°4 2015]

sabato 28 novembre 2015

Non ci sono più i sindacalisti di una volta

Poletti inventa un ennesimo artifizio per smantellare il sistema di conquiste dei lavoratori, segnatamente gli orari lavorativi.

La Camusso, CGIL, risponde "non scherziamo", Barbagallo, UIL, risponde "vediamo", Petteni, CISL, risponde "lascateci fare".

Ci fosse stato un Di Vittorio, o persino un Luciano Lama, la risposta sarebbe stata: noi non ci addentriamo nelle questioni attinenti l'esistenza di dio, voi non ingeritevi nelle questioni terrene.

Come?

Ah, non era il cardinal Poletti, era invece il ministro del lavoro del governo Renzi?

Peccato.

Eppure, mi sembrava...

giovedì 26 novembre 2015

Chi sono i turcomanni

In questi giorni, causa i fascisti assassini che hanno mitragliato i piloti russi in territorio siriano, si parla molto di turkmeni, di turkmeni siriani e di turcomanni, sia in italiano che in russo (туркмены, сирийские туркмены и туркоманы), ciascuno affermando che la sua è la definizione giusta e tutti gli altri sono ignoranti.

Oltre ad una ricerca in rete, mi sono rivolto alla versione cartacea del XVIII volume del Grande Dizionario Enciclopedico della UTET del 1972.

E' vero, sono turkmeni siriani, è vero, sono turcomanni e non è vero, non sono turkmeni.

Mi spiego.

"Turcomanni" è un etnonimo, comprende svariate popolazioni, tra le quali prevalentemente i turkmeni attuali della Turkmenia ex-sovietica e i turkmeni siriani, appunto (oltre a numerose altre popolazioni minori, residenti anche - non solo - negli attuali Kazachstan, Uzbekistan, Kirgizia, Tadžikistan).

Ricapitolando, tutti i turkmeni e tutti i turkmeni siriani sono turcomanni, ma non tutti i turcomanni sono turkmeni o turkmeni siriani.

Gli assassini in questione sono questi ultimi.

martedì 24 novembre 2015

Sparatorie farwest turche

In merito all’aereo russo abbattuto dai turchi ed al contemporaneo ferimento di tre giornalisti russi, ritengo opportuno sgombrare il campo da alcune speculazioni già in atto nei media occidentali.

  1. L’aereo russo era in territorio siriano e non è mai entrato nel territorio turco. Lo confermano i satelliti.
  2. L’aereo russo è stato abbattuto in territorio siriano ad un chilometro dal confine turco.
  3. L’aereo russo è stato abbattuto da un F-16 turco, che ha sconfinato nel territorio siriano, facendolo precipitare a quattro chilometri dal confine. Si trovava a 6.000 metri da terra e stava rientrando alla base.
  4. Fermo restando che non c’è stato “sconfinamento” russo alcuno, gli aerei turchi invece sconfinano perennemente da decenni non solo in in Siria e in Iraq, ma anche in Grecia e a Cipro, dove, come è noto, la situazione non è certo quel che si dice pacifica: i turchi, con golpe ed invasione militare, hanno occupato metà dell’isola fin dal 1975. Da sottolineare che Cipro era diventata indipendente solo nel 1960, quando gli inglesi, bontà loro, hanno “concesso” (sic) l’indipendenza alla loro colonia.

Sono ben sollevato di non essere all’altezza di essere non dico al posto di Putin, ma di non avere alcuna competenza né potere in merito. Altrimenti, “delle mie scelte sarei sicuro” (chiedo scusa a De Andrè e Brassens):

  1. Un aereo turco che di un paio di millimetri dovesse entrare in territorio siriano, da qui in avanti verrebbe immediatamente incenerito. Siamo dalla stessa parte, nella lotta contro l’ISIS? Appunto, vale anche per l’aereo russo.
  2. Senza ovviamente vietarlo, inviterei però i cittadini russi, per senso patriottico, a non andare più in vacanza in Turchia (parliamo di centinaia di migliaia di turisti e di milioni di euro ogni anno), in quanto non più “Paese amico”.
  3. E’ una provocazione? Sono d’accordo. Più che altro, però, è una “puntata” a poker, da parte della NATO, dove la Turchia è una misera fiche. Beh, io “vedo”.

Ed ecco la ciliegina, il TG2 delle 20:30: abbattuto aereo russo al confine con la Siria. Vi sfugge? Al confine con la Siria vuol dire in Turchia! E' esattamente il contrario, abbattuto l'aereo russo in Siria vicino al confine turco da un aereo turco che ha sconfinato!

Andiamo però alla radice. Dopo il fallimento del South Stream, sembrava che il Turkish Stream dovesse essere la panacea, con grande stizza degli Stati Uniti. Ecco dunque che Erdogan ammazza un pilota russo in territorio siriano. Una coincidenza, vero?

domenica 8 novembre 2015

A proposito di Putin

1)Putin è un dittatore. Secondo la Treccani, "Chi governa o esercita comunque la propria autorità in modo dispotico e intransigente, senza ammettere critiche, opposizioni, discussioni o ingerenze di alcun genere". Putin ha una corposa opposizione, pagata dall'Occidente, ma soprattutto, dimentica la Treccani, il dittatore non viene democraticamente eletto. Non è il caso di Putin.

