Rintronato come Brežnev? Autoritario come Brežnev? Pensieri in libertà, appunti sui polsini, ho tante cose ancora da raccontare per chi vuole ascoltare eccetera.
sabato 24 dicembre 2005
Natale
mercoledì 7 dicembre 2005
Basta col buonismo
lunedì 5 dicembre 2005
Lettera all'Unità
domenica 4 dicembre 2005
Stalin col Partito fu severo
Cir-convenzioni
sabato 5 novembre 2005
Scampoli di memoria 1
A Mosca l’ultima volta
Massimo D’Alema, A Mosca l’ultima volta (Enrico Berlinguer e il 1984). Donzelli Editore, Roma 2004, pp. 144, 12,50.
“Non è un saggio su Berlinguer, ma un racconto di sei mesi della sinistra italiana”: così D’Alema ha definito questo suo libro, presentandolo a una manifestazione al Palasport di Genova. In effetti, le pagine del libro sono equamente divise tra il racconto del viaggio a Mosca con Berlinguer e Bufalini per i funerali di Andropov – e devo dire che si tratta di pagine gustosissime, di valore letterario – e le vicende della sinistra italiana.
Parlerò poi del viaggio a Mosca, che resta la parte migliore dell’opera, ma intanto riconosco che l’autore rievoca con grande onestà il contrasto tra Craxi e Berlinguer senza omettere nulla, né le cose che ancora oggi condivide, ovviamente, né quelle che avrebbe preferito non fossero avvenute, che sono di ostacolo alla riconciliazione in atto tra una parte di ex socialisti e una parte di ex comunisti. Per esempio, l’infelice frase pronunciata da Bettino Craxi dopo i fischi della platea socialista all’ospite Berlinguer: “se sapessi fischiare l’avrei fatto anch’io”. Non c’è dubbio che questo non aiuta la riabilitazione e la quasi beatificazione del latitante Craxi da parte dei DS. Intendiamoci, nella parabola di Craxi ci sono stati atti, decisioni, scatti di dignità che nessun capo di governo italiano avrebbe avuto il coraggio di compiere, come la difesa della nostra sovranità nazionale a Sigonella contro la prepotenza dei comandi militari americani. Di questo gli va dato atto, ma senza dimenticare i tanti, illeciti episodi di corruzione addirittura rivendicati da Craxi senza vergogna.
E veniamo a Berlinguer. In tutto il libro si avverte un sentimento sincero di affetto per lo scomparso leader del PCI, del quale D’Alema sintetizza il pensiero, le idee sulla “diversità” dei comunisti italiani, sull’austerità, proclamata in anticipo sui tempi, in contrasto con l’imperante “edonismo reaganiano”. Sullo scontro tra Craxi e Berlinguer l’autore riporta una lunga citazione da Ugo Intini che almeno in parte sembra condividere: “Berlinguer cercava una terza via, non socialdemocratica e non capitalista, che non esisteva. Inseguiva un eurocomunismo che non c’era. Voleva trasformare il PCI in una forza di governo, mantenendone l’unità, la continuità e la tradizione, ma questo era impossibile. Craxi voleva trasformare il PSI (un apparato di potere senza più la spinta ideale di un tempo e senza radici sociali sufficientemente profonde) in un grande partito socialdemocratico di massa, nella guida di una grande sinistra vincente. Ma anche questo era impossibile. Berlinguer e Craxi coltivavano due sogni irrealizzabili”. Berlinguer, dice D’Alema, percepì in modo drammatico la crisi del comunismo. Si deve però sapere che “aveva maturato sull’Unione Sovietica e sul socialismo reale una posizione più netta di quella che si è delineata nella politica ufficiale”. Se non è venuta alla luce, è perché “in lui ha agito la preoccupazione che una rottura definitiva con quel mondo potesse portare una scissione nel PCI”.
Era riformabile il sistema sovietico? L’impressione che emerge dal libro è che per D’Alema non lo fosse. Tuttavia, dice, “non era scritto nel libro del destino che il mondo comunista crollasse”. “Non sono tra quelli – dice ancora D’Alema – che dicono che il comunismo per sua natura non fosse riformabile. Il problema è che quella ipotesi di rinnovamento democratico non era più concretamente in campo già nel momento in cui Berlinguer assunse la direzione del PCI”. Infatti, la speranza del rinnovamento era stata distrutta dai carri armati sovietici mandati a Praga ad abbattere un governo comunista che godeva del favore dell’intero popolo cecoslovacco.
Come ho detto, le pagine migliori del libro sono quelle dedicate al viaggio a Mosca in occasione dei funerali del segretario generale del PCUS Jurij Andropov, “l’ultima tenue speranza di riforma del comunismo sovietico”. Era il febbraio 1984. Ricordiamo che Andropov, uomo intelligente e colto, era diventato leader del PCUS nel novembre 1982. Dopo la lunga stagnazione brežneviana, il nuovo leader aveva suscitato molte speranze pubblicando un lungo saggio sul marxismo nel quale lasciava intuire la sua volontà di cambiamento. Purtroppo, formalmente rimase in carica meno di un anno e mezzo, ma in realtà quasi subito dopo la nomina fu colpito da una grave malattia che lo tenne inchiodato alla macchina della dialisi fino alla morte.
D’Alema racconta con arguzia il suo viaggio a bordo dell’aereo presidenziale italiano, dove Pertini aveva ospitato, oltre al ministro degli esteri Andreotti, anche la delegazione del Vaticano e quella del PCI. Durante il volo, ci fu una partita a scopone tra Pertini e Berlinguer, da un lato, e Andreotti e Maccanico, dall’altro. “Andreotti mi volle dietro a sé. Come disse in modo cortese e sornione, “per farsi consigliare”. In realtà giocava benissimo. Il presidente perdeva e la cosa lo seccava molto. Berlinguer era imbarazzato. Si vedeva che non aveva gran voglia. Si distraeva, ma era dispiaciuto per Pertini. Insomma una mezza tortura”. “Quando, intorno alle 18,00, l’aereo arrivò su Mosca, cominciò a girare senza poter atterrare […]. Per i sovietici non era normale che sullo stesso aereo arrivassero lo Stato, il Governo, il Vaticano e il Partito comunista. Si trattava per loro di delegazioni distinte a cui dovevano corrispondere cerimoniali, comitati d’accoglienza e destinazioni separate. Cominciò così un complesso negoziato con la torre di controllo che alla fine produsse un preciso protocollo di precedenze e tempi da rispettare. Prima doveva scendere il presidente con il suo seguito. Dopo cinque minuti il ministro degli Esteri. Poi il segretario del Partito comunista. Infine i cardinali [...]. Chiarita la procedura, finalmente giunse il permesso di atterraggio [...]. Quando l’aereo fu fermo sul piazzale, Pertini, infischiandosene di accordi, raccomandazioni e preghiere degli addetti al cerimoniale, prese sotto braccio Andreotti e Berlinguer e scese la scaletta. Fu il caos”.
