Il documento rivelava l'identità del "contatto" che informa gli statunitensi. Si tratta di un funzionario dell'ambasciata italiana a Mosca, che nel cablogramma viene identificato per funzione, nome e cognome, seguiti da una parentesi che dice: "proteggere".
Rintronato come Brežnev? Autoritario come Brežnev? Pensieri in libertà, appunti sui polsini, ho tante cose ancora da raccontare per chi vuole ascoltare eccetera.
venerdì 3 dicembre 2010
I misteri del Denežnyj pereulok
domenica 7 novembre 2010
La casta mediatica
Leggo sull’Unità, a firma di Marina Mastroluca, che i giornalisti ammazzati dal 2000 in Russia sarebbero 35.
Sia ben chiaro, anche uno solo già sarebbe troppo.
Però, vivendoci, non mi risultava.
Allora sono andato sul sito del Committee to Protect Journalists, che non è esattamente un’organizzazione russofila, ed è anzi apertamente finanziata degli USA.
Ne risultano 34.
Senza voler togliere nulla al loro nobilissimo lavoro, depennerei i fotografi e i cameraman.
Ne restano 29.
Andiamo avanti: il Caucaso è da considerarsi quasi un territorio di guerra, non si renderebbe un buon servizio alla verità nel mettere assieme i giornalisti ammazzati durante operazioni belliche e quelli invece assassinati su commissione politica propriamente detta (o presumibile tale).
Ne restano 13.
Poco più di un terzo.
L’impressione è che ci sia una gara a chi la spari più grossa.
Un altro era un deputato della Duma, difficile considerarlo giornalista a tutti gli effetti.
Un paio di cittadini USA (Paul Chlebnikov e Anna Politkovskaja).
Insomma, è su una decina in una decina di anni che si deve ragionare.
Una cifra mostruosamente alta.
Perché parlo di casta mediatica?
Uno può essere stato ammazzato per rapina, per questioni di eredità, o per aver messo le corna alla moglie, per essere andato a letto con la moglie altrui, per un diverbio autostradale, o anche per ragioni politiche, e decine di altre casistiche.
Se però di mestiere faceva il giornalista, finisce su tutti i mass-media come combattente per la libertà d’informazione.
Un corporativismo, in questo caso, estremamente macabro.
sabato 2 ottobre 2010
Belpaese, ennesima tristezza
In Francia, manifestazione contro il razzismo governativo nei confronti degli zingari. Un milione secondo la polizia, tre milioni secondo gli organizzatori. Prevedibile.
In Italia, manifestazione contro Berlusconi. 50 mila secondo la polizia, 100 mila secondo gli organizzatori. Anche qui, prevedibile.
Insomma, è normale che i detrattori detraggano e gli organizzatori enfatizzino.
Supponiamo pure, per media matematica, anche se potrebbe non essere così, che fossero 75 mila in Italia e due milioni in Francia.
Io ricordo le manifestazioni di milioni in Italia. Ne parlavo con mia moglie. Intanto, è giovane, è nata nell'anno in qui io mi sono iscritto alla FGCI, ed il PCI balzava al 34,4%, guadagnando un 7%. E poi è russa, è nata in URSS, le manifestazioni sono iniziate durante la perestrojka, io avevo già più di un quarto di secolo, mentre lei andava alle elementari. Lei, di manifestazioni di milioni non ne ha mai viste.
Mi diceva che, secondo lei, è perché la gente comunque vive meglio di mezzo secolo fa. Beh, anche in Francia si vive meglio ora rispetto al dopoguerra. Eppure, non sono gli zingari ad essere scesi in piazza, ma i francesi.
In Italia, tutti si lamentano, persino quelli che votano Berlusconi. Ma, detta papale papale, si fanno tutti i cazzi loro (se Berlusconi bestemmia, non vedo perché io non possa essere sboccato). Poi in piazza su scala nazionale ci vanno in una quantità paragonabile alla popolazione di due Voghera.
Io lo dico da decenni che ciascuno ha il governo che merita, e che da decenni non sono più disponibile a sacrificarmi a babbo morto.
Oggi ho avuto l'ennesima conferma di essere nel giusto. Berlusconi non è a capo di un manipolo di marziani che hanno invaso la terra con le armi in pugno.
mercoledì 15 settembre 2010
Software piratato legittimo?
Vorrei che prima leggeste il seguente articolo sul Corriere della Sera di Fabrizio Dragosei da Mosca: Repressione, Gates toglie l'alibi a Putin «Licenze Windows agli anti-regime». Poi tornate qui.
Già dal titolo, troviamo due opinioni, del tutto legittime – che però, come tali, sono opinabili – spacciate per dati di fatto, realtà assodate: che in Russia ci sia repressione e che in Russia ci sia un regime. Ed io, come a poker, vedo: le dichiarazioni – le tesi – sono una cosa, poi, però, ci vogliono le dimostrazioni.
Fabrizio Dragosei, che in questi anni ha ampiamente dimostrato di essere una fonte di informazione del tutto inaffidabile e pilotata, fa riferimento ad un articolo del New York Times. Nulla di male, per carità, nel fatto che il NYT faccia gli interessi del proprio Paese. A parte che quella di Dragosei è una vera e propria istigazione a delinquere, a commettere reato, ci si attenderebbe, tuttavia, che il Corsera faccia gli interessi dell’Italia. Dragosei è pagato dai lettori – italiani – per fare gli interessi degli USA?
Parliamo di sostanza. La Russia non fa parte dell’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio, così si chiama in italiano, non WTO). Non ne fa parte non per propria scelta, ma per decisione degli USA. Non facendone parte, non si capisce per quale perversa logica ne debba seguire i dettami.
Questo lo sa anche Bill Gates: in Russia, attualmente, Microsoft Office costa dai 150 ai 250 €, a seconda delle versioni. No, non piratato: ufficiale, con licenza. Nell’estate di due anni fa, alla Mondadori all’inizio di via Appia a Roma, era venduto a 700 €. Adesso ditemi voi chi sono i ladri. E quanto costa in realtà.
Ora vi rinfresco la memoria su come funzionava in Italia negli anni ’90. Non esisteva internet, ma esistevano le prime BBS in ambiente DOS. Da queste, scaricavo apposta – e in modo del tutto legale – immagini porno. La ragione? Conosco i miei polli. Trovavo regolarmente impiegati italiani di aziende (anche molto note, potrei fare nomi e cognomi) che in cambio mi fornivano copie di Windows 3.1, di Word 2, di Excel 4, di Access 2 su floppy da cinque pollici e un quarto (solo per Word ce ne volevano una decina). Ho smesso ormai da circa dieci anni, semplicemente perché, trasferitomi in Russia, qui costa meno comprare un computer con già installato Windows e Office.
Secondo Dragosei, Gates “offrirà ai gruppi sotto tiro una licenza speciale, inoltre Microsoft provvederà anche a pagare l’assistenza legale alle organizzazioni che si dovessero trovare comunque impelagate in una causa relativa all’uso del software”.
Qui la faccenda va oltre persino le limitate (intellettualmente) prospettive paventate da Dragosei. Pensateci bene. Berlusconi, dall’edilizia abusiva e dalle televisioni salvate da Craxi, è passato a governare il Paese. E’ la prima volta che Gates mette becco in questioni politiche, e non importa nemmeno se la sua iniziativa vi trovi concordi o meno. Tutto il mondo, tutte le società civili, aziende, il mondo produttivo, i Partiti, i governi, i Parlamenti, adopera i computer e usa Windows.
Siete pronti ad accettare supinamente, compiaciuti, che so io, un William Gates Presidente dell’unica superpotenza del mondo?
venerdì 20 agosto 2010
Diario torbiero, the final cut
Tra le tante nefandezze immeritate che molti provano un piacere quasi orgiastico a dire della Russia, ce n’è una in particolare che oggi sembrerebbe quasi avere conferma: il Paese delle esagerazioni e dei contrasti stridenti.
Per la prima volta da quando esistono le rilevazioni meteorologiche (per intenderci, quando qui veniva abolita la servitù della gleba e in Italia veniva unito il Paese), quest’anno abbiamo battuto tutti i record di temperatura: la più alta temperatura dell’estate, di luglio, di agosto, di ogni singola giornata e soprattutto assoluta. Più volte, nonostante la latitudine decisamente diversa da quella italiana, abbiamo superato i 40 gradi, surclassando senza sforzo alcuno qualunque temperatura italiana dell’estate 2010. Per una settimana (ma in Italia ancora ne parlano come se si trattasse di anni), a questo si è aggiunto un acre fumo di torba, che rendeva l’aria irrespirabile e la visione spettrale simile ad un panorama della bassa padana.
