di Mark Bernardini
A fine gennaio sono stato in Italia per lavoro. Prima di partire da Mosca, avevo tentato di fare i biglietti del treno Roma-Firenze e ritorno sul sito delle Ferrovie dello Stato italiane con la mia carta di credito. E’ una VISA, ma l’operazione non andava a buon fine. Pazienza, mi ero detto, aveva fatto lo stesso scherzo anche durante il mio viaggio precedente, mesi prima. Come l’altra volta, farò il biglietto direttamente alle macchinette in stazione, sempre con carta di credito.
Giunto alla stazione Termini (che il sindaco Veltroni, ex segretario della Federazione Giovanile Comunista Romana, si ostina a chiamare “stazione Giovanni Paolo II”), ho digitato la lunga trafila di percorso, orario, tariffa. Arrivato alla modalità di pagamento, ho scelto “carta di credito”. “Inserire carta di credito”, mi dice. Fatto. “Avete inserito una carta bancomat, si prega di inserire una carta di credito”.
Breve spiegazione. Io ho due conti. Uno a Mosca, sul quale ho una carta di credito VISA, che è anche bancomat; un altro a Bruxelles, sul quale ho solo una tessera bancomat.
Dunque, a parte che avrebbe dovuto comunque accettare la mia tessera, di credito o bancomat che fosse, essendo essa entrambe le cose, a questo punto provo ad inserire la tessera bancomat di Bruxelles. Stavolta, ha ragione la macchinetta a dirmi “Avete inserito una carta bancomat, si prega di inserire una carta di credito”. Beh, ci ho provato.
Il guaio è che non c’è modo di tornare alla schermata precedente, si può solamente annullare l’operazione. Pazienza. Annullo, ricomincio tutto daccapo. “Modalità di pagamento”, scelgo “bancomat”. “Inserire carta bancomat”. Inserisco il bancomat brussellese. “Avete inserito una carta di credito, si prega di inserire una carta bancomat”. Lo spirito di Kafka aleggia tra i riferimenti papalini ferroviari: il mio bancomat belga è solo tale, non è carta di credito. Però la carta di credito moscovita, come detto, è anche bancomat. Inserisco quest’ultima. “Avete inserito una carta di credito, si prega di inserire una carta bancomat”. E’ entrambe le cose, ma so da tempo che insultare un ammasso di circuiti stampati non produce alcun risultato soddisfacente. Annullo e vado all’agenzia di stazione, dove faccio tutto e pago con carta di credito.
Il giorno dopo mi reco in stazione per partire, e noto una gradevolissima sorpresa: lungo il binario, con cadenza ogni circa dieci metri, campeggia un monitor che indica il numero di carrozza del treno in arrivo che si fermerà in quel punto.
Mi sono sentito, per pochi minuti, in un Paese civile. Per pochi minuti, perché, percorsa tutta la banchina (la mia carrozza era in fondo al treno, e Termini è una stazione terminale, non passante), ed arrivato il treno, ho scoperto che le carrozze erano numerate esattamente al contrario di quanto indicato dai monitor, ed essendo un treno originato a Napoli, ripartiva quasi subito. Per fortuna non avevo granché di bagaglio e dispongo ancora di buone capacità motorie.
Penso che a questo punto si possa eliminare il punto interrogativo del titolo: un Paese così non può durare.
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