Un altro episodio raccontato nei minimi dettagli, a conferma di quello che personalmente considero un difetto di D’Alema, ma che per altri può darsi venga considerato un pregio, è la cena all’ambasciata italiana di Mosca. L’autore dopo aver descritto l’ordine in cui erano seduti tutti i commensali, passa al menu: “La cena fu notevole. Salmone affumicato, caviale Molossol. Verdicchio e vodka. Prosciutto, melanzane in caponata. Tortellini in brodo. Spigola e gamberi portati freschi dall’Italia (sullo stesso aereo?). Dolce di fragole e panna. Spumante Ferrari. Confesso la mia debolezza – scrive D’Alema – per il mangiare bene e non sono stupito di ritrovare, dopo molti anni, annotati in modo così dettagliato i menu”. A mia volta, confesso il mio totale disinteresse per ciò che si è mangiato in quella e in altre cene.
mercoledì 7 settembre 2005
ciao, compagno Sergio
No, non è un gossip. Endrigo era iscritto al PCI. E veniva aggratis ai festival dell'Unità di quartiere. Io, in concreto, l'ultima volta l'ho visto a quello dell'Alberone, a Roma, a villa Lazzaroni, nell'82. Aveva già problemi di otite, io all'epoca ero segretario della zona IX della FGCI di Roma. Due-tre anni dopo ha smesso di cantare. Fino all'anno scorso, a 71 anni suonati. Addio, compagno Sergio. A costo di suonare banale, come sempre sono i migliori che se ne vanno, ed io sono sempre più solo.
martedì 6 settembre 2005
Volate a stelle e strisce
Io volo da quando avevo pochi mesi di età. Da allora, in poco più di quarant'anni, ho accumulato svariate centinaia di ore di volo, prevalentemente per lavoro, quasi come un pilota, ed ho anche volato in assenza di gravità (il cosiddetto "G zero").
Ricordo, qualche anno fa, quel susseguirsi esasperante di notizie di "aerei russi" che cadevano qua e là in giro per il pianeta. Poi andavi a leggere, e scoprivi che magari era caduto un Antonov venduto all'inizio degli anni Settanta dall'Unione Sovietica a qualche monarca africano. Da allora, in trent'anni, mai una manutenzione.
La prima domanda, quindi, è: quando casca un Boeing indonesiano, è indonesiano, cioè della compagnia aerea, o statunitense, cioè del produttore? A metà agosto 2005 la comunità internazionale ha vietato unilateralmente alla Federazione Russa il transito di aerei IL-96-300 (i famosi Iljušin). Così, sono stati annullati i voli dell'Aeroflot per Hanoi, Toronto e Washington, e quelli per Shanghai, Pechino, Bangkok e Seoul sono stati sostituiti proprio con dei Boeing. Per inciso, l'aereo presidenziale di Putin è proprio un IL-96-300, ed ovviamente continua a volare.
Il 5 settembre 2005 un Boeing 737 della compagnia indonesiana low cost Mandala Airlines è precipitato poco dopo il decollo sulle abitazioni di un'area abitata di Medan, a nord dell'isola di Sumatra. Nello schianto hanno perso la vita 104 delle 117 persone a bordo - 112 passeggeri e cinque dell'equipaggio - più 39 persone a terra.
Quello di Sumatra è il quinto disastro aereo in meno di un mese. Il 6 agosto scorso un Atr 72 della Tuninter con a bordo turisti italiani era finito in mare al largo di Palermo durante un tentativo di ammaraggio: 13 morti, tre dispersi. Il 14 agosto un Boeing della cipriota Helios si era schiantato contro una montagna vicino Atene: 121 morti. Il 16 agosto un Md-80 in volo da Panama alla Martinica era precipitato in Venezuela e tutti i 160 che erano a bordo avevano perso la vita. Il 24 agosto 41 persone avevano perso la vita nello schianto di un Boeing 737 presso la città peruviana di Pucallpa.
Ed ecco la seconda domanda, anch'essa puramente retorica: quand'è che vieteranno il volo agli aerei nordamericani Boeing?
domenica 28 agosto 2005
Diffidate del BancoPosta italiano!
Il 21 agosto ho ricevuto un msg dal titolo "Misure di sicurezza di cliente di BancoPosta ID2244" e col seguente contenuto:
Caro mark@bernardini.com,
Recentemente abbiamo notato uno o piЫ tentativi di entrare al vostro conto di BancoPostaonline da un IP indirizzo differente.Se recentemente accedeste al vostro conto mentre viaggiavate, i tentativi insoliti di accedere a vostro Conto BancoPosta possono essere iniziati da voi. Tuttavia, visiti prego appena possibile BancoPostaonline per controllare le vostre informazioni di conto: "https://bancopostaonline.poste.it/bpol/bancoposta/formslogin.asp"
Ringraziamenti per vostra pazienza.BancoPostaon.
----------------------------------------------------------
Non risponda prego a questo E-mail. Il E-mail trasmesso a questo indirizzo non puР essere risposto a.