Ebbene, ancora mercoledì 18 agosto, in campagna, ero seminudo in veranda all’ombra, sorseggiando birra ghiacciata ed imprecando contro i cambiamenti climatici, grondando con 34 gradi all’ombra, ed oggi, venerdì 20 agosto, sono col maglione fatto da mia nonna buonanima più di un quarto di secolo fa, a 13 gradi, degustando vodka, nella vana speranza di smettere di tremare. Insomma, un’escursione di venti gradi in meno di 48 ore.
Dopodomani rientriamo urgentemente a Mosca, pur essendo ad appena 40 km ad oriente: i contrasti non fanno niente bene a mia moglie, che tra meno di un mese metterà al mondo il secondo pargolo bernardinifero. L’estate (qui) è finita: climaticamente e professionalmente si torna alla normalità. Almeno si spera.
Ogni anno, mi sorbisco decine di italiani che si lamentano del freddo in Russia. Quest’anno, da buon fetente quale mi vanto di essere, ricorderò loro quanto si siano lamentati del caldo estivo…
giovedì 12 agosto 2010
Diario torbiero ter
Non è la Russia, il Paese da cui in tutto il mondo hanno imparato cosa sia la corruzione. E non è la Russia, il Paese in cui è stata inventata la mafia. Sembrano delle ovvietà. Eppure, a leggere i giornali italiani, tali non sembrano.
In Italia, l’informazione televisiva è iperblindata, prona ed asservita agli ambienti governativi. Tuttavia, ci sono molti altri modi per accedere alla libera informazione: la carta stampata e, soprattutto, la rete. E’ comunque umiliante, per gli italiani, dover sentire le manifestazioni di superiorità e supponenza anglo-franco-tedesche, pensando alla democrazia nata dalla Resistenza e, ancor prima, alla democratia dell’antica Roma.
Ecco allora che si va a cercare oltreconfine qualcuno che sia meno democratico, meno informato, più corrotto e più mafioso. Certo, questo riguarda molti Paesi africani e, più in generale, in via di sviluppo, che però, in quanto tali, vengono presentati razzisticamente come una sorta di terra di nessuno popolata da dei selvaggi. Dunque, gli italiani sarebbero superiori per definizione, prova ne siano i barconi di disperati sforacchiati regolarmente lungo le coste italiche.
La sedicente pseudo sinistra salottiera radical chic dice che sforacchiarli non sta bene, ed in questo ne condivido l’idea; ma restano comunque – secondo loro, anche se lo pensano ma non lo dicono – dei selvaggi, degli esseri inferiori tout court.
Meglio allora rivolgere i propri strali contro qualcuno più grosso, più potente, più ricco di risorse naturali. L’Inghilterra, la Francia o la Germania non fanno al caso nostro… Ecco: la Russia.
Ho letto, sui giornali italiani, che, in questi giorni di canicola africana e di fumo di torba, a Mosca i morti quotidiani sono raddoppiati. Questo viene presentato come uno scoop, nonostante che tale dato sia stato fornito ufficialmente dalle autorità russe in una conferenza stampa trasmessa da tutti i canali televisivi russi più importanti. Una non-notizia, dunque. La notizia, invece, sarebbe che nei giorni di fumo le vittime a Mosca a causa di quest’ultimo sarebbero state 5.000.
Ragioniamo. In una città di 11 milioni, quale è Mosca, è fisiologico che muoiano quotidianamente 360-380 persone, per le cause più disparate, da quelle naturali agli incidenti stradali, dagli infarti ai tumori. Nei giorni di fumo, dal 6 al 10 agosto, i morti quotidiani sono saliti a 700. Supponiamo pure (ma è difficile da credere) che i morti in eccesso siano tutti infartuati ed asmatici. In cinque giorni, dovrebbero essere 1.650. Viceversa, per arrivare a 5.000, il fumo avrebbe dovuto iniziare il 25 luglio, quasi due settimane prima del reale. Ecco dunque una tipica balla giornalistica, anche piuttosto pelosa, nel senso di voler spacciare i propri desiderata per realtà oggettiva ed inoppugnabile.
Ieri, in un’intervista radiofonica, mi è stato chiesto se riesco ad avere le informazioni nonostante il blocco mediatico imposto da Putin. Immagino che la mia risposta non sia piaciuta affatto. A parte i canali italiani che vedo via satellite (d’accordo, non tutti hanno la parabola, ma ce ne sono più che di condizionatori in Italia), via etere vedo gratuitamente 35 canali russi, compresa, sempre gratuitamente, la versione russofona di Euronews, che stenterei a spacciare per noto canale putiniano. Appartengono allo Stato: Russia 1 (ex RTR, tipo RAI 2), Russia 2 (tipo RAI Sport), Russia 24 (ex Vesti 24, tipo RAI News 24), Russia Kul’tura (non esiste un analogo italiano) e Bibigon (tipo RAI Gulp). Esiste anche un canale del governo di Mosca, TV Centr. Tutti gli altri sono privati. Alcuni sono finanziati da Paesi occidentali, segnatamente scandinavi. Altro che censura.
Il fatto è che io so come funzionano certe cose. I corrispondenti italiani, per giustificare i loro alti stipendi da “sede disagiata” (sic), tipo cinque-sei operai di Pomigliano D’Arco, pescano le notizie dai media russi, le traducono e le inviano in Italia come farina del loro sacco. I loro colleghi in Patria ritengono che dunque si tratti di informazione carpita dai loro corrispondenti, e perciò che si tratti di rivelazioni compromettenti. Il cerchio si chiude quando a quel punto chiedono a me o a qualche altro russo un commento circa queste notizione, che ci comunicano perfettamente convinti che noi ne siamo all’oscuro a causa della presunta longa manu di Putin.
L’altro giorno Putin è stato mostrato alla guida di un aereo antincendio. Non discuto dell’opportunità mediatica, certo è che, con la sua nota preparazione militare, se l’è cavata bene, e non riuscirei ad immaginare altrettanto pensando ad Andreotti, Berlusconi, Prodi, Veltroni, Bersani, Vendola. Ma non importa. Quel che è stato specificato nei media russi è che Putin ha svolto il ruolo di secondo pilota, quello, per intenderci, addetto a pescare l’acqua dai bacini nelle poche decine di metri in cui l’aereo rasenta il pelo dell’acqua, e a scaricarla sull’epicentro dell’incendio. E’ quel che ha fatto. La guida vera e propria dell’aereo era affidata al primo pilota, un professionista della Protezione Civile (il cui capo, il ministro Šojgù, era anch’esso presente sul velivolo). Nulla di tutto ciò è trapelato nei media italiani, che anzi affermano che siano piovute fior di critiche da tutti i media russi, del tipo “Putin la smetta di spegnere gli incendi, pensi piuttosto a come spegnerli”. Mi pare una logica bestiale, ma, anche qui, non discuto.
Chi sono, questi “tutti” media russi? Si scopre che sono due giornali in tutto. Il primo, “Moskovskij Komsomolec”, viene presentato come un autorevole giornale tradizionalmente asservito all’entourage di Putin. Chiedetelo a qualunque russo. Si tratta in realtà di un foglio scandalistico, del tipo che l’attrice tal delle tali ha messo le corna all’attore Pinco Pallino. Un po’ come prestar fede a “Novella 3000” o “Chi” per attingere all’informazione veritiera. Il secondo, presentato come autorevole quotidiano economico, si chiama “Vedomosti”. Autorevole, per carità. Viene però sottaciuto che si tratta di un giornale fondato, sponsorizzato, finanziato e pubblicato dal Financial Times e dal Wall Street Journal.
Se sono questi, i riferimenti dell’opposizione italiana, i berlusconiani possono dormire sonni tranquilli almeno fino al 2020.
martedì 3 agosto 2010
La nausea di Sartre applicata all'Italia d'inizio millennio
Repubblica: Putin ordina all'oligarca "Disegna l'auto del popolo"
Ne approfitto per una serie di riflessioni. Oligarca→Putin→Hitler. Un sillogismo che dovrebbe far pensare qualunque mente non ottenebrata. La Volkswagen, come peraltro decine di altre aziende (Opel, Fiat, Hyundai, Lada, Peugeot, Škoda, Nissan, Honda, Kia, Mazda, Mitsubishi, Renault, Suzuki, Daewoo, Ford, Subaru, Toyota, le prime che mi vengono in mente in Russia), fanno automobili accessibili ai più. Se ne sei fautore, dici che è per tutti; se ne sei detrattore, dici che è per il popolo. Come dire: per il popolo = comunisti = dittatura = fascismo = nazismo. Se l’avesse proposto Obama, Repubblica avrebbe titolato (e allegato la foto) ben diversamente, tipo: Obama sfida l'industria a produrre una vettura rivoluzionaria.