2)Cecenia. Fa parte della Russia (che, giova ricordarlo, è una federazione, da cui la differenza fra russkie e rossijane) dal XVII secolo (cioè, con Pietro il grande, mica con i comunisti, da quando sono scesi in pianura dai monti). Se però ne vogliamo parlare, vorrei parlare del Trentino dalla Grande guerra agli anni '60 del secolo scorso.

3)Putin fascista. Come ogni (ogni!) famiglia russa, ha avuto morti in famiglia per mano dei fascisti e dei nazisti, e non perde occasione di ricordarlo.

4)Putin finanzia FN, LN e Casa Pound. Attendo qualche prova, soprattutto in virtù del punto 3: in caso contrario, attendo che qualcuno metta in galera i menzogneri pennivendoli italioti.

5)Libertà di stampa. Pioggia D'Argento, RBC, Gazzetta Nuova, giusto i primi che mi vengono in mente. Come? Non se li incula nessuno? E sarebbe colpa di Putin?

6)Omofobia. Personalmente, sono eterosessuale e non ho mai avuto problemi con gli omosessuali. Mai sentito nessuno presentarsi "piacere, omosessuale", oppure "eterosessuale". Io mi presento per nome e cognome, punto, al limite, se è inerente, aggiungo "interprete". In ogni caso, non deve riguardare i bambini.

7)Putin amico del dittatore Assad. Ritengo dittatori Obama, Clinton, Bush, Renzi, Berlusconi, eppure Putin li chiama tutti (Assad compreso) "partner", e se volete mi da pure fastidio. Il popolo sovrano li ha eletti, il popolo sovrano se li tiene. Assad è sostenuto dal proprio popolo, ma persino dittatori come Hussein, Gheddafi e quant'altri ha diritto di ingerirsi negli affari interni di popoli altrui. Serve ricordare gli americani in Corea, Vietnam, Afghanistan, Iraq, Jugoslavia, Libia, Ucraina, eccetera?

8)Aereo russo in Sinai (non in Siria). Attendiamo le indagini. in ogni caso, o era un incidente, e allora che c'entra la Russia (devo ricordare Ustica?), oppure era un attentato terroristico, e allora che c'entra la Russia (devo ricordare Ustica?)?

giovedì 2 luglio 2015

Questione di lingua

Mi stavo facendo un ragionamento sull'Ucraina, così, by the way, tra gli altri.

Fondamentalmente, cosa contrappongono i numerosi media mainstream occidentali e conseguentemente una cospicua fetta di popolazione dell'Occidente ("l'ha detto la televisione...")?

Di base, l'integrità territoriale ucraina e il diritto ad avere una lingua nazionale (cosa che, peraltro, nessuno ha mai contestato).

Bene.

Per il primo punto, sono nato in uno Stato che non esiste più (la Cecoslovacchia) e sono parzialmente cresciuto in uno Stato che non esiste più (l'Unione Sovietica).

Non m'interessa discutere, in questo contesto, di URSS, ma ricordo che i cecoslovacchi diedero una lezione di civiltà a tutto il mondo, quando, compiendo una scelta che personalmente ritengo sbagliata, si divisero per via parlamentare nel 1992 in repubblica Ceca (perché in italiano non chiamarla Cechia?) e Slovacchia.

Non fu sparsa nemmeno una goccia di sangue.

Ecco perché auspico una piccola Russia (Malorossija, l'Ucraina) ed una nuova Russia (Novorossija, la Russianova), senza che si ammazzino vecchi, donne e bambini (guardacaso, solo da una parte, mica da entrambe).

Per la questione linguistica, senza nemmeno scomodare i trentini (col tedesco e ladino), i valdostani (col francese) e i siciliani (con l'albanese), i friulani (col friulano medesimo e lo sloveno), i sardi (col catalano, il tabarchino, il sassarese e il gallurese) e i veneti (sempre col ladino), tralasciando gli infiniti dialetti (mi sono limitato alle lingue riconosciute), per l'art.6 della Costituzione della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista, né i polacchi, col bilinguismo lituano, tedesco, casciubo, bielorusso, ne i francesi con l'alsaziano, né gli sloveni e i croati con l'italiano, né gli spagnoli col catalano e il basco, né, infine, i belgi e i canadesi, ricordo che nei medesimi Stati Uniti (artefici della mattanza ucraina, giova ricordarlo) esiste una miriade di Stati in cui il bilinguismo è legge (Ungheria, Russia, buona parte degli Stati ex sovietici...).

In Louisiana, per esempio (la Patria di Louis Armstrong), francese ed inglese, con pari dignità.

Idem nelle Hawaii con l'hawaiiano e nel Nuovo Messico con lo spagnolo.

Lo spagnolo è la lingua madre del 12% della popolazione, con status speciale nel Nuovo Messico e ufficiale a Porto Rico; seguono per numero di parlanti cinese, francese (Louisiana, Maine), tedesco, tagalog, vietnamita, italiano.

L'inglese è ufficiale in 28 dei 50 Stati dell'Unione.

Perché allora quel che è consentito agli yankee non è consentito agli ucraini?