Ovviamente la prima cosa che balza agli occhi è l'italiano zoppicante. Va bene che ormai la lingua è un optional, ma l'impressione è che l'abbia scritto uno straniero. Infatti, se andiamo a vedere in formato ipertestuale il link soprariportato, scopriamo che è collegato con http://www.withwith.or.kr/zboard/data/bbs5/formslogin.php. Non mi risulta che le Poste italiane si siano stabilite nella Corea del Sud. Allora sono andato a vedere l'header del msg:
Return-Path: <httpd@web5.opentransfer.com>
Received: from mail.opentransfer.com (mail3.opentransfer.com [69.49.238.4])
(envelope-from httpd@web5.opentransfer.com)
Received: from unknown (HELO web5.opentransfer.com) (69.49.234.9)
by mail.opentransfer.com with SMTP; 21 Aug 2005 11:09:20 -0000
Received: (from httpd@localhost)
by web5.opentransfer.com (8.11.6/8.11.6) id j7LB98g27097;
Message-Id: <200508211109.j7LB98g27097@web5.opentransfer.com
From: <Bancoposta@poste.it>
Reply-To: Bancoposta@poste.it
L'IP 69.49.238.4 ci porta alle seguenti coordinate:
OrgName: Hosting-Network GmbH
OrgID: HOSTI-3
Address: 247 Mitch Lane
City: Hopkinsville
StateProv: KY
PostalCode: 42240
Country: US
NetRange: 69.49.224.0 - 69.49.255.255
CIDR: 69.49.224.0/19
NetName: HOSTI-3-1
NetHandle: NET-69-49-224-0-1
Parent: NET-69-0-0-0-0
NetType: Direct Allocation
NameServer: NS1.OPENTRANSFER.COM
NameServer: NS2.OPENTRANSFER.COM
Comment:
RegDate: 2003-05-27
Updated: 2003-08-18
TechHandle: IPADM99-ARIN
TechName: IP Admin
TechPhone: +43 699 13266 007
TechEmail: admin@ecommerce.com
OrgAbuseHandle: ABUSE875-ARIN
OrgAbuseName: Abuse Contact
OrgAbusePhone: +(270) 707-2040
OrgAbuseEmail: abuse@ecommerce.com
OrgTechHandle: FSA10-ARIN
OrgTechName: SAID, FATHI
OrgTechPhone: +43 699 13266 000
OrgTechEmail: fathi@ecommerce.com
Come vedete, c'è di tutto: Stati Uniti, Austria ed anche un signore arabo Fathi Said. Il lavoro è ben fatto, se cliccate su quel link iniziale. Solo che (a parte che ai meno distratti non sfuggirà appunto l'url con dominio "kr" nel proprio navigatore), se andate a vedere quella pagina (fatelo, non è pericoloso), se siete clienti di BancoPosta, non inserite assolutamente lo UserID e la password richiesti! Finirebbero appunto a Said Fathi o chi per lui.
Ho segnalato il tutto alle Poste Italiane, sapete cosa mi hanno risposto?
Con riferimento alla Sua e-mail del «26/08/05», Le assicuriamo di aver evidenziato tutti i suoi rilievi ai settori interessati per le eventuali azioni correttive.
Capito? Tizio l'ha passato a Caio, che l'ha passato a Sempronio che, al limite, fra qualche settimana, metterà una toppa nel sito. Niente denuncia, niente giornali. Nel frattempo, vai a sapere quanti italiani saranno stati derubati...
martedì 23 agosto 2005
Scalfarotto? Non scherziamo
Il buonismo non fa parte dei miei difetti. Mi sono sorbito un quarto d'ora di filmato di Scalfarotto per ricavarne le seguenti deduzioni:
1)Scalfarotto-Mascia, ovvero dio li fa e poi li accoppia. Perché non li accoppa? Sul carrierista Mascia, candidato trombato del 2001, ne ho da dire a iosa, ne riparlerò prossimamente.
2)Un italiano 100%, per non scontentare nessuno, terrone ma innamorato di Milano, la Milano da bere. E poi c'ha una nonna bergamasca, quindi lo possono votare anche i leghisti. Milano città aperta? Vorrei conoscere il suo pusher.
3)Candidato povero, dietro cui non ci sono i ricchi Partiti. Un candidato talmente povero che faceva il bancario prima in Comit, poi Ambroveneto, Citibank. Di più: da capo del personale a capo delle risorse umane. Insomma, un servo dei padroni.
4)Candidato povero ma moderno, che usa internet. Tenta di intercettarlo, 'sto popolo di internet. E 10.000 firme raccattate in internet sono le uniche genuine. Fosse sufficiente saper scrivere un'email ed aprire un sito, saremmo milioni, in Parlamento. Candidato che condivide, che divide con gli altri, una sorta di messia. Un candidato diverso dai politici. Perché i politici, per definizione, sono il male. Quindi, facciamo fare politica a chi non fa politica. E facciamo fare I bancari a chi non è bancario, ed il cuoco a chi non capisce un cazzo di cucina.
5)Io non volevo candidarmi, ma me l'hanno chiesto ed io ho sentito il senso ed il dovere della responsabilità. Chi la dice, Berlusconi? No: Scalfarotto.
6)La scelta più difficile della mia vita, l'istinto di conservazione mi diceva di non farlo. Capito? Candidarsi alle primarie dell'Unione è stata la... scelta più difficile della sua vita. Non oso pensare alle difficoltà con cui si scontra, che so io, Rita.
7)Sono diverso da Prodi perché vengo dalla società civile. Infatti la società civile è quella delle banche.
8)La dittatura della maggioranza è una cosa spaventosa. Un po' come la dittatura del proletariato. Insomma, se si fa come dice la maggioranza, è dittatura. Se si fa come dice la minoranza, è una democrazia matura.
9)Sono diverso da Mastella perché non sono mai stato democristiano. Più della metà degli italiani non è mai stata democristiana, ma Scalfarotto non è mai stato democristiano più dei non-democristiani e persino dei democristiani stessi.
10)Sono diverso da Di Pietro perché sono uguale a Di Pietro. Solo che non basta l'etica, bisogna riempirla di contenuti. Dunque, Di Pietro è un etico vuoto. Scalfarotto è detentore di contenuti etici?
11)Sono diverso da Bertinotti perché non sono marxista e perciò sono moderno. Incommentabile.
12)Sono diverso da Pecoraro Scanio perché quello è monotematico ed è un politico professionista. Che poi Scalfarotto sia stato consigliere di circoscrizione a Foggia, con i verdi del Sole che ride, a fine anni '80, è del tutto trascurabile, nel teatrino attuale della politica italiota. Di più: Pecoraro Scanio non è giovane, cosa che, si sa, è una grave colpa. Pecoraro Scanio è del 1959, ha 46 anni. Scalfarotto è del 1965, ha 40 anni.
13)Sono diverso perché sono diverso. Sì, nel senso sessuale del termine. Dobbiamo intercettare i voti di internet, quelli dei bancari e quelli degli omosessuali. E le casalinghe di Voghera? Con chi ciascuno di noi vada a letto, purché adulto e consenziente, sono affaracci suoi. Esattamente come è irrilevante che uno sia negro, con gli occhi a mandorla o albino viso pallido. Augh. E la gente è avanti perché in realtà se ne frega, mentre la politica (i politici) sono indietro perché non se ne frega. Ecco perché l'Italia ha bisogno di Scalfarotto.
14)Non sono un malandrino perché non ho rubato la scena ai politici. Da una parte loro che ancora non mi si filano, dall'altra io. Davide e Golia.