La novità è nell’indicazione di Stato (dire che è un’indicazione di Putin è una semplificazione rasente la banalizzazione generalizzata) per le automobili a corrente contro i petrolieri.
Da quando sono emigrato (tra un po’ sono dieci anni), leggo i giornali italiani attraverso gli RSS. E ne leggo tanti: Corsera, Repubblica, Sole 24 Ore, Stampa, Unità. Ebbene, sarà che fa caldo (per venerdì promettono +41°C), sarà che sono in dacia, sarà che sono in tutt’altre faccende affaccendato, lo confesso: ultimamente, mi scopro a scaricarli e a non leggerli. Si è rotto qualcosa in me, mi sono rotto io, e non solo le balle. Giorni fa leggevo una bellissima intervista con un compagno (non uso mai questa parola a caso) operaio della Zastava di Kragujevac. Che guadagnava duemila euro prima della guerra della NATO e di D’Alema, e, dopo dieci anni di disoccupazione, per sfamare la famiglia accetta di guadagnare 400 euro, sapendo perfettamente che questo va contro i suoi compagni di Torino e che presto resterà nuovamente disoccupato perché la produzione verrà spostata altrove, magari in Africa, magari a 100 euro al mese. Crumiro? Mah. Intanto i figli crescono.
Mi sono rotto di leggere delle troie di Berlusconi, mi sono rotto persino di sapere di Fini che fonda un altro Partito, di Bossi che inumidisce il microfono di saliva, di Formigoni ascoltato dai giudici, di Casini che, fiero, annuncia che non lo avranno, di Bersani che s’indigna, di Napolitano che ammonisce e firma, di Di Pietro che propone una casa comune della sinistra, di Vendola che si autopropone capopopolo nzaccarternativo in nome di un non meglio identificato amore per il popolo stesso.
Troppa acqua è passata sotto i miei ponti, in dieci anni, è ora che me ne renda conto persino io.
Anche in Facebook
giovedì 22 luglio 2010
E' morto il compagno Luis Corvalán
Non ricordo nemmeno a quante manifestazioni ho partecipato, per la sua liberazione.
Senza voler detrarre nulla, dopo la mattanza alla Moneda ed il massacro del compagno Allende, per noi, giovani degli anni '70, era il simbolo della rettitudine, dell'inconciliabilità, della dirittura morale.
Lo è rimasto tuttora: nessuno scandalo, come è tanto di moda attualmente, nessuna storia strana ed equivocabile.
Un comunista tutto d'un pezzo, dall'inizio alla fine della sua vita, decisamente non semplice.
Non vorrei mai essere stato sottoposto alle angherie a cui fu sottoposto lui.
Eppure, sono orgoglioso di aver fatto parte della storia della sua liberazione.
A parte le infamie che non ha mancato di dire Vladimir Bukovskij (il "dissidente" sovietico che venne scambiato per liberarlo), che la terra ti sia lieve, lo dico da ateo convinto.
venerdì 25 giugno 2010
giovedì 24 giugno 2010
Cercasi nome per figlio
Non abbiamo ancora deciso, in questo è un casino: cerco un nome corto. Avete presente la scena finale di "Ricomincio da tre"? Con in più il cognome lungo, e in Russia c'è anche il patronimico (io, sui documenti sono Mark Bernardinovič Bernardini, come dire figlio di - o fu, nel mio caso di - Bernardino, impronunciabile). Oltretutto, che non abbia problemi di traslitterazione, che già ho abbastanza problemi io: in Italia, regolarmente mi scrivono come Marco, nonostante io sia Mark anche per l'anagrafe italiana. Non vi dico, quando vivevo in Italia, per gli assegni, quando si usavano: non potevo incassarli, ero costretto a depositarli sul mio conto come Mark Bernardini girandoli come Marco Bernardini. Due persone diverse. Con Vera, nostra figlia, nata sei anni fa (nome di origine greca, che vuol dire fede, ma anche l'anello nuziale, ed oltretutto nessuno che si chiamasse così in nessuna delle due famiglie d'origine) Markovna Bernardini ce la siamo cavata, mo' il problema è il nascituro, a settembre. A me piace Kim, che non è solo il Kommunističeskij Internacional Molodëži (Internazionale Comunista dei Giovani, negli anni '50), ma anche un nome coreano. Il problema è che non piace a Katja, mia moglie, e deve piacere ad entrambi, altrimenti non ci sto io. Si accettano suggerimenti, poi creo un sondaggio...
mercoledì 26 maggio 2010
Lettera aperta a Walter Vitali
Walter Vitali in Facebook: "Ieri ho sentito Epifani dire una cosa molto giusta. In Francia è stata fatta un manovra da 100 miliardi, in Germania da 80, e in Italia solo di 25. In entrambi quei Paesi, che stanno meglio di noi, hanno messo tasse sui reddditi più alti. L'hanno fatto per sostenere lo sviluppo, oltre che per tagliare le spese. Il PD e l'opposizione avranno il coraggio di dirlo e, soprattutto, di agire di conseguenza? Ne dubito".
Caro Walter, sai che non ti rompo spesso (proprio per questo ti chiedo di ascoltarmi, e almeno riflettere, è ovvio che nessuno ci costringe ad essere d'accordo). Però la faccenda si fa grottesca. In Germania c'è la CDU (leggi: DC, Adenauer, Kohl, Merkel) e stanzia 100 miliardi per la crisi. Li pagano tutti.
In Francia c'è la destra doppiopettista (leggi: De Gaulle, Chirac, Nagy-Bócsay Sárközy), e ne stanzia 80.
In Italia, la destra populista berlusconica ne stanzia 25 e il tuo Partito non fiata (poche palle, non fiata davvero, timorosa di essere accusata di filosovietismo, manco fosse un peccato originale). Sì, ho capito che sei d'accordo con me, ma sarebbe il caso di rimettere i birilli a posto.
Io resto comunista, come tu lo eri, ma non ho più nulla a che fare né col PCI (io: 1976-1991, da quando avevo 14 anni allo scioglimento), né col PRC (1991-1998), né col PdCI (1998-2003), sono un comunista senza Partito. Non sono manco un comunista russo, ci mancherebbe.
Il fatto è che, in tempi oggettivamente di vacche grasse, chi è povero guadagna poco e chi è ricco guadagna tanto, è la regola del capitalismo che voi avete riconosciuto come il miglior sistema possibile (non discuto, non ora almeno). Churchill ringrazia.
Il problema è che, in tempi di vacche magre, è discutibile che chi è povero perda di più e chi è ricco perda di meno. Il nodo è tutto lì. Non mi pare sovversivo riflettere su ciò.
Il PCI, checché ne dica il tuo Partito, non si è trasformato nel PDS: semplicemente si è sciolto (anche qui, non discuto, ma è un dato di fatto, dichiarato dal tuo segretario dell'epoca Occhetto). Contestualmente, due terzi dell'ex PCI fondarono il PDS (poi DS e PD) e un terzo dell'ex PCI fondò il MRC (poi PRC e poi una sua parte il PdCI).
Adesso, tutto è nella palta (giusto per parlare un linguaggio pulito). Ne vogliamo parlare? Delle conseguenze delle vostre scelte scellerate? E di cosa si tratti di fare, senza sterili recriminazioni?
lunedì 3 maggio 2010
Digitale terrestre italiano all'estero
Avevo già scritto di Tivù Sat e di cosa mi abbiano risposto a proposito di noi italiani all'estero. Adesso m'è venuta la curiosità.
Dicono di se stessi di essere "la prima piattaforma satellitare gratuita italiana". Già, che si vede gratis se compri a qualche centinaio di € il loro decoder.
Di più: noi italiani all'estero non possiamo acquistarlo all'estero, nemmanco in Italia, a meno di non commettere un falso giuridico perseguibile per legge (è esattamente quello che loro mi hanno proposto! Istigazione a delinquere), ovvero di acquistare in Italia il decoder a nome di un prestanome residente in Italia, mi si perdoni la (loro) tautologia.
Sì, avete capito bene: un italiano residente all'estero non può acquistare il decoder di Tivù Sat.
A morire se si riesce a scoprire, al di là delle partecipazioni di RAI, Mediaset e Telecom (La 7), chi sia, che so io, l'Amministratore Delegato.
Oltre che chiedervi di diffondere e moltiplicare a mille questo messaggio tra tutti i vostri contatti, e di condividere nelle vostre pagine Facebook la nostra petizione, vi chiedo di comunicarmi se riuscite a sapere qualcosa: non finisce qui.
Prevengo la domanda sul perché la petizione non sia, per esempio, in Firmiamo.it: leggete qui.
domenica 2 maggio 2010
Elettorando 2, a volte peggiorano
Nel maggio del 2009, un anno fa, avevo scritto proprio qui di avere ricevuto la cartolina per le elezioni europee. E sufficiente ripetere molte frasi di allora per quanto riguarda le amministrative del 2010.
Mi è arrivata oggi la cartolina. Sì: oggi: 2 maggio. Per le elezioni del 28 marzo. Cosa ci propongono? Per le elezioni nazionali, a noi, italiani residenti all'estero, ci fanno votare per corrispondenza. Per le Europee e Comunali (e Provinciali e Regionali), a noi, italiani residenti in Paesi extra-UE, ci chiedono di rientrare in Patria.
Guardate bene il riquadro in basso a sinistra: con agevolazioni sul prezzo del biglietto... ferroviario.
Il biglietto aereo andata e ritorno da Mosca costa circa 300 €, quello ferroviario non saprei, ma ne costerà altrettanti e ci mette tre giorni (l'aereo tre ore). Aggiungiamo l'albergo (se uno è emigrato, è emigrato per fame, difficilmente ha conservato un'abitazione nel suo luogo di origine, e non parliamo di quelli che sono emigrati in altri continenti). Togliamo anche un tot di stipendio, per chi lavora fisso (ma anche per chi, come me, è lavoratore autonomo). A spanne, stiamo parlando complessivamente di qualche migliaio di euro.
Non veniteci a dire che bisogna togliere il voto agli italiani all'estero, che tanto non vengono a votare ed il voto ce l'ha dato il fascista Tremaglia: avete un debito con noi, e state cercando infinite scuse per mettervi a posto la vostra sporca coscienza.
E adesso viene il bello. L'altra volta l'hanno spedita per posta aerea prioritaria. Stavolta, per posta convenzionale ordinaria. L'altra volta, ci ha messo 11 giorni. Stavolta? Orpo, dai timbri postali risulta che le poste russe, dal 27 aprile al 2 maggio, ci hanno messo 5 giorni. E quelle italiane? Dall'8 marzo al 27 aprile fanno... 50 giorni tondi!
Con internet, fax telex, piccioni viaggiatori, segnali di fumo, tam-tam, ci avrebbero messo di meno... Già, ma sono gli italiani all'estero che non vogliono votare.
martedì 27 aprile 2010
Cattivi maestri
"Non voglio stigmatizzare l'Italia, ci sono molti paesi che hanno problemi con l’informazione libera; una delle forme più estreme si trova in Russia, dove Vladimir Putin controlla praticamente tutto". Al Gore, 24 aprile, ospite di "Che tempo che fa"
Notizie che girano ad hoc, messe a giro dagli yankees (vedi Al Gore) ed i loro tirapiedi europei (vedi i radicalchic salottieri italici sedicenti di sinistra). Quando ho conosciuto mia moglie, sette anni fa, sua madre (ex ginecologa e attualmente pediatra prossima alla pensione) prendeva 200 € di stipendio. Ora ne prende 1.500, e non c'è inflazione che tenga (fatti i dovuti conti, i 200 € di allora corrispondono ai 390,80 € di oggi). Altrettanto prendono i conducenti della metropolitana (quelli di Milano e di Roma non arrivano a 900, arrivano a 1.200 con trent'anni di anzianità). Un chilo di carne costa 9 €, il canone telefonico 10 € (ma le telefonate urbane sono gratuite), il riscaldamento 16 €, le spese condominiali 11 €, il canone TV 3 € (che, più che canone, sono spese di manutenzione), il gas 75 centesimi (!!!), la corrente 8 €. Potrei fare decine di altri esempi, a proposito di pensioni, previdenza sociale, sanità pubblica, pubblica istruzione, ecc. Per me tutto questo è di sinistra, cioè quando uno lavora nello Stato per il bene della collettività, o almeno così mi insegnarono alla sezione del PCI. Se invece tutto questo non è di sinistra, allora spiegatemelo voi, visto che avete la verità in tasca.
Per i rapporti Putin-Berlusconi, sbaglia il centrodestra a pensare che sia un merito di Berlusconi: gli italiani ai russi sono sempre stati simpatici in quanto tali, fin da quando gli architetti italiani vennero a costruire il Cremlino. Persino quando vennero a rompere i coglioni da invasori, nel 1941-1943, pensiamo a quanti contadini italiani in divisa furono salvati dai contadini e dalle contadine sovietici civili durante la ritirata: ben altro trattamento fu giustamente riservato ai tedeschi. Personalmente, ritengo che la ragione sia semplicemente perché sono sconclusionati gli uni e gli altri. Solo che i russi se ne rendono conto, mentre gli italiani vengono qui col piglio del "adesso ti spiego io come si sta al mondo", manco fossero tedeschi o svizzeri.
Ma sbaglia anche il centrosinistra, con la logica puerile per la quale l'amico del mio nemico è mio nemico. A dirne peste e corna quando sei all'opposizione, voglio vedere che fai quando andrai al governo. Ricordo sempre quando in Italia venne pubblicata la traduzione dell'autobiografia di Ceauşescu. La prefazione venne scritta dall'allora segretario generale dell'associazione d'amicizia Italia-Romania, un noto estremista comunista sovversivo, tale Giulio Andreotti.
In Russia c'è un detto, letteralmente, misura sette volte e taglia una volta sola. Corrisponde, in italiano, a vari detti: "pensaci prima per non pentirti poi", "chi mal pensa, mal dispensa", "misura e pesa, non avrai contesa", "chi vuol lavoro gentile, ordisca grosso e trami sottile", "taglia lungo e cuci stretto", "prima pensare e poi fare". Sto dicendo che, prima di aprir bocca e darle fiato, prima di proferir verbo altrui, e qui mi rivolgo ai miei amici e compagni sinistrorsi, sarebbe opportuno, molto gramscianamente, studiare.
sabato 10 aprile 2010
Kaczyński: domande inquietanti
In merito alla catastrofe aerea in cui è morto il presidente polacco Kaczyński, sua moglie, il capo della cancelleria presidenziale Stasjak, il capo della sicurezza nazionale Szczygło, il capo dei servizi segreti Wassermann, l'ex ministro della difesa, il vicepresidente del Parlamento e candidato alle presidenziali per l'opposizione Szmajdziński, l'ex-presidente Kaczorowski, il vicepresidente della Camera Putra, il vicepresidente del Senato Bochenek, il capo della banca centrale Skrzypek, il capo dell'esercito Gągor, il vescovo Płoski, il direttore del Consiglio per la memoria Przewoźnik, l'ambasciatore polacco in Russia Bar, il generale Chodakowski, il presidente del comitato olimpico Nurowski, svariati deputati, l'ombudsman Kochanowski, a caldo, mi stupisce che nessuno dica che non era un volo di linea, un charter, o un volo di Stato normale, bensì l'aereo presidenziale, che peraltro ha già avuto due anni fa dei problemi in Mongolia, sempre con Kaczyński, e che l'aereo era pilotato dall'equipaggio presidenziale.