Ho già avuto modo di dire che ultimamente voto contro, non per. Questo non vuol dire non essere c-attivi. Io voglio c-attivamente arrecare dànno alla candidatura di tutti quelli come Scalfarotto, poiché è anche per colpa loro che abbiamo perso e, forse, perderemo. I padroni sanno far bene il loro mestiere, noi invece, nel nostro, continuiamo ad essere degli incompetenti, degli apprendisti stregoni.
http://r-esistenza-settimanale.blogspot.com/2005_08_07_r-esistenza-settimanale_archive.html
http://r-esistenza-settimanale.blogspot.com/2005_08_14_r-esistenza-settimanale_archive.html
sabato 20 agosto 2005
Questione di paletti
martedì 16 agosto 2005
Il pudore alla Berlinguer
martedì 21 giugno 2005
Venimmo dall'est
Un tempo si diceva che ciascuno ha un proprio sud (De Crescenzo in "FFSS ovvero che mi ci hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?"). Parafrasandolo, pare che ora ciascuno abbia un proprio est.
Solo che non si capisce dove sia, 'sto est, e dove termini l'Europa, oltre la quale ci si possa considerare orientali: al confine crucco-catto-polacco, ovvero il vecchio confine UE? Al confine russo-polacco, ovvero il nuovo confine UE? Lungo gli Urali, come dicono gli studiosi di geografia? A Vladivostok, come dice chi vorrebbe una Russia membro dell'UE? Soprattutto, ovunque passi 'sto confine, dove sono gli operai? Alla ricerca dell'operaio perduto. La classe operaia va in purgatorio. In Polonia ce n'è ancora abbastanza, ma fin da Walesa passano più tempo a genuflettersi e baciar pile che a lavorare, 'sti scansafatiche reazionari. In Russia già ce n'è meno, anche se più che in Italia, ma comunque meno in proporzione rispetto alla popolazione. Ancora più a est? Boh, c'è la Mongolia, lì però vanno a cavallo, sono nomadi e pastori. Poi c'è la grande Cina che come sempre è vicina, Paese prettamente agricolo di produzione artigianale di borsette Gucci. Ancora più a est? Ma ragazzi, allora si risale a nord nella mia Russia, si fa una bella nuotata corroborante nello stretto di Bering, si oltrepassa il Klondike, che tanto ormai non c'è rimasta una sega, si saluta la tomba dell'ultimo dei Mohicani, ciao-còmprati-Arrapaho... Devo continuare?
giovedì 2 giugno 2005
No Europa?
Me ne duole, ma il voto francese ed olandese non è stato contro QUESTA Costituzione Europea: è stato contro l'Unione Europea, contro l'internazionalismo, contro l'ingresso affrettato dell'Europa Orientale ex-Comecon, contro la Turchia. A parte l'internazionalismo, su tutte le altre ragioni sono perfettamente d'accordo. Qui però non si votava per questo, bensì per una Costituzione che a me non piaceva, ma che nessuno conosce. Nessuno l'ha letta, poche palle. Un po' come se al referendum italiano sulla procreazione assistita del 12 giugno la gente votasse pensando alla 194 sull'aborto. Le parole hanno un senso. Si badi bene, a me non dispiacerebbe affatto un'umiliazione degli slavi neomembri, magari si renderanno conto che, volenti o nolenti, si debbono creare due Europe, per ragioni oggettive, che piaccia o meno: quella occidentale e quella slava.
Siamo diversi, facciamocene una ragione. Anche perché la Kamčatka, ad 11 (!!!) fusi orari da voi e che voi conoscete giusto perché giocate a Risiko, confina con gli Stati Uniti attraverso lo Stretto di Bering, oltre il quale c'è l'Alaska (russa anche quella, se quel coglione dello zar non l'avesse simbolicamente venduta per 1 - un!!! - dollaro). Se quella è Europa, io sono azteco. E la Russia non è il Lussemburgo.
Questi non sono né gatti né topi: sono dèi. Nel senso che faranno morire centinaia di milioni di innocenti, da Mosca a Falluja, dalle torri gemelle (incazzatevi pure, tanto è così lo stesso) a Kabul, e camperanno alle vostre, alle mie ed alle spalle di tutti noi poveri cristi che il pane dobbiamo guadagnarcelo solo perché ce lo rubano proprio loro. E voi religiosi del cazzo, pensando di adorare chissà quali divinità in cielo, state adorando queste emerite teste di cazzo che stanno perfettamente in terra.
venerdì 27 maggio 2005
Un Paese normale
Io sono per la Prima Repubblica con correzione alla grappa, dove ci sia una destra che non metta le bombe pagata dai servizi segreti dello Stato (cioè pagata con i nostri soldi); dove ci sia un centro, con o senza riferimenti alla cristianità, che non c'entra un tubo ed alla quale il riferimento politico serve come serve ad un pesce una bicicletta; una forza socialista moderata, senza decisionisti che concedono favori ai loro amici palazzinari in odor di televisione; infine una grande forza comunista, dove vengano banditi i giochetti democristiani di cui stanno diventando maestri gli attuali PRC e PdCI, ed ovviamente in cui il marxismo sia un valore ed un mezzo a cui restituire concretezza storica, senza paure che i palazzinari di cui sopra l'accusino di parentele embrionali col georgiano baffuto. Ritengo che tale sistema aderisca verosimilmente agli umori italici senza i lacciuoli della contingenza.
Questa organizzazione comunista l'avevamo già, fino a vent'anni fa. C'erano però anche i figli di papà, che per contestare i genitori si buttavano più a sinistra della sinistra. Molti ora, bastonato il PCI, si son messi proni sotto i palazzinari. Lenin li aveva scoperchiati molto bene, a suo tempo (la famosa "malattia infantile"). Noi, invece, abbiamo scambiato i mestieri: la destra che fa centro, la sinistra che fa centro, il centro... No, loro restano coerenti e fanno centro. Insomma, un Paese di centro globale, altro che bipolarismo.