La domanda non è peregrina: su 132 passeggeri, c'erano 85 membri della delegazione ufficiale più l'equipaggio. E gli altri 40? I giornalisti facevano parte degli 85?
giovedì 1 aprile 2010
Scampoli di memoria 11
di Dino Bernardini
Era il 1960. La “rivoluzione culturale” in Cina non era ancora iniziata, ma già in qualcuna delle tante fabbriche da noi visitate gli ingegneri e i tecnici sovietici erano in partenza о erano partiti, e non per decisione loro о del governo sovietico. Si trattava dei famosi specialisty che l’URSS aveva inviato in Cina nel quadro del grande programma di cooperazione industriale predisposto dai due governi. Presidente della Cina era allora Liu Sciao-ci, che aveva fama di moderato. Mao, ci avevano detto i nostri accompagnatori, uno dei quali era membro del Comitato Centrale della Federazione dei giovani comunisti, si era ritirato in disparte, quasi in isolamento, “a pensare”. E tanto pensò, si direbbe, che partorì l’idea del “Grande balzo in avanti” in economia con l’obiettivo di superare la produzione d’acciaio degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica. In realtà, è opinione diffusa che lo scopo di Mao fosse quello di scalzare dal potere il gruppo dirigente del Partito Comunista Cinese, che lo aveva esautorato. Tant’è che uno degli slogan di maggior successo della successiva “rivoluzione culturale” fu “Sparare sul Quartier generale”. Va detto comunque che il mito dell’acciaio era allora in auge, dal tempo dei primi piani quinquennali di Stalin, anche nell’URSS, dove ogni anno la produzione del settore siderurgico cresceva a ritmi più accelerati che negli USA. L’allora segretario generale del PCUS, Nikita Chruščëv, era convinto che quando la produzione sovietica dell’acciaio avesse superato quella statunitense – e non c’era dubbio che prima о poi, continuando a quei ritmi, la cosa sarebbe avvenuta, – anche il tenore di vita dei sovietici avrebbe superato quello degli americani. In effetti, per quanto riguarda la produzione dell’acciaio, l’obiettivo fu raggiunto, quando ormai in tutto il mondo occidentale l’acciaio era stato sostituito, in molti settori produttivi, dalla plastica. Quanto al tenore di vita, lasciamo stare.
Ma torniamo all’estate del 1960. Eravamo quindici giovani comunisti italiani invitati dal Partito Comunista Cinese. Il viaggio in treno da Mosca era stato a nostro carico fino alla frontiera cinese, poi eravamo ospiti del governo cinese. Ma del viaggio in treno sulla famosa Transiberiana ho già parlato in una precedente puntata di questi miei scampoli di memoria. Tra una cosa e l’altra il nostro soggiorno in Cina durò più di un mese. Negli alberghi eravamo ospitati in due per stanza.
La prima forte impressione la ricevetti proprio il primo giorno. Il nostro treno aveva lasciato da qualche ora il posto di frontiera con l’URSS e noi stavamo affacciati ai finestrini ad ammirare il paesaggio della campagna cinese che scorreva davanti ai nostri occhi. Improvvisamente il treno si bloccò, senza un motivo apparente. Stavamo davanti a un passaggio a livello in piena campagna e c’era una piccola folla. Dopo un po’ che stavamo fermi la gente cominciò a diradare e alla fine ci accorgemmo che per terra c’era un ferito, con un braccio spezzato, in una curiosa posizione. Non so dire se fosse stato investito dal nostro treno, о se stesse lì da prima che noi arrivassimo. L’uomo giaceva bocconi, in silenzio, ogni tanto girava il collo per guardare nella nostra direzione. La gente se ne era andata ed egli era rimasto solo. Altre persone passavano accanto a lui per attraversare il passaggio a livello, ma nessuna si fermava. Dopo un po’, il nostro treno ripartì e il ferito rimase a terra. I nostri accompagnatori ci dissero che era in arrivo un’ambulanza. Ci augurammo che fosse vero.
Di città in città, quasi ogni giorno venivamo portati a visitare fabbriche e impianti. In un paio di fabbriche ci capitò di trovare mozziconi di papirosy russe nei portacenere della sala riunioni, dove probabilmente poche ore prima di noi c’era stato un incontro di addio con gli specialisty russi. Ma ciò che più ci colpì fu il fatto che, dovunque andassimo, nei cortili di qualsiasi officina, impianto, scuola о caseggiato ci venisse mostrato con orgoglio un piccolissimo forno artigianale con cui due о tre cinesi producevano un acciaio, suppongo, di non eccelsa qualità. Finalmente, dopo qualche nostro mugugno perché eravamo stanchi di visitare sempre soltanto fabbriche e impianti di produzione, ci fecero visitare un conservatorio (non ricordo più in quale città) e una università (questa la ricordo: Nanchino). Nel conservatorio avemmo un interessantissimo incontro con un pianista. – Vedete le mie mani? – disse scrutandoci negli occhi. – Vedete che c’è persino qualche callo? E’ il risultato del lavoro che ogni cittadino cinese deve svolgere nei campi per qualche settimana ogni anno. Secondo un pregiudizio borghese, chi suona il piano non dovrebbe svolgere lavori manuali pesanti, per esempio zappare о vangare. Ma il compagno Mao ci ha insegnato che così non è, – disse guardandoci fisso in faccia, quasi volesse vedere se credessimo veramente a ciò che ci stava dicendo, о facessimo soltanto finta, magari per gentilezza, о per non metterlo in imbarazzo davanti ai nostri accompagnatori, о addirittura per non creare rischi a lui о agli stessi nostri due accompagnatori, uno dei quali era l’interprete e l’altro un dirigente della gioventù comunista cinese. – Infatti, – continuò, – io ho lavorato per un mese in campagna e vi posso assicurare che suono bene come prima. – Il suo sguardo, indimenticabile, esprimeva tutto e contemporaneamente il contrario di tutto, ora sembrava che ammiccasse, ora appariva ingenuo, ora sembrava voler richiedere la nostra solidarietà, la nostra complicità.
All’università di Nanchino, dopo due о tre settimane che giravamo per la Cina, potemmo vedere per la prima volta alcune bellissime ragazze cinesi. Venimmo accolti in un grande salone e fatti accomodare su un lato. Dall’altra parte, di fronte a noi, c’erano gli studenti dell’università, ragazzi e ragazze, ma per lo più ragazze, о almeno così parve a noi giovani italiani. Venne annunciato che dopo i discorsi ufficiali gli studenti italiani avrebbero potuto fraternizzare con gli studenti cinesi e anche ballare. Così, in attesa delle danze, durante i discorsi ufficiali, noi ragazzi guardavamo incantati alcune bellissime studentesse cinesi. Alcuni di noi erano impazienti di scattare per andare immediatamente a invitare le più belle non appena fosse finita la parte ufficiale dell’incontro. Per evitare una ressa, i più intraprendenti dei nostri si misero d’accordo in modo che ciascuno sapesse esattamente quale ragazza cinese invitare e dove correre. Insomma, si erano “spartite” le più belle.
Quando finalmente, finiti i discorsi, i nostri scattarono per raggiungere le loro prede, vennero intercettati a metà strada da altrettante studentesse cinesi bruttissime, con la treccia e con i denti sporgenti, a cui era stato assegnato un preciso “compito di Partito”. Anche loro, durante i discorsi ufficiali, si erano “spartite” gli studenti italiani, ma proprio tutti, compreso me che non so ballare e che ero rimasto seduto. Adesso non ricordo se anche qualche studente cinese fosse corso a invitare qualcuna delle nostre ragazze, probabilmente sì. Ma ricordo benissimo che faticai molto a rifiutare l’invito di colei a cui ero destinato, anche lei “zannuta” e con una lunga treccia nera. Capii che era preoccupata perché poteva essere rimproverata per non avermi fatto ballare, ma fui irremovibile.
Finito il primo ballo, i nostri fecero un secondo tentativo di abbordare le belle, rimaste in piedi in fondo alla sala, ma furono di nuovo intercettati dalle brutte e alla fine si arresero. La nostra vendetta arrivò quando ci chiesero di cantare per la radio di Nanchino, in diretta, una canzone popolare italiana. Fu così che andò in onda quella trasgressiva canzonetta goliardica in cui, ad ogni strofa, si chiede alla ragazza di togliersi un capo di abbigliamento, cominciando dalle scarpe – “Te le levi le scarpette, te le levi sì о no, se non te le levi, io te le leverò!” – per finire con la biancheria intima. Cantammo tutti e quindici, consapevoli di violare le regole della buona educazione e di approfittare del fatto che nessuno lì capiva l’italiano, о almeno così speravamo. Forse, proprio perché eravamo coscienti di fare qualcosa di poco corretto, cantammo con molta foga per vincere il nostro imbarazzo, riuscendo simpatici e riscuotendo un successo strepitoso.