Diciamola più semplice, nello schema che preconizzavo all'inizio: i DS non sono di destra, che facciano pure i socialisti. La Margherita non è di destra, che faccia pure il centro, e lo chiami DC o come diavolo gli pare. I fascisti facciano pure la destra: se è quella alla Fini la smetteranno di picchiare, sparare e bombare. I comunisti, per la miseria, facciano i comunisti! E che non ci sia compressione alcuna, ma espansione, di PRC e PdCI: in un PCI vero, sarebbero comunque due infime minoranze.
giovedì 26 maggio 2005
Mitrochin
Il 7 gennaio scorso è deceduto a Mosca Lev Mitrochin (nessuna parentela con il Mitrochin della famosa Commissione voluta da Berlusconi). Era nato il 16 febbraio 1930. Il suo curriculum era ricco di titoli accademici, di decine di libri pubblicati e tradotti, di collaborazioni con importanti riviste. I vecchi lettori di Rassegna Sovietica forse ricorderanno qualche recensione a qualcuno dei suoi libri dedicati agli Stati Uniti o ai "problemi dell'ateismo". Già, perché il suo interesse preminente di studioso era, sì, rivolto da sempre alla religione, al rapporto tra marxisti e credenti, particolarmente alle tematiche della teologia della liberazione. Ma fino all'avvento della perestrojka di Gorbačëv chi in URSS voleva occuparsi di questi argomenti doveva per forza farlo sotto la copertura dell'ateismo. Ricordo la stima che lo circondava tra gli esponenti della filosofia sovietica. Una volta, negli anni Settanta, durante una cena a Roma con importanti filosofi russi della corrente cosiddetta "italianista", parlando di lui rivelai un fatto di carattere personale: eravamo stati sposati, io e Lëva, con due sorelle e in quel momento eravamo entrambi divorziati. Come risposta, venne la proposta allegra e goliardica dei sovietici - in sintonia con l'atmosfera conviviale - di brindare alla mia salute "in quanto ex parente" di Lëva Mitrochin.
Un altro episodio che mi piace ricordare risale ai primi anni della perestrojka. Un gruppo di quelli che in Russia sarebbero poi diventati famosi con il nome di "oligarchi", i nuovi ricchi, organizzò una crociera "culturale" nel Mediterraneo di cui ancora oggi non sono stati chiariti molti aspetti. Il fatto è che vennero invitati a parteciparvi - gratuitamente - alcuni degli intellettuali russi più prestigiosi, tra cui Sergej Averincev e lo stesso Lev Mitrochin. Andai a ricevere Lëva nel porto di Civitavecchia. La nave russa era ancorata vicino alla banchina, c'era un via vai di gente che saliva a bordo e scendeva, nessun controllo da parte delle autorità italiane. Qualcuno portava pacchi di non si sa che cosa. Io e la mia compagna Flora prelevammo un Lëva alquanto smarrito, forse un po' alticcio, e lo portammo a cena a Roma.
Un tratto del suo carattere da non dimenticare era la sua generosità. Quando lui era già un autore di successo - e in epoca sovietica, come si sa , la pubblicazione di un libro comportava onorari considerevoli - mentre io ero un povero studente dell'Università di Mosca, era sempre lui a pagare il conto ogni volta che si andava in compagnia al ristorante.
La sua seconda moglie era una giovane laureata in filosofia, ambiziosa, dominata - si capì poi - da un suo sogno americano. Riuscì a convincere il marito ad accettare il modesto incarico di secondo segretario d'ambasciata a Washington, lui che aveva il titolo accademico di doktor nauk. L'importante per lei era andare negli USA e partorirvi un figlio, la via legale più sicura per ottenere la cittadinanza americana. Un giorno, dopo il lavoro, tornato nella sua casa di Washington, Lëva la trovò piena di agenti della CIA e del KGB. La moglie li aveva convocati dicendo che lei e suo marito avevano "scelto la libertà". Lëva, sorpreso, dichiarò di essere assolutamente estraneo a quella decisione della moglie. I due servizi segreti aprirono un'indagine e il risultato fu che la moglie e la figlia di Lev Mitrochin rimasero a Washington e lui tornò a Mosca. E qui lo aspettava un'altra sorpresa. La sua casa moscovita era totalmente vuota. Il fatto è che poche settimane prima la moglie aveva fatto una scappata a Mosca e aveva venduto tutto, mobili, letto, frigorifero, la bellissima collezione di dischi di Frank Sinatra, Benny Goodman e tutti i classici del jazz americano, che Lëva aveva raccolto in tanti anni. Insomma, l'unica cosa che non era stata venduta era la proprietà dell'appartamento, e solo perché era intestata a Lëva, che dovette ricominciare a mettere su casa facendosi prestare per prima cosa una brandina dagli amici.
Nonostante questa vicenda, nella biografia di Lev Mitrochin il legame con gli Stati Uniti era rimasto forte. Dolorosa era stata per lui la perdita in un incidente automobilistico del giovane rampollo della dinastia Rockefeller, suo caro amico fraterno. Era anche un appassionato estimatore del film Casablanca. Immancabilmente, ogni volta che ci si vedeva a Mosca o a Roma, mi diceva: "Dino, tu che hai orecchio, mi canti la canzone di Sam?".
Addio, Lëva, amico mio. Per noi vecchi atei non c'è consolazione.
Dino Bernardini (da Slavia N°2 del 2005)
sabato 21 maggio 2005
Tamerlano a Taškent
Gli Stati Uniti e il loro dittatore "speciale"
di Pepe Escobar
L'appoggio politico ed economico dell'amministrazione Bush al dittatore uzbeko Islam Karimov
"Sono felicissimo di essere tornato in Uzbekistan. Ho avuto un'interessante e proficua discussione con il presidente … l'Uzbekistan è un paese chiave della coalizione globale impegnata nella guerra al terrorismo. Ho portato al presidente i saluti del presidente Bush e il nostro apprezzamento per il coraggioso sostegno che questo paese dà alla lotta al terrore … I nostri rapporti sono eccellenti e lo saranno sempre di più".
Donald Rumsfeld a Taškent, capitale dell'Uzbekistan, febbraio 2004
Anch'io sono felice di essere tornato in Uzbekistan, nel 2003. Ho trovato un Paese tranquillo, dove i ragazzi, biondi, bruni, bianchi, olivastri, con gli occhi a palla, con gli occhi a mandorla, come i loro coetanei europei, all'uscita di scuola vanno nei bar coi tavolini all'aperto e si siedono a grappoli in venti su otto sedie.
Vedo che continua a prevalere la logica per la quale "l'amico del mio nemico è mio nemico". Così per Milosević, così per Ševardnadze, così per Kučma e Janukovič, così per Akaev, adesso così per Karimov (le parole di Rumsfield e di Bush sono assolutamente di circostanza, se non lo capite, o capite di politica quanto io di aramaico, o siete al soldo degli yankees), così sarà per Lukašenko, così sarà per Nazarbaev (Kazachstan), così sarà per Rachmonov (Tadžikistan), e poi Aliev (Azerbajdžan), Kočarjan (Armenia, giusto per fare un favore alla Turchia), per poi proseguire con Putin, fino ad arrivare a quelli indifendibili, tipo il turcomanno Nijazov, il nordcoreano Kim Čen Ir, e finalmente il cinese Hu Zen Tao.
Fantapolitica, la mia? Il 63% degli americani intervistati dal Time e dalla CNN ritengono che la Russia costituisca una minaccia per gli USA.
Nel novero dei Paesi che rappresentano una minaccia per gli Stati Uniti troviamo: l'Iraq (92%), la Corea del Nord (91%), l'Iran (87%), la Cina (85%) e Cuba (57%).
Fin qui, è la logica imperialista. Non capisco invece la sinistra euroccidentale. Passi per quella italiana: Berlusconi si spaccia per amico di Putin? Sillogismo ovvio: Putin è uguale a Berlusconi, se do addosso a Berlusconi do addosso anche a Putin. Che poi Putin, da buon pragmatico, intrattenga buone relazioni con ogni capo di Stato, alla sinistra europea non interessa affatto (Andreotti scrisse la prefazione alla traduzione italiana dell'autobiografia di Ceausescu). Passi anche per il complesso di inferiorità di polacchi, ungheresi e baltici. Ma i tedeschi, i francesi, gli inglesi, i belgi, gli olandesi? Tutti che devono passare dal via del portatore sano di democrazia?
Ventitre uomini d'affari della città, tuttora in sciopero della fame, sono da febbraio in carcere, accusati di "terrorismo islamico".
Uomini d'affari? O beh, certo, lo sono anche Chodorkovskij e, da Londra, Berezovskij, che finanzia il terrorismo ceceno in chiave antiputiniana. Infatti anche loro sono difesi dalla sinistra europea...
Fanno parte di Akromia, un piccolo movimento islamico il cui programma politico privilegia il successo economico oltre l'ideologia e il fondamentalismo religioso.
Ah, ecco.
Secondo Alison Gill di Human Rights Watch dell'Uzbekistan, Akromia sarà il prossimo obiettivo delle forze di sicurezza di Karimov.
Secondo me, invece, l'Uzbekistan sarà il prossimo obiettivo delle rivoluzioni di velluto pilotate dagli Stati Uniti, e Bush da un giorno all'altro saluterà il nuovo presidente "democratico" uzbeko, negando di avere mai appoggiato Karimov.
L'esercito del dittatore uzbeko Islam Karimov venerdì scorso ha aperto il fuoco ad Andijan - Ferghana Valley - contro migliaia di manifestanti disarmati [...] Martedì scorso, un gruppo di furibondi dimostranti vicini ai 23 imprenditori ha organizzato una rivolta armata con l'obiettivo di liberarli e ha preso il controllo del palazzo sede dell'amministrazione locale, dove, fra l'altro, in molti hanno richesto l'arrivo di Karimov.
Manifestanti disarmati che organizzano una rivolta armata. Bel colpo.
L'unica religione di stato è la vodka, capace di alleviare persino le difficili condizioni economiche in cui versa il paese.
Certo. E gli italiani son tutti mafiosi, suonano il mandolino, mangiano gli spaghetti e preparano la pizza. Ragazzi, avete mai provato a bere un qualsiasi superalcolico dai 40° in su quando la temperatura raggiunge i 40°C?
La Casa Bianca non fiaterà. Il Cremino non fiaterà, come accaduto per i fatti di Andjian.
Ho già detto, per quel che riguarda la Casa Bianca. Per il Cremlino, invece, faccio notare che non è intervenuto nemmeno in situazioni ben più importanti per il proprio assetto geopolitico, come nei Paesi confinanti Ucraina e Georgia. La ragione? Semplice: perché, a differenza degli Stati Uniti, la Russia non esporta la democrazia né con i carriarmati, né con i moderni cacciabombardieri americani. Dunque, il Cremlino può esprimere "viva preoccupazione", talvolta "esecrazione", ma niente più.
lunedì 9 maggio 2005
Un cielo di pace per la vittoria
Poi qualcuno dice che sbaglio a sentirmi a casa, in Russia. E' da un anno, dal 9 maggio 2004, che la televisione scandisce quotidianamente, impietosa: "mancano 364 giorni alla vittoria", "mancano 363 giorni alla vittoria", ecc. E' stato un crescendo di importanza. Sì, dite pure che è una macchinazione mediatica. Per strada, sempre meno cure dimagranti e yogurt, e sempre più appelli ai veterani ad indossare le proprie medaglie, "perché il Paese è orgoglioso" di loro. Gli annunci sui mezzi pubblici vengono frammezzati dagli auguri ad avere un cielo di pace. Chissenefrega della Presidente della Lettonia (manco mi ricordo come si chiama, sai che tragedia), nata e cresciuta negli Stati Uniti, che non viene a Mosca e pretende le scuse della Russia per la presunta "occupazione sovietica". Chissenefrega di Saakašvili, Presidente georgiano, anch'esso formato all'Università negli Stati Uniti, che non viene manco lui. Chissenefrega di Tony Blair, che aveva promesso di venire in caso di vittoria ed ha ora dichiarato di avere altro da fare. Chissenefrega di Juščenko, la cui moglie, di origine ucraina, è nata e cresciuta negli Stati Uniti e lavorava al Dipartimento di Stato degli USA (insomma, con Condoleeza Rice ed affini) ed ha avuto la cittadinanza ucraina non appena il marito ne è diventato Presidente con un colpo di Stato. In realtà, chissenefrega d'ogni pusillanime opportunista e d'ogni sciovinista in odor di fascismo. Almeno questo giorno, è nostro.
Ne ho sentite, viste e lette di tutti i colori, in questi giorni, sugli organi di informazione di massa occidentali. La più puerile è quella di Oświęcim (Auschwitz) liberata dagli americani.
Bush dice che "la fine della Seconda Guerra Mondiale ha significato per l'Europa Occidentale la liberazione. Per i Paesi dell'Europa Orientale e del Baltico, invece ha significato occupazione ed imposizione del comunismo". Capita, l'antifona? Gli USA hanno portato liberazione, l'URSS - schiavitù.
Il Los Angeles Times dice che, "mentre la Germania si scusa periodicamente di fronte ai popoli d'Europa per i crimini di Hitler e sborsa miliardi alle vittime del nazismo, la Russia caparbiamente si rifiuta la propria responsabilità per 10, forse 20, milioni di persone vittime di Stalin".
E' poi un crescendo. Su Q&A Wiki trovate che "il vincitore principale sono gli USA". Di più: "l'Unione Sovietica è responsabile del 70% dei morti civili della Germania". In realtà, "la guerra è stata vinta dagli Stati Uniti. Senza di essi Hitler avrebbe conquistato rapidamente la Gran Bretagna, e solo dopo avrebbe spostato buona parte delle truppe sul fronte orientale, la Russia non avrebbe resistito ad un attacco così possente. Hitler è stato sconfitto dagli americani"...