Tra le tante cose che adesso mi tornano in mente un po’ alla rinfusa, in assenza del mio “diario cinese” che prima о poi spero di ritrovare nella mia cantina, ricordo una visita alle rive dello Yangtze kiang, il fiume Azzurro, nel luogo in cui Mao, già anziano, aveva fatto una grande nuotata. La sera, durante la cena ufficiale, a ciascuno di noi venne regalata una piccola ciotola di coccio contenente un po’ di ghiaia prelevata dal fondo del fiume proprio nel punto in cui Mao si era esibito nella famosa nuotata. Naturalmente per cortesia accettammo il dono, ma, venendo da anni di soggiorno a Mosca, eravamo ormai vaccinati contro il culto della personalità e i commenti tra di noi furono quanto meno irriguardosi.
Ricordo anche una visita a Loyang, dove ci fecero visitare i famosi, giganteschi Budda di pietra scavati nella roccia, i più grandi, ci dissero, di tutta la Cina, о forse del mondo. Ci facemmo delle foto, dove noi, in posa ai piedi delle statue, sembravamo, e sembriamo, delle formiche.
C’era un caldo infernale, e in una riunione intorno a un tavolo, forse con le autorità locali, ma non so dire adesso se a Loyang о in un’altra città, ci venne offerto del tè bollente. Ci fu spiegato che quello era l’unico modo di combattere il caldo. Credo, oggi, che i compagni cinesi avessero ragione, ma noi non ci lasciammo convincere e chiedemmo qualcosa di freddo. La volta successiva ci offrirono mezzo cocomero fresco a testa. Scoprimmo che si poteva mangiare con il cucchiaio, come fanno i cinesi, senza che si sprechi neppure una goccia, utilizzando la buccia del mezzo cocomero come fosse una tazza.
Ma il caldo ci tormentò durante tutto il nostro soggiorno. In nessun albergo trovammo l’aria condizionata, neppure nel grande albergo di Shanghai. Una volta, dopo pranzo, mi pare a Pechino, io e il mio amico Piero Casi, che faceva coppia con me in albergo, collocammo un piccolo tavolino tra i nostri due letti e ci mettemmo a giocare a carte. Nella mia mente c’è una scena di quell’episodio che oggi mi sembra irreale, una allucinazione della memoria. A un certo punto ci accorgemmo - о almeno è così che io ricordo l’episodio – che, quando sollevavamo una mano per giocare una carta, dalle nostre dita cadevano gocce di sudore. Ma forse non è vero, forse è soltanto il ricordo del grande caldo e la lontananza nel tempo.
Una sera, mi pare a Pechino, ci capitò di vedere alcune famiglie stendere le loro stuoie in strada per passare la notte vicino a una stazione ferroviaria. Chissà se lo facevano per il caldo, о perché magari la mattina dopo, all’alba, dovevano prendere un treno, come ci spiegarono i nostri accompagnatori, oppure perché non avevano una casa.
Un giorno riuscii a fare uno scherzo a uno dei nostri ragazzi, mio carissimo amico, parlando, si fa per dire, in cinese. Ma dapprima una premessa. Poche ore dopo la partenza, ancora in territorio sovietico, R. (lo chiamerò così) aveva incontrato sul treno un cinese suo compagno di corso all’università di Mosca, il quale gli aveva chiesto se, al ritorno in URSS, poteva portare un pacchetto a una sua amica. Naturalmente R. aveva accettato e avevano fissato un appuntamento a Pechino, ultima tappa del nostro soggiorno. Una decina di giorni dopo, la nostra delegazione era in visita non ricordo più in quale città. Avevamo appena pranzato quando, rientrati nella nostra camera d’albergo, io e Piero Casi scoprimmo che la nostra finestra sul cortile interno stava dirimpetto a quella di R. Lo vedemmo muoversi nella sua stanza. Decisi di chiamarlo al telefono, ma scoprii che bisognava passare attraverso il centralino. Il centralinista parlava soltanto cinese. Avevo con me un manualetto di conversazione russo-cinese e scandii al telefono, sicuramente in un cinese molto approssimativo, le tre cifre che costituivano il numero della stanza di R.: 2, 3, 4. Il centralinista rispose qualcosa che naturalmente non capii. Ripetei 2, 3, 4. Al terzo tentativo mi mise in comunicazione con R. Non so come mi venne in mente, ma cominciai a parlare con voce da donna in russo, sforzandomi di imitare i difetti di pronuncia di alcune cinesi nostre compagne di università. Pensavo che mi avrebbe subito scoperto e che la cosa sarebbe finita lì. Invece R. mi credette. Gli dissi che ero la sorella del suo compagno di corso e gli chiesi se alle 3 del pomeriggio potevamo vederci fuori dell’albergo. Era quella l’ora fissata per la nostra partenza in pullman per la solita visita a una fabbrica. R. accettò e quando fu il momento di salire sul pullman disse che non si sentiva bene e preferiva rimanere in albergo. A quel punto – dico con il senno di poi – avremmo dovuto far finire lo scherzo con una gran risata. Invece, tutti tacemmo e tutti fummo complici. Lo lasciammo solo in albergo. A distanza di quasi mezzo secolo oggi sento di dovergli chiedere scusa.
In Cina viaggiammo per lo più in treno, ma da Hangchow fino a Shanghai navigammo per un paio di giorni lungo lo Yangtze kiang su un grande battello. Salimmo a bordo di notte e mentre aspettavamo la partenza assistemmo alle operazioni di carico e scarico delle merci, eseguite interamente a mano, senza l’aiuto di una gru. Si trattava di grossi e pesantissimi sacchi che nel buio immaginai pieni di patate, ma poteva essere carbone о altro. Quel che è sicuro, è che sentivamo la voce strozzata che usciva dalla bocca di ogni facchino nel momento in cui gli mettevano sulle spalle uno di quei sacchi da portare su una passerella in salita fin sopra la nave. Quegli scaricatori erano magrissimi, apparentemente al limite delle loro forze, e sembrava ogni volta che dovessero crollare sotto il peso dei sacchi.
Forse fu il giorno dopo, durante una lunga sosta in uno dei porti del fiume, о forse fu in un’altra occasione, ma una volta facemmo una breve escursione che mi ritorna sempre in mente. Eravamo saliti su una collina, dove vedemmo alcuni attivisti (non so se si chiamavano già guardie rosse) che stavano tenendo una specie di riunione о assemblea con un gruppo di contadini. Per illustrare meglio i loro discorsi gli attivisti si servivano di alcune litografie che stampavano lì per lì, passando con il pennello l’inchiostro su una lastra di pietra e stendendovi sopra una sottile carta di riso. Attraverso il nostro interprete chiesi se potevo acquistarne una copia. Gli attivisti rimasero stupiti, ma l’interprete riuscì a convincerli e per una somma irrisoria, l’equivalente di una decina di lire, entrai in possesso della grande litografia in bianco e nero che adesso è appesa in casa mia. Vi è raffigurato un bellissimo paesaggio, un grande fiume che scorre tra altissime montagne. Sulla volta del cielo sono impressi molti geroglifici, che un amico sinologo di Praga una volta ha decifrato con difficoltà. Sono slogan nello stile della rivoluzione culturale.
Un pomeriggio stavamo seduti in un giardino a goderci un po’ di fresco all’ombra degli alberi. Davanti a noi c’era un andirivieni di persone che attraversavano il giardino dirette chissà dove. Stranamente, ognuno che passava davanti a noi batteva le mani, un solo colpo secco, senza interrompere il cammino. Ce l’avevano con noi? Ci fu spiegato che la nostra presenza non c’entrava per niente, la gente batteva le mani in direzione di ogni albero, più esattamente in direzione degli uccelli posati sui rami degli alberi. Era in corso una campagna contro gli uccelli perché mangiavano il grano nei campi. Nel silenzio afoso del giardino, ogni colpo battuto con le mani spaventava gli uccelli e li faceva levare in volo. E poiché l’andirivieni della gente era ininterrotto, e le mani venivano battute davanti a ogni albero in tutto il giardino, i poveri uccelli erano costretti a stare sempre in volo e non riuscivano più a posarsi e a riposare. Pare che in precedenza lo stesso sistema fosse stato usato con successo contro le mosche: ogni tanto qualcuna cadeva in terra sfinita. Chissà se con gli uccelli il risultato sia stato lo stesso. Già, ma non bisogna dimenticare che i cinesi sono tanti.
[Le puntate precedenti sono state pubblicate in Slavia 2005, N°3; 2006, N°N°2, 3 e 4; 2007, N°N°1 e 3; 2008, N°N°1, 2 e 4; 2009, N°1]
venerdì 26 marzo 2010
Scampoli di memoria 10
Leggete la mia postfazione. Mark Bernardini
Un caso di omonimia
Nel 1994 scoprii di essere coinvolto in oscure trame finanziarie con il gruppo Berlusconi. Mi trovavo a Reggio Emilia quando mio figlio Mark mi telefonò allarmato per informarmi che si parlava di me nel settimanale Avvenimenti del 9 febbraio. Andai in edicola per acquistare la rivista, ma era già uscito il numero successivo e quello del 9 febbraio era introvabile. Fortunatamente stavo a Reggio Emilia, dove tutto funzionava. Andai alla Biblioteca comunale e potei consultare e fotocopiare il pezzo che mi riguardava. In un lungo articolo da p. 10 a p. 15, intitolato “Giallo italiano. Gli amici svizzeri del Cavaliere”, i due autori Michele Gambino e Christopher Nefti rivelavano l’esistenza di una rete di società finanziarie, alcune reali, altre fittizie, collegate in un sistema di scatole cinesi, tutte facenti capo a Berlusconi. Il passo che mi riguardava era molto breve, a p. 10, e diceva testualmente: “il gruppo Alitec (gruppo italo-brasiliano legato a Bernardino Bernardini ed a Nuova Rivista Internazionale)”. Rimasi stupefatto.
In effetti, un legame con me c’era, nel senso che fino al 1991, anno in cui la rivista cessò le pubblicazioni, ero stato per una decina di anni direttore di Nuova Rivista Internazionale, mensile di politica estera del PCI con sede in Roma, Via delle Botteghe Oscure 4. Ma mai avuto un legame, una lettera, una telefonata con il misterioso “gruppo Alitec”.
Il 17 febbraio 1994, poiché conoscevo bene il direttore di Avvenimenti Claudio Fracassi sin dai tempi in cui era corrispondente di Paese Sera da Mosca, con il quale successivamente avevo collaborato più volte in RAI a Roma in occasione di eventi nella capitale sovietica (la Spinelli di RAI 3 era la conduttrice delle trasmissioni, lui faceva il commentatore e io l’interprete simultaneista), gli scrissi la lettera che qui di seguito riproduco integralmente:
«Roma, 17 febbraio 1994
Caro Fracassi,
apprendo da Avvenimenti (n. 5 del 9 febbraio 1994, p. 10), in un servizio sull’impero finanziario di Berlusconi, che esiste un “gruppo Alitec (gruppo italo-brasiliano legato a Bernardino Bernardini ed a Nuova Rivista Internazionale)”.
Ora, poiché sono stato per tanti anni direttore della Nuova Rivista Internazionale (che peraltro ha cessato le pubblicazioni nel 1991), non credo possa trattarsi di un caso di omonimia.
E allora? Che cos’è, uno scherzo? Un banale scambio di schede? In ogni caso, senza invocare le leggi sulla stampa, vorrei che sulle pagine di Avvenimenti venisse spiegato come e qualmente mi sono ritrovato dentro una faccenda della grande finanza. Perché, vedi, se poi alla fine risultasse che a mia insaputa sono diventato proprietario di un mucchietto di azioni, non mancherei di far valere i miei diritti di proprietà e di ringraziare Avvenimenti con un finanziamento adeguato.
Cordialmente
Bernardino (Dino) Bernardini».
Aspettai che uscissero un paio di numeri del settimanale e, visto che la rettifica non arrivava, il 2 marzo telefonai a Fracassi. Il suo tono fu amichevole, direi affettuoso. Disse che avrebbe chiesto al suo collaboratore svizzero di indagare e che comunque avrebbe pubblicato la rettifica.
Continuai ogni settimana ad acquistare Avvenimenti, ma invano. Il 23 marzo telefonai di nuovo, ma potei parlare soltanto con una collaboratrice del settimanale, Marina Lombardi, che disse di essere all'oscuro della vicenda. Dovetti riepilogarle i fatti, ma le dissi anche che non volevo essere costretto a rivolgermi a un avvocato, non chiedevo altro che una rettifica. Il 13 aprile, nuova telefonata, ma questa volta non riuscii ad andare oltre la segretaria, la quale mi chiese di lasciare il numero del mio telefono e promise che Fracassi mi avrebbe richiamato in giornata.
Naturalmente, non fui richiamato. Così, in tarda serata scrissi una nuova lettera, questa volta in tono ufficiale.
«Spett. Avvenimenti
Piazza Dante 12
00185 Roma
Egregio Direttore,
in un servizio sull’impero finanziario di Berlusconi pubblicato nella sua rivista (n. 5 del 9 febbraio 1994, p. 10) si parla testualmente di un “gruppo Alitec (gruppo italo-brasiliano legato a Bernardino Bernardini ed a Nuova Rivista Internazionale)”. Ebbene, sono stato direttore di Nuova Rivista Internazionale per quindici anni fino al 1991, quando la rivista ha cessato le pubblicazioni, e non ho mai avuto alcun legame con il gruppo Alitec, di cui finora ignoravo persino l’esistenza. Né, è evidente, può trattarsi di un caso di omonimia.
Le ho inviato una prima lettera amichevole (con ricevuta di ritorno) il 18 febbraio per chiedere una semplice rettifica. Invano. Il 2 marzo le ho telefonato e lei mi ha gentilmente promesso che avrebbe provveduto. Neanche per sogno. Il 23 marzo ho telefonato di nuovo, ma ho potuto parlare soltanto con una sua collaboratrice, Marina Lombardi. Oggi ci ho riprovato e questa volta non sono riuscito ad andare oltre la segretaria.
Adesso, ai sensi della legge sulla stampa, chiedo la pubblicazione integrale di questa lettera.
Bernardino Bernardini
Roma, 13 aprile 1994».
La mia lettera non fu mai pubblicata, ma il 27 aprile 1994, finalmente, Avvenimenti ne pubblicò a p. 5 questo breve e infedele riassunto redazionale sotto un titolo ancora più infedele, “UN CASO DI OMONIMIA”:
«In un servizio sull’impero finanziario di Berlusconi pubblicato nella sua rivista (n. 5 del 9 febbraio 1994, pag. 10) si parla testualmente di un “gruppo Alitec (Gruppo italo-brasiliano legato a Bernardino Bernardini ed a Nuova Rivista Internazionale)”. Ebbene, sono stato direttore di Nuova Rivista Internazionale per quindici anni fino al 1991, quando la rivista ha cessato le pubblicazioni, e non ho mai avuto alcun legame con il gruppo Alitec, di cui finora ignoravo persino l’esistenza. Né, è evidente, può trattarsi di un caso di omonimia.
Bernardino Bernardini
Roma».
Seguivano poche righe di scuse:
“La Nuova Rivista Internazionale e Bernardino Bernardini non hanno infatti alcun rapporto con i legami svizzeri di Silvio Berlusconi e le società del gruppo Fininvest. Nel gruppo Alitec c’è in effetti un personaggio omonimo; il che spiega ma non giustifica l’errore in cui siamo incorsi. Ce ne scusiamo con Bernardino Bernardini (e ci scusiamo per il ritardo nel chiarimento)”.
Forse, col senno di poi, avrei potuto insistere per la pubblicazione integrale della mia lettera, minacciando una richiesta di risarcimento per danni morali. Ma ero stanco di protestare e lasciai che la cosa finisse lì. Sospetto però che nel gruppo Alitec non ci fosse nessun mio omonimo, anzi, dubito persino che sia esistito un gruppo Alitec.
Pubblicato nel N°1 del 2009 della rivista Slavia
Mosca, 26 marzo 2010
E' noto quanto io ce l’abbia con quelli che mi ostino a chiamare “radical-chic salottieri sedicenti di sinistra”. Ebbene, la rete non perdona, la balla di Fracassi continua a girare, quella di Michele Gambino e Christopher Nefti. Basta digitare in qualunque motore di ricerca, tra virgolette, gruppo Alitec, per trovare i seguenti due link dove viene citato mio padre:
http://www.esmartstart.com/_framed/50g/berlusconi/affari/cap2.htm
http://www.altrestorie.net/libri/Berlusconi_affari_Presidente.pdf
A parte i link, questo certifica che esiste un libro di Giovanni Ruggeri, dal titolo “Berlusconi, gli affari del Presidente”, pubblicato dalla KAOS Edizioni sempre nel 1994, nel cui secondo capitolo “Segreti italiani in terra elvetica” viene riportata la medesima menzogna (pag. 50, e mio padre viene citato anche nell’indice dei nomi, a pag. 185), copiata a piè pari (uguale persino nella forma).