Sono anni che si va avanti così. Due anni fa avevo già scoperto che "senza gli USA il mondo parlerebbe tedesco" e che "la Russia non deve essere prevenuta nei confronti di coloro che l'hanno salvata dal fascismo".
Prima o poi faremo i conti con tutti, non ho altro da aggiungere.
domenica 1 maggio 2005
1° Maggio rosso e proletario
Sì, lo so, mo' co' 'sta parabola vi sto tediando. Mi sto guardando il Primo Maggio. Che tristezza.
Non mi riferisco al concerto, ma a Scampia, Napoli. Vedete, la mia generazione è cresciuta sulle lezioni di storia, Trade Unions e compagnia danzante. Bella ciao. Fa impressione vedere Pezzotta che dice che i lavoratori non hanno libertà di manifestare in Russia Bianca. Fa impressione perché non è vero. Fa impressione perché è un Paese intero ad essere povero, non c'è un padrone contro cui lottare come organizzazione dei lavoratori. Ed è povero perché in Italia c'è un sindacato debole incapace di dire le cose pane al pane e vino al vino, e cioè che se non si lotta contro il padrone in uno dei sette Paesi più ricchi del mondo, a risentirne sono il 90% della popolazione del mondo. Invece, lo si scarica su Lukašenko. Complimenti. Il sindacato democristiano CISL. Non me ne frega niente che molti compagni preferiscono stare nella CISL anziché nella CGIL. Ciascuno risponda di fronte alla propria coscienza.
E intanto c'è il papabile locale che, ad ogni parola del capo, sul palco, applaudiva ed annuiva, cercando approvazione da parte dei circostanti, papabili come lui. Che infatti gli davano ragione. Scommettiamo che sarà il prossimo segretario locale? Non andremo avanti così. Sì, magari alle prossime elezioni ci leviamo di torno il Merda, ma giusto per beccarci Fini di lì ad un lustro. Perché rammollirsi negli agi non salva dalla globalizzazione. E la globalizzazione, checché ne dica la sinistra (definita tale) italica, vuol dire che lo sfruttamento del XIX secolo e ancora lì. Anzi: è qui. Qualcuno, che "tiene famiglia", è capace e disposto a condannare se stesso e la famiglia di cui prima alla fame in nome di quanti lo circondano? Perché solo così, facendo massa, non ci sarà bisogno di fare la fame individualmente. E' pronto a rinunciare agli agi il papabile che poggiava il gomito sul podio di Pezzotta? E' pronto a farlo il corrispondente di RAI 3 Maurizio Mannoni, ex figgicciotto e mio coetaneo o giù di lì, ex Video Uno (TV locale di Roma) di Paese Sera, che citava sul lavoro l'attuale Papa, ex esseesse? Caro Maurizio, che tristezza vedere la tua testa canuta, tu che eri il morettino fulminante idolo delle ragazzine. Capisco: anche tu hai da perderci qualcosa. Non c'è nulla di male ad incanutire. Però io, la mattina, quando mi faccio la barba, non mi vergogno a guardare me stesso negli occhi.
mercoledì 27 aprile 2005
La parabola
Lungi dal parlarvi delle innumerevoli parabole cristiane, a cui sono sinceramente, fieramente indifferente. E non mi riferisco nemmeno a y=ax²+bx+c. Dopo tanti anni, oggi mi sono finalmente deciso a mettere la parabola televisiva qui a Mosca. Sarà utile per praticare il verbo italico a mia moglie, ma soprattutto sarà essenziale affinché mia figlia, nata all'estero e destinata a crescervi grazie all'accanimento berlusconiano, nonché alla pusillanimeria della sinistra, personalmente nei miei confronti, nel 2001, quattro anni fa, non perda il suo 25% italiano.
Francamente, ne avrei fatto volentieri a meno. Non ho bisogno di vedere nuovamente Mediaset e la sua brutta copia RAI, con i soliti spot più meno subliminali di pannolini, assorbenti, detersivi, gazzose yankee, merendine, yogurt dimagranti, acque diuretiche, creme e cremine, supermercati onnifamiliari, polizze, i commenti d'ogni ragazzotto investito di televisionite che ritiene d'essere il miglior commissario tecnico come peraltro ogni avvinazzato del bar sport, le risate costruite di sottofondo ad ogni trasmissione in cui se non si sorride si è dei tristi comunisti, e poi i preti e i baciapile, naturalmente pagati con i soldi dei contribuenti, quanto tornate a casa tate ceffone a fostri pampini, e poi ancora schiume da barba, emollienti da barba, dopobarba, gel per barba, lamette da barba, lozioni da barba (cristo, ma la barba cresce così tanto a tutti, non solo a me?!), dentifrici, dentifroci, gomme americane che sono meglio dei dentifrici, spazzolini che sono meglio delle gomme americane, automobili, automoto, motorola, motoauto, motorette, mototutto, caffè, caffè deccafeinato, sciampo, balsamo, emolliente, e le ficzion, e le previsioni del tempo, ché quando ci sono un paio di gradi soprazero siamo al gelo siberiano e se si superano i trenta è il Sahara che avanza, la mamma che è sempre la mamma e che uccide il bambino, il bambino che uccide la mamma, il padre che va a puttane e la puttana ammazzata dal padre...
Che noia. Tant'è, questa è la lingua, questo è il Paese, questo è il popolino. Però mi sto guardando in diretta le dichiarazioni di voto e le votazioni del Berlusconi ter sul canale della Camera dei Deputati. Direte voi che forse son meglio le merendine. Mica tanto: la Camera, per ora, non trasmette ancora la pubblicità. Va beh, mia figlia non guarderà Follini, Casini, La Russa, Bondi e Mastella. Chissà quali altri fenomenali farabutti ci saranno quando crescerà.
Usando una paragone derivantemi dai miei studi matematici di vent'anni fa, speriamo che la parabola non si trasformi in iperbole.
martedì 29 marzo 2005
Kirgizia 2
L’altro giorno la televisione russa mostrava uno dei leader dell’opposizione kirgiza manifestare la propria amarezza perché la rivoluzione dei tulipani è già morta, speravano di cambiare il Paese ed invece ai vertici sono andati gli stessi uomini del potere riciclati. Tutto il servizio durava poche decine di secondi ed era palesemente preso dai circuiti televisivi internazionali. Non risulta che sia stato trasmesso dalla televisione italiana o da Euronews.