Chi è Giovanni Ruggeri (morto nel 2006)? Un anticomunista (nel senso di anti-PCI), basta cliccare sul suo nome per averne un’idea.
Lo so che molti non saranno d’accordo, ma io lo dico lo stesso: ecco cosa succede a lasciar perdere per il quieto vivere.
Alcuni mesi fa, il povero professor Antonio Fallico (amministratore delegato di Banca Intesa a Mosca, presidente di Conoscere Eurasia, nonché segretario dell'Associazione Italia-URSS di Verona negli anni '70) è stato vittima di un’infamia simile: quelli di Radio Popolare lo hanno accusato di essere un mafioso legato a Dell’Utri che fa da collegamento tra Putin e Berlusconi. A parte le battute da terza elementare a sfondo sessuale sul suo cognome, gli hanno augurato un cancro allo stomaco, cioè esattamente quello che augurarono a me quando nel 2000 scrissi il mio libro contro Berlusconi, www cavalieremiconsenta. Strane ricorrenze.
Mark Bernardini
domenica 21 marzo 2010
Le masse di Repubblica
Città | Annunciati | Ministero Interni | Opposizione | Mass media | Abitanti |
Arcangelo | 150 | 70 | 350.000 (0,02%) | ||
Astrachan' | 500 | 300 | 500.000 (0,06%) | ||
Barnaul | 500 | 500 | 650.000 (0,08%) | ||
Vladivostok | 10.000 | 300 | 1.500-2.000 | 600.000 (0,05%) | |
Voronež | 100 | 850.000 (0,02%) | |||
Ekaterinburg | 100 | 1.300.000 (0,01%) | |||
Iževsk | 200 | 1.000 | 650.000 (0,03%) | ||
Irkutsk | 1.500-3.000 | 400-500 | 600.000 (0,07%) | ||
Kazan' | 150 | 200-300 | 300 | 1.200.000 (0,01%) | |
Kaliningrad | 10.000-20.000 | 150 | 5.000 | 1.500-3.000 | 500.000 (0,03%) |
Krasnojarsk | 50 | 1.000.000 (0,00%) | |||
Kurgan | 4 | 350.000 (0,00%) | |||
Mosca Krasnopresnenskaja | 200 | 700 | 10.500.000 (0,00%) | ||
Mosca Puškinskaja | 300 | 150 | 10.500.000 (0,00%) | ||
Mosca Čistye Prudy | 80 | 10.500.000 (0,00%) | |||
Murmansk | 20 | 300.000 (0.01%) | |||
Nižnij Novgorod | 5 | 5 | 1.300.000 (0,00%) | ||
Novosibirsk | 200 | 80 | 1.500.000 (0,01%) | ||
Omsk | 150 | 1.150.000 (0,01%) | |||
Orël | 10 | 350.000 (0,00%) | |||
Penza | 500 | 500.000 (0,10%) | |||
Perm' | 200 | 1.000.000 (0,02%) | |||
San Pietroburgo Gagarin | 500 | 1000 | 400-500 | 4.600.000 (0,01%) | |
San Pietroburgo piazza Lenin | 250 | 250 | 4.600.000 (0,01%) | ||
Saratov | 300 | 850.000 (0,04%) | |||
Tambov | 50 | 300.000 (0,02%) |
domenica 14 marzo 2010
Lettera aperta a Diego Bianchi (Zoro)
A Diego, stanotte ho dormito male, ho acceso il televisore e ti ho sentito e visto su Youdem (la mia solita differenza di fuso orario con l'Italia).
Ti ho sentito sfottere Roberto Morassutt e Nicola Zingaretti perché sono cinquantenni, largo ai giovani e cioè ai quarantenni.
A parte che mi pare una differenza risibile, come sai io sono un acerrimo avversario del PD, non sono sospettabile di simpatie, ed oltretutto ricordo Morassutt come segretario FGCI dell'Alberone (io ero segretario della IX Circoscrizione) e Zingaretti come segretario della FGCI di Roma (dopo Veltroni, Bettini, Leoni, Sandri, decisamente una caduta di stile).
La stessa FGCI - temporalmente - da cui vieni anche tu.
Li avevo entrambi come miei contatti in Facebook, ma dopo un po' che insistevano ad invitarmi a votarli ad ogni consultazione elettorale e poi sparire, li ho cancellati.
Tutto ciò premesso, loro due ed anche te siete tutti più giovani di me, ma io di anni ne ho 48 manco compiuti.
Nella fattispecie, Roberto ne ha compiuti 46 da poco, Nicola 45, e tu 41.
Non mi piace.
Vedi, Diego, le stesse stronzate le diceva uno che voi tre avete accettato come vicesegretario nazionale del PD: mi riferisco a Ivan Scalfarotto, classe 1965 (tu 1969, Nicola 1965, Roberto 1963, io 1962), un talent scout bancario di Citi Bank, uno che licenzia i poveri cristi, che per essere eletto come "gggiovane" se la prese con un altro che non mi è simpatico, Alfonso Pecoraro Scanio, classe 1959. E bada che eravamo nel 2005, cinque anni fa.
Giovanilismo malattia infantile del riformismo
Ne è passato, di tempo, da quando, partendo per il militare a 23 anni, nel 1985, unificai i sei circoli (Alberone, Appio Latino, Appio Nuovo, Latino Metronio, Porta San Giovanni e Tuscolano) della nostra circoscrizione (Latino Metronio in quel momento era il più grande di tutta Roma) in un unico circolone e lo intiolai a Woody Allen...
Diego, tutti dovemo da campà, ma ti pare il caso?
martedì 2 marzo 2010
domenica 21 febbraio 2010
Gli zar dei ghiacci e di Sanremo
Come molti sanno, sono da sempre tiepido nei confronti dello sport ed acerrimo nemico del tifo, che per me resta una malattia (come il calcio è quello delle ossa). Ciò premesso, stavolta mi sento di parlarne, con riferimento non tanto ai risultati del pattinaggio di Vancouver (più divertente è stato il campionato europeo), quanto ai pelosi commenti compiaciuti dei media italiani.
Repubblica: Lysacek re del ghiaccio, Plushenko manca il bis. La Stampa: Vancouver, Plushenko perde il trono: “Questa è danza, non più pattinaggio”. Si distinguono, però, il Corriere della Sera: Lysacek spodesta lo Zar dei ghiacci e l’immancabile Unità, sempre preoccupata di dimostrare di non essere comunista: Vancouver, Lysacek spodesta lo zar russo dei ghiacci.
Come dovrebbe essere noto (ma, dopo la riforma Gelmini, anche questo cadrà nel dimenticatoio), “zar” vuol dire “re”, e viene da “Cæsar”, da cui anche il tedesco “Kaiser”, cioè proprio dal romano Giulio Cesare.
Pur avendo premesso di non occuparmi di sport, mi sento di condividere il commento di Pljuščenko: in qualunque sport, ogni record mondiale viene raggiunto con l’obiettivo di superarlo in futuro. Vale per le corse podistiche, per i salti in alto, ed anche, appunto, per il pattinaggio.
Lo statunitense Lysacek ha dichiarato di non sapere fare il salto quadruplo e di fregarsene, perché tanto non conta. Le opinioni sono come le corna, ciascuno ha le sue, ma le opinioni sono opinabili per definizione. Fatto sta che, con le nuove regole inaugurate a Vancouver, per dirla con Pljuščenko, il pattinaggio d’ora in avanti è danza. Non sapendo a cosa attaccarsi, l’Unità ribatte che “Lysacek al talento preferisce il cuore”.
La ragione che mi ha spronato ad imbracciare la tastiera anche stavolta non è quella di parteggiare per Tizio o per Caio, ma proprio quel mefitico “zar”. Tutti i monarchi d’Europa, con le mani monde di sangue secolare, sono imparentati tra loro, dal Portogallo alla Russia, passando per la Spagna, la Scandinavia, l’Olanda, la Gran Bretagna, la Francia e, naturalmente, l’Italia, ecco perché, sposandosi solo tra di loro, hanno partorito fior di dementi. Tra i Paesi moderni repubblicani del vecchio continente, solo in Italia era possibile invitare a cantare a Sanremo non semplicemente tale Emanuele Savoia, ma un erede al trono che appena un anno fa si è presentato alle elezioni europee col Partito monarchico. E solo in Italia poteva arrivare secondo, come Pljuščenko. Quello che voglio dire è che gli italiani sono gli ultimi a poter fare della facile ironia, dovrebbero vergognarsi.