Il signore in questione si chiama Nikolaj Ivanovič Bajlo ed è il capo del Partito dei Comunisti del Kyrgyzstan, da non confondersi col Partito Comunista del Kyrgyzstan (anche in Kirgizia i comunisti sono piuttosto litigiosi). Stupisce che ciò non sia stato specificato.
Bajlo ha ragioni da vendere: Kurmanbek Salievič Bakiev, proclamato capo del governo e facente funzioni del Presidente della Repubblica, è stato capo del governo con Akaev dal 21 dicembre 2000 al 22 maggio 2002. Esattamente come Juščenko con Kučma e Saakašvili con Ševardnadze. Peccato che entrambi i Partiti Comunisti Kirgizi si siano accodati abbondantemente ai fomentatori dei disordini della scorsa settimana.
Chi semina vento, raccoglie tempesta. Bajlo in particolare era portavoce a tutti gli effetti, assieme agli altri Partiti di opposizione, alla assemblea che fu tenuta presso la sede di Biškek dell’OSCE/ODIHR con gli osservatori internazionali il 26 febbraio 2005, ovvero il giorno prima del primo turno delle elezioni parlamentari kirgize.
Traduciamo quindi dal politichese: la partecipazione dei comunisti locali ai disordini era motivata dal malcontento del non essere tenuti in debita considerazione da Akaev e dalla speranza di una maggiore considerazione in caso di vittoria – avvenuta – dell’opposizione (peraltro organizzata a tavolino nello spazio d’un mattino). E siccome Akaev ha perso e l’ex opposizione sta esautorando i comunisti dal novero degli oppositori, per paura di non essere gradita all’Occidente, ecco i comunisti kirgizi prendere in mano la bandiera di oppositori all’ex opposizione.
Quanta confusione sotto il cielo della via della seta. Eppure, esiste una definizione tanto elementare quanto antica per definire l’accaduto ed il presente: si chiama spartizione delle poltrone.
giovedì 24 marzo 2005
Kirgizia 1
Conosco la Kirgizia, per averci lavorato svariati mesi in epoca sovietica (1987). Poi due anni fa, col Parlamento Europeo, quando ho visitato anche altri tre Stati che conoscevo in epoca sovietica: il Kazachstan, l'Uzbekistan ed il Tadžikistan. Infine, sono stato in Kirgizia giusto tre settimane fa, sempre col Parlamento Europeo, come interprete con status di osservatore OSCE/ODIHR al primo turno delle elezioni parlamentari.
Tutto questo giusto per la cognizione di causa.
La Kirgizia faceva parte della via della seta di Marco Polo. Non posso garantire per le altre località del Paese, né per la precedente campagna elettorale nell'insieme del Paese, ma posso assicurare, avendo fatto incursioni random in una decina di seggi, che nella capitale Biškek e nella sua provincia pedemontana, checché ne abbia detto l'OSCE, le elezioni sono passate in modo del tutto democratico e senza brogli. Sicuramente, in modo ben più trasparente che in Iraq, in Afghanistan ed in Florida. Di parere diverso, evidentemente, è la Reuters, nota agenzia di burattini imperialisti, che, anziché informare, ritiene di essere dispensatrice di assiomi di democrazia: "Akayev, che sta affrontando violente proteste nel sud del paese per presunti brogli elettorali, ha provocatoriamente sostenuto oggi che il voto è stato legittimo". Provocatoriamente? Non è forse uno schierarsi, questo, da parte della Reuters?
Ha ragione Akaev a non aver rinnovato l'offerta di negoziazioni. Ha ragione da vendere: Oš e Džalal-Abad non sono in mano all'opposizione, come si va affermando in Occidente, ma a bande di criminalità organizzata, che l'opposizione stessa non sa come e non è in grado di fronteggiare. Provate a guardare le cartine di cui pocanzi vi ho riportato i link: il Paese ha la conformazione di un'orma di mulo, nella cui parte interna si va incuneando la parte orientale dell'Uzbekistan. L'insieme si chiama Valle di Ferganà, e dall'ultima cartina noterete che si tratta della più rigogliosa, forse l'unica, regione di questa parte del mondo, stretta da montagne ed aree desertiche. Oš e Džalal-Abad sono esattamente dentro tale cuneo, ed è significativo verificare come le diverse mappe non concordino nel tracciare i confini tra i due Stati. Vi invito anche a fare mente locale sui filmati riportati dalle troupes televisive occidentali: i più attenti avranno notato un copricapo piuttosto alto di colore bianco, molto diffuso. E' il tipico copricapo kirgizo. Quelli ancor più attenti avranno però notato, quando si trattava di Oš e Džalal-Abad, che prevaleva un copricapo basso con base quadrata e punta piramidale. E' la tjubetejka uzbeka. Chi sta innescando tutto questo forse ancora non si è reso conto che rischia di provocare uno scontro interetnico in una regione delicatissima, che dista dall'Afghanistan più o meno quanto Roma da Firenze. Non siamo né in Ucraina, né in Georgia, qui la rivoluzione non sarebbe né degli aranci, né delle rose, ma, al limite, delle pietre e delle piccozze.
Akaev è un intellettuale e continua ad essere il Presidente più democratico di tutti gli Stati asiatici postsovietici. Un presidente particolarmente pragmatico, che, facendo di necessità virtù, ha salvato il proprio Paese dalla variante Far West, quando, nel 1999, per porre fine alle incursioni di bande organizzate di rapinatori, ha invitato in casa russi ed americani. Letteralmente. L'aeroporto di Biškek è suddiviso in una parte militare ed una civile. Quella militare è piena di caccia statunitensi, a ridosso della base, che ho visitato sempre due anni fa: qualche decina di olandesi, altrettanti tedeschi e francesi, e circa trecento yankees. Veniva usata come scalo per i bombardamenti in Afghanistan. Ci sono, però, anche i russi, per la precisione nel lago di Issyk-Kul' (1.600 m sul livello del mare, una superficie di oltre 6.000 kmq - rispetto ai 370 kmq del più grande lago italiano, quello di Garda - ed un perimetro costiero di poco meno di 700 km, quasi un Napoli-Milano) con una base di armamenti sperimentali antisommergibile, e con una base area nella città di Kant, a venti chilometri dalla capitale Biškek.
Qualora il tentativo - manovrato da potenze straniere, ha ragione Akaev! - di giocare la carta ucraina e georgiana andasse in porto, provate un po' ad immaginare quale dei due eserciti rimarrebbe?